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Autore: Kim WinterNight    03/06/2017    2 recensioni
[Sequel di 'Alive'.]
«Siamo giunti all'ultimo campo per Laura.
Stavolta però si ritrova ad avere qualcuno al suo fianco, qualcuno che però non è Marco.
Forse questa è la volta buona, forse la ragazza riuscirà a superare l'attrazione che da sempre la lega a qualcuno che non la ama.
Lei ci proverà, supportata da sua sorella Tamara, dall'immancabile e storica amica Viola e da tutti i loro compagni di avventura, sotto la supervisione di educatori e istruttori che non rinunceranno a mettere i ragazzi alla prova e a combinare un bel po' di casini.»
Come per le due storie precedente, troverete una colonna sonora diversa per ogni capitolo. Vi basterà cliccare sul collegamento presente sul titolo per essere rimandati direttamene al brano su YouTube.
Inoltre, come di consueto, il titolo della storia porta il nome di una canzone dei P.O.D. intitolata proprio 'Boom': vi consiglio di andarla a sentire! ;)
Buon ascolto e buona lettura e, come sempre, non esitate a farmi sapere il vostro parere ♥
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Youth Of The Nation'
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ReggaeFamily

Capitolo otto: Prison Song




Ciao Lau, allora stasera veniamo a trovarti, va bene?


Ehii Cri, ma certo! A che ora arriverete? :)


Adesso ne parlo con Lucia e Michele e ti faccio sapere :-)


Perfetto, allora attendo vostre notizie ;)


Eravamo da poco tornati al residence e io stavo scambiando dei messaggi con Cristina, una mia amica. Lei, sua sorella Lucia e il suo ragazzo Michele si stavano organizzando per venire a trovarmi, dal momento che quel giorno c'era la festa paesana nel luogo in cui stavamo svolgendo il campo. Essendo domenica, ci sarebbe stata anche la tradizionale processione, la stessa a cui avevamo assistito durante il campo precedente.

Mi alzai dal letto su cui mi ero stesa dopo aver fatto la doccia e avvertii ancora una volta una fitta atroce alla schiena. Avrei avuto bisogno di molto riposo dopo l'esperienza a cavallo, ma ovviamente non avremmo avuto il tempo per farlo, perché alle sette meno venti dovevamo essere pronti per uscire.

Raggiunsi la cucina e mi affacciai alla scala in legno che portava al piano superiore, ovvero alla camera di Marta.

«Ci sei?» domandai all'educatrice.

«Sì! Dai, sali!» mi invitò lei in tono allegro.

Riuscii ad arrampicarmi per quei gradini, reggendomi alla parete con le mani, finché non emersi in un ambiente che aveva l'aspetto di una mansarda, era tutto ricoperto di legno e dava l'impressione di essere una serra, visto l'afoso caldo che lo permeava.

Marta aveva spalancato la finestra, ma il fatto che il cielo fosse coperto di nubi basse e immobili impediva a qualsiasi brezza di materializzarsi e stemperare un po' la stanza.

«Ti piace la mia camera?»

«Fa un caldo terribile!» borbottai.

«Lo so, a chi lo dici!»

Sorrisi. «Marta, i miei amici hanno detto che vengono a trovarmi. Possono, vero?» mi sentii in dovere di chiedere, anche se per me era scontato che loro potessero raggiungermi.

«Non lo so, devo chiedere agli istruttori. Mando ora un messaggio nel gruppo WhatsApp e...»

«Chiedere? Ma chiedere il permesso?» Ero stranita, non riuscivo a spiegarmi le sue parole.

«Lo sai che qui non decido io» tagliò corto in tono leggermente amaro e ironico.

«Ma che decisione bisogna prendere? Mi sembra di essere in prigione!» sbottai contrariata.

«Dicono che non può entrare chiunque qui al residence, ci vogliono delle autorizzazioni e...»

La interruppi: «Stiamo fuori dal cancello, se è questo il problema!».

«Ma penso che dovrete fare qualche attività tra poco, non ci sarebbe il tempo. Non so cosa dirti, sono ordini dall'alto» concluse lei dispiaciuta, pettinandosi frettolosamente i capelli.

