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Autore: _armida    02/06/2017    0 recensioni
Dal capitolo XV:
“Si aspettano che io ti uccida?”, domandò lui con un filo di voce.
(...)
. “Mi… mi terrai la mano mentre… sì, insomma, dall’altra parte non sarò sola ma…”. Non riuscì ad andare avanti e si limitò a cercare aiuto nel viso che aveva di fronte.
“Lo farò per tutto il tempo che vorrai”, si affrettò a dire il Conte, mentre una lacrima sfuggita al suo controllo gli rigava una guancia.
Elettra la spazzò via con una carezza, tornando poi a sorridergli, seppur il suo tono di voce, quando parlò, fu estremamente serio. “Non per tutto il tempo che vorrò, solo il minimo indispensabile, poi correrai da Leonardo a salvargli la vita. Non voglio vedere nessuno di voi per i prossimi trenta o quarant'anni, almeno”, aggiunse in un tentativo di ironia. Si alzò sulle punte, per poter avere il suo viso all’altezza del proprio e lo baciò per l’ultima volta. “Addio, Girolamo”, disse ad un soffio dalle sue labbra.
Si guardarono negli occhi.
Una tacita domanda.
Un cenno di conferma.
Strinsero entrambi le mani intorno al pugnale e la lama si fece strada nella carne.
(seguito di "L'Altra Gemella)
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Girolamo Riario, Leonardo da Vinci, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Elettra'
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Capitolo II: Fratelli 

Roma, una settimana più tardi... 
 
