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Autore: ___Page    02/06/2017    7 recensioni
«Iva tu… non l’hai già acquistata vero?» chiedo in un soffio e un angolo della sua bocca si contrae in un tic.
«A chili» conferma.
«Se non dovessimo trovare un’utilità per questo prodotto, il danno ammonterebbe a una cifra considerevole.»
«Ci serve più tempo!»
«Non lo abbiamo. Ci serve che la questione si riveli un affare entro Settembre o qualcuno del consiglio potrebbe… contrariarsi, diciamo. E la presentazione è programmata per Luglio. E deve essere l’affare dell’anno.»
***
Grazie alla geniale trovata di Iva ora mi ritrovo con il mio migliore amico che si sposa tra sei settimane, Sabo da gestire, un matrimonio da aiutare a organizzare e un progetto assurdo, impossibile, irrealizzabile dal cui successo dipende il futuro lavorativo mio, dei miei due collaboratori/amici, di un’altra buona fetta di colleghi e del mio capo.
Fantastico! Sono al settimo cielo!
***
«Ehi non mi piace che si usi quel termine per me!» protesta.
«Cosa?! Mestruato?!» domando con sfida, ma lui scuote la testa «Irritante?» riprovo, sollevando le sopracciglia, ma lui nega di nuovo «Gay?!» chiedo ancora. Incredula, lo guardo annuire solenne.
«Precisamente.»
No, io non ce la posso fare.
«Izo tu sei gay!!!»
Genere: Comico, Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Koala, Nami, Nefertari Bibi, Trafalgar Law, Usop | Coppie: Nami/Zoro
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
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Mi addosso con la schiena al pannello di vetro zigrinato che isola il nostro open space mentre emetto un sospiro che non so nemmeno io se sia stanchezza o sollievo.
Sono innegabilmente esausta, sì.
Ma sono anche immensamente grata a qualsiasi forza superiore sia in ascolto lassù per essere di nuovo al sicuro tra i quattro pannelli del nostro ufficio.
Sapevo, sapevo che il training autogeno di ieri pomeriggio non sarebbe mai bastato per prepararmi psicologicamente a questo incontro.
Yoga. Devo assolutamente provare con lo yoga.
E forse avrei dovuto concedermi una dose più massiccia di nutella a colazione ma in realtà dubito che un picco glicemico avrebbe reso il mio incontro faccia a faccia con Iva meno stressante.
Eppure di solito le riunioni mensili dell’azienda offrono sempre un lauto banchetto di muffin e torte varie e quindi forse, dopotutto, la mia ipotesi che i dolci siano la distrazione perfetta per rendere tutto più tollerabile non è così sbagliata.
Devo provarci la prossima volta.
Anche se spero che non ci sia mai più una prossima volta.
«È stato così terribile?»
Riapro gli occhi e la guardo sconsolata, il cucchiaino colmo di yogurt al mandarino a metà strada tra il vasetto e la sua bocca e l’espressione corrucciata.
«Non c’era neppure Inazuma che la tenesse un po’ a freno.» racconto con un sospiro, staccandomi finalmente dalla superficie alle mie spalle e passandomi una mano sul volto mentre mi dirigo verso la mia scrivania. Scambia un’occhiata con Usopp che ha sollevato il capo dal suo pc e mi osserva con compassione. «Sinceramente non mi è ancora chiaro se la riunione era sul progetto che vuole affidarci o su quanto le calze a rete non passino mai di moda. Non so bene dire di quale dei due argomenti abbiamo parlato di più.» ammetto, sedendomi e afferrando una bottiglietta di succo al mirtillo dal cassetto della mia postazione. «Per non parlare poi della festa da infarto che il KamaBakka ha organizzato per l’Oro Jackson Day!» aggiungo, fingendo sincero entusiasmo per la dettagliata descrizione che Iva mi ha dato del party in questione. Non ci sarebbe niente di male se solo il KamaBakka non fosse il locale più gay di tutta Raftel.
