Serie TV > Braccialetti rossi
Segui la storia  |       
Autore: Civaghina    04/06/2017    1 recensioni
Com'era la vita di Leo, prima della terribile scoperta della Bestia?
Com'è cambiata la sua vita quando si è trovato davanti ad una verità così devastante?
La storia di Leo prima di Braccialetti Rossi, ma anche durante e dopo: gioie, dolori, amori, amicizie, passioni, raccontate per lo più in prima persona, sotto forma di diario.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leo, Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Appena sveglio sono già di cattivo umore.

Fisicamente mi sento un po' meglio.

Nonostante, prima di staccare dal turno di notte, Laura mi abbia tolto la flebo col cocktail di farmaci, tutti i brutti sintomi di chemio e derivati non si sono ancora ripresentati.

C'è da scommettere, però, che per colpa dell'anemia la Lisandri mi terrà ancora segregato in questa stanza.

La colazione ha lo stesso saporaccio metallico di tutto quello che ho mangiato negli ultimi due giorni.

Ho trovato ancora capelli sul cuscino.

Tanti.

Si comincia a notare la differenza.

Io la noto.

Ci sono dei buchi che è difficile nascondere.

Ma con un po' di gel e molta pazienza ci riesco.

Sono davanti allo specchio del bagno ad ammirare il mio lavoro appena ultimato, quando sento la voce di Ulisse: "Leo!"

"Che c'è?" gli domando uscendo dal bagno.

"Te stai a fà bello per la tac? Forza, monta su che andiamo!" dice avvicinandosi con la sedia a rotelle.

La tac!

Me l'ero completamente dimenticata.

Beh, almeno con questa scusa potrò uscire da questa stanza.

"Sì, però, io quella cosa non la voglio..." esclamo indicando la carrozzella. Mi farebbe sentire ancora più malato.
"Ah Leo, non stà a fà storie, su!"
"Voglio camminare con le mie gambe! Non sono ancora ridotto così male!"

"Senti, o te siedi qua, o te carico in spalla come un moccioso!"

"Eddai Ulisse! Non esco da questa stanza da dieci giorni! Ti rendi conto? Dieci giorni! Avrò il diritto di camminare fino a radiologia, almeno, no?!"

"E vabbè!" sospira Ulisse scuotendo la testa. "Ma te dico subito che se pensi de svenì ancora, io stavolta te lascio lungo disteso sul pavimento!"


E' piacevole uscire dalla mia stanza dopo tanti giorni.

Non è piacevole che l'abbia appena definita la mia stanza.

Non è piacevole andare a fare una tac al torace.

Stavolta è senza contrasto, quindi sarà del tutto indolore, e magari me la fa pure la Bella Radiologa, però ho paura e ce l'avrò finché non mi diranno che è tutto ok.

La faccia che aveva la Lisandri quando mi ha detto di questa tac non sembrava preoccupata, solo scrupolosa.

Per dare un'occhiata.

Niente di più.

Però una parte di me mi ricorda che tutto è iniziato proprio col dare un'occhiata alla mia gamba.

E mi ricorda come tutto all’improvviso abbia cominciato ad andare di merda.

Vorrei mettere a tacere questa parte di me.

Vorrei concentrarmi solo sui dati di fatto concreti e non sulle paure.

Ma soprattutto vorrei che la Bestia bastarda non fosse mai entrata nella mia vita.

Vorrei non aver bisogno di andare a fare una tac per assaporare un surrogato di libertà.

"Guarda un po' chi si rivede!".

Questa voce l'ho già sentita, ma non riesco a ricordare quando e dove.

Mi guardo attorno, nella sala d'attesa di radiologia e riconosco Nicola, l'uomo che ho conosciuto agli Ulivoni il giorno della mia prima chemio.

"Il ragazzo col nome importante, che sa dire di no!" esclama lui alzandosi dalla sedia e avvicinandosi a me, tendendomi una mano.

Profuma d'arancia.

Deve averne mangiata una da poco.

"Buongiorno!" lo saluto io stringendogli la mano con un sorriso.

"Eh! 'stò qua di no ne sa dire anche troppi!" brontola Ulisse indicandomi. "Vado a vedè se puoi entrà. Vedi di non farte venì qualche brillante idea!" mi dice appoggiandomi una mano sulla spalla per poi allontanarsi.

"E' simpatico quell'infermiere!" osserva Nicola sedendosi.

"Sì" dico io, sorridendo tra me e me, sedendomi accanto a lui. "E' un bell'aiuto contro il malumore."

"E' da tanto che sei ricoverato?" mi chiede.