Il cardinale Raffaele Riario Sansoni camminava a passo deciso per i corridoi degli Archivi Segreti Vaticani, ben intenzionato a passarci il minor tempo possibile. Come facevano tutti ad amare quel posto buio e polveroso dall’aria stantia? Diversi metri sopra alla sua testa era un tripudio di marmi policromi e magistrali colpi di pennello, dove i colori e la luce erano i veri protagonisti, mentre lì... gli venne da rabbrividire e decise di aumentare il passo quando la fiamma della torcia che teneva stretta nella mano vacillò, lasciandolo per un istante immerso nelle tenebre più assolute.  
Il suo amato Aramis, suo cugino Girolamo, il Cardinale Mercuri, suo zio... dovevano essere tutti matti per decidere di passare le loro giornate là sotto. A lui pareva di stare come sepolto vivo. 
Ad ogni corridoio, ad ogni svolta gli sembrava che le pareti si chiudessero intono a lui, schiacciandolo.  
Borbottò qualcosa di incomprensibile verso il vescovo Becchi, l’unica ragione che lo spingeva a mettere piede là sotto di proprio spontanea iniziativa. 
Non vedeva Aramis da  Pasqua.  
Il verbo “vedere” in quel momento, però, gli sembrò un’esagerazione: lo aveva appena scorto tra la folla durante le celebrazioni della messa e, a fine funzione, quando aveva provato a raggiungerlo, lui si era già dileguato. 
Non era così che avrebbero dovuto passare le festività. Avevano già organizzato tutto per stare a Firenze, ospiti della sorella di Aramis, quella ragazzina bionda dall’aria simpatica che era riuscita a far ingoiare bile a Girolamo e Sisto per giorni dopo la sua toccata e fuga negli Archivi Segreti.  
Ma Mercuri aveva deciso di rovinare tutto affidando al suo povero assistente la traduzione di uno dei tanti strani manoscritti della biblioteca.  
E così erano due settimane che Aramis viveva barricato nello studio del curatore degli Archivi. La messa della mattina di Pasqua era stata l’unica uscita da allora. 
Da un lato il non essere andati a Firenze era stata una fortuna: il tentativo di congiura dei Pazzi, nonostante il suo fallimento, aveva creato non pochi disordini in città. E parecchi morti. 
Si chiese se Aramis ne fosse stato informato e, sopratutto, se la sua famiglia stesse bene; sapeva che la sorella e lo zio lavoravano entrambi per la famiglia de Medici.
Glielo avrebbe chiesto, non appena lo avesse raggiunto. 
Percorse ancora un altro paio di cunicoli prima di ritrovarsi davanti ad un ampio portale di legno talmente scuro da sembrare color pece. A terra vi erano diversi vassoi ricolmi di cibo. La maggior parte non erano nemmeno stati toccati.  
Sospirò: per Aramis era un amante, un amico e un fratello all’occasione, una spalla su cui sfogarsi... ma mai si sarebbe aspettato di dover pure fare la mamma che controlla che il proprio figlio mangi regolarmente.  
Non si curò di bussare, ma decise di entrare direttamente. 
“Avevo chiaramente detto di non entrare per nessuna ragione!”, urlò una voce da in fondo alla stanza. “Dannazione! Ora mi tocca ricominciare da capo” 
Raffaele si fermò un istante sulla soglia, poi silenziosamente richiuse il pesante portale alle sue spalle. 
“Non muovetevi per nessuna ragione”, continuò il vescovo Becchi. 
Invece di ascoltare le sue parole, il giovane continuò imperterrito fino alla scrivania, rischiarata appena da un tenue braciere.  
