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Autore: Pinker    04/06/2017    2 recensioni
Dopo 10 anni dall'ultima missione di Blaze a Mobius, la gatta lilla ritorna per svelare un caso già iniziato dall'amica Amy, la quale a un certo punto scompare misteriosamente.
Anche Shadow e Rouge saranno coinvolti in questa avventura dal finale incerto.
Tra bugie e passato, sorprese più o meno piacevoli e lotte tra ragione e istinto, nascerà una storia d'amore...
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Blaze the Cat, Rouge the Bat, Shadow the Hedgehog
Note: OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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UN ANNO DOPO


Respirò più profondamente, per svegliarsi. Mina aprì gli occhi e l'oscurità l'avvolse.

Ci vollero solo pochi attimi per realizzare di essere sdraiata nel suo caldo letto, sotto le avvolgenti coperte di lana.

Si mise a sedere e dedusse, dall'oscurità che l'accerchiava, di essersi svegliata nel cuore della notte. Di nuovo.

Le succedeva ancora troppo spesso, nonostante fosse già passato un anno dalla sua stressante avventura. Il dottore le aveva comunque detto di non preoccuparsi, “cose come queste si risolvono col tempo e gran pazienza”.

La donna sospirò. Adocchiò suo marito accanto a lei, il quale dormiva pacifico.

Mina sorrise teneramente a Tails, ammettendo allo stesso tempo di essere un po' gelosa di quella abilità della volpe di dormire senza problemi.

Non che Mina soffrisse di insonnia: riusciva a dormire qualche ore la notte, e sonnecchiava durante la giornata, per rimediare alle ore perse. Tuttavia, svegliarsi nel cuore della notte e non riuscirsi ad addormentare la faceva sentire, in qualche modo, incompleta.

Soprattutto quanto alle tre di notte la casa è fredda, tutti dormono e il mondo attorno è buio e pieno di ombre. Questo faceva sentire Mina completamente sola, e non in maniera confortevole. Anzi, le venivano i brividi.

Non vedeva l'ora che la sveglia rossa di Tails squillasse al rintocco delle sei. Dopodiché, suo marito avrebbe tirato un bel pugno alla sua stessa creazione per farla smettere, e poi si sarebbe alzato. Di colpo, Mina non si sarebbe più sentita sola e il giorno sarebbe iniziato al meglio.

Purtroppo non erano nemmeno le quattro del mattino, ma Mina sapeva già dove voleva andare e cosa voleva fare per far passare il resto della notte.

Molto lentamente, scoprì le sue gambe dalle lenzuola del letto e si mise a sedere sul bordo.

Il freddo della stanza contrastava fortemente con il calore delle coperte, e Mina, che era ricoperta da una leggera vestaglia da notte, si sentì rabbrividire la pelliccia.

Nonostante ciò, non ritornò sotto le coperte come avrebbero fatto tutti gli altri, ma si infilò le pantofole color neve e si alzò, per dirigersi verso la porta, e poi fuori dalla camera da letto.

Strizzò un paio di volte gli occhi, per abituarsi al nero della notte, poi, con passo dondolante, si incamminò lentamente verso la fine del corridoio.

Mise un piede davanti all'altro dolcemente, leggermente, in modo da non far scricchiolare troppo le assi del pavimento.

Non voleva svegliare nessuno, e comunque preferiva cento volte il silenzio tombale dell'abitazione che quel fastidioso rumore di legno secco scrocchiante.

Lentamente, era arrivata a destinazione. Sorrise, mentre faceva scattare la maniglia dorata della porta alla sua destra, alla fine del corridoio.

L'aprì piano, cauta, entrò e richiuse subito dopo. Si avvicinò al centro della stanza con passo felpato, verso la candida culla della nuova arrivata in famiglia, una piccola mangusta gialla e viola di cinque giorni che dormiva beata.

Eh sì; era Melody, la figliuola di Mina e Tails, tanto amata e tanto attesa.

Era il ritratto di Mina, dicevano in molti, se non tutti. Infatti non avevano tutti i torti: il manto giallo l'aveva ereditato tutto dalla madre, persino gli occhi verde smeraldo erano uguali a quelli di Mina.

I capelli, doveva ammettere, erano di una tonalità più scura di viola rispetto a quelli della madre mangusta, e sicuramente erano lisci e compatti, al contrario dei capelli arruffati, ricci e ribelli della donna in gioventù.

Ma il musetto... così candido e zuccherino, proprio come quello di Tails, non c'era dubbio!

Mina si sporse sulla culla, per ammirare con dolcezza sua figlia. Melody si agitò un po' troppo nel sonno. Allarmata, Mina estese la sua mano verso la neonata.

“Ehy, tesoro.” sussurrò con tenerezza la madre, accarezzando con delicatezza la piccola guancia della cucciola, la quale, rassicurata, smise di agitarsi e ritornò calma.

Piccola, dolce creatura.

Mina non riusciva ad evitare di pensare al passato con i “se”:

e se Blaze non si fosse presentata, o se i trafficanti l'avessero fatta franca?

Mina sarebbe ancora intrappolata da qualche parte, o schiava in qualche palazzo di quella città fantasma. Sarebbe stata ben lontana dallo sposare Tails e rivedere i suoi amici. Non sarebbe nata Melody, la vera stella dei suoi occhi.

Non sarebbe in una casa amica, con una famiglia e una bella vita.

E se fosse addirittura morta? Oh, non ci voleva nemmeno pensare.