Basita, ridiscesi le scale e rientrai impettita in camera; recuperai il cellulare e scrissi un altro messaggio a Cristina.


A quanto pare non potete entrare in struttura... senti, ci vediamo direttamente nella piazza in cui si ferma la processione? Se non ho capito male, vogliono portarci lì...


Mmh ok, va bene :-) arriviamo verso le 7 cmq


Scusate davvero, purtroppo qui io non decido un cazzo... sapessi quanto sono incazzata Cri...


Dai tranquilla Lau non ci puoi fare nulla ;-)


Sorrisi appena per il fatto che Cristina mi mandasse sempre le faccine con il naso, era qualcosa che la caratterizzava. Io non le sopportavo, però vederle apparire sul mio cellulare scatenava sempre la mia ilarità.

Nel frattempo raccontai l'accaduto via SMS anche ad Anna, Beatrice e Danilo, i quali furono estremamente dalla mia parte e si mostrarono comprensivi.

Intanto Viola uscì finalmente dal bagno e quasi contemporaneamente Tamara ci raggiunse.

Annunciò: «Oddio, ragazze, che schifo! Gabriella non vuole fare la doccia!».

«Cosa?!» sbottammo all'unisono io e Viola.

Marta, dalla sua stanza, prese a ridere e gridò: «Non dire cazzate!».

«Lo giuro! Ha detto che tanto non si è sporcata. Io sono sconvolta! Sono scappata perché in camera nostra c'era un odore di maneggio allucinante! Ha anche detto che si lava a pezzi, così, una cosa veloce...»

Mi portai una mano sulla fronte e sospirai. «Oddio che schifo, non farmi vomitare!»

«Tami, stai scherzando, vero?» disse Viola sconvolta. Anche se non riuscivo a vederla, avrei scommesso che sul suo viso fosse dipinta una smorfia schifata e incredibilmente buffa.

«No, non scherzo. Stavo per vomitarle addosso, pensate che non voleva neanche cambiarsi i vestiti!» raccontò ancora mia sorella.

Io ero veramente senza parole, perciò cominciai a ridere e presto contagiai anche le altre, scaricando un po' quel senso di tensione che mi si era aggrappato addosso dopo aver appreso che sarebbe stato un problema vedere i miei amici.

In seguito raccontai l'accaduto anche a Tamara e Viola e loro rimasero sorprese quanto me, domandandosi quale fosse la difficoltà tanto declamata dagli istruttori.

«Mi sembra di stare in carcere! E questo dovrebbe essere un campo mirato a responsabilizzarci? Ho ventitré anni e devo chiedere il permesso a questi qui per vedere i miei amici?»

«Appunto! Sono ridicoli quando fanno queste cose» commentò mia sorella. «Ah, oddio, devo raccontarvi di Marco!» esclamò poi all'improvviso.

Aggrottai le sopracciglia. «Di Marco?»

«Sì! Sai che ieri notte...»

Un grido proveniente dal piano di sotto ci interruppe: «Ragazze, scendete! Siamo tutti qui che vi aspettiamo!». Era stato Nicolò a urlare come un pazzo.

Mi accostai alla finestra e risposi irritata: «Calmati, Nicolò, fatti gli affari tuoi».

Lui mi ignorò deliberatamente e nel giro di un minuto piombò a sproposito in camera nostra, cominciando a sbraitare cose che solo lui capiva.

Infine fummo costrette a raggiungere il resto del gruppo di fronte al cancello del residence, dal momento che comunque non saremmo riuscite a parlare con lui tra i piedi.

Quando tutti fummo riuniti accanto all'uscita, Lorenzo annunciò: «Vi dividerete in coppie e raggiungerete la piazza in cui si ferma la processione. Ricordatevi che dovete stare uniti, perché anche se procederete a due a due, questa è un'attività di gruppo».

«Ma sul serio? Io ho mal di schiena, come faccio? Usare il bastone mi rallenta e...»

«Fai uno sforzo, dai» tagliò corto Lucrezia.

