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Autore: Francy_Kid    02/06/2017    5 recensioni
Chat Noir, la Belva Nera, un ragazzo che ha il potere di distruggere tutto ciò che tocca: una maledizione che lo vede essere temuto da tutti. Solo una ragazza, Marinette, sarà in grado di conoscerlo meglio e capirlo.
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•MariChat•
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INIZIATA: 9 Marzo 2017
CONPLETATA: 20 Marzo 2018
Genere: Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Maestro Fu, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Sorpresa, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Cap. 13



 

Marinette inspirò profondamente prima di aprire la porta di ingresso e trovarsi sulla soglia la sua migliore amica arrabbiata.

Sperava di passare una domenica mattina in tranquillità, ma si aspettava che fosse accaduta una cosa del genere.

«Ehi Alya...» la salutò lei, facendola entrare.
«No! Niente "ehi Alya". Mi hai fatta preoccupare come una dannata!» esclamò la mora muovendo qualche passo verso l'amica, facendola indietreggiare spaventata.
«Ti chiedo scusa, ma sono tornata a casa dall'ospedale stanotte all'una e sono crollata... Non volevo farti preoccupare.»
«Allora volevi farti ammazzare.» ribatté secca. «Il video di te che affronti Chat Noir è cliccatissimo sui social. Ma che diamine ti è saltato in mente?!» chiese mostrandole la pagina del social sul quale era aperto il video del felino che sfiorava il collo della ragazza con i suoi artigli.
Marinette si morse il labbro inferiore. «È-È che... Nath era in pericolo e...»
Alya le mise le mani sulle spalle. «Mari. Non hai pensato a tua madre, a tuo padre, a me? Chi se ne frega del ragazzo pomodoro! Io non potrei sopportare il fatto di perderti!» continuò con le lacrime agli occhi, per poi abbracciare la corvina. «Se osi rifare una cosa del genere e rimani uccisa giuro che ti uccido una seconda volta.»
«Non succederà, te lo prometto.» rispose Marinette abbracciando a sua volta la ragazza, tirando su con il naso.

Alya aveva ragione, ma era sicura di una cosa: non sarebbe stata in grado di mantenere quella promessa.



 

—•—•—



 

Quel pomeriggio accettò di uscire per una passeggiata con i suoi due migliori amici, ignorando le occhiate e registrando i borbottii delle persone sul suo conto.

Alcuni dicevano che era stato un gesto coraggioso, mettere a rischio la propria vita per salvare un amico, altri avevano paura per lei, mentre altri la invidiavano, essendo l'unica a non essere stata nemmeno toccata malgrado si fosse messa esattamente davanti al mostro, mentre dei loro famigliari erano stati aggrediti senza alcun motivo ed erano finiti in ospedale per settimane.

La cosa che più la lasciava sbigottita, però, era il fatto che alcuni avevano paura di lei.

Non vedeva il perché le persone dovessero essere spaventate da lei, dopotutto era una normale ragazza sfuggita all'attacco mortale della Belva Nera.

L'unica, per di più.

Sentendosi troppo osservata, con una scusa, tornò a casa, salutando Alya e Nino.

Entrò dalla porta del negozio, salutò il padre e salì le scale fino al suo appartamento, gettandosi sul comodo divano a far riposare i piedi doloranti.

Avrebbe dovuto usare scarpe più comode per le camminate, gli stivaletti –per quanto si intonassero al suo outfit– le duolevano soltanto dopo un'ora.

Si levò le scarpe, andando a metterle sulla scarpiera appena accanto all'ingresso, per poi chiudere il cassetto e salendo in camera, volendo mettersi il più comoda possibile.

Si sciolse i capelli, si levò gli abiti, si struccò e si vestì di una canottiera nera ed una paio di calzoncini del pigiama verdi, lasciando le gambe scoperte e libere di respirare.

Si sdraiò sulla chaise longue, prendendo il cellulare e facendo scorrere le notizie sui social per controllare se la notizia della "ragazza temeraria" si fossero placate, appurando il fatto che non era così.

Sbuffando, spense il cellulare e si alzò per andare ad appoggiarlo sulla scrivania, sentendo un leggero bussare sul vetro della botola sopra il soppalco.

Immaginando chi fosse, prese il quaderno, una penna nera e corse verso il letto per andare ad aprire, sorridendo non appena vide il volto imbarazzato del felino.

«Ciao Chat. Sei parecchio in anticipo oggi.» ridacchiò lei, facendogli cenno di entrare. «Vuoi un croissant? Mio papà ne ha appena sfornati altri. La domenica è giorno di piena.»

