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Autore: Dunettas    02/06/2017    0 recensioni
...Quei due sono la sua vita. La sua serenità. E lui sta bene così. Lo crede. Ne è convinto. Vuole convincersene. Poi suona l'ora della ricreazione e un lieve profumo di muschio gli sfiora le narici... (dal testo)
(spin-off di "se posso, lo voglio". Serie di shot collegate in ordine temporale).
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Ma tutto si può sopportare.

 

Marco si stiracchia sul banco e ne afferra con le dita l'estremità, cercando di non farsi vedere troppo. Quella lezione è tartassante. Lo sta annoiando oltre misura. È il suo ultimo anno di liceo e lui non vede l'ora di scappare al mare e di nuotare fino a non sentirsi più le gambe. Ha voglia di far ridere Giulietta, fino a che non tira fuori quelle sue meravigliose fossette, e di far indispettire Nicola con tutta quell'acqua.
Quei due sono la sua vita. La sua serenità. E lui sta bene così. Lo crede. Ne è convinto. Vuole convincersene. Poi suona l'ora della ricreazione e un lieve profumo di muschio gli sfiora le narici. Dopobarba, già, quello che tutti i maschi usano post rasoio. Eppure quel dopobarba è particolare. E non perché sia lui ad esserlo, in realtà sa solo di erba, erba anche un po' viscida e umidiccia. Cresce al buio, dove a Marco non piace stare. Perché Marco è mare, sole, estate.
Quel dopobarba è particolare perché lo mette sempre quella persona.
Quella che incupisce le sue notti e fa sparire il suo sorriso.
Marco tira indietro la sedia e solleva lo sguardo. Deve per forza. Lui se ne sta in piedi, le mani nelle tasche dei jeans e un mezzo sorriso che incurva le sue belle labbra carnose. Ha la pessima abitudine di mordersele, quand'è perplesso. E lo fa ora, proprio ora. Marco stringe i pugni e punta gli occhi scuri in quelli azzurrissimi del suo compagno di classe. Matteo, già, Matteo Malaspina. Nel senso letterale del termine.
“Che vuoi?”
Dice brusco, troppo brusco. Senza un senso. L'altro inclina il capo e si stringe leggermente nelle spalle.
“È la mia classe tanto quanto la tua, Sforza”
“Intendevo che vuoi da me...”
Conclude Marco, chinandosi per mettere i libri nello zaino. Non sopporta di guardarlo più di tanto. Gli prendono a formicolare mani e piedi, e comincia a sentire caldo dappertutto. Una cosa che non si spiega, ma che soprattutto non si vuole spiegare.
“Abbiamo un conto in sospeso, io e te, ricordi?”
Oh si che lo ricorda. Marco si lascia scappare un sorriso, e nel sollevarsi, si passa una mano fra i ricci biondi. Poi incrocia le mani sul petto, ampio, largo petto da nuotatore. E sente la maglia tirarsi sulle spalle, come sempre. Lo rincuora. Lo fa sentire un poco più uomo.
“E vorresti regolarlo ora? A scuola?”
L'aplomb da bulletto non gli si confà affatto. E sembra pensarlo anche Matteo perché si concede una piccola risata liberatoria, poi si riprende, rimandando gli occhiali sul naso. Quel gesto attira l'attenzione di Marco, che lascia scivolare lo sguardo su quel bel profilo altero. Matteo è un intellettuale dalla A alla Z, indossa sempre camicie e jeans scuri. Si vede che non dorme per leggere, perché ha sempre gli occhi stanchi. E poi sta sempre lì, giorno e notte, con il suo capannello di ammiratori, a decantare mondi infiniti e poesie senza tempo. È un ragazzo che ha sempre una parola per tutti, il consiglio buono della giornata, quell'attenzione in più che fa sentire tutti un po' speciali. È un po' come un angelo buono venuto da chissà dove per portare serenità. Invece con Marco no. Marco non lo sopporta proprio. Perché lo rende nervoso e insicuro, lo fa tremare senza neanche accorgersene. O forse se ne accorge, ma non gli importa.
“Devi semplicemente leggere una poesia ad alta voce, Marco... non prendermi a pugni finché non svengo”.
L'altro lo guarda in tralice, mentre fa finta di fare qualsiasi altra cosa. Sfogliare il quaderno di matematica, giocare con il cellulare, masticare la gomma della matita.
Aveva perso una stramaledetta scommessa e ora doveva pagare. Quello stupido, insidioso, geniale prezzo, che caratterizzava il sadismo intrinseco di Malaspina.
“Non intendo farlo assolutamente in pubblico”
Frase sbagliata. Matteo si morde ancora le labbra e aggrotta leggermente le sopracciglia al di là delle lenti. E Marco si maledice intimamente per quelle che gli parvero decine di migliaia di volte, mentre prega di non essere diventato color pomodoro.
“Va bene in giardino...”
Dice frettolosamente. Ed aggira il banco rapidamente, superando il dopobarba e il suo possessore, che sorride con una certa soddisfazione.
Trova il primo muretto disponibile e ci si arrampica sopra. Lasciando penzolare le gambe.
Non si guarda intorno, tiene gli occhi fermi sull'asfalto al di là delle scarpe. Si sforza anche di non fare caso ai passi che risuonano già da un po' sul selciato.
Matteo gli porge un libro. Sembra un testo scolastico. Marco lo guarda interrogativo, dall'alto. Sono più o meno alla stessa altezza, le loro teste in quel momento. Ma Matteo si tiene distante, sempre le mani in tasca, e gli fa cenno di aprirlo.
“C'è il segnalibro nel punto giusto”
Dice, ma è più che altro un sussurro.
Marco guarda meglio il libro. È di letteratura greca. Un mondo a lui del tutto sconosciuto e anche del tutto privo di interesse. Per questo lo apre con noncuranza, senza notare il lampo di aspettativa che illumina per un istante gli occhi del compagno.
Marco assottiglia leggermente lo sguardo sulle righe, sono scritte fitte, ma la grafia è chiara.
“Saffo nacque ad Ereso, nel VII secolo a.c. Era la figlia di una famiglia nobile, visse praticamente tutta la sua vita sull'isola, a Mitilene”.
Decanta brevemente Matteo, mentre l'altro si sforza di comprendere quelle frasi nebulose ed intricate.
“Leggi per me”
Mormora il compagno e Marco solleva gli occhi di scatto. Quel tono è strano, strascicato, come se la sua naturale conclusione si spegnesse in un singhiozzo. La cosa lo mette in uno strano stato di agitazione, lo infastidisce. Matteo se ne sta sempre lì, ad un paio di metri da lui, con le mani in tasta. Lo guarda attento, ma da quella distanza non riesce a distinguere quale espressione effettivamente abbia. Comunque gli sembra inoffensivo. Si sente abbastanza sicuro ed allora china gli occhi e prende a recitare. Un po' incerto all'inizio, poi sembra incuriosirsi.

