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Autore: Happy_Pumpkin    03/06/2017    1 recensioni
E' l'ultimo anno delle superiori. Akashi sa che presto lui e gli altri ragazzi della Generazione dei Miracoli dovranno scegliere l'università e, forse, contemplare la possibilità di ritrovarsi di nuovo assieme. Quindi perché non cominciare a fortificare i legami giocando online? E infine... il mare, assieme. Prima degli esami, prima di decidere delle loro rispettive vite.
[AoKuro; shonen-ai fluff e nostalgico]
Genere: Fluff, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Daiki Aomine, Satsuki Momoi, Seijuro Akashi, Tetsuya Kuroko, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Penso che saremo ottimi druidi, Aomine-kun.



Qualche mese prima


Akashi era seduto al tavolo con davanti otto cartelline distinte, ordinatamente affiancate l’una all’altra, un bicchiere d’acqua poco distante dalle sue mani intrecciate e lo sguardo attento con cui osservava Kagami, intento a cucinare qualcosa in vista dell’invasione prossima dei futuri ospiti in casa sua.
L’Imperatore si era preso una settimana di tempo per elaborare in ogni minimo dettaglio il suo piano, anche se era da diversi mesi che ci pensava. Pensava al fatto che ormai sin dal primo anno del liceo lui e i suoi vecchi compagni delle medie, la famosa Generazione dei Miracoli, si erano in qualche modo ritrovati: non solo sul campo, da avversari, ma in seguito anche come amici. Avevano festeggiato i rispettivi compleanni, le festività, ogni tanto uscivano o si facevano una partita assieme, in base a cosa dettava l’ispirazione del momento.
Poi con l’ultimo anno aveva cominciato a farsi più pressante la questione dell’università: tutti quanti erano giocatori conosciuti, quindi facilmente sarebbero stati cercati da università con club all’altezza delle loro aspettative, ma spesso la sola abilità di gioco non era sufficiente. Una media accettabile agli esami d’ammissione era comunque la prassi, se non altro per università prestigiose e quindi con attrezzature sportive adeguate.
Ogni tanto Akashi si soffermava a domandarsi come sarebbe stato avere nuovamente la Generazione dei Miracoli riunita sotto lo stesso vessillo e, allo stesso tempo, quanti altri membri delle loro rispettive squadre del liceo li avrebbero seguiti. Forse per allora sarebbero stati tutti sufficientemente maturi da accettare i rispettivi tratti di forza e non farne un terreno d’attrito. Magari, a quel punto, avrebbero intrapreso le nazionali e poi ancora le olimpiadi... sorrise, stupendosi di quanto la sua mente sapesse guardare avanti.
Ma erano ancora al liceo e, sebbene all’ultimo anno, potevano cambiare tante cose. Occorreva seminare il terreno, poi col tempo si sarebbero visti i frutti: a prescindere dall’università, tutti quanti potevano imparare a rapportarsi meglio tra di loro, in fin dei conti.
Con ancora il grembiule addosso e un mestolo in mano, Kagami puntò una mano sul fianco, mettendosi lo strofinaccio in spalla:
“Non so esattamente cosa tu stia architettando, né perché debba ritrovarmi una mandria di persone in casa ma... facciamo che mi fido e ti lascio fare – guardò l’orologio appeso alla parete – a breve dovrebb...”
In quel preciso istante suonò il campanello.
“Tutti conoscono il tuo appartamento, mi sembrava il luogo più comodo e tranquillo nel quale trovarci. Grazie per la fiducia.” Aggiunse Akashi con il suo fare tranquillo che, tendenzialmente, rendeva le persone disposte a seguirlo fino alla morte. Un potere da nulla, insomma.
Kagami si limitò ad annuire, un po’ stranito come sempre quando aveva a che fare con uno come Akashi, e andò ad aprire: davanti si trovò Aomine, con l’aria apparentemente seccata, poi intravide Momoi che entusiasta si strapazzava qualcosa.
“Aomine, come mai tutta questa puntualità?” scherzò, appoggiandosi allo stipite.
Aomine, con le mani nella tasca della felpa, scrollò le spalle poi diede un’occhiata dietro di sé:
“Satsuki è passata a prendermi dicendo che dovevamo sbrigarci. Poi abbiamo incrociato Tetsu.”
“Kuroko?” domandò Kagami, non realizzando che ci fosse anche lui.
