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Autore: eian    04/06/2017    1 recensioni
Un virus che colpisce i telepati, mortale per i vulcaniani, si sta diffondendo sul pianeta Cetacea e rischia di propagarsi per l'intero quadrante, con effetti devastanti. L'Enterprise del capitano Kirk deve indagare sulla possibile origine sintetica del virus e il suo legame con una sperduta località su Vulcano.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: James T. Kirk, Leonard H. Bones McCoy, Nuovo Personaggio, Spock | Coppie: Kirk/Spock
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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Avete sentito la mia assenza ? spero di sì...
"Il vento sferzante li aggredì e il sole li abbagliò facendoli lacrimare dolorosamente.
“Sì, credo proprio di odiare questo pianeta” pensò Kirk, il sapore della sabbia in bocca che risvegliava dolorosi ricordi..."

Sabbia rossa

Kirk si era ritrovato ferito mortalmente in diverse occasioni nella sua movimentata carriera, quindi di certo non poteva lamentarsi del suo stato attuale, ma di fatto era stato centrifugato contro le paratie della navetta e si sentiva veramente ammaccato.
E impotente.
Quello era anche peggio.
Lui odiava quella sensazione, la frustrazione poteva spingerlo ad azioni sconsiderate molto più della rabbia o della disperazione.
Era bloccato senza via d’uscita dal campo di forza mentre l’andoriano alla guida della navetta sfuggiva all’Enterprise in un modo che avrebbe trovato ammirevole, in altre circostanze.
Spie e allarmi di tutti i generi avvisavano di una moltitudine di guasti ma l’andoriano li ignorava completamente, dando anzi l’impressione di divertirsi.
La navetta fece un’improvvisa giravolta e Kirk andò nuovamente a sbattere su una leva.
- Adesso basta, non sono una divisa in lavatrice! Fammi uscire così posso almeno agganciarmi da qualche parte! – sbuffò quando riprese fiato.
- Dillo ai tuoi amici là fuori, pelle-rosa, non vogliono mollare la presa – Un’altra manovra evasiva, ma stavolta scattò un allarme più insistente degli altri.
- Perdiamo propulsione – dichiarò il pilota. Ma questo Kirk l’aveva già capito dal cambiamento nel suono della curvatura.
Il suo sguardo venne attratto dallo schermo: qualcosa in quel che vedeva gli era dannatamente familiare.
Il pianeta al centro cominciò ad ingrandirsi, troppo in fretta per i suoi gusti.
- Ti libero, vieni ad agganciarti alla poltrona del copilota. Ti avverto: non è il momento di fare scherzi, umano: dobbiamo salvare la pelle… azzurra o rosa che sia – urlò l’alieno sovrastando le sirene.
Non appena il campo di forza si spense Kirk si lanciò sul sedile, attivando i braccioli e le bretelle di sicurezza.
Il pianeta sullo schermo si era ingrandito parecchio e Kirk sussultò, riconoscendolo.
Stavano precipitando.
Su Vulcano.
“che razza di ironica morte è mai questa” pensò, mentre la navetta si schiantava su una gigantesca duna di sabbia rossa.
  
40 Eridani, Vulcano.
L'aria rovente e rarefatta lo colpì come una cosa fisica, aggredendo i suoi sensi con la nota ferocia.
Sentì il proprio organismo reagire automaticamente, il respiro e la traspirazione rallentare, la seconda palpebra chiudersi a schermare la retina come uno schermo polarizzato naturale.
Poteva sentire l’odore della sabbia cotta dal sole, l’energia elettromagnetica sviluppata dall’attrito dei granelli di sabbia eternamente rotolati dal vento gli uni sugli altri.
I sottili capelli neri si agitarono lievemente alla brezza.
Vulcano.
Casa.
Sollevò il cappuccio della tunica tradizionale da viaggiatore vulcaniano che aveva scelto per la missione.