Alzò le mani in aria in un gesto di pace non appena l’altro sollevò il capo con un’espressione che avrebbe fatto accapponare la pelle persino a quel cavaliere senza macchia e senza paura che era suo cugino Girolamo. 
“Aramis, sono Raffaele”, disse in tono calmo, prima che quest’ultimo provasse a lanciargli contro il tagliacarte, poggiato al suo fianco. 
Nella semioscurità lo vide sospirare e stropicciare gli occhi, irritati dalle troppe ore passate sui libri.  
“Scusami, Raffaele. Non volevo saltarti addosso in quel modo”, proferì a sua volta, con un tono di voce mortificato, dal quale traspariva anche tutta la propria stanchezza. 
Le labbra del Cardinale Riario Sansoni si distesero, assumendo una piega ironica. “Già, anche io avrei preferito che mi fossi saltato addosso in altro modo” 
Quell’affermazione fece sorridere il suo amante. 
“In effetti è un po’ che non accade”, continuò. Il suo sguardo prese a vagare, fermandosi infine su di una teca di vetro contente una pagina scritta in una lingua sconosciuta; doveva essere molto vecchia a giudicare dalle condizioni in cui si trovava.    Fece qualche passo verso di essa. 
“Raffaele non...”, tentò di dire Aramis, inutilmente. La frase sarebbe terminata con un “non avvicinarti”. 
Le parole cambiarono nuovamente davanti agli occhi increduli del giovane.  
Il suo sguardo passò più volte dalla pagina al vescovo Becchi.  
“Ma come è possibile?”, chiese stupefatto. 
“Non sono certo di potertene parlare”, rispose l’altro. 
“Aramis”, lo supplicò, con tanto di occhioni dolci a cui era impossibile resistere.  
Per certi versi all’uomo ricordò la sua sorellina. Sospirò. “È una pagina del Libro delle Lamine. Mercuri mi ha ordinato di scoprire quale messaggio è celato al suo interno” 
“Quel Libro delle Lamine? Quello di cui parlava tua sorella?” 
Annuì. 
Raffaele fece qualche passo avanti, per poterla osservare meglio. “Ma...che lingua è?”, chiese alcuni secondi più tardi. 
“La lingua e i significati cambiano ogni volta”, rispose Aramis in tono avvilito. “Sfortunatamente non ne conosco la maggioranza...ci vorrebbe Elettra, lei ha una memoria incredibile” 
A sentire quel nome l’espressione di Raffaele si incupì per un istante. “A casa tutto bene?”, chiese cauto. 
Il suo interlocutore si fece per un attimo pensieroso. “Presumo di sì, ma non ho ancora ricevuto alcuna lettera”. Ci pensò ancora un po’. “Oggi è il Lunedì Santo?” 
“No, era una settimana fa” 
Aggrottò la fronte, prima di mettersi a cercare qualcosa tra le varie scartoffie presenti sul tavolo. “Non ho ancora ricevuto i loro auguri di una buona Pasqua”. Fece spallucce. “Elettra sarà stata ancora troppo offesa per averle dato buca e zio Gentile sarà stato troppo occupato con qualche questione di stato per ricordarsi di scrivermi” 
La sua espressione sembrava così tranquilla e il suo tono di voce così convincete che Raffaele si sentì in colpa a volergli per forza raccontare di ciò che era successo a Firenze la domenica di Pasqua; probabilmente lo avrebbe solo fatto preoccupare per nulla. 
“Sarà senz’altro così”, confermò a sua volta, piegando le labbra in un sorriso nervoso. Si guardò in giro a disagio. “Hai bisogno di fare un pasto decente. Vado a prenderti qualcosa da magiare”, disse, prima di uscire a grandi passi dallo studio. 