Non voleva nemmeno pensare al fatto che--

Stava ancora accarezzando e osservando la sua piccola con tenerezza, quando ella iniziò di nuovo ad agitarsi un po' troppo, destando Mina dai suoi pensieri. Questa volta, la cantante prese in braccio la figlia e la cullò dolcemente.

“Shhh shhh” sussurrava la giovane madre, coccolando la cucciola per tranquillizzarla.

E in quel momento, come era già successo, iniziò a parlare alla sua bambina con adorazione:

“Mamma è qui, amore mio. Mamma ti vuole bene; e anche papà, le tue zie, i tuoi zii...” sussurrò lentamente al suo piccolo miracolo, mentre gli occhi si riempirono di lacrime e commozione. La voce le tremava un poco. Essere lì con lei... era una sensazione al quale non si sarebbe mai abituata. Era un sentimento puro, felice e grato. Averla stretta al suo petto le scaldava il cuore come nessun altro aveva mai fatto.

E tutto quello a cui pensava era di proteggerla, e soprattutto di farle capire quanto era amata.

Non sarebbe passato giorno in cui non le avrebbe detto quanto ci tenesse a lei.

“E io ti prometto, piccola mia, che non ti lascerò mai. Nessuno ci separerà, tesoro.” concluse con un largo sorriso la madre mangusta, quasi come se volesse rassicurare la figliuola, e le diede un caloroso bacio sulla fronte.

La bimba, come se avesse capito le dolci parole della mamma, si era già calmata e stava dormendo profondamente, rannicchiata al seno della mangusta cantante.

E la notte si concluse con Mina che canticchiava le calde note di una melodiosa ninna nanna alla sua bambina, mentre quest'ultima veniva cullata nelle amorevoli braccia della madre.



Sei e mezza.

Ora di alzarsi ed iniziare a prepararsi per andare a lavoro.

Joe si era appena svegliato grazie al suono della vecchia sveglia sul comodino, la quale segnava chiaramente l'ora con caratteri cubici e di colore rosso acceso.

Respirò profondamente e piano piano aprì gli occhi; senza troppo stupore, notò che le persiane era sollevate a metà, e la tenue luce della prima mattina gli accarezzava la faccia dolcemente. Dovette comunque aspettare qualche secondo affinché i suoi occhi si abituassero alla luminosità della stanza. Poi riuscì a tener aperte le palpebre.

Si stiracchiò, poi si tolse le coperte di dosso e con estrema lentezza si mise a sedere ai bordi del letto.

Si guardò un po' attorno, nella sua nuova camera. Non era nulla di ché, a dire il vero:

le pareti erano di sicuro di un bel verde smeraldo una volta, ma adesso, il colore era sbiadito o rovinato in quasi tutte le parti dei muri. Joe lo guardò bene, e decise sul momento cosa avrebbe fatto nel suo giorno libero.

Il soffitto era di un bel azzurrino chiaro, come un cielo sereno.

Almeno il parquet di legno era ancora in buone condizioni.

Anche l'arredo della camera era piuttosto carente: solo il gigantesco letto matrimoniale che occupava una buona porzione di quella piccola stanza, lo spazioso armadio di fronte al letto della ex guardia e due comodini, uno a destra e l'altro a sinistra della cuccetta dove dormiva Joe.

Non un granché insomma, ma era plausibile: dopotutto, si era trasferito in quel piccolo appartamento solo da una settimana, con la sua sposa fresca fresca di matrimonio.

Proprio così, Joe si era appena sposato...

E proprio in quel momento, sulla soglia della porta, apparve la sua consorte, Annie, con un sorriso splendente.

Joe si girò per ammirare la giovane donna: i suoi capelli giallo dorati erano raccolti in una grande cipolla sulla sua testa ed indossava una camicia azzurra a righe di suo marito, visibilmente troppo grande e larga per lei.

Joe non capiva come lei facesse ad alzarsi così presto, addirittura prima di lui, senza l'ausilio della sveglia.

Dalla cucina arrivava un buon odorino di toast cotto.

Annie deve aver fatto la colazione. Pensò contento il ragazzo.

“Buongiorno cara.” la salutò con un ampio sorriso.

Lei non rispose subito; si avvicinò al letto, ci salì e gattonò da suo marito per abbracciarlo da dietro.

Poi gli diede un bacio sulla guancia e solo allora rispose al saluto: “'Giorno amore!”


Un anno prima, quando vennero liberati da Blaze, i due si diressero subito alla casa dei genitori di lei, brave ed umili persone seriamente preoccupate per la loro bambina, la quale era sparita senza lasciare tracce. Loro non sapevano che la loro piccola Annie era stata scelta come infiltrata; sarebbero stati troppo in pena.

E così, dopo settimane che non la vedevano, appena se la trovarono davanti le si gettarono addosso, abbracciandola e baciandola, e piangendo felici.

E si ritrovarono anche lui, Joe. La madre di Annie lo guardava confusa, mentre il padre lo squadrava con sospetto.

Annie raccontò tutta la storia e spiegò senza tralasciare nulla su chi fosse il suo ragazzo.

Quando i due signori appresero che Joe era una delle guardie, non mancarono di guardarlo con paura e rabbia, ma quando la ragazza spiegò che lei era sana e salva grazie a lui, e sempre grazie a lui era riuscita a scappare da quell'inferno, allora lo guardarono come se fosse il messia. Specialmente la madre, la quale decise subito di accogliere il ragazzo.

Sua padre era di certo grato a Joe, ma ci impiegò un sacco di tempo prima di fidarsi di lui.

Di sicura la ex guardia aveva bisogno di un nuovo lavoro per guadagnare di che vivere, e il padre fu molto gentile ad assicurargli un posto nell'edilizia, dove lavorava anche lui.

