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Autore: Kristy 10    03/06/2017    0 recensioni
La storia che sto per raccontarvi parla di Ariel, una simpatica ragazza che vive a Menphis in un appartamento assieme alle sue più care amiche Angelica e Maia all'altro capo della città, lontana dalla famiglia ma soprattutto dalla madre troppo apprensiva.
Ed è in questo "viaggio" alla ricerca della sua indipendenza che una sera, in cima al terrazzo del palazzo in cui abita, non sa che ad attenderla c'è il destino pronto a metterla a dura prova e a sconvolgerle la vita...
Genere: Commedia, Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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E poi... Sei arrivato tu!

 

Sono due settimane che lavoro qui, e già mi sento a casa mia. E per casa mia intendo in tutti i sensi! Ormai nessuno fa più caso alla ragazza dagli strani capelli rosso fragola che si aggira per il negozio e che con quella divisa indosso sembrava la figlia di Babbo Natale parcheggiata lì in attesa che il babbo faccia il giro del mondo e venga a riprenderla per portarla dalle sue care e amate renne dal naso luminoso; di conseguenza si sono presto abituati al mio vagare tra le nuvole, al vedermi scivolare ogni giorno all'ora di chiusura quando il pavimento è stato appena lavato e a riderne di gusto, a sentirmi canticchiare a ritmo della musica che aleggia nell'aria mentre sto alla cassa o a prezzare i prodotti, ad essere sgridata puntualmente dal capo per aver perso tempo a chiacchierare con una vecchina, indecisa se prendere il latte fresco o quello a lunga conservazione invece di lavorare, e ad essere allo stesso tempo protetta da Sonia che è diventata la mia paladina.

Sonia è sempre gentile e affabile nei miei riguardi, prende le mie difese anche quando non dovrebbe e il più delle volte se combino un casino lei nasconde ogni cosa e si fa una bella risata. Non so se sia possibile, ma le ho voluto bene dal primo giorno che ho messo piede qui dentro, più come una dipendente mi tratta da figlia e questo mi fa sentire orgogliosa, perché lei mi accetta così come sono nonostante rischi di mandarle all'aria il negozio e non ha mai tentato implicitamente di cambiarmi come ha sempre fatto mia madre convincendomi a tingere i capelli di un bel biondo luce come il suo per poi vedermi tornare rossa più di prima, di spingermi a vestirmi con abiti più femminili tipo gonne, tacchi o delle vere calze da “donna”: i collant, al posto dei soliti jeans scoloriti, delle magliette con disegni senza senso e dei calzini colorati dove ogni dito del piede ha uno spazio proprio; dall'iscrivermi ad un corso di buone maniere a cui poi non sono mai andata. Devo ammetterlo mia madre ha un modo di fare un po' ottocentesco ma è una brava madre, è la figlia il problema!

Qui tutti mi avevano accolta ben volentieri e nonostante l'età media della popolazione dipendente partisse dai quaranta in su rendendomi di fatto la più piccola del gruppo, tutti mi trattavano come una loro pari facendomi sentire a mio agio e in quel poco tempo ero riuscita a conquistarmi la loro simpatia nonché la loro fiducia. Dai signori Antonio e Daniele che lavoravano rispettivamente alla salumeria e alla macelleria, due gemelli identici ma divertentissimi che trovavano gusto, ogni volta che li salutavo, a scambiarsi l'identità, diventando l'uno l'altro e viceversa mandandomi in confusione; a Susanna, che aspettava il suo terzo figlio e che non ha appena mi ha visto mi ha offerto un cracker spezzandolo a metà dando inizio alla nostra amicizia ed infine la signora Alice che mi ricordava un po' le mie nonne con i capelli cotonati e la grinta che la caratterizzava nello svolgere il suo lavoro.

Salutai tutti quando entrai, evitando di proposito di passare davanti all'ufficio del signor Saverio, andai nella stanzetta adibita a camerino, indossai la divisa in un battibaleno e ritornai in negozio. Non c'era molta gente in giro per essere le otto del mattino, perciò ne approfittai per sbrigare il lavoro di Susanna. Avevo proposto di occuparmi io di sistemare la roba sugli scaffali, purtroppo con una gravidanza inoltrata come la sua e con quella pancia era consigliabile evitarle sforzi inutili, perciò ora se ne stava seduta alla cassa sbuffando come una locomotiva. Odiava essere un peso per gli altri e starsene lì a battere scontrini, soprattutto se con le precedenti gravidanze era rimasta attiva fino all'ottavo mese, la irritava abbastanza.

Presi il taglierino che avevo in tasca e aprii il primo scatolone, cominciai a disporre le varie confezioni di biscotti sui ripiani inferiori, cercando di non soffermarmi troppo sugli invitanti frollini alla panna che avevo tra le mani; il brutto di lavorare in un supermercato era il continuo contatto con il cibo: biscotti, merendine, cioccolatini, patatine facevano bella mostra di sé invitandoti ad assaggiarli, per non parlare poi del profumo che proveniva dal reparto salumi che mi faceva brontolare lo stomaco, a tal proposito evitavo con cura di passare da quelle parti e se vi ero costretta lo facevo sempre a naso chiuso. Finito di sistemare i piani inferiori e quelli centrali mancavano quelli superiori. Con tutta la dignità di questo mondo presi la scaletta che Sonia mi aveva fatto trovare quella mattina prima del mio arrivo e salii tre gradini. Lo so, lo so può sembrare assurdo che uno scaffale risulti alto quanto i grattacieli di new york ma non è colpa mia se sono alta un metro e sessanta e se hanno costruito dei ripiani adatti per dei giocatori di basket! Presi i pacchi di biscotti di marca differente da quella precedente e iniziai disporli in ordine quando intercettai il movimento di una mano dalle dita lunghe e affusolate che si avvicinava in direzione dei pan di stelle.