Aomine si scostò, giusto per lasciare intravedere Kuroko stritolato dagli abbracci di Momoi. Il ragazzo sollevò una mano per salutare, con gli occhi azzurri che non battevano ciglio e il sorriso fantasma, esattamente come lui:
“Ciao, Kagami-kun.”
Quest’ultimo emanò un breve sospiro, poi si spostò:
“Entrate.”
Aomine non metteva piede nell’appartamento di Kagami da diverso tempo ma riuscì comunque a stupirsi di come una persona del genere sapesse essere così straordinariamente ordinata. Le prime volte aveva addirittura pensato che quel posto non fosse nemmeno suo.
Akashi si alzò in piedi e li salutò, mentre Momoi gli consegnò una cartellina nella quale aveva preso degli appunti, poi nel vedere la faccia perplessa di Aomine si limitò a dire:
“A breve ti sarà tutto più chiaro.”
Suonò la notifica di un messaggio sul cellulare e, siccome era stato creato appositamente un gruppo su Whatsapp per l’evento, tutti quanti sapevano che doveva trattarsi di uno di loro. Kuroko tirò fuori il cellulare e, senza dire una parola, fece play sul messaggio vocale che apparteneva a Kise:
“Kurokocchi! Aominecchi! Kagamicchi! – Kagami e Aomine si guardarono, spazientiti dall’evidente ed inutile lunghezza del messaggio – Murasakibacchi! Akamicchi! Midorimacchi! Momocchi! Mi hanno trattenuto allo shooting fotografico, sto arrivando!”
Prima che Akashi o Kuroko potessero digitare qualcosa, Aomine tolse di mano il cellulare a quest’ultimo e registrò un suo messaggio vocale:
“Qui c’è gente che ha da fare, arrangiati, noi cominciamo.”
T_T sei sempre così cattivo, Aominecchi.
L’emoticon di Kise fece sorridere Momoi. Aomine borbottò qualcosa, poi si sedette di peso sulla sedia, imitato dagli altri che si disposero nei posti liberi. Nel frattempo un altro degli invitati attesi suonò alla porta e Kuroko si offrì di andare ad aprire. Ancor prima di vedere chi fosse, Kagami sentì qualcuno con il fiatone che annaspava come se avesse corso una maratona di lunghezza epica.
Appoggiò  gli onigiri che aveva preparato prima e salutò i nuovi arrivati: Midorima, con in mano un salvadanaio a forma di porcellino, Murasakibara che fece penzolare tra le lunghe dita un sacchetto della spesa e…
“Takao?” domandò Kagami, avvicinandosi alla porta. Perfetto, qualcun altro che doveva aggiungersi alla già chilometrica lista degli invitati? No, perché più che una riunione sembrava una convention di spostati.
L’interpellato si mise una mano al petto, per cercare di regolarizzare la respirazione, pausa fatale che diede modo a Midorima di intervenire aggiustandosi gli occhiali:
“Se ne può anche andare, mi ha solo accompagnato fino a qui.”
Senza chiedere il permesso oltrepassò la soglia, stringendo tra le dita fasciate il porcellino.
Takao sbraitò: “Ehi, mica c’eri solo tu! Si è aggiunto pure questo… - guardò Murasakibara, in cerca di una parola adatta per definirlo – questo gigante! Già tu non è che sei proprio leggero.”
Midorima lo fulminò con lo sguardo ma Murasakibara appoggiò una mano sulla testa di Takao, che ammutolito lo lasciò fare: fu impressionante vedere che il ragazzo altissimo riusciva a coprire quasi del tutto l’ampiezza del cranio di Takao con il solo palmo.
“Ero stanco, fare tutto quel pezzo a piedi sarebbe stato difficile.”
Oltrepassò anche lui la soglia e appoggiò il sacchetto sul tavolo, dal quale caddero delle merendine talmente chimiche che probabilmente non avevano data di scadenza.
Akashi si alzò in piedi: “Può anche restare, non è una riunione segreta. Ma non è previsto comunque che Takao partecipi attivamente in seguito, per ciò che ho in mente potrebbe però supportare ugualmente Midorima.”
Quest’ultimo inarcò un sopracciglio ma si limitò a domandare: “Akashi?”
Il tiratore da tre punti si era sempre fidato dell’ex-compagno di squadra, a un livello tale che purtroppo anni fa non era stato in grado di fermare il deragliare della sua mente; certo, da allora era passato tanto tempo, ed effettivamente le cose erano molto cambiate. Akashi stesso, come tutti loro, era cambiato.