Certo, doveva ammetterlo, era molto più faticoso del lavoro precedente e di certo guadagnava un botto di meno, ma se era questo l'inizio per una vita normale, era disposto ad affrontarlo. Poi, però, ha preferito seguire la sua vocazione, ovvero il meccanico; uno dei lavoretti che faceva nel traffico, era proprio quello.

Ma a quel punto, il padre di Annie e Joe avevano stretto amicizia ed avevano un rapporto di fiducia, tanto che il vecchio signore concesse il matrimonio tra i due giovani, se volevano, ma solo dopo i diciotto anni della figlia.

E così, nel giorno del suo diciottesimo compleanno, Annie aveva potuto sfoggiare il suo bel vestito bianco e sposare Joe.


“Quindi” disse Joe ad un certo punto, abbracciando le spalle della moglie “Oggi vai dal dottore?”

La donna annuì.

“Per te cosa sarà? Secondo me è un maschietto!” cinguettò la ragazza.

“Neanche per sogno!” rispose lui, ridacchiando e abbracciandola in vita.

“Sono sicuro sarà una femminuccia!”

“Quindi hai già dei nomi?” chiese lei con un sorriso.

“Mmh...” ci pensò su lui, sedendosi dritto “Ho alcuni nomi in mente tra cui scegliere: per esempio quello di mia madre, mia madre aveva un nome bellissimo si chiamava--”

“A me piacerebbe Angel.” lo interruppe lei, con un filo di voce, tenendo lo sguardo basso.

Joe si fermò di colpo. L'atmosfera si fece tesa e densa, contrastando con la piacevole luce della camera; il ragazzo sapeva che pronunciando quel nome si stava entrando in un territorio piuttosto delicato.

Angel. La bellissima echidna bianca dagli occhi di ghiaccio.

Così dura, fredda e sfuggente, nessuno si aspettava fosse anche così fragile.

Chissà cosa stesse pensando quando prese la sua ultima, grande decisione.

Chissà cosa si fosse rotto dentro di lei. Di certo non sapeva come riaggiustarlo, dato che aveva scelto la tangenziale come punto di non ritorno.

Un incidente. Angel aveva perso il controllo della sua macchina e aveva sbandato nell'altra corsia, andando a fare un mortale frontale con un camion che non era riuscito ad evitarla. Almeno non aveva sofferto, aveva detto il medico legale, il quale parlava di una morte sul colpo.

Un tragico incide. Almeno si credeva all'inizio.

La polizia aveva deciso di fare alcune indagini, e a casa dell'echidna avevano trovato tre lettere:

la prima era aperta sul tavolo, in bella vista, per essere letta da chiunque la trovasse.

Non c'era scritto nulla di ché, a dire il vero: la confessione del suo suicidio e il testamento, che era la parte più interessante; si trattava di consegnare due lettere, una a Annie the hedgehog, e l'altra a Blaze the cat. Purtroppo, non fu mai possibile consegnare la seconda.

Per Annie è stata una tragedia: già stava male pensando che fosse stato un'incidente, immaginatevi quando scoprì che era stato intenzionale.

Era la sua migliore amica, e non ne sapeva niente; non sapeva della sua profonda depressione, non sapeva dei farmaci, dello psicologo, non aveva idea della torture fisiche e psicologiche alla quale era stata sottoposta, quella dannata notte, e di quanto esse fossero entrambe penetrare nella sua pelle e nella sua mente, senza darle tregua. Ma soprattutto, non immaginava che non avrebbe mai superato tutto questo.

Annie non riusciva a darsi pace: temeva di non aver fatto abbastanza.

Per non parlare di come chiedeva di Blaze. Dio, dov'era Blaze?! Perché non si era fatta viva, perché non aveva ricevuto la lettera? Perché non era lì, con Annie, perché non ha dato a Angel, la quale si era addirittura disturbata a scrivere una lettera tutta per lei, il suo ultimo saluto??

Che cosa ci fosse scritto su quella lettera, poi, non le era mai stato detto. Cosa aveva da dirle Angel? Purtroppo non fu mai possibile a Annie leggere quella lettere, nemmeno a Joe.

Forse avrebbe potuto impedirlo, o forse no, Joe non ne è mai stato sicuro. C'era troppa psicologia dietro, e lui sapeva che a questo punto si sarebbe solo pianto sul latte versato.

L'unica cosa che sapeva, e che voleva assicurarsi, era di non permettere pensieri simili a quelli di Angel di nascere nella testa di Annie, perché alla fine, non era poi così scontato che non accadesse.


Annie attorcigliava alcune ciocche attorno al dito in un movimento veloce e nervoso.

“Mi manca.” disse lei poco dopo, quasi in sovrappensiero, mentre osservava assente fuori dalla finestra. Joe si limitò a guardarla e a sforzare un sorriso. La baciò in fronte.

“Lo so.” sussurrò.

Annie si riprese, e le sue labbra si curvarono in un lieve sorriso.

“Quindi...” iniziò lei, con voce più squillante “Come si chiama tua madre?”

Gli occhi erano tornati a brillare e Joe poté constatare con sollievo che si era di nuovo ripresa. Avrebbe fatto di tutto per mantenerla felice, ad ogni costo.

“Non importa” ridacchiò lui “Angel è molto più bello!”



Dieci e trenta.


Riesci a sentire tutte quelle persone là fuori?

Respira.

Il buio della piccola sala le infondeva calma, il silenzio della solitudine la rilassava.

Non sarebbe durato molto, e per questo doveva concentrarsi al massimo.