Il ragazzo annuì con energia, atterrando sul materasso con leggero tonfo.

«Aspettami qui, torno tra qualche minuto.» disse lei poggiando il quaderno sulle coperte, per poi scendere le scale del soppalco.

La corvina scomparse dalla botola poco dopo, lasciando il felino solo nella stanza.

Chat camminò attorno agli oggetti, non ancora abituato a quel luogo –forse perché era un gatto il fatto di renderlo più curioso–, rizzando le orecchie quando esaminava qualunque cosa.

Stando attento ai suoi artigli, fece scorrere le dita su un manichino vestito di abito non ancora finito: la stoffa era leggera e di un colore bianco candido e, al momento, ricopriva soltanto la spalla destra ed i fianchi.

Sorridendo, ancora con il quaderno in mano, andò a sedersi sulla chaise longue, battendo le ciglia nel vedere il design della stanza e sorpreso dal fatto che il letto non fosse ancora caduto.

Il rosa non era un colore di cui andava matto, ma rispecchiava appieno la personalità della ragazza.

All'improvviso, i suoi occhi caddero su una piccola palla di lana rossa appoggiata sulla scrivania; sentì il corpo muoversi da solo e, malgrado tentasse di reprimere il suo istinto da gatto, si ritrovò con il gomitolo in mano.

Ed ecco i classici stereotipi sui gatti, pensò lui prima di iniziare a far rimbalzare il gomitolo tra le mani.

Inconsciamente, iniziò a fare le fusa, sorridendo ogni volta che la lana rimbalzava tra le sue "zampe".



 

—•—•—



 

Marinette aprì la porta di casa dopo aver recuperato due croissant al cioccolato appena fatti, trovando sua madre che si stava preparando per uscire.

«Dove vai?» le chiese incuriosita.
«Al lavoro. Mi hanno appena chiamata dicendomi che c'è stato un incidente ed una persona è in gravi condizioni.» spiegò velocemente, notando l'espressione triste della corvina. «Lo so che stasera avevo promesso che avremo mangiato la pizza tutti assieme e mi dispiace.» esclamò tristemente la donna, accarezzando la guancia alla figlia.
«No, non importa.» scosse la testa. «Ora vai a salvare quella persona prima che perda la testa.»
«Mari! Questa era crudele!» sorrise Sabine, facendole un buffetto. «Domani doppia razione di pizza, così mi faccio perdonare.»
«Ti farai perdonare solo quando mi porterai in cima alla Tour Eiffel. Ora fuori da questa casa.» ridacchiò Marinette aprendole la porta, per poi salutare un'ultima volta sua madre e tornando ad essere sola.

La ragazza si poggiò con la schiena contro la porta, sospirando.

Ancora al lavoro, pensò.

Ormai era abituata a non avere i genitori in casa e anche se suo padre lavorava al piano terra non aveva tempo per stare con lei, impegnato nel preparare dolci e pane per i clienti.

Sarebbe rimasta sola ancora.

Provando a pensare ad altro, camminò verso la cucina e recuperò due bicchieri di vetro ed una bottiglia di succo all'arancia rossa preparato quella mattina.

Le ci volle tutta se stessa per non cadere dalle scale con delle cose in mano, senza parlare del fatto di dover aprire la botola sopra di lei.

«Eccomi, scusami se ci ho messo tan–»

La corvina si gelò sul posto nel vedere Chat Noir immobile come una statua, e con un'espressione di pura sorpresa, tutto aggrovigliato nella lana rossa.

Marinette rimase a bocca aperta, per poi scoppiare in una sonora risata divertita, che aumentò non appena il ragazzo rilasciò dei miagolii di frustrazione.

Asciugandosi le lacrime agli occhi, poggiò il cibo sulla scrivania e si sistemò accanto al ragazzo per liberarlo da quella trappola, ma siccome continuava a muoversi per cercare di sciogliere i nodi, anche la corvina finì con le mani ingarbugliate.

«Sai, in Giappone si dice che c'è un filo rosso che lega due persone che sono destinate a stare insieme, ma io non pensavo fosse letterale.» ridacchiò la ragazza, notando il rossore sul volto del biondo. «Tu che hai le mani libere -circa-, prendi la forbice sulla scrivania.» disse, svolgendosi quando bastava per far sì che Chat riuscisse a prendere l'utensile e tagliare il filo.

Un paio di minuti più tardi erano entrambi liberi, e Marinette riprese a ridere.

"Mi dispiace, ma non so il perché mi sono trovato il gomitolo in mano..."