<< Non si preoccupi glieli prendo io >> ligia al dovere mi sporsi nella direzione opposta alla scala e afferrai i piccoli dolcetti punteggiati di stelle, ottima scelta, pensai una volta presi. Purtroppo per me non avevo fatto i conti con la forza di gravità e il mio scarso senso di equilibrio, scivolai con il piede su cui avevo fatto leva e mi sbilanciai di lato. Stavo per cadere, era inevitabile. Mi preparai all'impatto con il pavimento, sperando di farmi male ma non troppo, altrimenti stavolta niente e nessuno avrebbe potuto salvarmi dalle iniezioni di nonna Luisa. Aspettai qualche secondo in attesa di avvertire la superficie fredda e liscia su cui ero appena caduta. Non accadde niente di tutto ciò. Aprii gli occhi e come prima cosa vidi la scala rovesciata a terra mentre la mia mente registrava lo strano calore che proveniva dalla mia schiena e si riverberava sulla pancia. Lentamente spostai lo sguardo verso il basso e notai un braccio cingermi la vita.

Ero caduta addosso a qualcuno.

Quel qualcuno mi stava abbracciando.

Sentii un formicolio familiare attraversarmi la spina dorsale mentre sollevavo il capo per incrociare lo sguardo del povero malcapitato.

Il mio cuore perse un battito. Due occhi limpidi come il mare mi guardavano impassibili sotto le lunghe ciglia scure. Mi ritrovai a trattenere il respiro nell'istante in cui compresi che avevo già visto quello sguardo freddo e magnetico capace di farti scappare a gambe levate e di tenerti incollata al pavimento al tempo stesso. Rimanemmo alcuni minuti così, schiena contro petto, testa contro collo, in attesa che mi facessi da parte.

Non volevo farmi da parte.

<< Scusami, non volevo finirti addosso >> mi sentii dire con una voce che somigliava lontanamente alla mia. Lui sembrò non fare caso a quanto appena detto perché si staccò da me per oltrepassarmi e proseguire dritto senza degnarmi di uno sguardo. Wow, soffocai una risata nervosa. Non so se fossi più stupita per la reazione che aveva avuto o per l'umiliazione che mi bruciava le guance. Credo fosse più la seconda ipotesi. Insomma che cosa avevo detto per farlo arrabbiare a quel modo? Bè arrabbiare è una parola grossa riflettei, richiedeva una certa partecipazione emotiva, cosa che non avevo notato affatto in quello sconosciuto, neanche quando mi aveva visto. Se io ero rimasta scioccata nel ritrovarmelo lì e per di più fra le sue braccia lui non aveva mostrato il minimo segno di stupore nel rivedermi. Cosa alquanto strana dato che la prima e ultima volta che ci siamo visti mi ha guardato con un disprezzo e un odio tale da farmi ruzzolare per le scale. Che diavolo gli era preso? Di certo non lo avrei mai saputo se continuavo a starmene impalata lì. Con un salto superai la scala e gli corsi dietro. Lo intravidi vicino al frigo, stava prendendo il latte. Mi avvicinai. La sua espressione era chiarissima. Non era contento di vedermi, ma potrei anche sbagliarmi perché non sembrava neanche triste. Forse era indifferente ed io stupidamente mi sentii offesa.

<< Hai dimenticato i biscotti >> gli dico con il migliore dei sorrisi che ho a disposizione mentre glieli porgo. Lui mi guarda senza aggiungere nulla e il suo silenzio è più gelante del frigo davanti a quale ci siamo fermati.

<< Il latte deve essere sempre accompagnato dai biscotti >> aggiungo per poi darmi dell'imbecille nel momento in cui mi accorgo di sembrare la voce petulante della pubblicità della Mulino Bianco. Ma lui non sembra farci caso il chè è un bene o un male, dipende dai punti di vista. Continua a fissarmi e non ha ancora preso questi benedetti biscotti ed io sono sempre più tentata di chiedergli se mi ha riconosciuta, se si ricorda di quella sera, sulla terrazza e della mia imbarazzante caduta (anche se è successo per causa sua!) e se si perché finge il contrario, ma non mi dà neanche il tempo di trovare il modo per formulare la domanda che con gesto brusco mi toglie il pacco di mano e fa per avviarsi alla cassa. Dannazione, penso mentre con uno slalom che farebbe invidia a Fernando Alonso, lo raggiungo e mi paro davanti. Lo osservo e noto con piacere che il suo sguardo si è indurito tanto che i suoi occhi sembrano smeraldo puro e la mandibola è tesa mentre mi fissa. Finalmente, credevo non fossi umano, pensai nascondendo il sorriso che rischiava di spuntarmi, con un'espressione di finta preoccupazione mentre pensavo a quello che stavo per dirgli.

<< Non ti disturberò più lo giuro – dico unendo le mani in segno di preghiera – ma volevo davvero ringraziarti per prima >> mentre gli parlo cerco di leggere in lui qualche reazione e contemporaneamente di non perdere il filo del discorso mentre incateno i miei occhi con i suoi, cosa alquanto dura dato che mi presta la sua più totale attenzione.

<< Se non ci fossi stato tu avrei fatto una delle mie solite cadute >> buttai lì con una risata sperando di vedere scattare in lui qualcosa ma non batté ciglio al riguardo anzi sembrava stesse per perdere la pazienza mentre i clienti dietro di lui lo sorpassavano. Per una frazione di secondo mi sorse il dubbio di aver sbagliato persona; ma poi mi diedi della stupida, non potevo essermi sbagliata, era lui ed ero pronta a scommettermi il mio primo stipendio (che tra l'altro non avevo ancora preso). Insomma quante probabilità vi erano di incontrare un tizio dagli occhi identici ai suoi? Gli occhi non erano una prova sufficiente a sostenere la mia tesi, certo, ma la sua statura e i capelli chiari erano la prova inconfutabile che non sbagliavo affatto. Lo scrutai in cerca di qualche altro indizio rivelatore in grado di appoggiare la mia tesi e fu come vederlo per la prima volta... Dio mio! Quel.Ragazzo.Era.Bellissimo! Come avevo fatto a non accorgermene prima?! Ero così presa da non perdermi nemmeno un battito di ciglia che avevo tralasciato tutto il resto... e che resto! Strizzai gli occhi come se lo vedessi per la prima volta e lo squadrai da capo a piedi riuscendo a stento a tenere la bocca chiusa. Bello era troppo sbrigativo. Lui era stupendo da mozzare il fiato. Alto almeno venti centimetri più di me, il fisico asciutto, indossava una semplice t-shirt bianca che risaltava sulla carnagione chiara e dei jeans scoloriti. Ma tuttavia era il viso, il suo pezzo forte. Il volto allungato e dai tratti decisi, ospitava due occhi screziati di verde incorniciati da morbide ciglia scure, il naso dritto e aggraziato e il labbro superiore leggermente più pieno rispetto a quello inferiore. I capelli biondi, lunghi sul davanti gli ricadevano sulla fronte in maniera disordinata quasi avesse dimenticato di pettinarsi. Essere così disumanamente belli è un crimine, mi ritrovai a pensare non appenai finii di squadrarlo per la seconda volta. Incrociai di nuovo il suo sguardo stavolta irritato e decisi che era meglio arrivare dritte al punto.