Chiuse gli occhi ed inspirò.

1...2...3...respira.

Le porte si aprirono. La giovane donna venne travolta dai raggi caldi e brillanti del sole mattutino di prima estate e rapita dai numerosi flash bianchi delle macchine fotografiche.

Aprì gli occhi e si ritrovò quasi abbagliata.

“Gentili signore e gentili signori!” salutò col microfono in mano l'ex-sindaco, un tricheco panciuto sulla sessantina, vestito particolarmente elegante.

“Rivolgiamo un caloroso saluto al nuovo sindaco, Coral the betta!”

Gli applausi partirono in automatico.

Coral, la giovane pesciolina arancione, fece alcuni passi verso il pubblico emanando la sua gentile eleganza. I suoi tacchi neri si fermarono solo ad alcuni passi dalla folla, mentre si lasciava fotografare dalla cima ai piedi. Con quella gonnella verde e una professionale camicetta nera, sembrava già essere la prima cittadina perfetta, un sindaco esperto, che portava, sopra le spalle, una giacchetta verde che combaciava con la gonna.

Le sue perle luccicavano al bagliore dei flash, dandole quell'effetto di luce come se fosse appena scesa da una stella. Anzi, come se proprio lei fosse una stella.

E in un certo senso, in quella giornata speciale, lo era.

Con uno splendente sorriso sul suo angelico viso, salutò gli spettatori con la sua tipica dolcezza.

Seduti in prima fila c'erano i suoi familiari che le lanciavano baci con la mano, pieni di gioia.

All'estrema sinistra, però, non c'erano dei familiari: c'erano due posti riservati per due persone importanti nella sua vita.

Una era lì, e Coral la guardò con allegria e delizia.

Sulla sua sedia sedeva Mina; bellissima e radiante, con il suo sgargiante vestitino rosso, sorrideva di rimando al nuovo sindaco. Sulle ginocchia teneva la sua neonata, la quale stava beatamente dormendo. La giovane mangusta gialla lanciò, anche lei, un amorevole bacio con la mano, e le fece un occhiolino quasi accattivante. Rivederla faceva battere il cuore forte a Coral.

E poi guardò l'altro posto prenotato e lo trovò vuoto, intoccato, con la scritta “Riservato” ancora attaccata allo schienale.

Si trattenne dall'emanare un sospiro desolato: lei non era lì.

Cercava di auto convincersi che fosse solo in ritardo, tuttavia trovò ben difficile crederlo.

Solo Mina sembrò percepire il disagio dell'amica. Notò che stava osservando la sedia a fianco.

La giovane cantate osservò attentamente la postazione riservata, pensando, e ciò non passò inosservato a Coral. In qualche modo aveva ancora un barlume di speranza.

Ma quando Mina si girò verso di lei e la guardò negli occhi scrollando le spalle e negando con il movimento della testa, allora capì che sperare era stato inutile.

Se persino Mina non sapeva, allora voleva dire che non c'era.

Fu un colpo duro per Coral da mandare giù.

Lei non era venuta nemmeno per questo, uno dei giorni più importanti della vita della pesciolina, un giorno che sarebbe dovuto essere anche uno dei giorni più felici della sua vita.

Come poteva non importarle?? Come poteva non venire??

Dio, dov'era Blaze?

Salvatrice, compagna, amica! Coral stava dedicando tutti i suoi successi a lei! E lei non c'era.

Da quando Blaze l'aveva salutata al funerale della riccia rosa, non l'aveva più rivista, ed era una cosa che la stava distruggendo.

Perché la ignorava? Perché non le rispondeva, quando le scriveva?? Chiamarla era impossibile, per qualche ignoto motivo.

Coral aveva aspettato quel giorno con impazienza, spendendo al meglio il suo tempo per rendere tutto perfetto. E' così che sarebbe dovuto essere, quel giorno: perfetto.

Ma tutte le candeline delle sue speranze sembravano spegnersi una dopo l'altra solo per la mancanza di un elemento. Devastante quanto un solo elemento possa fare la differenza.

Ne basta uno solo per spegnere le candele. Senza ossigeno, le fiamme perdono la vita, si spengono, e rimane tutto vuoto, e soprattutto freddo.

Freddo come dentro il cuore di Coral in quell'esatto momento.

Freddo come il sudore che colava dalla fronte del nuovo sindaco, ferma a guardare una seggiola vuota, con occhi assenti e nuvolosi.

La giovane donna stava impiegando tutte le sue forze per mantenere quel sorriso radiante, ma finto, fatto di plastica.

Doveva solo sorvolare sull'assenza dalla gatta lilla. Come se fosse possibile.

Blaze, sin da quando l'aveva incontrata, era stata la sua colonna portante, anche se non la conosceva. Si era sempre fidata di lei, si reggeva su di lei, aveva sperato grazie a lei. Coral era lì, viva e a casa, grazie a lei.

Blaze era la sua luce nelle notti buie e insonni nel treno degli orrori. La gatta aveva saputo far vedere in Coral tutte le qualità che adesso, da giovane adulta, la distingueva in tutta la città.

Blaze aveva saputo infonderle il coraggio. Aveva saputo insegnarle la vera forza.

E adesso, solo a ripensarci, a Coral sembrava un ricordo troppo lontano, quasi un sogno.

Avrebbe tanto voluto ripiegarsi nel passato, qualche volta.

Guardò Mina, che con il suo sguardo premuroso poggiava gli occhi un po' sulla sua bambina e un po' alla dolorante pesciolina.