 
 
Vulcano.
L’ ondata di calore la colpì come un cosa fisica, tangibile, riverberando cocente dalla sabbia dorata.
Gli occhiali avvolgenti si polarizzarono automaticamente alla massima intensità, permettendo ai suoi occhi troppo chiari di vedere attraverso la luce abbacinante.
Nonostante la tuta e la sofisticata attrezzatura il suo corpo impiegò qualche tempo ad adattarsi.
Scrutò il suo compagno, apparentemente imperturbabile come suo solito, la semplice tunica agitata dal vento incessante.
Tuttavia qualcosa emanava da quella figura immobile, un lucore emotivo pallido come la luce delle stelle di notte...
Casa.
La figura di volse verso di lei, lo sguardo fermo come la roccia circostante.
- Andiamo - disse soltanto. Discesero la parete scoscesa e si misero in cammino lungo il canalone.
 
Quando 40 Eridani fu alto sulle loro teste decisero di fermarsi a riposare in una grotta.
Non avevano potuto contattare il monastero poichè una tempesta ionica,  fenomeno non inusuale in quella regione, bloccava le comunicazioni tra la superficie e l’orbita e Spock non aveva voluto rivolgersi alle autorità prima di aver indagato sulla fonte di quelle trasmissioni.
Avevano perso le tracce della navetta per lo stesso motivo: si era letteralmente tuffata nella tempesta ionica disperdendo la traccia residua che li aveva guidati fin là.
Spock non era stato sorpreso e non avendo modo di individuare la navetta aveva deciso in base a quella che poteva solo essere chiamata intuizione di indagare sull’unica struttura presente nella zona.
Era la sola cosa logica da fare, si era ripetuto quasi autoconvincendosi.
Avevano dovuto teletrasportarsi ai margini della zona colpita dalla tempesta, a circa un giorno di distanza a piedi dal monastero.
Nella grotta l'unica compagnia era il rumore del vento tra le rocce.
T'Mar era stanca, una stanchezza profonda che coinvolgeva corpo e mente.
Lasciò la mente libera di fluttuare in quel nimbo ovattato che erano ormai i suoi pensieri.
Leonard.
Tutto ruotava attorno a quella flebile percezione di lui che riempiva ogni anfratto della sua consapevolezza, riscaldandola.
La figura di fronte a lei sedeva immobile, lo sguardo fermo antico come la roccia e tuttavia la tensione evidente sugli zigomi marcati.
La tempesta aumentò di intensità; scariche elettrostatiche crepitavano attorno all'imboccatura della grotta facendo esplodere la roccia incrinata dal tempo.
Sospirò tra se’ ma il vulcaniano sollevò comunque lo sguardo su di lei.
- Tenente, dovrebbe riposare. Abbiamo ancora diverse ore di cammino per arrivare al monastero -
Aveva percepito chiaramente il piccolo sussulto mentale che la cetaciana dalla pelle cerulea aveva emanato.
La  donna appariva esausta e lui poteva capire esattamente quanto lo fosse.
Sembrava infinitamente fragile ma era una sensazione ingannevole, la sua forza era superiore a quella umana e le sue capacità mentali sfidavano le sue.
Tuttavia non poteva evitare di provare un senso di... protezione?  Nei suoi confronti. E di ammirazione, dovette ammetterlo.
Quasi sorrise al pensiero del suo amico Leonard e della sua felice scelta. Ovviamente persone così non vivevano vite tranquille in case piene di animali domestici...
- Qualcosa la diverte comandante? - Alzò un sopracciglio.
Ecco, questo era qualcosa che non gradiva di lei, la sua capacità di percepire i suoi più lievi guizzi emotivi che sfuggivano persino al suo capitano.
Si arrese con garbo.
- Soltanto una casuale immagine mentale di una improbabile vita di coppia di lei ed il dottor McCoy con molteplici felini in casa - Percepì il suo divertimento.