<< La verità – sospirai – è che poco fa rivedendoti mi è venuto in mente il modo in cui ci siamo incontrati l'ultima volta e volevo dirti che non stavo affatto spiandoti, ero uscita per stendere il bucato e per caso ti ho trovato lì e... >>

<< Mi confondi con qualcun altro >> disse oltrepassandomi di nuovo mentre io rimasi pietrificata. Non poteva essere. Sapevamo entrambi che non mi sbagliavo e che di certo non l'avevo confuso con qualche altro. Stava mentendo, era evidente. Ma perché lo faceva? Non saprei spiegarlo. In fondo non gli avevo fatto nulla per meritarmi un'accoglienza del genere allora perché non aveva battuto ciglio quando gli ero finita addosso? Che davvero lo avessi scambiato con qualcun altro? Impossibile. Forse dopo il nostro incontro deve aver battuto la testa da qualche parte e aver perso la memoria o semplicemente non si ricordava di me, molto più probabile; rimasi un tantino delusa. Mi voltai dal lato in cui qualche minuto prima mi era passato accanto e già non c'era più. Rimasi ferma a guardare la strada fuori spinta dallo strano desiderio di seguirlo, ma qualcuno non era affatto d'accordo con i miei piani.

<< Ariel – gridò una voce in collera dalla sua postazione in ufficio – sbrigati a sistemare il casino che hai combinato, altrimenti ti licenzio >> dimenticavo, i miei colleghi erano abituati tra l'altro a vedermi minacciata di essere licenziata almeno due volte al giorno. Mi ripresi in un attimo.

<< Subito signor Saverio >> gridai di rimando mettendomi sull'attenti anche se non poteva vedermi, feci un cenno a Susanna che sghignazzava senza sosta e ritornai al mio posto pensando che fino all'ultimo quell'uomo avrebbe rischiato l'esaurimento nervoso per colpa mia.

 

                                                                                                                   *************

Stranamente quel pomeriggio ero giunta al terzo rimprovero da parte del signor Saverio; dopo il misfatto di quella mattina avevo continuato a combinare guai: avevo rotto tre bottiglie di salsa, camminando all'indietro con la pedana carica di confezioni d'acqua mi ero scontrata con una signora robusta quanto un armadio facendola cadere, Dio solo sa se non ci è voluto l'intero personale per aiutarla ad alzarsi da terra! Avevo dato male il resto ad un vecchietto che mi aveva accusato di essere una ladra e di aver tentato di truffarlo e per concludere in bellezza avevo fatto cadere senza volere una bottiglia di olio di extra vergine d'oliva e tutti sapevano che una bottiglia d'olio rotta significava rogne a non finire, non solo perché per pulire bisognava chiamare Mastro Lindo in persona bensì perché avevo attirato la sfortuna su quel negozio come le api col miele; ed eravamo ancora a metà giornata, non osavo immaginare come sarebbe andata fino all'orario di chiusura.

<< Giornata dura? >> avvertii la sua voce prima ancora che mi poggiasse una mano sulla spalla.

<< Un po' >> ammisi con una smorfia mentre incrociavo il suo sguardo. Mi sorrise gentile.

<< Non preoccuparti sono intoppi del lavoro, succedono a tutti >> mi consolò circondandomi le spalle con gesto materno. Mi gustai quell'abbraccio pensando che era la prima volta che mi capitava che qualcuno mi volesse così bene conoscendomi appena e mi sentii tremendamente in colpa per questo, perché non lo meritavo, lei fra tutte doveva essere l'ultima persona a stare lì a tirarmi su di morale dopo tutti i guai che le stavo causando.

<< Perché ti ostini a difendermi dal signor Saverio? >> chiesi sinceramente curiosa di conoscere il motivo che si celava dietro tanta determinazione.

<< Ariel.. >> pronunciò il mio nome con lo stesso tono di chi sta per parlare ad un bambino di cinque anni, ma la interruppi.

<< In fondo sono solo un'estranea per te, una dipendente come le altre che non giova agli affari di famiglia e che oltretutto sarà la causa della separazione da tuo marito >> mi allontanai da lei e cominciai a camminare avanti e indietro.

<< Ariel ascolta... >>

<< Faresti meglio a dargli retta, sai? – col capo indicai in direzione dell'ufficio sul retro – licenziandomi gli eviteresti un attacco cardiaco e la bancarotta >>

<< Ariel... >> tentò invano mentre io ero partita con il gas a manetta.

<< O forse è meglio che mi licenzi di mia spontanea volontà... >> mi morsi il labbro, non credo che ne avrei avuto davvero il coraggio.

<< ARIEL VUOI FERMARTI E STARMI A SENTIRE PER UN MINUTO? >> gridò Sonia riportandomi bruscamente alla realtà e facendo voltare l'intero negozio. L'espressione allegra di poco prima lasciò il posto ad una seria e decisa, in quel momento era identica al marito quando me ne diceva quattro. Feci come mi aveva ordinato in attesa che si calmasse e proseguisse, questo lato di Sonia mi era del tutto sconosciuto, conoscevo la Sonia simpatica, amica, protettiva ma non quella autoritaria ed ero del tutto impreparata. Tirò un respiro profondo e ricordandosi che non eravamo sole assunse l'espressione più mite che le avessi mai visto e diede un'occhiata attorno rassicurando tutti che non mi avrebbe uccisa seduta stante contemporaneamente fece cenno a Susanna e alla signora Alice di avvicinarsi. Tornò a prestarmi attenzione.