Grazie a Dio c'era Mina. A parere di Coral,non poteva trovare amica migliore della mangusta gialla. Era un angelo dai capelli viola, onestamente. Sin da quando quella brutta avventura era stata conclusa, solo la bellissima cantante era rimasta al fianco del nuovo sindaco. Era quella bomba d'aria fresca che risvegliava le candele di colpo.

Coral si rese conto che Mina era tutto quella di cui aveva bisogno: la persona che ti completa, ma non lo sa.

Si destò dai suoi pensieri solo quando la folla, entusiasta, le chiese a gran voce il discorso.

Radunò alla svelta le idee e si avvicinò al microfono.

Salutò e ringraziò i cittadini, prima di tutto.

E poi si mise a parlare di quanto fosse importante per lei la città, di quanto le stessero a cuore i suoi cittadini e soprattutto tutto quello che avrebbe fatto per onorare la sua carica.

Sì, insomma, discorsi da sindaco, che non starò qui a spiegare.

Comunque andò tutto bene, e quando finì di parlare, Coral venne accolta dagli applausi della gente.

Il frastuono le fece quasi dimenticare la mancanza di Blaze e la tristezza a riguardo. Quasi.



Ore undici e trenta.


“Chi l'avrebbe mai detto!” sbuffò, estasiata, cercando di stare al passo con il collega.

Shadow procedeva a passi lunghi e veloci, intento a fissare attentamente una fotografia che teneva in mano, sorridendo.

Deliziose notizie erano giunte da...Blaze.

Rouge, con un aggraziato colpo d'ali, si alzò in volo e si mise a sedere sulle possenti e larghe spalle del silenzioso collega di metallo, Omega. Rouge era così contenta quando lo avevano riattivato che avrebbe voluto piangere. Anche Shadow fu contento di rivedere il loro vecchio amico.


I sotterranei erano freddi e scuri. Le pareti ed il soffitto erano stai divorati dalla muffa e il pavimento ricoperto dalla polvere, tanto che non si riusciva quasi più a distinguere le piastrelle nere da quelle bianche.

Dopo tanti anni, l'ascensore suonò la sua tipica campanella, e si aprì.

“Come è stato scritto nel contratto” disse un agente uscendo dall'ascensore e seguito a ruota da altri due “Abbiamo il permesso di riattivare Omega.”

Shadow e Rouge annuirono e i tre camminarono fino in fondo a quell'enorme stanza. Poggiato ad una parete, Omega giaceva inattivo. Alcuni sue parti mancavano, tipo un braccio metallico, e il torace era stato rigato. Probabilmente erano i risultati dell'attacco al robot, dieci anni prima; Omega aveva tentato con tutte le forze di difendersi, ma alla fine la G.U.N. aveva prevalso su di lui. Poco male, comunque, avrebbero potuto sistemarlo comodamente anche dopo.

Il ragazzo che li aveva guidati, però, aveva assicurato ai due nuovi membri che le sue condizioni interne non erano state danneggiate.

Shadow e Rouge non attesero nemmeno che il loro accompagnatore riaccendesse la macchina: si gettarono sui suoi circuiti elettrici e, dopo sequenze di tasti e ricongiungimenti di fili, erano riusciti a sistemare Omega. La base per il suo funzionamento era stata impostata.

Di colpo, gli occhi del robot si accesero, emanando le sue tipiche luci rosse a laser.

Shadow e Rouge non dovettero fare altro che compiere qualche passo indietro. Ammirarono come il loro vecchio amico si stava risvegliando, e sorrisero compiaciuti.

La testa di Omega scattò, e si guardò attorno. Curioso come un robot potesse sembrare confuso.

Lentamente si alzò e scannerizzò le due figure davanti a lui.

Shadow the Hedgehog?...Rouge the Bat?...” chiese. Shadow sorrise all'amico ed annuì. Rouge lo guardò con tenerezza. Dio, quanto le era mancato tutto questo. La donna si avvicinò alla macchina, sorridente, e gli mise le mani sul petto metallico, come per assicurarsi che tutto questo fosse reale. Omega non fece niente, la lasciò fare. Poi Rouge lo abbracciò, accogliente.

“Bentornato, Omega.”



Rouge si fece trasportare da Omega, più veloce e meno stanco di lei.

“Tu! Padre!” cinguettò incredula “Che cosa ne pensi Omega?” chiese al robot, spensieratamente.

Omega fece del suo meglio per alzare le sue spalle metalliche.

Io credo che Shadow saprà essere un ottimo padre. Lui è la creatura perfetta, dopotutto.” rispose onesto con la sua tipica vociona robotica.

Shadow sorrise ancora di più.

E Blaze un'ottima madre.” continuò la macchina “La vostra creatura sarà meravigliosa.” aggiunse.

“Come siamo positivi!” commentò scherzosamente la pipistrella bianca, dando gentili buffetti al robot.

“Avete già pensato ad un nome?” chiese la donna.

“Calmati Rouge.” la frenò il riccio nero “Io stesso sto ancora assimilando la notizia.”

“E' un no?”

“Già.” Shadow si mise a giocare con l'anello dorato al suo anulare.

“...Forse dovremmo dirlo...?” iniziò Rouge, e Shadow la guardò perplesso. La donna sospirò forte.

“A Annie. A Joe. A Coral.” iniziò lei.

Sapeva che loro non l'avevano più vista dal funerale di Amy.


New Mobius Big City.

Che nome con le palle, si può dire.

Dopo la morte della riccia rosa, e dopo l'ingresso del Team Dark nella G.U.N., l'agenzia in questione aveva iniziato a fare profonde ed accurate ricerche sulla famosa città fantasma.