L’Imperatore si limitò ad accennare un sorriso per poi dire semplicemente:
“Sedetevi pure, Kagami ha preparato qualcosa da mangiare per tutti. Kise è un po’ in ritardo ma ci raggiungerà.”
“E dov’è Kuro-chin?” domandò Murasakibara, scrutando perplesso gli onigiri anche troppo salutari.
Kagami chiuse la porta e sussultò quando realizzò che c’era Kuroko dietro, il quale evidentemente si era spostato per far spazio agli ingombranti nuovi arrivi.
“Ciao!” li salutò semplicemente per poi sedersi accanto ad Aomine che scosse la testa, domandandosi cosa sarebbe accaduto una volta che Kuroko fosse entrato nella Zona: forse sarebbe sparito davvero, a quel punto.
Senza fare troppi complimenti, Daiki prese un onigiri e se lo mise in bocca, riempendosi le guance. Suo malgrado doveva ammettere che Kagami ci sapeva fare con la cucina, meglio certamente di Satsuki che gli propinava delle robe a volte davvero immangiabili.
Deglutì, quindi intervenne:
“Ok, di che ci dovevi parlare?”
Akashi lo guardò un istante, poi deviò il suo sguardo su Momoi: “Hai fatto quelle ricerche?”
La ragazza annuì: “Sembra che l’ultima espansione sia molto interessante. E’ previsto un boost per il livello dei personaggi: tempo una settimana e si può raggiungere il cap.”
Kagami fece una smorfia ma si sedette, optando per divorare un onigiri, mentre Aomine si portò le mani dietro la testa e allungando di più le gambe domandò con il suo solito fare garbato:
“Boost? Cap? Oi, Satsuki, da quando per parlare con te ho bisogno di un interprete?”
“Dai-chan, questi sono i termini del gioco, imparerai ad usarli anche tu.” replicò lei con un sorriso, ormai abituata al caratteraccio dell’amico d’infanzia.
“Gioco?” questa volta fu Kagami ad intervenire, con una certa perplessità mista a preoccupazione.
Akashi sospirò, mentre Midorima incrociava le braccia e Murasakibara aveva cominciato a mangiare una merendina con lentezza, come per cadenzare la masticazione con le parole di Akashi.
“E’ tempo che vi spieghi nel dettaglio. Ciascuno di voi ha un fascicolo personalizzato – in piedi,  l’ex-capitano li distribuì a tutti, girati, lasciando quello di Kise di fronte all’unico posto vuoto – ho intenzione di proporvi di sottoscrivere un abbonamento a un gioco online.”
Aomine spalancò gli occhi,  sorpreso esattamente tanto quanto gli altri, ma Kagami fu l’unico a scoppiare a ridere; pochi ridevano in presenza di Akashi, a conti fatti. Ma lui aveva vissuto in America, era evidente che non sapeva gestire certe situazioni.
“Giocare online. Questa è bella!”
“In questi fascicoli c’è il nostro personaggio?” domandò Kuroko, attento.
Con evidente compiacimento, Akashi annuì: “Ottima intuizione, Tetsuya. Ora – lanciò un’occhiata a Kagami, mentre Aomine d’istinto si mise più composto – concludo la mia spiegazione così potrete trarre le vostre conclusioni. Pensavo che in questi ultimi anni ci siamo riavvicinati parecchio, pur essendo in squadre diverse; anzi, forse è proprio per questo. Abbiamo trovato ottimi compagni e valorizzato i nostri punti forti, imparando anche a gestire meglio la squadra piuttosto che agire da soli. Non posso prevedere del tutto il futuro ma… il periodo della scelta dell’università si avvicina. Per allora vorrei che fossimo preparati non solo scolasticamente, anche a livello sociale.
Potrebbe capitare, ad esempio, che qualcuno di noi finisca nella stessa università, magari anche più di due del nostro gruppo. Voglio evitare che si ripeta ciò che è accaduto in passato e che all’epoca solo Tetsuya aveva cercato di fermare.”
Guardò intensamente Kuroko che lo fissò a sua volta; poi il ragazzo dagli occhi azzurri posò lo sguardo istintivamente su Aomine che, in realtà, lo stava osservando già da un pezzo. Per l’asso della Generazione dei Miracoli fu difficile, allora, reggere ancora l’intensità di quelle iridi tanto chiare, capaci di spiazzarlo per l’onestà diretta con la quale lo fissavano. Aomine roteò gli occhi verso il soffitto e fece una smorfia, consapevole, lo sentiva,  che pure Satsuki lo scrutava.