- Perché non una famiglia di tribli invece?- propose lei impassibile.
Non potè reprimere un moto di disappunto al ricordo di quelle bestiole pelose e disdicevolmente attraenti che avevano invaso l'Enterprise una volta.
- Non credo che il dottor McCoy gradirebbe... - si interruppe al sorrisino che spuntò sulle labbra della donna.
- Credo mi abbia appena preso in giro, tenente Layrys  - Lei ridacchiò.
 - I miei complimenti.  Era da tempo che qualcuno non "me la faceva" per apostrofare il capitano -
La donna rise apertamente e persino lui non poté negare un certo rilascio di tensione mentale.
Non sorrise, ovviamente. Ma era tentato.
- Ora riposi - la vide pronta a protestare - per favore-
Come si aspettava T'Mar capitolò di fronte alla cortesia.
Come Leonard. Proprio un scelta logica da parte del suo illogico amico umano.
Un ruggito non troppo lontano all'esterno della grotta sembrò concordare con lui.
 
Fu svegliata dal silenzio.
Era scivolata in un dormiveglia lieve nonostante la resistenza posta al sonno.
Sperò che le sue barriere mentali non si fossero abbassate troppo.
Si sollevò a sedere e prese un sorso d'acqua.
Spock non era presente.
Si guardò intorno e notò che la grotta continuava dopo una svolta nascosta. Dedusse che il vulcaniano si fosse inoltrato nel cunicolo in esplorazione, la curiosità del suo comandante era cosa nota nonostante lui la negasse come un’emozione umana...
Un rumore. Come un ticchettio sulla roccia. E come passi in corsa…
Si alzò con la borraccia in mano.
Il suono divenne quasi un rombo e il suo algido primo ufficiale piombò correndo nella stanza come una cascata.
- Corra!- esclamò senza perdere un passo. Lei reagì immediatamente correndo verso l’uscita della grotta, mentre un’ombra nera alle sue spalle sbucava dal cunicolo riempendo quasi completamente lo spazio interno.
Saltò fuori dal foro di ingresso e rotolò giù per il pendio roccioso fino alla valle sottostante, seguita più elegantemente dal vulcaniano che procedeva correndo alla massima velocità.
La sollevò per un braccio e ripresero a correre, mentre il le matya sbucava all’esterno nella notte illuminata da T’Khut e da milioni di stelle, così evidenti nell’aria rarefatta e secca del pianeta.
Ovviamente, non c’era tempo per ammirare le stelle, dal momento che uno dei predatori più feroci di un pianeta notoriamente spietato li stava inseguendo piuttosto infastidito.
Corsero lungo il fondo roccioso del canalone; la bestia sembrava leggermente confusa e li seguiva fermandosi ogni tanto, altrimenti non avrebbero avuto nessuna possibilità: evidentemente era ancora stata risvegliata durante il suo letargo.
- Di qua – chiamò Spock, risalendo il costone di fronte.
Si arrampicarono velocemente, poi il vulcaniano sparì inghiottito in una apertura.
T’Mar gli saltò sopra senza troppi complimenti proprio mentre il predatore allungava una zampata nella sua direzione: sentì lo spostamento dell’aria provocato dagli artigli tra i capelli, dove un istante prima c’era stata la sua testa.
Atterrò letteralmente sopra il suo comandante ed entrambi ruzzolarono sul fondo sabbioso dell’apertura pochi metri più in basso.
Senza fiato, videro la luce proveniente dal foro svanire mentre un paio d’occhi allungati e totalmente neri li fissavano dall’alto.
Il bestione fece un pigro tentativo di infilare la zampa nel foro, ma questo era troppo stretto per lui e dopo qualche minuto lo sentirono allontanarsi con un grugnito insoddisfatto.
Il vulcaniano si accorse di essere sdraiato sopra il tenente in un atteggiamento molto protettivo e la cosa lo disturbò: cominciava a trattare il suo secondo come trattava McCoy.