Chiariamo subito, nessuno qui è omofobo, tutt’altro. Anzi, il KamaBakka lo frequentiamo anche ma non in determinate occasioni e l’Oro Jackson Day è una di queste determinate occasioni. Lo sappiamo fin troppo bene quanto sia sottile la linea tra sano divertimento e perversione e vi assicuro che non è affatto piacevole assistere a questo passaggio, come abbiamo imparato un paio di anni fa a spese nostre ma, soprattutto, a spese di Sanji.
«Oh Koala!» mormora Nami, dispiaciuta, prima di scambiare un’occhiata con Usopp.
«Cioè io me ne stavo lì a sorriderle e annuire e cercare di riportarla sull’argomento originario e mi dovevo continuare a ripetere di non immaginare quello che mi stava descrivendo se ci tenevo alla mia sanità mentale ma poi mi sono accorta che aveva una bustina quadrata nei capelli che sembrava l’incarto di una salviettina profumata, avete presente?!, ma poi ho realizzato che era molto improbabile che fosse una salviettina profumata e, santo cielo no!, non volevo neppure ipotizzare come ci fosse finito lì e così mi sono concentrata sulle sue gambe e ho pensato “Oh ma guarda! Finalmente si è convertita alle calze nere tinta unita!” finché non ho realizzato che invece aveva le solite calze a rete! Santo Roger ma cosa ci vuole a farsi una ceretta?!» sbotto, sulla buona strada per un attacco isterico.
Io non sono così. Normalmente io sono una persona positiva, ottimista, mentalmente aperta ed empatica. Ma per farvi capire com’è Iva, pensate a tutto quello che è “normale”. Ora pensate a tutto l’opposto di quello che definireste “normale”. Quella è Iva.  
Nami e Usopp non sanno neanche cosa dire.
Sanno come mi sento e che incubo è stata l’ultima ora e mezza per me. So che lo sanno perché, come dicevo prima, c’eravamo tutti all’Oro Jackson Day del 2015. Nessuno dei tre è rimasto fuori dal locale quando c’è stato da andare a recuperare Sanji, per liberarlo dal gruppo di okama lo aveva sequestrato e trascinato a forza dentro il KamaBakka, cercando di vestirlo da danzatrice del ventre contro la sua volontà. Sinceramente, quella sera ho pensato che lo avessimo perso. Il trauma è stato tale che non si può più nemmeno nominare la danza del ventre in sua presenza a meno di non volerlo attaccare psicologicamente e solo Usopp conosce tutti i dettagli dell’accaduto. Non che io li voglia sapere.  
«Comunque…» cerco di riprendere il controllo aiutata da una generosa sorsata di succo. «…quello che sono riuscita a capire è che ha deciso di acquistare una massiccia quantità di questa nuova stoffa perfetta per rattoppare i vestiti e vuole affidare a noi il lancio. Pubblicità, piano marketing e le solite cose. Ha detto che quando arrivano i campioni di stoffa ci chiamerà per una dimostrazione.» concludo.
Usopp sorride nervoso, gli occhi improvvisamene colmi di panico. «I-intendi tutti e… tre?!» domanda con voce sempre più sottile.
Non rispondo, mi limito a comunicargli con lo sguardo che mi dispiace. Ha una sacra paura di Iva e non posso certo dargli torto.
«Andiamo Usopp, non fare il codardo.» lo prende in giro Nami, inclinandosi all’indietro con la schiena sulla sedia flessibile.
«Ehi!» protesta piccato lui. «Non chiamarmi codardo! Il grande Usopp non ha paura di niente! E poi potrei sempre avere un attacco di dissenteria quel giorno.»  
Nami ridacchia e scuote la testa mentre manda giù un altro po’ di yogurt ma, a differenza del solito, non mi unisco a lei con qualche arguto commento. Non ne ho le forze. Allungo le braccia sulla mia scrivania e poso la fronte sul legno liscio e fresco.