Anni fa aveva detto delle cose orribili a Kuroko, proprio perché intendeva farlo. Perché sapeva che Tetsu era un essere umano migliore di lui, lui che sapeva solo giocare a basket al punto da dimenticare tutto il resto. E gli dava fastidio non poter essere al suo livello, capendo che in quel modo si sarebbero allontanati per sempre; cosa che, a conti fatti, era successa comunque.
“Quindi dobbiamo giocare online per stare più assieme?” domandò con un certo spirito critico, come per allontanarsi da quei pensieri e dai ricordi. Girò il fascicolo, così che l’immagine di una creatura azzurrognola dall’aspetto repellente troneggiò in copertina; il ragazzo la fissò un istante per poi domandare irritato: “E che è sta roba?”
“Un troll, la tua razza, Dai-Chan – spiegò allegra Momoi – è per fare il druido feral, che si trasforma in una tigre. Perfetto per te.” annuì, convinta.
Aomine sollevò un labbro, in una smorfia mista tra l’incredulo e il disgustato.
Kuroko osservò la sua immagine poi commentò, guardando Aomine con imperturbabile serenità:
“Anch’io sono un troll, Aomine-kun.”
“E questo dovrebbe farmi sentire meglio, Tetsu?” domandò allargando le braccia.
Murasakibara accartocciò la confezione della merendina e commentò, dopo aver lanciato un’occhiata alla scheda personaggio di un Kagami in procinto di esplodere:
“Poteva andarti peggio: potevi essere una mucca – girò la sua scheda – oh, sono uno scheletro non morto.”
Aomine si sporse di più per vedere il personaggio di Kagami, che stava già stropicciando l’angolo della scheda prima di scoppiare, e dopo aver tentato neanche troppo di trattenersi... rise apertamente, portandosi una mano sulla pancia: “Una mucca! Ti sta a pennello, Bakagami!”
Kagami gli ringhiò contro: “Taci, Ahomine, solo un idiota come te poteva trovarsi un troll come personaggio.”
“Kagami-kun, anch’io sono un troll.” fece presente Kuroko.
“Beh, si vede che eravate amici – sbottò senza pensarci – Akashi, che storia è questa, perché sono una dannata mucca?”
Akashi aveva osservato in parte divertito, in parte incuriosito, le reazioni di tutti i ragazzi e, vedendo gli scambi di parere, nonché le lamentele come le risate, fu certo ancora una volta di aver fatto centro nelle sue scelte. Per questo non lasciò che qualche piccolo incidente estetico di percorso turbasse l’atmosfera; insomma, se persino un egocentrico come Aomine aveva accettato di avere un troll, forse consapevole di condividere lo stesso destino con Kuroko, ci sarebbe riuscito anche un entusiasta casinista come Kagami.
“Perché sei un warrior, come classe, e per il tuo stile d’attacco farai più danni: reputo che ti darà molta soddisfazione – attese un istante, per poi aggiungere quasi per sfida – Ma nel caso in cui avessi ugualmente problemi, puoi sempre pagare per cambiare razza.”
Kagami stava per ribattere qualcosa ma alla parola danni e all’idea di non riuscire a fare qualcosa... si interruppe, lasciando finire Akashi per poi domandare: “Danni, eh? Tanti?”
Akashi annuì: “Tanti.”
Kagami incrociò le braccia: “Bah, allora suppongo che pure una mucca mi vada bene. L’importante è arrivare al risultato e divertirmi facendolo.”
Kuroko si mostrò d’accordo, mentre Aomine già istintivamente dichiarava la sua aperta superiorità rispetto a Kagami, il quale non stette certo zitto.
“Comunque è un Tauren, non una mucca, giusto per la cronaca.” precisò Momoi, consapevole che tanto nessuno dei due la stava comunque ascoltando, preso com’era a imporre la propria bravura sull’altro.
“Sai un sacco di cose, Momoi-san.” constatò Kuroko, ignorando di essere nel mezzo della discussione tra il futuro tauren e il troll, sinceramente colpito dalla capacità di ricerca e di memorizzazione della ragazza, la quale arrossì.
Tetsu-kun mi ha fatto un complimento, come sono felice!
“E tu che personaggio hai avuto Mido-chin?” domandò Murasakibara, aprendo un’altra merendina, giudicando evidentemente troppo sani gli onigiri fatti in casa.
Tutti, inevitabilmente, si voltarono verso Midorima che teneva accanto a sé il salvadanaio a porcellino, oggetto fortunato del giorno, infine dopo qualche secondo di silenzio il ragazzo disse con finto distacco, mentre Takao cercava di sbirciare:
“Sono un cacciatore. Un elfo del sangue, apparentemente.”