Nient'altro era che una città non dichiarata perché costruita illegalmente.

La situazione delle schiave e del traffico sessuale non era così grave come si era pensato: la maggior parte di esse, dopo un periodo di alcuni anni, venivano trasformate in cittadine a tutti gli effetti, ma ad alcune condizioni; mai lasciare la città, mai parlare con qualcuno fuori della città. E così, si sono abituate a vivere in quella bellissima prigione incantata. Le infermiere che hanno accudito ( per quel che potevano) Amy, quando l'aveva vista per la prima volta, l'avevano riconosciuta subito come una di loro, accogliendola così senza troppe domande.

Quel gentile signore al quale Blaze, Mina e Coral avevano chiesto informazioni era, in realtà, uno dei fondatori: architetto illustre, aveva perso tutto quello che aveva per il suo vizio di bere, facendosi anche lasciare dalla moglie. Disintossicato, ma senza più nulla, aveva accettato di collaborare alla creazione della più illustre città mai progettata: NMBC. Una città dai sistemi perfetti, e dopo aver preso la sua danarosa pensione, il vecchio aveva deciso di passare il resto dei suoi anni nella pace di quella misteriosa metropoli.

Dopo una confessione del genere, venne arrestato insieme a tutti quelli coinvolti, e le ragazze vennero finalmente riportate a casa, anche se sembravano molto incerte, come se non fossero sicure di volerlo davvero.

Rouge aveva finalmente potuto mettere la parola “fine” al rapporto che doveva compilare.

Shadow e Rouge, insieme al Comandante, avevano raggiunto un accordo: Blaze aveva commesso un crimine e avrebbe dovuto essere condannata con l'accusa di pluriomicidio. Tuttavia, il risultato delle sue gesta -se possiamo chiamarle così- ha portato alla risoluzione di un caso durato fin troppo a lungo, e ha riportato a casa tante, tante vittime. Sarebbe stato ovvio che, se l'avessero imprigionata, si sarebbero incattiviti le stesse vittime e i parenti.

Il Comandante aveva deciso di evitare un simile scenario, almeno per il momento.

Blaze se ne sarebbe tornata nella sua dimensione con la fedina penale pulita come l'aveva lasciata nel suo mondo, ma non avrebbe più dovuto rimettere piede a Mobius, pena le sbarre a vita.

Doveva sparire come era arrivata: nel nulla, e senza lasciare tracce.

Per questo Shadow e Rouge si erano impegnati a staccare i lacci tra Blaze e Mobius, ma era impossibile estirparli completamente.


“E' da mesi che torturano Blaze con lettere.” ripresa la donna “Dovremmo dirgli che quelle lettere non le possono arrivare-”

“Ne abbiamo già parlato Rouge.” tagliò corto Shadow, sapendo dove il discorso sarebbe andato a finire.

“Noi possiamo fare il nostro meglio per consegnarle, ed è tutto.” spiegò, mettendo via la foto della moglie incinta e Marine.

“Nessuno deve sapere che lei è in un'altra dimensione.”

“Una volta ogni quattro o cinque mesi non è abbastanza!” ribatté Rouge.

“Blaze ha perso un incontro importante perché la lettere le era stata inviata 'solo' un mese fa. Quando le consegneremo la posta di tutti questi mesi non varrà più niente.” continuò la bianca, iniziando ad alzare la voce.

“Dannazione, donna! Vuoi metterla in prigione?!” urlò lui, inasprendosi.

“No, se non si fa beccare!” rispose la pipistrella. Shadow prese un bel respiro e si calmò. Il tono di voce si abbassò.

“Facciamo quello che possiamo.” rispose il collega, abbassando lo sguardo per terra. Rouge incrociò le braccia al petto, e lo guardò spazientita.

“Tu leggi le sue lettere?” chiese il riccio.

“Dato che lei non può.” rispose l'amica, alzando le spalle nervosamente.

Omega guardava i due in silenzio. La loro mentalità era nettamente cambiata in sua assenza. Dieci anni sono tanti da recuperare, e per una macchina è naturalmente più difficile “aggiornarsi” sulle relazioni tra le persone. Quando l'avevano “risvegliato”, le sue prime immagini furono Shadow e Rouge che lo salutavano con un caldo sorriso. All'inizio non capiva: erano loro, di sicuro, ma dieci anni in un colpo solo è...impressionante.

Shadow continuava a far girare l'anello nuziale attorno al dito.

“E' difficile anche per me, ok?” disse, più duro di come avrebbe voluto. L'espressione sul viso della collega si addolcì.

“Io amo Blaze! Siamo sposati eppure sono costretto a vederla solo qualche volta. Sto per avere un figlio con quella donna e non so nemmeno se assisterò alla sua nascita. Tutto quello che voglio è restare con loro...!” la sua bocca si bloccò. Anche i suoi movimenti si bloccarono. Il gesto lasciò in sospeso i colleghi, i quali lo guardarono sorpresi, ma anche preoccupati.

“Che cosa sto facendo...” sussurrò.

“Shadow?”

“Cosa ci faccio ancora qui?!” ed iniziò a correre. Dove? Beh, dal suo capo, ovviamente.

Omega e Rouge lo seguirono a ruota, volando e correndo veloci e chiamando il suo nome.

Shadow richiamò l'ascensore , premendo con troppa ed inutile forza il bottone di richiamo. I due colleghi lo raggiunsero.

“Shadow, che ti passa per la testa!?” chiese a gran voce Rouge, ansimando.

“Rouge, mi faccio licenziare!”

La donna si bloccò di colpo. Lo guardò dritta negli occhi.