***      
 
Poco dopo... 

Raffaele percorse lentamente gli ultimi corridoi in superficie prima di immergersi nuovamente in quei bui e polverosi cunicoli che lo avrebbero riportato nel cuore degli Archivi Segreti.  
Si guardò in giro, cercando di fissare nella propria mente l’immagine della luce che oltrepassava le raffinate vetrate in vetro colorato delle finestre. La luce, passandogli attraverso, creava dei magnifici effetti che andavano poi a riflettersi sugli splendidi affreschi del soffitto e delle pareti.  
Sospirò e, sempre con il naso all’insù, svoltò per l’ennesimo corridoio. Non si accorse del servo che veniva dalla parte opposta e inevitabilmente i due uomini si scontrano. 
Le numerose lettere che quest’ultimo teneva tra le mani caddero a terra, spargendosi per il corridoio. 
“Io...sono mortificato”, balbettò Raffaele. Senza nemmeno pensarci un istante si inginocchiò, cominciando ad aiutare a raccogliere fogli di carta.  
“Non ce n’è affatto bisogno, Cardinale. La colpa è mia”, ribattè umilmente il domestico. “Dovreste alzarvi, è inappropriato mettersi allo stesso livello di un semplice servo” 
Sì, probabilmente per la maggior parte degli ecclesiastici e nobili che camminavano per quelle stanze era davvero così, pensò Raffaele. Ma lui non era come loro, era sempre stato insofferente alle regole e quel gesto era stato puramente d’istinto, eppure... se Sisto lo avesse visto, probabilmente lo avrebbe fatto frustare.  
Scosse la testa, sperando che lo schiocco prodotto da una frusta sulla pelle di suo cugino Girolamo si togliesse dalla sua mente.  
Nel tentativo, la sua attenzione si concentrò su una delle lettere ancora rimaste a terra: il sigillo di ceralacca era stato rotto, come tutte le lettere provenienti o dirette nei territori della Repubblica di Firenze, ma nell’angolo destro spiccava uno stemma, tre caproni neri su campo oro.  
Lo stemma della famiglia Becchi.  
Gli sovvenne alla mente una frase che Aramis ripeteva spesso quando si parlava di famiglia: se qualcuno usava quello stemma o erano questioni economiche o era accaduto qualcosa. Non avrebbe mai dimenticato quei caproni che lo osservavano impassibili poco prima di aprire la lettera che dava la notizia della scomparsa della piccola Lucrezia e di sua madre. 
Il servo lo seguì con lo sguardo e la sua espressione si fece cupa.  
“Una tragedia, una tragedia, Vostra Grazia”, mormorò mentre Raffaele la prendeva tra le mani.  
Questa volta era accaduto qualcosa.  
Prese un lungo respiro.  
“Perchè dite così?”, chiese. La mano gli tremava leggermente. 
“La sorella del Vescovo Becchi...non si parla di altro tra la servitù. Si diceva fosse una delle donne più belle di Firenze”. Il servo scosse la testa. “Che brutto modo di morire”, aggiunse.  
Una dolorosa fitta di dolore colpì Raffaele allo stomaco, costringendolo a chiudere gli occhi e prendere un altro lungo respiro.  
“Che cosa...che cosa le è accaduto?”, domandò con voce flebile.  
Il suo interlocutore si guardò in giro per assicurarsi che non ci fossero occhi o orecchie indiscrete, dopodichè fece un passo in direzione del Cardinale. “Voci di corridoio dicono che sia stata data in pasto all’esercito del Duca di Montefeltro. Non è rimasto nemmeno il corpo di lei”, disse a bassa voce, nascondendo la bocca dietro alla propria mano.  
Raffaele impallidì e barcollò leggermente: aveva detto ad Aramis che andava tutto bene a Firenze e lui... lui era molto legato ad Elettra, alla sua sorellina, come teneramente l’apostrofava. Il brillare dei suoi occhi ogni volta che la nominava, il sorriso che compariva sul suo volto quando leggeva una sua lettera... aveva già perso una sorella diversi anni prima e la ferita non si era ancora rimarginata e ora... 
“Quando gli consegnerete questa lettera?”, chiese di getto.  
“Sto facendo il giro di consegne ora, Cardinale”. Il servo sospirò. “Compito ingrato quello di consegnare quella lettera”, aggiunse, con sincero rammarico. 
No, Raffaele non poteva permettere che fosse un estraneo a dare ad Aramis la notizia.  
“Posso consegnarla io al Vescovo Becchi”. Non sarebbe stato affatto semplice compiere quel gesto, ma sapeva che nessun altro sarebbe stato più adatto di lui per svolgere quel compito.  
Il domestico tentennò un istante, prima di annuire. “Ve ne sono infinitamente grato, Vostra Grazia” 