Appoggiò con calma quasi regale la sua scheda, infine incrociò le dita sul tavolo.
“Precisamente – convenne Akashi – un hunter che fa delle capacità di tiro il suo punto forte. Non essendo l’hunter con al seguito gli animali non ho reputato opportuno fare del tuo hunter un orco; sono Elfo del Sangue anch’io.”
Girò la sua scheda e aggiunse: “Sono un priest: posso attaccare ma anche cambiare stile e curare, esattamente come Kuroko. Io e lui saremo i supporter, gli healer della squadra.”
Aomine fissò un istante prima Akashi, poi Kuroko che incredibilmente stava sorridendo, evidentemente interessato dall’idea. Scoprì di star sorridendo a sua volta, perché effettivamente ogni ruolo, personaggio e classe sembrava calzare perfettamente su di loro. Come faceva ogni dannata volta Akashi a studiarsi così bene un progetto che in altre mani sarebbe risultato semplicemente folle?
Kuroko, un supporter. E lui in attacco. Faceva quasi ridere l’assurdità perfetta della cosa.
Si passò una mano sul volto, per poi fare presente:
“Ok, capisco il riunire la Generazione dei Miracoli e capisco volerlo fare con qualcosa di alternativo ma – puntò il pollice verso Kagami – lui che c’entra, esattamente?”
Sì, rispettava Kagami come giocatore e ne riconosceva il valore, anche se faceva fatica ad ammetterlo, ma loro sei, non lui, erano parte della Generazione dei Miracoli e si conoscevano dalle medie. Non era per loro che Akashi stava muovendo tutta quella macchina contorta che era la sua testa?
Non bastava che Kagami gli avesse portato via la sua ombra?
“Ma che caz...” sbottò Kagami ma Akashi intervenne, bloccando sul nascere un’eventuale discussione. Più di tutti conosceva e capiva il legame che tempo fa Kuroko e Aomine avevano stretto, nonché il modo brusco, quasi disperato, con il quale quest’ultimo l’aveva reciso. Se solo Aomine e in seguito tutti loro avessero saputo gestire meglio la situazione magari le cose non sarebbero sfuggite di mano e Kuroko, alla fine, sarebbe rimasto. Con la solita aria di superiore tranquillità fece presente, fissando impietosamente negli occhi Aomine:
“Aomine, sii ragionevole, o almeno provaci: hai rinunciato a essere la luce di Kuroko tanti anni fa, è giusto che Kagami faccia quindi parte di questo gruppo proprio in sostituzione di ciò che tu non sei più.”
Cadde il silenzio. Murasakibara cessò di mangiare, Midorima si mise in grembo il porcellino e dilatò di più le narici, come per respirare; persino Kagami, di solito così vitale, si sentì quasi in difetto, come se fosse entrato senza volerlo in qualcosa di oscuro.
Momoi avvertì gli occhi farsi lucidi, improvvisamente: non tanto per le parole di Akashi, dure, persino spietate, bensì perché vide l’espressione di Aomine. E fu come se lui non fosse mai stato veramente di luce, ma avesse conosciuto tanta oscurità.
Aomine non disse nulla. Semplicemente perché, in fondo, Akashi aveva ragione, ragione su ogni maledettissima parola.E lo detestò per questo, odiandosi a sua volta.
Poi, con la coda dell’occhio, vide Kuroko muovere un braccio verso di lui. Aomine ruotò la testa e fissò prima gli occhi di Kuroko, immobili su di lui, poi... il pugno che gli tendeva.
Stai scherzando, Tetsu?
Ma Kuroko appariva serissimo. Il primo anno delle superiori, quando Aomine aveva scoperto cosa significasse perdere, Tetsuya gli aveva chiesto di battere il pugno come facevano un tempo; Daiki aveva accettato, alla fine, giurando anche a se stesso che sarebbe stata l’ultima. Che non sarebbe ricascato in un vecchio gesto nostalgico di quando erano entrambi ragazzini, ancora convinti di poter arrivare ovunque assieme, invece...
In quel momento, in quella stanza, non stava accadendo nulla di speciale: non c’erano partite, né erano tornati quelli di un tempo. Allora perché ogni singolo secondo sembrava così dannatamente importante?
Aomine finì istintivamente per battere il suo pugno contro quello di Kuroko, nocca su nocca, pelle su pelle. Sentì di star sorridendo, anche se non era certo di averlo fatto per davvero.