Mentre si spostava da quella posizione, la donna si rialzò, poi gli tese una mano per aiutarlo a sollevarsi, tirandolo su con una forza che gli ricordò quando poco fragile in realtà lei fosse.
- Come sta tenente? – si informò, notando del sangue di un pallido celeste filtrare attraverso il tessuto della manica della tuta.
- Abbastanza bene credo… un po’ ammaccata dal salto. Credo sia solo una graffio – solo allora lei si accorse di tenere ancora in mano la borraccia dell’acqua.
- Un caso veramente opportuno che lei l’abbia salvata, non credo potremo tornare nella grotta a recuperare il resto dell’attrezzatura – commentò il vulcaniano sollevando un sopracciglio.
Avrei voluto avere un phaser invece, ma suppongo di non potermi lamentare – ridacchiò la risiana.
Esplorarono la situazione, ma non c’era molto da vedere; la cavità era poco più larga di un pozzo e l’apertura era a circa tre metri di altezza.
- Dovrà salire sulle mie spalle, tenente, e raggiungere il bordo –
- No signore, lei dovrà salire sulle mie, non credo di poterla sollevare una volta uscita –
Lui la guardò scettico: era decisamente meno alta di lui e piuttosto sottile di corporatura.
- Crede di potercela fare? Non credo di raggiungere un’altezza sufficiente comunque – fece notare.
- Si fidi – Lei gli fece staffa con le mani, poi lui si arrampicò  fino ad essere in piedi sulle sue spalle.
- Non raggiungo comunque il bordo – commentò.
- Quanto le manca? – chiese lei con voce assolutamente normale.
- 0.5 metri circa –
- Venga giù, faremo diversamente. Le piace il Circo? – sogghignò la risiana.
- Mi scusi?- chiese lui perplesso, scendendo con un balzo.
- Prenda quei tre metri di rincorsa e salti sulle mie mani a staffa, la lancerò verso l’alto –
- Le sopracciglia di lui scomparvero sotto la frangia assurdamente ordinata.
Rettificò la sua opinione sulla donna: in quel momento era più simile ad un certo capitano che al dottor McCoy…
Lei si inginocchiò ma senza posare il ginocchio a terra, caricando i muscoli delle gambe come un corridore alla partenza, allacciò nuovamente le mani a staffa e disse:
- Prenda esattamente le misure dei suoi passi, al mio tre. Uno.. due… tre! – Il vulcaniano fece tre passi esattamente uguali, l’ultimo sulle mani allacciate.
Lei simultaneamente si sollevò lanciandolo verso l’alto con una forza davvero inaspettata.
Lui si ritrovò quasi a volare verso il foro, afferrandosi al bordo e tirandosi su.
Riprese fiato per un istante, poi si slacciò la lunga cintura della tunica e la usò per aiutare il tenente ad arrampicarsi fuori a sua volta.
- Si sente in grado di proseguire o ha necessità di riposare? – le chiese
- Credo dovremmo toglierci dai paraggi, il bestione potrebbe decidere di volere la colazione dopotutto… -
Lui annuì e si avviarono sotto lo sguardo impassibile di T’Khut.
 
 
Vulcano.
Avrebbe riconosciuto quel pianeta ovunque nell’universo, l’inconfondibile colore della sabbia che copriva l’oblò.
Ma non solo per quello.
Forse per le numerose volte che l’aveva visitato. Forse per la sensazione che gli proveniva dal legame con Spock.
Più probabilmente per il trauma della sfida mortale che vi aveva sostenuto tanti anni addietro nell’arena del Pon Farr, mentre il suo primo ufficiale trasformato in un letale assassino primordiale aveva cercato in tutti i modi di ucciderlo.
Il ricordo del sapore del sangue e di quella dannata sabbia rossa in bocca mentre il buon dottore lo dichiarava morto non sarebbe mai sbiadito.