*** 

L’angoscia attanagliava lo stomaco di Raffaele, rendendogli ogni passo per quel corridoio più difficoltoso del precedente. Ogni metro percorso lo avvicinava sempre di più a quella porta di ebano dall’aria austera e severa.  
Lo avvicinava al momento in cui avrebbe dato la notizia ad Aramis. 
Una fitta più acuta alla bocca dello stomaco lo costrinse a fermarsi un istante a prendere alcuni lunghi respiri.  
Strinse la lettera con più decisione, facendo scricchiolare la carta sotto alle dita. 
Doveva essere forte, doveva farlo per lui.  
Era l’unica persona in tutta Roma in quel momento in grado di confortarlo, di dargli una spalla su cui versare tutte le proprie lacrime di dolore. Non poteva permettersi di dimostrarsi debole, specialmente in sua presenza. 
Alzò lo sguardo, incontrando quel portone dall’aria tetra. 
Cercò di darsi un certo contegno e fece gli ultimi passi che lo dividevano da essa. 
Bussò. 
Si sarebbe aspettato un semplice “Avanti”, invece fu Aramis stesso ad aprigli la porta.  
“Ce ne hai messo di tempo”, disse con ironia, piegando le labbra in un sorriso. Appariva così diverso rispetto a poco prima. Forse il vedere finalmente una persona fidata dopo quel lungo isolamento aveva nettamente migliorato il suo umore. “In cucina si erano forse rifiutati di cucinare fuori orario?”, aggiunse. 
Raffaele abbozzò un sorriso forzato. “Invero sono stati tutti molto felici di sapere che il tuo appetito è tornato. La cuoca si è messa ai fornelli come se stesse cucinando per un esercito”, ribattè, cercando di mantenere una sfumatura di sarcasmo non dissimile da quella del Vescovo. “Quella donna ti adora” 
“Come tutta la servitù, in fondo”, ironizzò nuovamente il suo interlocutore. 
“Già”, mormorò appena il Cardinale. Per quanto si stesse sforzando di dissimulare tutto il proprio dolore, la sua voce apparve affranta. Non aveva mai ancora alzato gli occhi su di lui. Non ne era capace. 
Aramis lo osservò con attenzione, aggrottando la fronte, perplesso.  
“Tutto bene?”, chiese, seppur già certo della risposta. 
Raffaele sospirò. “Aramis, siediti, per favore” 
Il Vescovo si fece ancora più confuso, ma non esitò a fare ciò che gli era stato consigliato. Si sedette sulla poltrona solitamente occupata dal Curatore degli Archivi Segreti. 
Il suo amante si sedette dalla parte opposta, in una delle sedute adibite agli ospiti. 
Prese l’ennesimo lungo respiro.  
“Quando... quando ti ho chiesto se a Firenze stessero tutti bene... in realtà c’era un buon motivo per cui l’ho domandato” 
Attese alcuni secondi, aspettando che Aramis domandasse qualcosa, ma il suo interlocutore rimase in silenzio. L’espressione invariata.  
“È... è successa una cosa a Firenze, il giorno di Pasqua...” 
“Che cosa mai potrebbe essere successo a Firenze? La colombina ha forse fatto cilecca questa volta?”, lo interruppe il Vescovo, utilizzando nuovamente l’ironia per cercare di alleggerire un po’ l’atmosfera.  
“In effetti credo che la colombina non sia stata fatta volare...” 
“Oh...”, gli scappò. La sua espressione tornò ad essere perplessa.  
Raffaele chiuse gli occhi un istante: o quel momento o mai più. “C’è stato un tentativo di rovesciare i Medici durante la messa in Duomo. Giuliano de Medici è morto, Lorenzo è vivo per miracolo”, disse di getto, ben consapevole che quello era non era il modo più adatto di dare la notizia, ma anche certo che altrimenti non ci sarebbe mai riuscito.  
Vide Aramis impallidire velocemente mentre cercava di assimilare quelle informazioni. “Elettra e mio zio... loro dovevano trovarsi lì”, mormorò con un filo di voce. 
Il suo sguardo cadde sulla lettera che Raffaele teneva stretta nella mano, poggiata sulla grande scrivania: lo stemma con i tre caproni su campo oro era impossibile da non notare. 
Sapeva fin troppo bene quale era il suo significato.  
“Chi?”, chiese in modo flebile.  
Raffaele distolse lo sguardo, incapace di reggere il dolore che aveva scorto nelle iridi azzurre dell’amato. “La lettera è di Gentile Becchi” 
“Lei no, per favore”, supplicò Aramis, con voce tremante.  
Appena un istante, e le braccia del Cardinale si strinsero attorno al suo corpo, interamente scosso da fremiti nel tentativo di trattenere i singhiozzi che premevano di uscire insieme alle lacrime che già bagnavano la veste color carminio.  
“Mi dispiace tanto, Aramis”, sussurrò ad un orecchio Raffaele. Le sue mani percorsero la schiena dell’uomo lasciando lunghe carezze,  nel tentativo di dargli un minimo di conforto o anche solo di far cessare quei brividi.  
“Passami quella lettera, per favore”, disse il Vescovo.  
Non era lontana, si trovava solo adagiata dalla parte opposta della scrivania, sarebbe bastato semplicemente alzarsi, se solo le gambe in quel momento lo avessero retto.  
“Aramis, forse non...” 
“Passami quella lettera”, lo interruppe. Seppur carico di sofferenza, il suo tono di voce non ammetteva repliche. 
Raffaele sospirò e gliela passò.  
Le sue mani tremavano troppo per poter sorreggere quel foglio di carta, che ricadde nuovamente sulla liscia superficie di legno.  
“Non c’è bisogno di leggerla subito, poi farlo anche più tardi”, tentò di convincerlo il Cardinale, con dolcezza.  
“No, devo farlo immediatamente”. Aramis alzò lo sguardo su di lui, implorandolo con quei due grandi occhi azzurri umidi di lacrime. “Potresti leggerla ad alta voce?” 
Il suo interlocutore tentennò per alcuni secondi sulla risposta, poi annuì con il capo.  
Prese la lettera tra le mani, andandosi a sedere dalla parte opposta.  
Si schiarì la voce, prima di incominciare a fare ciò che gli era stato chiesto.  