<< Finalmente un po' di silenzio – spalancò le braccia alzando gli occhi al cielo – certo che quando parti in quarta non si riesce a starti dietro >> ironizzò << non so quante stupidaggini hai potuto dire in mezzo secondo >> vidi il suo sguardo addolcirsi segno che era ben disposta a perdonarmi.

<< Altro che dura, la tua giornata deve essere stata tremenda se mi proponi tu stessa di dar retta a quell'energumeno di mio marito e di licenziarti su due piedi >> mi scappò una risatina, quando raccontava le cose lei lo faceva con una leggerezza e un'ironia che anche l'evento più catastrofico diventava una barzelletta. Rise anche lei e mi toccò un braccio.

<< Te lo ripeto sono cose che succedono, tutti hanno una giornata no e tu non fai eccezione >> strano però che fino ad allora le mie giornate fossero in una percentuale minore rispetto a quelle No.

<< Non posso mandarti via, sei una brava dipendente, spesso combini qualche guaio è vero, ma ciò non toglie che ce la metti tutta per svolgere il tuo lavoro al meglio >> mi commosse la sincerità delle sue parole, molti altri al posto suo avrebbero potuto sbattermi fuori dal primo giorno invece lei non lo aveva fatto anzi in più occasioni si era dimostrata comprensiva e pronta a darmi un'altra possibilità come adesso e questo ai miei occhi la rendeva una donna ancora più degna di ammirazione.

<< E poi sei una ragazza divertente il ché non guasta >> mi lanciò un'occhiata maliziosa.

<< Quindi è per questo che hai convinto tuo marito ad assumermi? Perché ti faccio sbellicare dalle risate? >> scherzai.

<< Mi hai scoperto >> disse con sguardo colpevole ed io scoppiai a riderle in faccia.

<< Vederlo perdere le staffe a causa delle tue malefatte non ha prezzo >> aggiunse, l'allegria di qualche istante prima ricomparve in quei suoi occhi da cerbiatto.

<< Beata te che ci provi gusto a me toccano sempre le lavate di capo >> scossi il capo fingendomi afflitta anche se in realtà ero abituata a prendermi le ramanzine oramai potevo dire di averci fatto il callo.

<< Già >> appena pronunciata quella parola avvertii di colpo l'atmosfera cambiare, mi voltai ad osservarla per capire il motivo del suo repentino cambio d'umore e vidi che aveva un sorriso triste stampato in faccia e guadava con attenzione il contenitore delle caramelle davanti a noi.

<< Nostra figlia vive a New Orleans, ritorna a casa un paio di volte l'anno ma non si ferma mai abbastanza per disfare le valige >>, aggrottai la fronte confusa dal repentino cambio d'argomento. Non sapevo che avessero una figlia e che per giunta vivesse in un altro continente, ora mi era più chiaro il perché il signor Saverio fosse sempre di malumore e Sonia fosse sempre così allegra, era il loro modo per nascondere il dolore e mettere a tacere la nostalgia che provavano.

<< E' una ricercatrice >> il modo in cui lo disse lasciò trasparire tutto l'orgoglio che sentiva per sua figlia. << Non chiedermi di cosa si occupa nello specifico perché non saprei proprio risponderti >> alzò le mani imbarazzata e scosse la testa << so solo che questo paese le stava troppo stretto e ha deciso di partire >> nel suo sguardo per una volta lessi un profondo dolore, doveva mancarle molto e mi si strinse il cuore sapendo che non avrei potuto fare niente per alleviare un po' la sua pena.

<< Per questo Saverio è sempre così sgorbutico, non voleva che partisse e ora che Sofia non è qui non riesce neanche a chiamarla per dirle che le manca, di solito è lei a telefonargli >> ed io che pensavo che il signor Saverio fosse un uomo burbero incapace di qualsiasi dimostrazione d'affetto a parte quella di assumermi per far piacere alla moglie; questo però non spiegava cosa c'entrasse la figlia con me. Sonia come se avesse intuito i miei pensieri mi rassicurò.

<< E' un bravo uomo anche se è difficile crederlo ma soprattutto è un buon padre, ama sua figlia più di ogni altra cosa al mondo credimi >> annuii poggiando una mano sulla sua.

<< Tu le assomigli molto >> affermò con un sorriso.

<< Io? >> chiesi stentando a crederci, ed io che pensavo che avessero gettato lo stampo! Annuì.

<< Perciò è tanto duro con te – mi spiegò mortificata – e il fatto che io ti sia tanto affezionata non migliora le cose >> confessò colpevole. Vide la confusione sul mio viso e cercò di spiegarsi meglio.

<< Teme di vedermi soffrire ancora se un domani tu decidessi di andartene >> non mi guardò negli occhi e ciò bastò a farmi comprendere quanto fosse importante la mia presenza per lei lì e quanto fosse aumentato il suo affetto per me in quelle settimane. Il signor Saverio quindi non mi sopportava perché gli ricordavo sua figlia con la quale non era rimasto in buoni rapporti e perché era preoccupato che potessi lacerare ulteriormente il cuore di sua moglie. Ora finalmente cominciavo a vederci chiaro e non potevo fare a meno di comprendere i suoi timori. Forse avrei dovuto prendere sul serio l'idea di lasciare tutto e andarmene prima che potessi farle del male. Sonia si accorse del tumulto di pensieri che mi si agitava dentro e decise di correre ai ripari.

<< Ariel non... >>

<< Tranquilla non pensiamoci adesso>> la rassicurai e accennai alla sua destra. Susanna e la signora Alice ci raggiunsero.

<< Sei ancora viva! >> mi canzonò Susanna massaggiandosi il pancione, mi sa che quell'esserino là dentro scalciava peggio di un toro impazzito.

<< Come vedi sono ancora qua >> ironizzai lasciandole il mio posto per sedersi.