«Non ti preoccupare, tanto era tutto sfilacciato e dovevo buttarlo, per questo era sulla scrivania.» rispose raccogliendo i vari fili. «Mi hai anche rallegrata, grazie Chat.» sorrise, facendolo diventare rosso come un peperone.

"Cos'è successo?"

«Mia mamma, come sempre.» rispose gettando la lana nel cestino che aveva sotto la scrivania. «Ma, dopotutto, non è colpa sua, non devo avercela con nessuno.»

Chat le si sistemò accanto e anche se era più alto di lei di una ventina di centimetri, poggiò la testa sulla sua spalla in un gesto affettuoso.

«Almeno io posso contare su di te, giusto Chaton?» domandò accarezzandogli il capo e ricevendo come risposta affermativa delle fusa. «Ed anche tu puoi contare su di me. Sempre.»

Il felino alzò lo sguardo, sorridendole, strofinando il naso contro la sua guancia e facendola ridacchiare.

«Ora mangia il croissant, non vorrai che si freddi.»

"Va bene, nonnina" scrisse lui per prenderla in giro.

«Ti voglio fare ingrassare per poi metterti fiocchi su fiocchi, ok? I gatti in stile Garfield fanno tenerezza a tutti, lo sai?» rispose la ragazza con una risatina prendendo la brioche a sua volta e iniziando a mangiarne un po'.

"Dopo non sarò più chiamato Belva Nera ma Batuffolo Nero. No grazie"

«Dopo ti vorranno adottare tutti.»

"E se io volessi essere adottato soltanto da una persona?" ribatté lui con tanto di ghigno.

«Se quella persona è chi penso io allora preparati ai fiocchi, Chaton.» rispose ridacchiando, vedendolo far finta di scorderete gli artigli e soffiare, per poi tornare di nuovo a scrivere.

"Chaton... Mi piace. Mi fa sembrare più teneroso"

«Perché sei tenero.» disse pizzicandogli leggermente una guancia. «Il mio piccolo micetto.» ridacchiò facendogli fare un mugolio spazientito.

Il felino sorrise, tornando a mangiare il suo croissant, guardando la ragazza con aria di sfida ogni volta che avvicinava la propria mano alla sua guancia.

Malgrado "Chaton" fosse il nomignolo dell'animale che lo rappresentava gli piaceva sul serio.

Sempre meglio di Belva Nera o mostro, no?



 

—•—•—



 

Chat rimase con Marinette fino alle undici di sera, lasciandola andare a dormire quando la vide sbadigliare e lottare contro le palpebre pesanti.

I ricordi di due giorni prima riaffiorarono e sentì il senso di colpa invaderlo nuovamente.

Era stato vittima della gelosia e questa sua incoscienza era quasi costata la vita alla sua unica amica.

Strinse i pugni, ignorando il dolore dato degli artigli conficcatisi nei palmi delle mani e dei canini che gli bucavano il labbro inferiore.

Scosse la testa, prendendo dei lunghi respiri profondi per tornare in sé e non rischiare di perdere il controllo.

Ricordava perfettamente quel momento come se lo stesse rivivendo ancora: il corpo rigido e tremante della ragazza davanti a lui per fare da scudo ad un suo amico, i suoi occhi che esprimevano puro coraggio misto a timore e la sua voce -ferma, calma e morbida allo stesso tempo- che lo chiamava per nome per ricevere un cenno da parte sua; ricordava il dolore lancinante alla testa mentre lottava per rinsanire, ma il suo istinto gli urlava di completare ciò che aveva iniziato, riversare la sua rabbia su quel ragazzo che aveva osato a toccare Marinette.

Ma così facendo avrebbe fatto del male anche a lei, oltre che in modo fisico.

Preso un ultimo respiro riaprì gli occhi, cercando con lo sguardo una cornice con dentro una foto sul comodino; raffigurava una donna sulla trentina, lunghi capelli biondi come il grano appena maturo e splendenti occhi verdi come smeraldi, ma ciò che lo rapiva ogni volta che la guardava era il suo meraviglioso sorriso, caldo e gentile, che esprimeva felicità ed amore per la persona dietro la fotocamera.

Una lacrima gli scivolò dall'angolo dell'occhio lungo la tempia, cadendo sul cuscino e mischiandosi tra le fibre della stoffa.

Allungando la mano artigliata andò a sfiorare i lineamenti femminili della donna nella foto, tirando su con il naso subito dopo.