Mi ha distrutta. Prosciugata. E ora, in teoria, dovrei anche mettermi a pianificare il lavoro anche se le informazioni che abbiamo sono veramente poche.
Non mi sto lamentando del mio lavoro, davvero. Non  è esattamente il lavoro della mia vita, avevo altri progetti più nobili ma è un lavoro che mi piace. In fondo non ho ancora nemmeno trent’anni, la Ivankov&Co è un posto sicuro e ho l’enorme fortuna di poter lavorare con due amici di vecchia data. Senza contare che io, Usopp e Nami siamo considerati uno dei migliori team dell’azienda.
No, non mi lamento del mio lavoro. Mi lamento del nostro capo, il nostro appariscente, teatrale, chiassoso capo dalla dubbia sessualità e dall’ancor più dubbio gusto nel vestire e nell’abbinare i colori, che vive per la maggior parte del tempo come se il mondo fosse una zuccherosa nuvola rosa attraversata da un arcobaleno a forma di cuore, combinando casini che poi noi tre spesso dobbiamo risolvere. Manco fossimo la Fata Turchina, Mago Merlino e il Genio della Lampada anziché una direttrice artistica, una pubblicitaria e un graphic designer.
Ma come fa Inazuma?! Come fa a non essersi ancora fatto ricoverare?! Come fa a non avere ancora tentato di ucciderla?!
Guardate cosa fa a me!
«Ah Koala!». Miserabile, sollevo la testa per guardare Nami. «Prima che mi dimentichi, Sabo ha chiamato per dire che non riesce ad andare all’aeroporto.»
Per un attimo l’informazione non innesca nessuna reazione nella mia testa. Tutto quello a cui penso per cinque lunghi secondi è “E allora?”. Finché al secondo numero sei non partono i campanelli di allarme.
Aspetta! Come sarebbe che non riesce ad andare all’aeroporto?
«Che?!»
«Il fatto è che Robin è stata chiamata a Baltigo per un consulto dell’ultimo minuto stamattina ed è andata in treno e arriva a Raftel per le sei ma non vogliono che prenda il taxi per via del bambino. Così Sabo va a prenderla ma chiaramente non può essere alle cinque e mezza in aeroporto e alle sei in stazione quindi non riesce ad andare all’aeroporto.»
«E Franky scusa?!»
«Ha finito la cola.» si stringe nelle spalle Nami.
Sbatto le palpebre interdetta. «La cola… No, non lo voglio sapere. Quello che voglio sapere è perché Sabo ha voluto avvisare me!»
Come se non avessi già abbastanza casini.
«Ha detto, cito testualmente “Dillo a Koala, lei sa sempre cosa fare.”.» spiega Nami, ripulendo per bene il vasetto di yogurt.
È ufficiale. Un giorno o l’altro lo ucciderò. Ma non oggi, oggi sono troppo impegnata a trovare una soluzione a troppe cose.  
Io so sempre cosa fare eh?
Sì è vero e so esattamente cosa fare anche in questo caso.
«Okay, ci vado io. Tanto ho perso il conto di quante ore di straordinario ho da recuperare.» decido, ficcando con malgrazia nel mio zainetto i miei effetti personali essenziali. «Usopp le chiavi della macchina.» chiedo e allungo la mano per ricevere ciò che ho chiesto ma non vengo accontentata. Usopp mi sta fissando sconcertato. «Beh?!» lo incito.  
«Quale macchina?»
«La tua macchina! Sai la Kabuto verde acido con il cofano bianco? Quella macchina!»
«Perché vuoi proprio la mia?! Non puoi andare con quella di Nami?!»
«E poi come ci venite alla cena?» gli faccio notare, ragionevole.
«Con la mia!»
«Ma nemmeno per idea!» protesta immediatamente Nami.