<< Grazie – disse accomodandosi e tornando sull'argomento – si può sapere che stavate combinando? >> mi chiese facendo il terzo grado, una cosa che avevo scoperto di questa donna era che voleva sempre essere al corrente di tutto e che le piaceva spettegolare, le mie nonne l'avrebbero etichettata come una delle tante comare che con la scusa che seguivano la processione del santo di turno tra un Ave Maria e un Padre Nostro, criticavano gli abitanti di mezza città.

<< Le stavo dicendo che deve stare più attenta se non vuole che la licenzi >> intervenne Sonia che di nascosto mi strizzò l'occhio con fare complice.

<< Poveretta non è colpa sua se oggi era tra le nuvole più del solito – alla sua affermazione non potei fare a meno di roteare gli occhi – stamattina è passato quel ragazzo >> alla parola ragazzo raddrizzai le antenne, captavo in avvicinamento un momento di grande imbarazzo.

<< Quale ragazzo? >> domandò Susanna d'un tratto interessata io dal canto mio sperai che non si trattasse di quello che stavo pensando.

<< Quello lì... >> disse schioccando le dita e corrugando la fronte concentrata, Sonia mi guardò ed io alzai le spalle per dirle che anch'io ne sapevo quanto lei, o quasi. << ... il belloccio, quello alto e biondo – ok, non avevo bisogno di ulteriori informazioni per capire che si stesse riferendo a lui - che passa di tanto in tanto di qua per fare la spesa? >> Sonia e Susanna ci rifletterono su, sembrava di partecipare ad una partita di Indovina chi? Non mi sarei meravigliata se si fossero chieste a vicenda il colore degli occhi o se avesse la barba. All'improvviso la signora Alice spiazzò tutti.

<< Il fusto? >> non so se ero più scioccata per il sostantivo che aveva utilizzato o per il semplice fatto che una parola simile fosse uscita dalla sue labbra con l'espressione di chi è in attesa di incassare un milione di euro in contanti.

<< Esatto >> la assecondò Susanna come nulla fosse.

<< E con questo? >> incalzò Sonia che pareva averne abbastanza di tutti questi giri di parole.

<< Gli è andata addosso >> le rispose Susanna con un'occhiata maliziosa.

<< Cosa? >> credetti non aver sentito bene.

<< Stai cercando di negarlo? >> questa volta si rivolse direttamente a me.

<< Sì – risposi per poi rimangiarmi subito quanto detto non appena incrociai i loro sguardi stupefatti – no, cioè, volevo dire non nel modo in cui intendi tu >> dissi in preda all'agitazione. Dovevo essere diventata un camaleonte perché il mio viso era della stessa tonalità dei miei capelli e questo poteva indurre a fraintendere le cose.

<< Non gli sono andata addosso di proposito è stato un incidente >> ammisi imbarazzata. Susanna inarcò un sopracciglio scettica. << Mi sono sporta per prendergli un pacco di biscotti ma ho perso l'equilibrio e sono finita col cadere, tutto qui >> raccontai maledicendomi di essere così imbranata se poi avevo la sfortuna di dover spiegare certe cose.

<< Questo non spiega il motivo per cui gli sei corsa dietro subito dopo >> si intromise la signora Alice, ma nessuno lavorava a quell'ora? A quel punto siccome avevo fatto trenta avrei fatto anche trentuno. Sospirai.

<< Mi era parso di conoscerlo e volevo sapere se si ricordasse di me >> dallo sguardo divertito di Susanna intuii che sapeva già come era andata a finire ma non si privò del piacere di continuare l'interrogatorio. Quella donna aveva un ché di sadico.

<< Hai avuto conferma? >> chiese cercando di mascherare quanto si divertisse.

<< No >> le risposi controvoglia. Dopo qualche attimo di silenzio Susanna tornò all'attacco.

<< Comunque per come la penso io – disse portandosi una mano al petto – la tua era tutta una sceneggiata per saltargli addosso >> sentenziò.

<< Ti ho già detto che non è andata così >> sibilai furente di fronte a quelle insinuazioni, giuro che l'unica cosa che mi trattenne dal gridare, erano i clienti presenti. A quel punto Sonia intervenne per calmare le acque.

<< Tranquilla Ariel noi ti crediamo, non è vero Susanna? >> l'espressione con cui lo chiese era tutt'altro che amichevole. Susanna mi guardò e scoppiò a ridere. Okay, era un dato di fatto, quella donna aveva qualche rotella fuori posto.

<< Certo che le credo – rispose tra un attacco di ilarità e l'altro – solo che l'espressione di un attimo fa era così buffa che era un peccato non continuare a prenderla in giro >> sghignazzò; simpatica, pensai. Lanciai un'occhiata a Sonia che mi rispose mimando il gesto che era pazza e tornò a parlare.

<< Tornando al punto – disse guardando nella mia direzione con aria di chi la sa lunga - ora mi è tutto chiaro >> convenne prendendosi il mento tra pollice e indice << Ecco perché sei stata distratta tutto il giorno, hai visto lui! >> esclamò come se avesse rimesso a posto le tessere di un puzzle. Guardai il banco dei surgelati a disagio. E' vero, sono stata con la testa fra e nuvole un tantino più del solito ma non per quello che insinuavano loro.

<< Non è così – la contraddissi – si è trattato semplicemente di una giornata no >> provai a convincerla inutilmente, ma non era stata proprio lei a dirmelo? Scosse la testa esasperata.

<< Ariel – pronunciò il mio nome con lo stesso tono che si usa per convincere i bambini a prendere lo sciroppo dal sapore disgustoso – se c'è una cosa che capisco al volo sono le bugie e tu una bugia non sai neanche dove abita >> affermò con un angolo della bocca sollevato. Accidenti, cominciava ad infastidirmi il fatto di essere un libro aperto per tutti. Sospirai, avevano ragione loro. Quella mattina non avevo fatto altro che pensarlo, avevo provato a smettere ma era come se qualcuno nella mia mente avesse pigiato il tasto rewind e rivedessi tutta la scena di quella mattina all'infinito. Rivivevo ogni singolo istante di quel momento, soffermandomi su dettagli cui all'inizio non avevo fatto caso, come la rigidità che avevo avvertito mentre mi teneva fra le braccia o il modo in cui la punta della sue scarpe toccasse il dietro delle mie quasi fossimo incollati o le piccole lentiggini del color del miele che gli punteggiavano il naso e sotto gli occhi. E poi c'era il suo profumo. Lo stesso che avevo sentito la prima volta che lo avevo incontrato, solo che in questa circostanza avevo potuto sentirlo più da vicino ed era una fragranza che inebriava i sensi, un misto di bagnoschiuma e un vago sentore di acquerelli. Dio mio lo avevo ancora addosso e questo mi dava alla testa.