Simile a un dio mi sembra quell’uomo
che siede davanti a te, e da vicino
ti ascolta mentre tu parli
con dolcezza
e con incanto sorridi. E questo
fa sobbalzare il mio cuore nel petto.
Se appena ti vedo, subito non posso
più parlare: la lingua si spezza: un fuoco
leggero sotto la pelle mi corre:
nulla vedo con gli occhi e le orecchie
mi rombano:
un sudore freddo mi pervade: un tremore
tutta mi scuote: sono più verde
dell'erba; e poco lontana mi sento
dall'essere morta.
Ma tutto si può sopportare.

Chiude le ultime quattro sillabe, pervaso da uno strano tremore. Le labbra stentano nell'ultima frase. Sospira, poi, un'istante dopo averle serrate. E si sente stranamente commosso. Allora solleva lo sguardo e sussulta, di botto. Matteo è ad un passo e i suoi occhi traboccano di lacrime. Le lascia scivolare giù lungo le guance, non toglie nemmeno le mani dalle tasche.
Marco sgrana gli occhi e si muove inquieto sul muretto.
“Va bene, lo ammetto, è abbastanza ben riuscita, è leggerla ad alta voce con la giusta cadenza, è suggestivo. Ma non credo che ci sia da piangere”
Lo vede sorridere appena, incurvando le labbra umide, e mandare gli occhi chiari al cielo. Tanto è perfettamente consapevole anche lui di non avere a che fare con il genio dell'intuito.
“Lo è invece, se è quello che provi ogni giorno”
Marco assottiglia gli occhi e aggrotta le sopracciglia.
“Io credo che tu possa avere tutte le donne che vuoi, Malaspina. Mezza scuola ti viene dietro”.
Matteo ha smesso di piangere già da un po' e non gli sembra vero di dovercelo fare arrivare. Per lui la cultura e la reviviscenza delle emozioni, delle immagini del passato, sono qualcosa di assolutamente scontato. Automatico.
Fra il basito e il disperato, toglie le mani dalle tasche e le incrocia sul petto. Accademico come il più illustre dei professori.
“Saffo è lesbica, Marco. Sta parlando di una dannatissima donna”
Lo vede sbiancare e riportare automaticamente lo sguardo al libro, cercando fra le righe qualcosa che non vi potrà trovare.
“Non capisco...”
Dice poi in un sussurro, senza staccare gli occhi da quelle pagine per lui inspiegabilmente bianche.
E Matteo perde del tutto le speranze. Fa un passo avanti e gli appoggia una mano sulla testa, scompigliando quei meravigliosi capelli biondi, la cui consistenza non si era nemmeno mai permesso di immaginare. Ma anche alla sua pazienza, c'è un limite.
“Voleva essere una specie di dichiarazione d'amore. Ma credo di aver sbagliato tempo, modo e soprattutto... uomo”.
E con quelle parole, ritira la mano, si volta e se ne va. Lasciando in sospeso quella frase nell'aria, che rimbomba come un uragano nelle orecchie di Marco. E lui non riesce a staccare gli occhi da quel libro, mentre il cuore gli galoppa nel petto in un misto di terrore e gioia.
Solleva di scatto lo sguardo e trova solo le sue spalle. Se ne va, senza voltarsi. Orma quasi scompare. Marco strige i pugni e non si muove, no, lascia scivolare via quell'emozione, sempre più attutita, lontana, mentre si ricompone il ricordo di un’esistenza a cui è più avvezzo, definitivamente incrinata da quella piccola, innocente carezza e da quelle ben meno innocenti parole.
Chiude il libro di botto e salta giù dal muretto, abbandonandolo lì, da solo.
Non c'era storia. Non per lui. Mai.

...e poco lontano mi sento
dall'essere morto.
Ma tutto si può sopportare.

   
 
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