Rimasero entrambi così, fermi, mentre nel frattempo Kise era arrivato: aveva trovato la porta aperta ed era entrato, salutando tutti con il suo solito entusiasmo coinvolgente. Ma per quell’attimo, di ricordi, di vicinanza, Aomine e Kuroko si estraniarono: tutto sembrò poter tornare veramente come allora.
“Kurokocchi, Aominecchi!” li salutò Kise abbracciandoli, per poi andarsi a sedere, appoggiando il borsone.
Aomine quasi sussultò e borbottò qualcosa per poi allontanare il braccio di scatto e infilarsi le mani in tasca, come se dovesse nascondere delle prove compromettenti.
Ci fu qualche breve scambio di battute, poi tornò ad esserci un rilassato silenzio.
“Che mi sono perso?” domandò il modello, girando il proprio fascicolo con entusiasta curiosità.
Spazientito, bisognoso di arrivare in fretta al dunque per schiarirsi le idee e disintossicarsi dalla presenza di Kuroko, Aomine fece il riassunto migliore della sua vita, senza far caso ai fogli di Kise:
“Giochiamo online e tutti, tranne Akashi e Midorima, abbiamo personaggi cessi che – solo a quel punto lo sguardo di Aomine cadde sull’avatar in pixel molto ben dettagliati, che avrebbe rappresentato Kise nel mondo virtuale, e sentì una forma di profonda ingiustizia colpirlo – una donna? Akashi! Io volevo avere una donna con quelle tette!”
Kuroko, come gli altri del resto – anche se con una forma di rassegnazione maggiore, non aveva mai capito il perché di tutta questa esagerata passione di Aomine per le Idol e, congiuntamente, il seno prosperoso che per lui era fonte di grande apprezzamento. Ma realizzava che, come tutte le passioni del mondo, non doveva esserci necessariamente un perché dietro.
Lì si fermava Kuroko; gli altri, decisamente più sensibili alla sfera delle relazioni sessuali, invece continuavano a chiedersi come fosse possibile che dopo tutti quegli anni Aomine non avesse mai avanzato alcuna proposta a Momoi, donna che più di tutte incarnava i suoi già alti ideali. Specie per il seno, se si voleva comunque obiettare che la bellezza fosse relativa.
Ma, anche in quel frangente, nel tempo ciascuno aveva pensato a farsi gli affari propri, lasciando Aomine alle sue riviste sulle idol che lo facevano sembrare più maniaco di quanto in realtà non fosse: pigro e scortese com’era, tendenzialmente erano più le donne ad essere maniache e stalker nei suoi confronti che viceversa.
Kise abbassò lo sguardo sulla tanto decantata donna e realizzò che era affascinante, con i suoi capelli fluenti, le orecchie a punta e lo sguardo temibile: “Oh! Wow! Beh, bella quasi quanto me.”
Ridacchiò. Scettico sulle lamentele di Aomine, incontentabile esagerato per eccellenza, Kise lanciò un’occhiata ai personaggi di Daiki e Kagami. Ecco, sì, effettivamente quando li vide scoppiò a ridere:
“Kagamicchi! Aominecchi! Siete proprio brutti – ma si sentì dispiaciuto quando vide che anche a Kuroko era capitato un destino simile – Kurokocchi, pure tu!”
“La mia mucca è fighissima!” esclamò Kagami che già, ottimista e determinato com’era, prospettava di fare grandi cose con il suo personaggio. Burbero ma affettuoso, Taiga non trovava poi così terribile il suo muccone peloso, gigante, con tanto di zoccoli e anellone sul naso. Aveva qualcosa di guerriero.
Aomine, che nel suo troll dal naso arcigno, i denti gialli e la cresta tutta sta gran bellezza proprio non riusciva a vederla, si limitò a sbottare seccato per l’evidente presa in giro del fotomodello:
“Potevi restare dov’eri, Kise, assieme alle tue inutili osservazioni – si alzò in piedi, decretando per lui la definitiva cesura con quel pomeriggio surreale – ho capito abbastanza, ditemi quando cominciamo e vedrò di esserci, forse. Satsuki, andiamo.”
Ormai, dopo tutti quegli anni, era quasi di riflesso che Aomine chiamava Momoi anche se non ce n’era bisogno, perché sin da quando erano bambini lei lo avrebbe seguito comunque. Quindi allo stesso tempo Aomine non aveva mai nemmeno accarezzato l’idea che Satsuki, un giorno, lo costringesse a rimanere; ecco, nel momento in cui Daiki si voltò e vide Momoi ancora seduta, realizzò che era arrivato anche quel giorno.