Sua madre era l'unica persona che gli avesse mai voluto bene, malgrado la sua salute non le permetteva di passare molto tempo fuori dall'ospedale, quando, un giorno, la sua malattia prese il sopravvento e le strappò la vita dal corpo.

Quel maledetto ricordo lo riviveva ogni notte nei suoi sogni, seguito dal volto sorridente della madre che lo abbracciava e gli diceva che sarebbe andato tutto bene, che presto si sarebbe risolto tutto.

«Ti voglio bene, figlio mio.» gli diceva ogni volta con voce morbida, spezzata dalle lacrime; poi si svegliava con gli occhi bagnati dalle lacrime.

Capitava molte volte che si svegliasse nel mezzo della notte, preso dalla rabbia perché lui non era stato in grado di fare nulla per salvarla; se avesse capito prima che sua madre era malata, allora avrebbe potuto anticipare le cure, ma malgrado i segnali –forte tosse, continui svenimenti e, qualche volta, attacchi isterici– non l'aveva capito, era stato cieco.

I medici avevano detto che la sua malattia era irreversibile, che non poteva far altro che peggiorare fino a che non sarebbe arrivato il momento di lasciarla andare, ma lui non riusciva ad accettarlo.

Erano quelli i pensieri per cui si scatenavano i suoi poteri della distruzione, preferendo uscire per le vie di Parigi a sfogare la propria frustrazione.

Anche nella notte in cui aveva incontrato per la prima volta Marinette si era appena ripreso da uno dei suoi attacchi, saltando tra i tetti per cercare aria respirabile, aria che non lo facesse soffocare; poi la vide, una normale ragazza che camminava sola nella notte per le vie anguste della città.

Non sapeva come, ma sentiva come una sorta di attrazione magnetica verso la giovane, e quando vide i suoi fantastici occhi azzurri una scarica elettrica gli scosse i pensieri, mandandogli un brivido lungo la spina dorsale.

Fu una pura rivoluzione per lui e quell'anno spaventoso si fece più luminoso.

Era la sua ancora di salvezza, come il filo che Arianna donò a Teseo per aiutarlo a trovare l'uscita del labirinto.

Quella sera, dopo essersi addormentato, vide ancora sua madre: gli sorrideva e gli accarezzava dolcemente i capelli dello stesso colore dei suoi, per poi baciargli dolcemente la fronte.

In questo sogno non era Chat Noir,  la Belva Nera, ma era il ragazzo normale che era prima, senza artigli, senza zanne, senza coda e senza orecchie.

Solo lui.

«Mamma...» sussurrò con le lacrime agli occhi, crogiolandosi in quel dolce abbraccio. «Mamma, mi manchi tantissimo...»
«Io sono sempre con te, tesoro, non ti preoccupare.» rispose lei accarezzandogli i capelli. «Veglio su di te anche se non mi vedi, ti proteggerò sempre
«Mi dispiace... Mi dispiace per tutto
«Non esserlo, non è colpa tua

Il giovane singhiozzò contro il corpo della donna, mentre lei sussurrava frasi dolci per calmarlo.

Avrebbe voluto che fosse reale, che tutto quello che aveva vissuto dalla sua morte fino in quel momento fosse soltanto frutto di un bruttissimo incubo.

«Non ti abbattere, sei o non sei il mio ometto?» gli sorrise, asciugandogli le guance dalle lacrime. «Non piangere. Trova la tua luce, trova il motivo per cui sorridere ed andare avanti

Le immagini di Marinette gli passarono davanti agli occhi: Marinette che sorrideva, che rideva con lui, che lo guardava con un'espressione incuriosita, che inciampava per la sua sbadataggine, che arrossiva e si toccava le guance purpuree.

Non era mai stato così sicuro su di una cosa fino a quando i loro occhi non si incontrarono, dando il via ad un legame forte e duraturo.

Era lei, ne era certo.

Il ragazzo sorrise, tirando su con il naso. «L'ho già trovata...»
Fu la volta della donna sorridere. «Ti voglio bene, Adrien

Chat riaprì gli occhi verdi, notando che si era fatto giorno.

Il ricordo del sogno era ancora vivido  nella sua mente; si portò una mano al petto, ascoltando il suo cuore battere tranquillamente nel petto.

E quella fu la prima notte in cui si svegliò sorridente.





 

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*si asciuga una lacrimuccia*

Quasi mi dispiace far soffrire così i personaggi.

Quasi.

Quanto sono stronza xD

E questo è nulla in confronto a quello che subiranno più avanti. Eheheheheh

A venerdì prossimo >:3

Francy_Kid

  
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