“...Cosa?...” chiese, incredula.

Shadow picchiettò ripetutamente alcuni pugni sul tasto dell'ascensore, come se fosse convinto che così sarebbe arrivato più in fretta.

“Sì Rouge!” confermò alla donna, rivolgendo tutta l'attenzione su di lei “Io qui ho finito!”

“Ma di che parli?”

“Non ho nessun motivo per rimanere qui!” urlò lui, e poi cadde il silenzio tra i due.

Un silenzio tombale ed agghiacciante.

Shadow realizzò che non erano quelle le parole che avrebbe voluto utilizzare. Detta così assumeva un irrispettoso significato.

E aveva ragione a temere.

Rouge lo guardò immobile. Si sentiva spezzarsi dentro.

Lei non era una ragione valida? Il team?? Davvero non stava considerando il fatto che senza di lui lei rimaneva sola??

Lei...non aveva altri amici... e quei pochi che aveva, li aveva persi negli ultimi dieci anni da criminale.

Come poteva farle questo?!

Ma poi realizzò... come lei poteva fargli questo?

Il silenzio venne spezzato pochi secondi dopo solo dalla campanella dell'ascensore. Esso si aprì e, con passo un po' reclutante, Shadow ci entrò. Rouge si sentiva paralizzata, tuttavia fece uno sforzo ed entrò anche lei, prima che le porte si chiudessero dietro di lei.

Omega non entrò, guardò l'ascensore chiudersi con dentro i suoi colleghi usciti freschi freschi da una situazione piuttosto delicata.

C'erano alcune cose che si stava chiedendo: avrebbe dovuto dire qualcosa? Avrebbe dovuto convincere Shadow a cambiare idea? O l'avrebbe fatto Rouge?

Ma tanto Omega sapeva già che tipo fosse Shadow: se il riccio nero avesse mantenuto anche solo una minima percentuale dell'ambizione che aveva Shadow dieci anni prima, allora bisognava star pur certi che il riccio nero aveva già preso la sua irreversibile decisione.


Una musichetta rilassante stava suonando dagli altoparlanti dell'ascensore.

Ma l'atmosfera tra Shadow e Rouge non era un cazzo rilassata.

Il riccio evitava di guardare la collega negli occhi, lasciando però che la punta del suo piede dimostrasse il suo nervosismo picchiettando ripetutamente.

Rouge si stava sfregando un braccio, nervosa anche lei, ma al contrario dell'amico si assicurò di guardarlo bene in faccia.

Dopo u po', Shadow si sentì di parlare.

“Senti Rouge...” iniziò lui, indeciso sulle parole da esporle “Non è quello che intendevo dire.”

“Di che parli?”

“Lo sai bene di che parlo!” scattò lui “Di quello che ho detto prima. Che non avevo nessun motivo per restare.” spiegò.

“Io ho concluso il caso del commercio degli schiavi. Ho avuto le risposte che cercavo, so come si conclude la storia, e soprattutto sono certo che si sia conclusa.” prese un bel respiro, e poi continuò con la sua spiegazione “Ho ripagato il mio debito con la G.U.N. e la società. Abbiamo sbattuto al fresco tutti i criminali che avevamo aiutato in passato; non so te, ma io mi sento leggero adesso...libero,oserei dire. E adesso, da qualche altra parte, c'è qualcuno che ha bisogno di me: Blaze. Lei è la mia famiglia. Sono abituato a correre in soccorso quando si tratta di crimine, ma ho capito che aiutare qualcuno non significa sempre mettere in cella qualcun altro. Aiutare significa ricevere gioia a conti fatti. Blaze ha bisogno di me, che la aiuti: solo così saremo una famiglia, solo così avrò la vera gioia, quello che ho sempre cercato nel mio lavoro.” e finì la frase tirando un respiro di sollievo, perché finalmente aveva potuto dire quello che pensava, quello che intendeva.

Rouge lo guardò sbalordita, con gli occhi spalancati: tutto quello che Shadow voleva era di sistemarsi, e lei stava solo giocando per i suoi stessi interessi.

Che egoista che sei Rouge. Pensava, Egoistica ed egocentrica.

La donna mostrò un leggero sorriso, dolce e caritatevole.

“E tu pensi che ti lascerei andare da solo dal grande capo?” chiese lei ridacchiando divertita. Anche Shadow accennò ad un sorriso. L'ascensore suonò la campanella: erano arrivati. Le porte si spalancarono.

Sul volto di Rouge era di nuovo spuntato un sorriso accattivante.

“Questa la voglio proprio vedere!”



Ore quindici.


Rouge respirò a fondo l'aria fresca delle colline incontaminate. L'erba ondeggiava morbida al muoversi del vento.

Anche Shadow inspirò la frescura della brezza di tarda primavera.

Omega guardava un po' il paesaggio intoccato di campagna, con il suo prato incolto e verde e il suo cielo celeste e privo di nuvole, e un po' i suoi compagni, alternando.

Dire che convincere il Comandante a lasciare Shadow è stato difficile, non è esatto: è stato impossibile. Quindi sì, adesso Shadow stava tagliando la corda.

“Bhe, qui ci dobbiamo salutare.” disse Shadow, posizionando uno strano congegno per terra.

Quell'aggeggio gli era stato donato da Hope, e serviva come portale. Esso era alimentato a chaos energy: l'energia degli smeraldi del Chaos. Tirò fuori dalle sue spine non uno ma ben due smeraldi e li posizionò in due contenitori metallici attaccati al macchinario, proprio come Hope gli aveva detto di fare. Le luci si attivarono e la macchina creò un portale: stava funzionando.