Perfetto, non poteva scegliere momento migliore per cambiare le carte in tavola.
Ma Aomine fece finta di nulla e insistette:
“Oi, Satsuki, mi hai sentito?”
Lei gli sorrise, spiegando tranquilla: “Dai-chan, manca ancora la mia cartellina.”
Aomine sbuffò, roteando gli occhi. Poi guardò il fascicolo effettivamente ancora girato e, preso da un vago senso di colpa, tornò a sedersi di peso sulla sedia, sempre senza levare le mani dalle tasche.
Satsuki, questa me la paghi.
Akashi in persona gliela girò, facendo vedere a tutti che Satsuki aveva ben due personaggi, carini e semplici: un’umana e un’elfa del sangue.
“Momocchi, sei bella anche nel gioco.” commentò Kise e Momoi si portò una mano sulle labbra, piacevolmente imbarazzata da quel complimento. Forse anche un po’ a disagio per aver costretto Aomine a restare e lei, più di tutti, sapeva quanto il ragazzo desiderasse invece andarsene.
“Ma perché Momo-chin è doppia?” domandò Murasakibara, con le spalle incurvate in avanti.
Midorima tornò a posare il portafortuna del giorno sul tavolo, si aggiustò gli occhiali e osservò: “Suppongo che, come in ogni gioco online del genere, ci siano delle fazioni ben distinte. Mi viene istintivo pensare che Momoi abbia un personaggio in entrambe per tenere d’occhio la situazione.”
“Esattamente.” confermò Akashi.
Momoi annuì, entusiasta: “Mi muoverò in entrambe le direzioni e vi aggiornerò settimanalmente allora. Non vedo l’ora!”
Akashi tirò fuori il cellulare, digitò qualcosa, infine annunciò:
“Ho cambiato il nome del gruppo di Whatsapp con quello della nostra gilda che creeremo nel server su cui sono i personaggi: La Gilda Dei Miracoli. Ho steso un calendario delle serate possibili da dedicare al gioco, compatibilmente coi nostri rispettivi impegni come studiati con Momoi, in modo che la nostra attività non provochi cali di rendimento sportivo e scolastico non necessario – guardò prima Kagami, poi Aomine – specialmente per quanto riguarda voi due, che non avete una media esattamente ottimale.”
Aomine e Kagami si lanciarono  un’occhiata reciproca, poi borbottarono qualcosa di neanche troppo convincente, perché alla fin fine sapevano entrambi di non essere esattamente delle cime a scuola.
“Hai pensato a tutto.” convenne Midorima, dopo qualche istante.
Gli sembrava di essere tornato alle medie, davanti ala scacchiera di Shogi, intento a disputare una partita con Akashi mentre parlavano dei progetti per la squadra, di come stavano tutti crescendo, dei problemi da affrontare. Ma più Shintaro credeva di avvicinarsi alla disposizione dei pezzi prevista da Akashi, più realizzava di essere ben distante dalla strada corretta: no, non era mai riuscito a comprendere del tutto la portata delle mosse compiute da Akashi. Ma si era sempre fidato, consapevole che il compagno di allora poteva davvero vedere lontano, più di tutti loro.
“Mi auguro che questa possa essere per ognuno noi una bella esperienza – concluse Akashi – Stasera non dovreste avere impegni, quindi ci troviamo loggati alle nove, puntuali. A mezzanotte stacchiamo, per garantire il riposo necessario. Portatevi a casa le vostre schede personaggio: ci sono tutte le istruzioni per l’installazione del gioco, il codice e il tempo di gioco da attivare. Se avete qualche dubbio scrivete in chat, chiedendo pure a me o a Momoi.”
Aomine a quel punto non si alzò, fu come se alla fin fine non fosse poi così importante andarsene, perché tanto ogni cosa era stata in qualche modo sistemata e lui… lui era curioso, curioso di dare una possibilità a tutta quell’apparentemente assurda situazione. Fissò il troll blu, poi gli altri, infine Kuroko che alzò lo sguardo incrociando il proprio:
“Penso che saremo ottimi druidi, Aomine-kun.”
“Druidi?” domandò Aomine, senza riflettere, mentre Momoi si era alzata e stava aiutando Kagami a sparecchiare la tavola.
Kuroko annuì: “Sì, siamo tutti e due druidi. Possiamo diventare quello che vogliamo: attaccare, curare, persino difendere. Se tu attacchi, io ti curo. E’ così che funziona.”