“Lunedì 27 aprile 1478 
Mio adorato nipote, 
È con la mor...” 


Raffaele si interruppe un istante, faticando a capire ciò che Gentile Becchi aveva scritto. Aveva visto decine di lettere, ufficiali o dirette ad Aramis, scritte di proprio pugno dal fidato consigliere della Repubblica: la sua calligrafia era sempre stata raffinata e ben chiara, ma in quel momento faticava persino a riconoscerla come appartenente a lui. Doveva essere sconvolto quando aveva scritto quelle righe; l’inchiostro sbavato in alcuni punti e la carta leggermente ondulata, erano il segno di alcune lacrime lasciate cadere sul foglio.  
Prese un lungo respiro, prima di proseguire. 

“È con la morte nel cuore che ti dò l’annuncio che in data domenica 26 aprile 1478, giorno della Santa Pasqua, è venuta a mancare la nostra amatissima Elettra. 
Possa Dio riconoscere quale grande donna Firenze abbia perso, permettendo così alla sua anima la pace eterna. 
Elettra è caduta per mano di Francesco Pazzi, in un tentativo di suddetta famiglia di rovesciare l’ordine costituito, credendo fino all’ultimo nei propri ideali, proteggendo la Repubblica per quale aveva giurato fedeltà; Leonardo Da Vinci, anche lui sul posto in quei tragici momenti, ha affermato che senza il suo volontario sacrificio, Lorenzo de Medici sarebbe senz’altro perito. E con lui Firenze stessa sarebbe morta. 
La repubblica e la famiglia de Medici hanno dichiarato che Elettra sarà seppellita con tutti gli onori che si compiacciono agli eroi fiorentini, con anche una dedica che verrà affissa in modo permanete in uno dei luoghi simbolo della città, ancora da stabilire. 
Per quanto riguarda il suo assassino, posso darti rassicurazioni sul fatto che all’alba il suo corpo senza vita penzolerà inerte sulla pubblica piazza. Un mero conforto per tutti noi, tuttavia. 
Non sono certo che questa lettera possa giungere a destinazione in tempi brevi, ma in ogni caso desidererei la tua immediata presenza a Firenze, non appena prenderai atto di essa, in modo da poter discutere con te tutti i dettagli del caso.  
Cordiali saluti, tuo zio Gentile Becchi, fidato consigliere della Repubblica di Firenze.” 

 Raffaele si asciugò in fretta alcune lacrime che, contro la sua volontà, erano ricadute su di una guancia. Fu un gesto veloce, che, come da intenti, Aramis nemmeno notò. 
Quest’ultimo teneva lo guardo basso, fisso su di un punto indefinito della scrivania. Gli unici segni di vita erano l’abbassarsi e alzarsi regolare delle sue spalle per via della respirazione e lo sbattere delle palpebre. 
Raffaele lasciò cadere la lettera sulla liscia superficie di legno e quel gesto parve in parte riscuotere il Vescovo. “Devo partire per Firenze al più presto”, mormorò con voce flebile. 
“Lo immaginavo”, disse il suo amante. Poggiò una mano sulla sua, non potendo fare a meno di notarne il tremolio. “E io verrò con te” 
Aramis annuì. “Grazie”. Alzò finalmente lo sguardo che, seppur offuscato dalle lacrime e dal dolore, era colmo di riconoscenza. “Devo comunicare le mie intenzioni al Cardinale Mercuri”. Fece per alzarsi, ma dovette immediatamente risedersi dal momento che le sue gambe non riuscivano a reggerlo.  
“Possiamo aspettare ancora un istante”, provò a suggerirgli Raffaele, cautamente. 
“No. Ora”, fu la pronta risposta dell’altro.  
 