<< Ti piace non è così? >> la signora Alice aveva stampata la stessa espressione delle fan di Justin Bieber quando cambiava taglio di capelli. Mi piace non è così? Silenzio dentro e fuori della mia testa.

<< No >> risposi, tutte mi guardarono come se avessi una rotella fuori posto, compresa Sonia, nonostante tutto proseguii imperterrita.

<< Non nel senso che intendete voi >> mi beccai altre occhiate stranite, sospirai era chiaro che dovessi spiegarmi meglio.

<< Ammetto che sia un bel ragazzo... >> fu impressionante vedere come tutte tre inarcarono il sopracciglio contemporaneamente << okay, bello non è esattamente il termine adatto per descriverlo... >> concessi imbarazzata << forse bellissimo... >>.

<< ...o stupendo... >> intervenne Sonia con occhi sognanti.

<< ...appetitoso >> aggiunse poi Susanna socchiudendo gli occhi e leccandosi il labbro inferiore.

<< ... fusto >> ripeté la signora Alice con gli occhi che le brillavano. Restai ammutolita. Un po' di contegno, insomma! Che fossero andate tutte e tre da un bel pezzo era un dato di fatto. Non ero affatto stupita dall'effetto che quel ragazzo suscitava sulle donne che avevano la fortuna di stargli attorno, di qualsiasi età si trattasse. Espirai rassegnata, non potevo biasimarle, dopotutto non ero caduta anch'io di fronte al suo fascino? Era evidente che avevamo a che fare con un Richard Gere dei poveri, ed altrettanto evidente che era riuscito a mettere d'accordo tre generazioni: nonne, madri e figlie. Ah se fosse bastato un bell'uomo per porre fine alle guerre nel mondo, saremmo in pace da un pezzo! Scossi la testa e tornai a rivolgermi a loro.

<< Ehm sì, avete reso l'idea ma il punto è... che finisce lì. La mia è pura e semplice curiosità >> ammisi con un'alzata di spalle; ed era la verità. Quel tizio mi incuriosiva e parecchio anche, soprattutto adesso che mi aveva mentito senza un reale motivo e che sospettavo vivesse nel mio stesso palazzo, a tal proposito mi ripromisi di investigare.

<< Quindi lui non ti interessa? >> enigmatica Susanna si alzò facendo un passo avanti.

<< No >> la fissai per nulla intimidita, non avrei fatto la loro stessa fine, ero ancora in tempo per salvarmi.

<< Non ti importa sapere se e quando si ripresenterà qui? >> mi stuzzicò avvicinandosi di un altro passo insieme alle altre. Mi sentii vacillare. Com'era possibile che dall'argomento del mio licenziamento fossimo passate a lui? E poi mi importava saperlo? Certo che no! Era tutta la mattina che continuavo a ripetermelo. Feci un passo indietro. Avevano un'espressione inquietante in volto.

<< No >> mi umettai le labbra in difficoltà.

<< E non vuoi conoscere il suo nome? >> si fece avanti la signora Alice con gli occhi fuori dalle orbite. Cominciava a mancarmi l'aria. Arretrai.

<< ...o dove abita? >> insistette Sonia presa anche lei da quell'attimo di follia. Andai a sbattere contro il banco dei gelati. Ero circondata. Le mie orecchie si tesero all'istante. Volevo saperlo. Ma ammetterlo era come dare loro soddisfazione e quel po' di orgoglio che mi rimaneva mi impediva di chiederglielo.

<< No >> pronunciai determinata ricomponendomi << e ora se volete scusarmi - aggiunsi guardandole una ad una - devo aiutare i signori Antonio e Daniele >> detto ciò scivolai lungo il bancone. Inspirai profondamene e mi allontanai aggiustandomi la divisa sul davanti. Avvertii lo sguardo di quelle tre scivolarmi lungo la schiena e perforarmi la nuca. Non ci badai e proseguii per la mia strada lasciandole alle loro chiacchiere su fusti e bei giovanotti.

 

 

*****************

 