Per non parlare della voce di Spock quando aveva realizzato l’enormità del suo gesto… Aveva contenuto un dolore che gli aveva trapassato l’anima.
lunga vita e prosperità Spock” salutò la sacerdotessa
“Non avrò né l’una ne’ l’altra, perché ho ucciso il mio capitano… e il mio amico”
“Credo di odiare Vulcano” pensò per un istante, finchè la mente gli si schiarì a sufficienza da rimuovere le costrizioni di sicurezza che ancora lo tenevano agganciato alla poltrona e scivolando sul pavimento notevolmente inclinato della navetta.
Si avvicinò all’andoriano, ancora allacciato al sedile e privo e di sensi; gli sottrasse il phaser e ne controllò le condizioni: a parte un’antenna piegata in un angolo innaturale, non riscontrò altri traumi visibili.
Recuperò una cassetta di pronto soccorso dal retro della navetta, si iniettò un antidolorofico per alleviare il dolore di tutte quelle contusioni e cercò qualcosa per l’alieno. Non aveva idea di come medicare un’antenna, così applicò una crema antibiotica generica e avvolse una delicata bendatura che raddrizzò la protesi azzurro pallido in una posizione apparentemente più naturale. Non si azzardò a stringere troppo, sapeva che per gli andoriani le antenne erano organi molto sensibili.
Quando la piccola protuberanza fu raddrizzata, l’andoriano riprese i sensi.
Allungò una mano a tastarsi la bendatura, poi  lo fissò intensamente e Kirk fu certo di avvertirne la presenza telepatica.
- Il dolore per il trauma all’antenna mi ha fatto perdere i sensi. Mi hai curato, Umano. Grazie –
- Faceva davvero impressione, non ho potuto semplicemente lasciarla così piegata. Ora, se non ti spiace, contatterò la mia nave per farmi recuperare e tu verrai con me. Hai molte cose da spiegarmi – replicò il capitano, puntandogli il phaser contro.
- Non credo che sarai in grado di contattarli – replicò l’alieno, muovendosi lentamente verso la consolle e premendo alcuni pulsanti: il pannello rimase muto e spento – la nave è completamente fuori uso e siamo nel mezzo di una tempesta ionica, non possiamo contattare né essere rilevati –
Kirk controllò a sua volta e dovette concordare con l’andoriano.
- Prima dello schianto ho rilevato la nostra posizione, è sul mio tricorder. Siamo a circa un giorno di cammino dalla mia originaria destinazione, un antico monastero in mezzo al deserto. Le persone che mi aspettano non ti sono ostili, credo che dovremmo raggiungerle. Io completerò la mia missione e me ne andrò per la mia strada e tu potrai provare a contattare la tua nave, scommetto che è in orbita alla tua ricerca come un cagnolino che rivuole il suo osso preferito –
- Prima rivoglio indietro i miei dati prelevati su Cetacea e delle risposte – In quella un allarme cominciò a risuonare fioco ma insistente.
- Frattura del nucleo a curvatura con fuoriuscita di radiazioni, dobbiamo lasciare immediatamente la nave – esclamò l’andoriano. Kirk balzò in piedi, agguantò un pacco di razioni di emergenza e aiutò l’alieno a trascinarsi verso il portello posteriore, che sembrava bloccato dalla sabbia; insieme dovettero spingere con tutte le loro forze mentre l’allarme diventava sempre più incalzante.
Alla fine il portello cedette con una pioggia di sabbia rossa che quasi li seppellì e gattonarono fuori tossendo e sputacchiando.
Il vento sferzante li aggredì e il sole li abbagliò facendoli lacrimare dolorosamente.
“Sì, credo proprio di odiare questo pianeta” pensò Kirk, il sapore della sabbia in bocca che risvegliava dolorosi ricordi.
Si alzarono e si allontanarono il più velocemente possibile dalla navetta.
  
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