*** 

 Il Curatore degli Archivi Segreti Vaticani si trovava nella biblioteca principale del complesso sotterraneo, intento a consultare alcuni antichi documenti. Alzò appena un istante lo sguardo da quelle carte quando avvertì dei passi farsi sempre più vicini.  
Il Vescovo Becchi percorse lentamente quella distanza, con fare incerto, stretto al braccio del Cardinale Riario Sansoni. Probabilmente, se lo avesse lasciato, le gambe non lo avrebbero retto e sarebbe crollato a terra.  
Gli occhi, azzurri, erano arrossati dal pianto e nella mano libera teneva la lettera di Gentile Becchi. 
Tutti indizi, questi, che Lupo Mercuri nemmeno notò. “Avete scoperto qualcosa di nuovo?”, chiese, con ancora il naso tra quei documenti. 
“Invero, Cardinale...”. La voce di Aramis, per quanto cercasse di apparire ferma e decisa, tremava vistosamente. “... io vi chiedo il permesso di partire oggi stesso” 
“Per Firenze?”, domandò con fare annoiato il Curatore degli Archivi Segreti, alzando finalmente lo sguardo per dare un’occhiata più attenta al proprio segretario. 
Quest’ultimo si limitò ad annuire. 
“Avete portato a termine il compito che vi avevo assegnato?” 
Aramis abbassò il capo, osservando un punto indistinto della ricca pavimentazione. “No”, mormorò. 
“Allora non vedo come sia possibile che vi dia il permesso di partire”, tagliò corto Mercuri. Tornò a studiare quelle carte. 
“Cardinale, sua sorella è morta, lasciate che pianga sulla sua tomba”, si intromise Raffaele, parlando con voce leggermente più alta del normale. 
“I morti non scappano, Cardinale Riario Sansoni. La tomba sarà ancora lì quando il Vescovo avrà portato a termine il suo compito”. Mercuri prese dalla pila di documenti una lettera recante il sigillo papale. “E poi Firenze è stata scomunicata, non potete comunque partire” 
“Era mia sorella...”, mormorò di nuovo Aramis. Il suo sguardo, sconvolto, non aveva mai lasciato i marmi policromi della pavimentazione. 
“Solo una ragazzina petulante che non sapeva stare al proprio posto”, ribattè irritato il Curatore degli Archivi Segreti. “E ora tornate al vostro lavoro, Vescovo Becchi, prima che faccia chiamare le guardie” 
“Cardinale, come pensate che possa tornare al lavoro dopo una notizia del genere?”, si intromise di nuovo Raffaele. “Mio zio sarà informato di questo” 
“Intendete informare lo stesso Sisto che ha dato ordine di tenere il vostro compagno di giochi in isolamento fino a quando non avrà portato a termine il proprio compito?”, domandò con tono di sfida Mercuri.  
Sorrise soddisfatto a vedere della confusione sul volto del proprio interlocutore. Mise da parte le carte che stava osservando. 
“Guardie”, chiamò. 
All’istante da una delle entrate arrivarono quattro guardie svizzere armate di tutto punto. 
“Riportate il Vescovo Becchi nel mio studio”, diede ordine. “E che non veda nessuno, sopratutto il Cardinale Riario Sansoni” 


Nda
Eccomi nuovamente qui, questa volta più puntuale del mese precedente. 
Continua la carrellata di impressioni post congiura dei Pazzi.
L'estate si avvicina sempre di più (tranne per noi poveri studenti universitari, la nostra è ancora lontana anni luce), ma io continuerò (quasi) imperterrita anche per i prossimi mesi. Ho deciso che appena terminata la sessione estiva d'esami mi metterò a scrivere il mio primo romanzo, quindi potrebbero esserci dei rallentamenti (anche se mi impegnerò perchè ciò non accada).
Ci si risente ai primi di luglio!
Ps. Fatemi sapere cosa ne pensate ;)
 
   
 
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