In quel momento capii che non sarei riuscita a mantenere la calma molto a lungo. Sentivo montare dentro una rabbia incredibile, che poi riconobbi come una sensazione di frustrazione e impotenza; se c'era una cosa che detestavo, era sentirmi dire ciò che dovevo o non dovevo fare, specialmente quando non mi andava o non ero nelle condizioni fisiche e mentali di fare ciò che mi veniva richiesto. Da quando era cominciato quel campo, non avevo fatto che ricevere ed eseguire ordini impartiti da degli istruttori megalomani e poco attenti alle necessità e ai problemi di noi ragazzi. Le esperienze come quella dovevano servire per insegnarci a vivere la quotidianità nel modo più normale possibile, riuscendo a fare tutto ciò che i normodotati potevano fare. Ma ovviamente era tutta un'illusione, non era sempre così che andavano le cose. Forse alcuni dei miei compagni d'avventura potevano non rendersi conto di essere dei burattini alla mercé di adulti che volevano organizzare le attività in base ai loro comodi, ma io non ero deficiente e neanche stupida, capivo benissimo cosa avevano combinato anche quel giorno, il che mi faceva andare in bestia.

Mi ritrovai in coppia con Giorgio e non feci che pochi passi prima di sentire il mal di schiena aumentare. Stavamo camminando troppo lentamente per la mia povera colonna vertebrale, e gli istruttori non facevano che ripeterci che dovevamo stare uniti.

A un certo punto non ne potei davvero più, mi sentivo invadere dal dolore, ero seccata e nervosa sia per il fatto di non poter incontrare liberamente i miei amici, sia perché nessuno di quegli istruttori si era minimamente curato di chiederci se fossimo d'accordo nel fare quell'attività, dopo la mattinata estenuante trascorsa al maneggio.

«Che palle, mi fa malissimo la schiena! Scusa, Tami, puoi andare un po' più in fretta? Non ne posso più...» mi lamentai con mia sorella, la quale camminava di fronte a me in coppia con Viola.

«Non posso mica correre, c'è gente di fronte a me!» sbottò lei, nervosa a sua volta per quella situazione. Sicuramente era in pensiero per me, ma si sentiva impotente proprio come la sottoscritta.

«Sì, ho capito, ma io sto morendo...»

«Sì, ma non è colpa mia! Calmati, cosa posso farci?»

«Guarda, lasciamo perdere...» Feci una pausa, ma ormai non poteva più fermarmi nessuno, ormai stavo veramente scoppiando e le parole uscirono da sole dalla mia bocca. «Perché in questo cazzo di campo sembra di essere in un carcere di massima sicurezza, noi siamo dei burattini e qui decidono tutto loro! Non ci chiedono cosa vogliamo fare, come stiamo, su cosa siamo d'accordo e su cosa no! Ma dimmi te se devo stare male per colpa di questa gente insensibile...»

«Lau, lo so, ma cerca di calmarti...» provò a dire mia sorella.

«Ma che cazzo stare calma! Loro devono stare calmi, pensano forse che siamo delle macchine? Ci saremmo dovuti riposare di più!» sbraitai ancora, senza preoccuparmi del fatto che sul marciapiede opposto si trovassero Lorenzo, Lucrezia e Samuele. Ovviamente loro stavano sentendo tutto ciò che stavo sputando fuori con rabbia, ma nessuno dei tre osò rispondere o dire qualcosa per cercare di calmarmi.

Questo fatto non fece che aumentare ulteriormente la mia furia: mi ignoravano come se fossi una cretina che stava blaterando senza cognizione di causa, come osavano?

Stavo per dire qualcos'altro, quando Giovanna mi raggiunse e mi propose: «Vai in coppia con Tamara? Magari potete camminare un po' più in fretta».

«Forse è meglio...» bofonchiai, mentre Giorgio e Viola si sistemavano in coppia insieme e io mi accostavo a mia sorella.

Ormai il sole stava calando ed era per noi d'obbligo usare il bastone, ma questo continuava a rallentare la mia camminata, nonostante ora avessi mia sorella accanto e con lei riuscissi a velocizzare un po' il passo.

«È inutile che ci abbiano messo in coppia insieme, tanto se dobbiamo stare al passo del resto del gruppo, non mi cambia niente!» mi inalberai nuovamente.

«Lo so, ma come facciamo? Io non so cosa dirti...» ribatté Tamara.