Arrivato l'orario di chiusura fui la prima fra tutti ad uscire, presa da una strana fretta che sapeva di verità. Dopo quella giornata, avevo bisogno di risposte e tornare a casa era un modo per averne una, tanto per cominciare. Mi fermai davanti al portone indecisa sul da farsi. Stavo davvero per farlo? L'idea di partenza era quella di bussare porta per porta come uno di quei rivenditori di aspirapolvere e presentarmi come la nuova inquilina dell'ultimo piano. Sapevo che non sarebbe stato facile convincere quelle persone a farmi entrare, ero pur sempre una sconosciuta che bussava alle nove di sera per stringere dei rapporti di vicinato, perciò a tale riguardo prima di tornare a casa mi ero portata dal negozio dei piccoli omaggi, per lo più cibarie che avrei spacciato per mie. Se avevo capito una cosa nei miei ventidue anni di vita era che non esisteva niente al mondo migliore del cibo per fare conoscenza con qualcuno. Non era forse vero che le grandi amicizie e le grandi decisioni avvenivano di fronte ad un delizioso piatto di pasta? Okay nel mio caso era un po' diverso, si trattava per lo più di prodotti caserecci: tarallini e biscotti, ma il principio era lo stesso. Dicevo, una volta entrata avrei fatto in modo di farmi presentare l'intera famiglia, gli avrei fatti allineare di fronte a me quasi fossero dei sospettati e gli avrei squadrati uno ad uno e se ciò non fosse bastato, gli avrei convinti a tirar fuori i vecchi album di famiglia e mi sarei fatta mostrare tutti i famigliari in cerca di qualche somiglianza con lui. Ecco, dovevo ammettere che il mio piano era un tantino folle e forse, e sottolineo forse, difficile da applicare ma non mi feci scoraggiare, quella sera avrei avuto una risposta ed era questo che contava. Guardai il citofono alla mia sinistra scorrendo la lista di cognomi degli inquilini che vivevano nel mio stesso condominio. Erano in tutto sette campanelli e se escludevamo il mio e un altro vuoto, ne rimanevano cinque. Lessi quei cognomi a me sconosciuti e li ripetei assaporandone ogni sillaba sulla lingua e immaginandoli addosso a lui: Bosco, Caldarella, Buonasperanza ecc... non mi dicevano nulla, era come se fossero dei vestiti di misure diverse e nessuno fosse della taglia giusta, ed io invece ero sicurissima che per uno come lui ne esistesse uno su misura, particolare, unico nella sua forma, capace di metterne in risalto lo sguardo screziato e distante, il portamento sicuro e altero e il profumo che sapeva di colori e fantasia. Accidenti, mi sentivo una stupida con certi pensieri per la testa! Era ovvio che una semplice parola non potesse dirmi niente di più e niente di meno di ciò che non sapessi già, vale a dire nulla, ma dentro di me avevo la stupida convinzione che lo avrei riconosciuto al primo sguardo, come se attraverso quelle lettere fossi riuscita a scorgerne il profilo perfetto e la voce bassa e dura. Mi rigirai le chiavi di casa tra le mani, indecisa. E se in realtà mi stessi sbagliando su tutta la linea? Se lui non vivesse lì? Se mi fossi sognata tutto? Sospirai ammettendo a me stessa che all'inizio avevo creduto che si trattasse di uno scherzo della mia mente, in fondo non era cosa di tutti i giorni veder gironzolare di notte, un tizio che sembrava avere l'inferno dentro, su una terrazza per giunta. Ma poi quando si era presentato al supermercato, avevo capito. Non era stato il frutto della mia fervida immaginazione, perché non esistevano allucinazioni tali da reggere il confronto con la realtà. Lui era vero, e ciò significava che vi era la concreta possibilità che lo avessi avuto sotto il naso tutto il tempo senza accorgermene. E questo mi portava a pormi mille domande: com'era possibile che io non l'avessi mai notato da quelle parti? Insomma non conoscevo tutti i condomini ma di certo uno come il sottoscritto non lo avrei dimenticato tanto facilmente e cosa ancora più importante un tipo come lui, difficilmente passava inosservato... Scossi la testa. Era uno spreco di energie farsi delle domande se non ero capace di darmi delle risposte. E sapevo che almeno una mi aspettava varcando quella soglia. Infilai la chiave nella serratura del portone e inspirai profondamente, spinsi uno dei battenti ed entrai salendo le scale che mi avrebbero portato dritto alla verità.

 

 

************************

 

Due ore e mezza e tre chili più tardi, mi avviai verso il mio appartamento con l'umore a terra, senza una risposta in tasca e con una cerchia di amicizie che superava di gran lunga l'età pensionabile.

<< Ugh >> singhiozzai sonoramente, tenendomi la pancia con le mani mentre tutta la roba nel mio stomaco minacciava di risalire. Salii un gradino alla volta evitando ulteriori scossoni che ne avrebbero aiutato la fuoriuscita, strisciando lungo la parete e immaginando di teletrasportarmi in cucina e di mandar giù un bicchiere di cedrata con la sola forza del pensiero. Ero ubriaca. Ubriaca di tutti gli zuccheri che avevo ingerito durante la scalata verso la verità. Avanzai di un altro scalino maledicendomi sottovoce tra un singhiozzo e l'altro. Non avrei dovuto ingozzarmi a quel modo, non se dopo non potevo usare l'ascensore ed ero costretta a salire le scale a piedi per tornare a casa mia! A mia discolpa potevo dire che il mio piano mi si era ritorto contro senza che io potessi far nulla.

Non avevo scoperto nulla.

Nessuno di quelli con cui avevo parlato lo aveva mai visto da quelle parti. Nessuno ne aveva sentito parlare. Mi sentii prosciugata. Avevo speso tutte le mie energie in false speranze. Chi volevo prendere in giro? Era scontato che sarebbe andare a finire in quel modo. Riflettendoci l'unica nota positiva dell'intera faccenda fu l'impresa in sé. Con il mio illogico piano, avevo finito per fare una scoperta sensazionale. Io e le mie amiche eravamo le uniche persone lì dentro a non aver vissuto la seconda guerra mondiale poiché l'intero stabile brulicava di simpatici vecchietti dagli occhi lattiginosi e da altrettante signore dai capelli bianchi come la neve che vivevano nella completa solitudine, con i figli in altre città e con i nipoti che venivano a trovarli raramente; a parte Assunta, una signora tutta pepe, che abitava al terzo piano, che promise di presentarmi i suoi tre nipoti, Antonio, Maurizio e Lucio, tre teppistelli che andavano a farle visita spesso e che giocavano a pallone nei giardinetti davanti alla chiesa. E così fra una chiacchiera e l'altra non solo mi incaricai di fare la spesa a domicilio per tutti loro, poiché a causa dell'età avanzata e degli acciacchi faticavano a muoversi, ma finii con lo spazzolarmi i “pensierini” che mi ero portata dietro con l'aggiunta di cinque tazze di caffè, un pezzo di crostata di mele, biscottini al limone con la panna e dolcetti fatti in casa al cioccolato. A mia difesa potevo dire che in quel momento fu preferibile annegare i dolori nel cibo che ammettere di aver sbagliato su tutta la linea.