Aomine si morse un labbro, poi appoggiò la schiena alla sedia e guardò un istante il soffitto, prima di aggiungere: “Luce e ombra.”
Che fatica parlare. Perché il peso di ciò che avrebbero potuto essere, se solo le cose fossero andate diversamente, era lì a fare da zavorra nel petto.
“Luce e ombra.” convenne Kuroko.
Poi il fantasma della Generazione dei Miracoli lanciò una rapida occhiata a Kagami, che si stava studiando attentamente il suo personaggio, e ritornò a posare il suo sguardo su Aomine. Lo capiva, capiva che Aomine si sentiva… fuoriluogo. Straniante per uno abituato a volare sopra gli altri, a prevalere, a vincere perché la natura aveva voluto che fosse un genio assoluto del basket; curioso che fra tutti fosse proprio il suo perfetto opposto a capirlo: Kuroko, la persona anonima ed evanescente per eccellenza.
“Più c’è luce, più l’ombra diventa grande.” gli disse all’improvviso Tetsuya.
Il passato c’è, esiste, ma non è ora, non è il presente. Il presente possiamo ancora cambiarlo.
“Ora siamo una squadra – aggiunse ancora, per poi specificare – una gilda, la migliore.”
Quando Aomine sentì quelle parole, proprio non riuscì a smettere di guardare il soffitto: sentiva gli occhi umidi, forse una stupida ciglia si era infilata in mezzo. Fastidiosa, com’era fastidiosa la capacità di Kuroko di guardargli dentro e farlo sentire così… esposto. Con Satskui non succedeva, Sastuki lo conosceva e basta. Ma Tetsuya… Tetsuya lo leggeva, come un libro.
“Gilda dei Miracoli – rise, per poi sospirare e finalmente tornare a incrociare i suoi occhi con quelli di Kuroko – sarà un miracolo se riuscirete a starmi dietro. Ho intenzione di conquistare il server, sappilo.”
Nel vedere quello sguardo di Aomine, trionfante, vitale, pronto realmente a spaccare il mondo solo perché sapeva di esserne capace e perché si stimava in misura epica, Kuroko si sentì felice.
Annuì, con quel sorriso evanescente e gli occhi profondi, come se non appartenessero realmente a un ragazzo della sua età.
Guardò gli altri: Kagami che già discuteva con Akashi su come sfruttare al meglio i suoi attacchi, Murasakibara che trovava divertente l’idea di radunare attorno a sé i nemici per impedire loro di andare oltre, Midorima che finiva per far notare a Takao la perfezione dell’arco e di statistiche come l’accuracy per dare maggiore efficacia al colpo.
Sì, Akashi aveva davvero fatto il Miracolo.
Chissà se altrettanto miracolosamente, un giorno, tutti loro avrebbero giocato di nuovo nella stessa squadra, all’Università, e poi… nella vita. A basket. Kuroko sorrise… per quello c’era tempo; sì, si erano ritrovati, e ora avevano tutto il tempo del mondo per non perdersi più.




Sproloqui di una zucca

Benvenuti a questo nuovo capitolo, ambientato qualche mese prima della nostra storia. Dal prossimo si riprenderà la linea temporale classica. Se volete qualche info grafica, ecco le principali razze di cui si parla:
Troll
Tauren (il muccone, tanto per intenderci XD)
Elfa del sangue
Per le classi di gioco, basta che leggiate un qualsiasi riepilogo anche solo sul sito della Blizzard, alla fine sono abbastanza classiche. Sicuramente chi ha già giocato di ruolo (tipo d&d per intenderci) avrà già qualche familiarità con arcieri, assassini , guerrieri e via dicendo.
Ho voluto fare questo capitolo per vedere un po' cosa ha smosso i ragazzi ad accettare l'idea di giocare online, ma anche per vederli assieme, farli interagire, e cercare di relazionarmi con le scelte di ognuno. Dal prossimo capitolo, per quanto l'idea del gioco online sarà comunque presente, i nostri eroi (?) staranno più assieme dal punto di vista reale che virtuale. E si andrà a scandagliare maggiormente il rapporto tra Aomine e Kuroko.
Vorrei davvero veder giocare, assieme, la gilda dei Miracoli, con tutti che si divertono a lanciare incantesimi, ad attaccare mostri e boss in gruppo, ad insultarsi per il dps da schifo o la mancanza di cure. Mi sembrano ancora più squisitamente umani e quotidiani <3


 
   
 
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