«Non sai cosa dirmi, certo...»

Una voce mi trapanò i timpani, proveniente dalle mie spalle: «Oh, Laura, ma la smetti di rompere e di lamentarti? Sei noiosa eh!».

«Nicolò, fatti i cazzi tuoi, hai capito? Smettila di intrometterti in ciò che non ti riguarda!» esplosi senza alcun ritegno, cercandi di accelerare il passo per non sentirlo troppo vicino a me.

«Invece no, perché mi stai rompendo, hai capito? Che palle che sei!»

Gabriella, che faceva coppia con lui, subito lo spalleggiò, rimanendo però più pacata e intromettendosi appena: «Sì, state strillando da dieci minuti, ci prenderanno per pazzi!».

Ma io ormai stavo per voltarmi da Nicolò per strozzarlo, non lo sopportavo più. Era tassativo che prima o poi ci si incazzasse con quel ragazzino durante un campo, era talmente pedante e indisponente da risultare proprio insopportabile.

Tuttavia, fu Tamara stavolta a rivoltarsi contro di lui: mentre Nicolò continuava a blaterare a caso, mia sorella si voltò di scatto e gli urlò contro degli insulti, per poi mollare un paio di colpi di bastone alla cieca. Questi, però, finirono per colpire anche Gabriella, nonostante nessuna di noi due volesse che ciò accadesse.

Infine Samuele ci prese con sé e ci fece camminare più in fretta, così ci allontanammo da Nicolò e gli altri, raggiungendo un po' prima la nostra meta.

Ci ritrovammo a sederci sulla stessa scalinata che ci aveva ospitato l'anno precedente, e com'era successo allora, mi chiesi che senso avesse portare un gruppo di ciechi e ipovedenti a vedere una processione. E poi, onestamente, a me di certi rituali non fregava un emerito cazzo.

Ero arrabbiata, ma speravo ancora – ingenuamente – di poter trascorrere un po' di tempo con Lucia, Cristina e Michele.

Così telefonai a Cristina.

«Pronto, Lau? Dove sei?» esordì la mia amica.

«Siamo appena arrivati, non ti dico il casino che è successo... sono incazzatissima» raccontai. «Siamo seduti sulla gradinata di fronte alla chiesa. Voi?»

«C'è un sacco di gente, non so di preciso dove siamo, ma ormai è tardi e mi sa che dobbiamo rientrare... c'è il viaggio da fare...» mi disse in tono dispiaciuto.

«Cazzo, no! Siete venuti per niente! Non è giusto!» dissi, sentendo l'ennesima ondata di rabbia pervadermi completamente.

«No dai, non è colpa tua. Ci siamo fatti una gita, non importa. Poi ci vedremo appena torni a casa, okay?» tentò di rassicurarmi Cristina.

«Sì, forse è meglio, tanto con questa gente di mezzo non si può fare niente...» fui costretta ad arrendermi, sentendomi sconfitta per l'ennesima volta contro gli istruttori e i loro modi dispotici. «Scusate ancora» aggiunsi.

«Tranquilla. Luci e Miki ti salutano!» esclamò lei.

«Ricambia, grazie per essere venuti. Ci sentiamo presto» conclusi.

Ci salutammo, poi interruppi la conversazione e riposi il telefono in borsa, sospirando e avvertendo un'intensa voglia di piangere e di strapparmi i capelli. Era un momento colmo di disperazione per me, uno di quelli in cui mi sentivo limitata dai miei problemi fisici e non sopportavo l'idea di non potermi muovere in autonomia. Se questo fosse stato possibile, sarei corsa a cercare i miei amici senza dar retta alle stronzate che provenivano dall'alto.

Non badai assolutamente alla processione, all'arrivo del resto del gruppo, alla folla che mi circondava.

Sentivo solo freddo fuori e dentro me, ero preda dello sconforto più totale e speravo che per quella giornata il mondo mi lasciasse in pace e mi permettesse di riposare la mente e il corpo.

Volevo strappare a morsi le barre della mia cella, lasciare la prigione in cui ero stata rinchiusa e riprendermi quel poco di libertà che potevo permettermi.

  
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