Ciondolante come un orologio a pendolo, arrivai sul pianerottolo del mio appartamento. Cercai le chiavi di casa nella borsa, sapendo in partenza che Angelica e Maia mi stavano aspettando da un pezzo, avevo ricevuto i loro messaggi nel mezzo della mia operazione, le avevo rassicurate che sarei tornata presto dato che ero solo qualche piano sotto di loro. Trovata la chiave giusta, la infilai nella toppa. Non sopportavo l'idea di rientrare e di avere mille domande per la testa. Perché tanto accanimento? Cosa mi spingeva a fare tutto questo? Non lo sapevo. Inconsapevolmente mi ritrovai a fissare la porta dell'appartamento di fronte al mio. Fu un gesto istintivo. Era quello con il campanello senza cognome. Non avevo mai fatto caso se ci vivesse qualcuno o meno ma a quel punto immaginai fosse disabitato, eppure... qualcosa dentro di me si tese in direzione della porta. Inconsciamente feci un passo in avanti, sentivo il sangue pomparmi nelle vene ad una velocità mai avvertita prima mentre un formicolio mi attraversava dalla base della nuca fino alla spina dorsale. Avevo smesso di ragionare da un po' quando arrivai davanti al pulsante del campanello con gli occhi fissi sulla porta; il battito del mio cuore come sottofondo alla speranza che era stata più volte distrutta quella sera. Appoggiai il dito sul pulsante. Sarebbe bastata una leggera pressione e avrei scoperto la verità. Iniziai a premere...

<< Ariel! >>

Come bruciata ritrassi di scatto la mano portandomela al cuore che martellava furioso. Mi voltai in direzione della voce. Un omino con i capelli grigi radi sulle tempie e un'enorme calvizia scendeva le scale che portavano in terrazza reggendosi al corrimano.

<< Signor Giovanni, cosa ci fa lei qui? >> era la prima persona che avevo conosciuto quella sera, assieme a sua moglie Anna viveva al piano rialzato ed erano stati così gentili con me che una volta venuti a conoscenza che non ero sola e che avevo delle amiche ad aspettarmi a casa, avevano preparato un piattino con gli stessi dolcetti che mi avevano offerto, anche per loro. Inutile dirlo l'ospitalità del sud era imbattibile ed io ne andavo fiera.

<< Sono andato a controllare che l'antenna fosse a posto. La televisione non prende >> mi rispose mentre con un fazzoletto di stoffa si detergeva il sudore dalla fronte. Quella sera sarebbe stata dura dormire, in tutti i sensi. Annuii.

<< E tu? Che ci fai ancora in giro? >> mi guardò sinceramente incuriosito.

<< Sono appena stata dalla signora Caldarella >> sorrisi al pensiero.

<< Immagino che ti abbia tenuta ore e ore a casa sua >> esclamò divertito, conoscendo già la risposta.

<< Quella donna è una chiacchierona, non appena trova due orecchie a portata di mano, comincia a parlare e non la smette più>> scherzò. << Avrei dovuto avvertirti >> si scusò con un sorriso.

<< Non si preoccupi – con una mano feci finta di scacciare qualcosa - in fondo è una brava persona >> sorrisi gentile.

<< Un po' logorroica, forse >> aggiunse con un angolo della bocca sollevato.

<< Forse >> ammisi io con una smorfia. Calò un silenzio imbarazzato. Mi dondolai da un piede all'altro.

<< Bhè allora io vado a dormire – dissi arretrando di un passo – buona notte >> mi voltai dando le spalle alla porta che solo un attimo fa mi aveva catturato come una calamita, inconsciamente sospirai.

<< Non ti ha portato a nulla andare di casa in casa, non è così? >> lo guardai, anche se mi ero proposta di presentarmi da loro con il solo intento di stringere delle relazioni di vicinato, senza lasciar trapelare il vero motivo che si nascondeva dietro quella visita, ero finita col raccontargli la verità. A quell'ora tutto il condominio sapeva che ero alla ricerca di un ragazzo, spinta da una curiosità che superava di gran lunga quella di Cristoforo Colombo mentre si accingeva a scoprire le Americhe.

<< E' vero in parte – risposi avvicinandomi, quell'uomo mi ricordava mio nonno, anche se non l'avevo mai conosciuto perché entrambi i miei nonni erano morti prima che io nascessi, per fortuna ero cresciuta con l'affetto delle mie nonne – perché questo mi ha portato a conoscere tutti voi, ed io ne sono davvero felice >> ammisi, il fatto che mi avessero accolta nonostante fossi un'estranea facendomi sentire la benvenuta dimostrava quanto fossero straordinarie come persone.

<< Sei gentile Ariel >> l'eco della sua voce calda risuonò lungo la tromba delle scale << volevo solo dirti che non troverai nessuno - con il capo accennò all'appartamento di fronte al mio – sono passati anni dall'ultima volta che lo hanno affittato a qualcuno >> spiegò. Annuii di nuovo non sapendo cos'altro aggiungere, se non che fosse del tutto irrazionale il modo in cui mi stavo comportando. Il signor Giovanni mi posò una mano sul braccio con fare benevolo, doveva aver intuito cosa mi passasse per la testa ancor meglio di me, senza dire niente.

<< Buona notte, Ariel >> mi augurò entrando in ascensore.

<< Buona notte >> risposi mentre le porte si chiudevano ed io rimanevo di nuovo sola.

Mi voltai nuovamente. Tenni lo sguardo fisso, in attesa di qualcosa. Qualunque cosa in grado di cancellare quanto appena detto perché nonostante il signor Giovanni fosse certo che lì non ci fosse nessuno, io continuavo ad avvertire la strana sensazione provata poco prima. Dovevo fugare ogni dubbio. Mi avvicinai alla porta e mi accinsi a terminare quanto avevo iniziato prima di essere interrotta. Stavo per suonare quando... un trillo nella mia borsa mi avvisò che era arrivato un messaggio. Era Angelica.

 

SI PUO' SAPERE DOVE SEI ANDATA A FINIRE??!!

 

Seguito da:

 

NON COSTRINGERMI A CHIAMARE CHI L'HA VISTO?

O PEGGIO ANCORA.... TUA MADRE.

 

Alzai gli occhi al cielo esasperata, sapevo che se avessi tardato un minuto di più, avrebbe messo in atto le sue minacce aiutata da quell'altra pazza di Maia. Feci dietro front e inserii la chiave nella toppa entrando. Prima di chiudere diedi un'ultima sbirciata. Sorrisi, anche questa volta non ero riuscita a suonare il campanello. Qualunque cosa fosse, il destino o gli dei, c'era il suo zampino dietro e per questa volta aveva vinto la partita. Ma domani sarebbe stato un altro giorno, ed io non avrei smesso di giocare. Non lo avrei mai fatto.

 

Ecco a voi il secondo capitolo, spero che vi piaccia! A presto!
  
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