«Lo sai che Nami odia essere un passeggero.» aggiungo io, chiudendo e aprendo velocemente le dita. «Dai! Su! Ti prometto che ne avrò cura!». Ma niente non si muove. Lui non si muove e io non ho più forze nemmeno per discutere. «Usopp, per favore.» gemo quasi.
Finalmente si riscuote e, anche se con una certa riluttanza e un sospiro sofferente, mi passa le chiavi.  
«Grazie!» esclamo con un filo di voce, lanciandomi fuori dall’open space e, spero, verso l’inizio della fine di questa infinita giornata. Ma sulla porta dell’ufficio Usopp mi richiama e io sono già pronta a rassicurarlo di nuovo che il suo amato macinino non subirà danni per mano mia ma quello che dice è meglio di un balsamo curativo.
«Stasera Sanji fa la crema al limone.» sussurra con aria cospiratrice.
Sgrano gli occhi, incredula e speranzosa. «Vuoi dire… la sua crema al limone?!» domando trattenendo il fiato. Stiamo parlando proprio di quella precisa crema al limone?! Quella crema al limone così leggera che è come mangiare una nuvola, dolce e lievemente aspra, guarnita con i lamponi?! La crema al limone per la quale potrei uccidere?! 
Usopp annuisce solenne, inarca le sopracciglia e incrocia le braccia al petto. «Mi ricordavo che avresti avuto l’incontro e così quando mi ha chiesto consiglio sul dessert gli ho dato una leggera spinta nella giusta direzione.» mormora, trionfante e orgoglioso di se stesso.
Corro trafelata fino alla sua postazione e in uno slancio di affetto gli poso un bacio sulla punta del naso che diventa rosso quando mormoro: «Sei da sposare.» prima di tornare subito sui miei passi. Inforco gli occhiali da sole, prendo un profondo respiro e mi giro a salutarli anche se li rivedrò tra tre ore al massimo.
«Ci vediamo dopo!»
«Guida piano eh!» esclama Usopp con voce un po’ morente.
«Ehi Koala!» è il turno di Nami di richiamarmi. Mi giro a guardare che vuole e noto una lieve bastardaggine nel suo sorriso. «Attenta ai gemelli.» mormora.
Sobbalzo e sgrano gli occhi indignata. Non posso credere che ancora insistano con questa storia!
«E fatela finita!» protesto, voltandogli le spalle e ignorando le loro risate.
 

 
§

 
Allungo il collo e mi alzo sulle punte ferma nella zona arrivi del Tontatta Airport. Sono arrivata pochi minuti dopo il suo aereo ma dovrei avere avuto un po’ di margine mentre sbarcavano. Quindi, fedele al mio immancabile ottimismo ora sto aspettando di vederlo uscire dalla zona del recupero bagagli.
Essere alti solo un metro e sessanta può essere una bella rogna in certe situazioni. Come per esempio in un aeroporto superaffollato in un orario dove sembra che tutti i voli diretti a Raftel stiano atterrando all’unisono. Il fatto è che non si aspettava me come autista, non sono riuscita a contattarlo al cellulare e quindi c’è il rischio che io passi inosservata dall’alto del suo metro e novantacinque.
Una nuova ondata di viaggiatori si riversa fuori dalla porta automatica ma niente, non lo vedo. Il dubbio di averlo perso e che ora si stia aggirando per l’aeroporto alla ricerca di Sabo o che sia già andato a prendere un taxi mi coglie. Però è impossibile che siano sbarcati così in fretta. Forse è uscito con il gruppo di passeggeri di un paio di minuti fa ma come ho fatto a non vederlo? Sfiora i due metri e io cieca non sono!
«In quanto tuo migliore amico, potrei ritenermi molto offeso per il fatto che tu non mi abbia avvisato che avevi intenzione di cambiare sesso, Sabo.»
Voce calma e profonda, lievemente strascicata. Posso rilevare il ghigno storto nel suo tono. Mi giro sghignazzando e lo osservo giusto un attimo. Pizzetto curato, capelli spettinate a regola d‘arte, solite occhiaie. Tutto sommato è in splendida forma.