Shadow si girò verso i suoi amici.

Rouge lo guardò con un misto di tenerezza e tristezza, e poi sospirò.

“Mi mancherai, bellissimo.” disse piano, con un sorriso triste.

Shadow si avvicinò a lei. Si fermò a distanza di un passo, e poi, con gran sorpresa della giovane donna, l'abbracciò forte.

“Grazie di tutto Rouge.” le sussurrò Shadow, come non aveva mai fatto “Grazie per essermi sempre stato vicino. Sei l'amica migliore che potesse mai esistere.” le disse, con immensa gratitudine.

In quel momento, Rouge si sentì come se tutto il dolore, la tristezza, il disagio passati accanto al riccio nero fossero stati sciolti. Si sentì come se tutti quegli anni fossero serviti a qualcosa. Si sentì veramente apprezzata per la persona che era, e non più per l'agente che aveva dimostrato di essere durante il suo lavoro.

Non ce la fece a trattenere le lacrime e pianse. Ricambiò l'abbraccio del riccio con una stretta così forte che Amy levati proprio.

“Ti voglio bene scemo.” gli disse amorevole tra le lacrime.

“Anche io.” le rispose il riccio allo stesso modo.

Stessero secondi eterni così, poi lei si staccò bruscamente.

“Sciò sciò!” ridacchiò lei tra le lacrime “Lo sai che non mi piacciono gli addii!” disse lei, asciugandosi il fiume che le usciva dagli occhi, “Saluta Omega e affrettati! Blaze ti starà aspettando!”

Shadow annuì, e si dirisse verso Omega con il palmo proteso, pronto per stringergli la mano.

Invece Omega lo accolse in un mega abbraccio.

Addio Shadow the hedgehog!” salutò il robot “Verrai a farci visita in futuro?

“Certo che sì!” rispose Rouge al posto suo “Altrimenti vengo io a prenderti a calci!” promise ridacchiando.

“E poi” aggiunse, mettendosi una mano sul cuore “Ho un nipotino da conoscere, una volta nato.” disse, facendo l'occhiolino a Shadow.

“Sicuro.” confermò lui. “Quando volete, fate pure un salto.”

E poi salì sulla piattaforma e sentì i suoi congegni mettersi in azione.

“Ci mancherai!” esclamò Rouge in extremis.

Concordo!” esclamò a sua volta il robot.

Shadow rise forte, contento, e fu tutto quello che Rouge e Omega sentirono prima che un'abbagliante luce fosforescente verde facesse sparire di prepotenza il corpo di Shadow. La macchina aveva funzionato, Shadow era stato teletrasportato.

I due rimasero in completo silenzio per alcuni secondi, fissando il portale.

“Credi che sia andato?” chiese Omega alla fine.

“Sì, credo sia già dall'altra parte.” confermò la donna, e tolse gli smeraldi dalla macchina, la quale si spense in mancanza della preziosa energia.

Sai” iniziò Omega, guardando la collega, la quale rimase voltata a mostrargli le spalle “Avrei scommesso che avresti fatto di tutto per farlo rimanere, persino costringerlo con la forza, se necessario.

La donna ridacchiò.

“Sai, l'avrei anche fatto, all'inizio. Ma poi ho capito che non potevo impedirlo. Vedi” spiegò lei, finalmente girandosi per guardarlo negli occhi rossi “Io ho sempre voluto che lui andasse avanti, che superasse la morte di Maria e tutti quei brutti ricordi sull'ARK. L'ho sempre spronato a guardare avanti, di lasciarsi il passato alle spalle, di costruirsi un futuro. E ora che ha fatto tutto questo, mi sono resa conto che adesso sono io l'unica che è ancora attaccata al passato.” spiegò, asciugandosi una lacrima prima che scappasse dall'occhio.

“Tutto quello che volevo era che ritornasse tutto come prima, e un anno fa, quando ci siamo riuniti nel Team Dark ancora una volta, mi sono illusa che potesse essere possibile, che il mio desiderio si fosse avverato. E invece nulla è come prima, Shadow è andato avanti mentre io ho ignorato il mio stesso consiglio. Sciocca, non è vero?” chiese con un filo di voce, dando a Omega un forzatissimo sorrisetto.

Sciocca no, casomai incoerente.” rispose l'amico robot.

Quelli erano veramente bei tempi. Sai, quando noi eravamo un vero team, unito, che combatteva per questo mondo incondizionatamente. E' nostalgia Rouge, è normale che tu ne soffra.” Omega le poggiò delicatamente una mano sulla spalla. La donna sorrise, consolata.

Adesso che facciamo? Torniamo alla base?” chiese Omega, indeciso, mentre prendeva da terra il congegno di Hope. La pipistrella bianca ridacchiò maliziosa.

“No Shadow, no party.” rispose con un sorriso accattivante.

“Oggi ci prendiamo la giornata libera. Se mi sbrigo, magari posso trovare ancora Knuckles che fa compere al mercato.”disse, alzandosi in volo.

“Anzi” disse, volteggiando verso la città “Ripensandoci, Omega hai mai tentato di rubare una pietruzza grande come il Master Emerald?” chiese, con gli occhi che le brillavano.

“No.” rispose il robot, seguendola a ruota con il portale sottobraccio. 

Per lui il tempo rimaneva un mistero. E' incredibile come cambia, ma soprattutto come fa cambiare.

N.A: E'. FINITA.

Ringrazio tutti quelli che mi hanno seguito fino ad ora, e spero che la storia vi sia piaciuta!

E' stato bello ragazzi! Alla prossima avventura!


   
 
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