«Ho pensato di farti una sorpresa.» rispondo con un sorrisone prima di passarmi una mano tra i capelli come fa sempre Sabo. «Ora finalmente possiamo coronare il nostro sogno d’amore. Non sei felice?»
«Estasiato.» risponde squadrandomi da capo a piedi e ghignando ancora di più. So che ha trattenuto una risata e ne vado fiera. Far ridere Trafalagar Law non è impresa facile.
Rompo ogni indugio e mi avvicino per un abbraccio. Non è un tipo espansivo lui, mai stato. Ma un abbraccio non può negarmelo, non dopo tutto questo tempo.
Mi stringe appena e io immergo il viso nella sua camicia bianca. È una bella sensazione. Mi è mancato. Mi è mancato perché da quando si è trasferito per specializzarsi in chirurgia pediatrica e io ho iniziato a lavorare – e tutti abbiamo iniziato a lavorare – il tempo per sentirci è stato sempre meno, il suo tempo per tornare a casa è stato sempre meno e ormai sono due anni che non lo avevamo qui. E la cosa fantastica è che si è accordato con un suo collega che si sta specializzando qui a Raftel ma che voleva provare anche altri ospedali in altre città per fare una specie di scambio lavorativo, così da riuscire a passare l’estate qui con noi.   
Mi stacco da lui e gli sorrido di nuovo prima di allungare una mano. «Dammi la tracolla, sei già abbastanza carico.» mi offro, indicando con un cenno del capo il trolley e il borsone che, già lo so, contiene sicuramente un sacco di libri di medicina. Quello che si sarà prefissato di studiare quest’estate mentre è qui, sicuramente.
Mi carico su una spalla la borsa di pelle marrone, quella che gli abbiamo regalato per la sua laurea insieme a un sacco di altre cose idiote, e ci avviamo verso il parcheggio esterno, uno accanto all’altro.
«Come mai il cambio di programma?» chiede, accostandosi a me per evitare di perdermi tra la folla che si accalca vicino all’uscita.
«Robin ha avuto un consulto dell’ultimo minuto, Sabo va a prenderla in stazione.» spiego con una scrollata di spalle. «Tranquillo, arrivano in tempo per la cena. Ma dimmi, com’è andato il volo?»
«Come al solito.» risponde laconico e poi mi lancia un’occhiata di striscio. «Tu come stai?»
La domanda “Tu come stai?” mi ha sempre affascinato moltissimo. Quando qualcuno me la pone mi chiedo sempre se quel qualcuno sta soltanto sopperendo a un cliché sociale sulla base del quale si viene etichettati come educati o maleducati o se ha davvero interesse a sapere come sto. Si suppone che le risposte siano “Bene”, “Male” e, più raramente, “Così così”, laddove le ultime due opzioni danno spesso il via a un mezzo interrogatorio orientato a sviscerare quale che sia il problema che ti opprime. Ma rispondere “Bene” non è mai completamente vero.
Se ora io dovessi rispondere la verità dovrei dire a Law che ho un leggero mal di testa, sono vicina al ciclo e mi è appena sorto l’atroce dubbio di aver parcheggiato la Kabuto in zona di rimozione forzata. Ma, in compenso, sono felice che l’estate sia arrivata, non vedo l’ora di mangiare la crema al limone e stando ai miei esami annuali di settimana scorsa il mio cuore continuerà a non fare scherzi fintanto che io continuo a prendere la mia medicina al mattino.
E anche se so che Law me lo ha chiesto per sapere davvero come sto, gli voglio troppo bene e lo vedo troppo stanco per bombardarlo di tutte queste non necessarie informazioni – tranne forse quella degli esami, su cui tanto so già che indagherà di sua iniziativa più tardi –. E così opto per un classico “Bene” a dimostrazione del fatto che, anche quando si potrebbe non farlo, rispondere alla domanda “Tu come stai?” nella maggior parte dei casi ti porta ad omettere una parte di verità.
Affascinante.   
«Bene! Giornata intensa al lav…»
Un tonfo micidiale mi interrompe. Mi volto di scatto e la tracolla rotea libera nell’aria intorno a me, fino a fermarsi colpendo qualcosa alle mie spalle.
Non mi sono allarmata solo io ma tutti ci rilassiamo quando capiamo che si è trattato solo di uno scontro tra due carrelli colmi di bagagli, senza conseguenze gravi per nessuno, eccezion fatta per la quantità di valige sparpagliate ora a terra. Il mio sollievo svanisce quando un verso soffocato si leva dietro di me, raggelandomi.
«Mer…da…»
Mi volto di nuovo e mi odio e mi insulto mentalmente, perché anche se non vorrei ammetterlo, non mi stupisco così tanto di quello che vedo. Law piegato in avanti e con le mani a coppa davanti al cavallo e un’espressione sofferente. Ora so contro cosa si è schiantata la tracolla.
«Oddio, scusa!» esclamo, precipitandomi verso di lui.
Solleva il capo per guardarmi, omicida. «Cazzo, Koala.» ringhia a denti stretti.  
Non posso fare a meno di notare quanto sia azzeccata come imprecazione mentre porto le mani a posarsi sui fianchi.  «Ehi! Mica l’ho fatto apposta!»
«Sicura?» domanda, lanciandomi un altro sguardo assassino. «Perché comincia a sembrare una dedizione nel tentare di rendermi sterile, la tua.» prosegue con voce spezzata e tremante.  
«Oh dai! Come se capitasse spesso!» protesto e lui solleva un sopracciglio. E qui mi vedo costretta a smettere di ribattere perché, sì, è vero, capita spesso e, per una qualche strana ragione, solo con lui. Ma posso giurare, su quanto di più sacro, che l’ho fatto di proposito una volta soltanto e questo è testimoniato dallo speciale slogan coniato appositamente per me da Nami che recita: “Si gira di spalle e colpisce nelle palle.”
Voglio dire, è chiaro che se capita sempre quando sono di spalle non può essere intenzionale. È lineare logica.
Law espira dalla bocca e comincia a raddrizzarsi, segno che il dolore sta passando. «Meglio?» gli chiedo con un sorriso colpevole e lui annuisce.
«Devo ammettere che questo non mi mancava affatto.»
Sollevo un sopracciglio, saputa e lusingata. «Stai forse insinuando che tutto il resto invece ti è mancato?»
«Mai affermato niente del genere.» ribatte subito, asciutto, ma so che lo fa apposta, per vedere se riesce a farmi innervosire. Per un qualche motivo lui e Sabo mi trovano estremamente adorabile quando sono arrabbiata, cosa che mi fa arrabbiare ancora di più.
«Allora pazienterò fino a stasera, quando avrai bevuto abbastanza drink da ammettere che senza di me il sole non scalda, il cibo non ha sapore e tutto è grigio e spento.» dico con tono melodrammatico e i miei quasi successi nel farlo scoppiare a ridere salgono a due in meno di mezz’ora. «Dai andiamo o finisce che facciamo tardi.» lo incito.
«Okay, ma ora tu prendi il trolley e io la tracolla!»







Angolo di Page: 
Buonsalve gente! Ebbene sì, ho cominciato una nuova long e sono parecchio agitata perchè questa storia ha avuto una genesi... complicata. 
Ma tutto ciò che voglio fare ora è solo ringraziare tutte quelle persone che mi hanno spronata (e ancora mi spronano) a scriverla, a provarci, a non mollare. Che mi sopportano e consigliano ogni santo giorno. Che si sorbiscono le mie teghe. 
Grazie ragazze, davvero di cuore. Senza di voi non sarei qui ora. 
Un bacione. 
Page. 
  
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