Deve aver notato i pantaloni del pigiama, uguali a quelli di tanti altri pazienti seduti qua in sala d'attesa.

"Praticamente dal giorno che ci siamo conosciuti... Quasi tre settimane, ormai" dico sospirando.

"Oh..., mi dispiace. Una di quelle situazioni a cui vorresti poter dire di no, eh?"

"Già... Lei invece? E' qui solo di passaggio?"

"Lei chi? Ti sembro una donna?" scherza lui. "Volevi dire tu, giusto?"

"Ok, ok" sorrido. "Sei qui solo di passaggio?"

Mi fa un po' strano dare del tu a un uomo che potrebbe avere quasi l'età di mio nonno, ma del resto qui è come se queste formalità perdessero di importanza.

"Spero di sì. Sono reduce da una brutta bronchite e devo fare una radiografia."

"A me tocca una tac, invece. La radiografia almeno dura pochi minuti."

"Però per la tac puoi startene sdraiato, bello tranquillo e rilassarti."

"Rilassarmi? Come si fa a rilassarsi con qualcuno che ti ripete di continuo: non ti muovere, respira, non respirare, trattieni, respira... E poi tocca starsene immobili lì per almeno mezzora..."

"Eh..., bisogna armarsi di tanta pazienza e prendere quei momenti come una parentesi di pace interiore. Devi imparare ad approfittare di quel tempo morto."

"Approfittare come?! A me vengono solo brutti pensieri mentre me ne sto lì fermo ad aspettare, senza fare nulla."

"Sì, non fare nulla è la cosa più difficile. Stare fermo anche se avresti voglia di andartene, di giocare, di volare! È proprio quello che devi controllare, ed è la cosa più complicata."

"Che poi ti lasciano da solo in quella stanza, visto che nessuno ha voglia di beccarsi le radiazioni! E non si tratta solo di rimanere immobile, ma anche di stare in silenzio e, come se non bastasse, devi gestire il respiro!"

"Sì: silenzio, immobilità e controllo della respirazione a tonnellate. Se ci pensi un attimo, ogni volta che ti sottopongono a una tac o a una risonanza puoi entrare in contatto con il tuo io interiore. Può diventare un momento di ricerca e di introspezione, una specie di autoesame".

Io rido: "Come una strana sessione di yoga?"

"Esatto! Come una strana sessione di yoga che ti fa stare meglio. Provaci, appena entri lì dentro, e vedrai che ne uscirai magicamente migliorato".

Mi piace parlare con Nicola.

Mi dà sempre degli spunti interessanti su cui riflettere.

"D'accordo, lo farò!" esclamo. E sono davvero determinato a provarci.

"Leo!" mi chiama Ulisse affacciandosi dalla porta della sala tac. "Qua sò quasi pronti! Vieni a cambiarte intanto!".

"Sì, arrivo! Grazie Nicola. Ti direi che mi auguro di rivederti presto, ma non suona molto bene in un posto così!"

Lui annuisce lentamente: "Già... Allora auguriamoci di non vederci più... peccato, però..."

"Altrimenti auguriamoci di incontrarci da qualche parte, fuori da qui" dico alzandomi.

"Questo mi piace!" esclama lui agitando l'indice per poi fermarlo a mezz'aria.

"A' Leo, te movi?!" mi sollecita Ulisse.

"Sì, arrivo! Ciao Nicola."

"Ciao Leo."

"Leo, su!".

Lo guardo sbuffando: "Ma sì! Arrivo!".

E invece no.

E invece non arrivo.

E invece svengo.

Di nuovo.


Rinvengo sul mio letto, un po' disorientato; è già la terza volta, in venti giorni, che mi succede di svenire e ogni volta mi stupisce come qualcuno mi raccatti dal pavimento e mi trasporti fino al letto senza che mi accorga di niente.

Mi tiro su a sedere e vedo Ulisse, intento a trafficare col carrello, alzare lo sguardo su di me. "Oh! Eccòte!" esclama avvicinandosi. "Mò basta, però, eh Leo?! La prossima volta che non vuoi la carrozzella, te cè lego!"

"Ma mi sentivo abbastanza bene..." provo a ribattere.

"Eh! Ma intanto sei svenuto ancora! Per terra dovevo lasciarte! Come ti avevo detto!"

"Non è che adesso mi tocca un'altra iniezione di ferro?!" domando allarmato.

"No, quella se pò fà solo una volta a settimana."

"Ah, sì, è vero" dico tirando un sospiro di sollievo.

"La Lisandri mi ha detto di misurarte febbre e pressione e appena ha i risultati del prelievo viene qua da te."

"Un altro prelievo?! Come faccio a recuperare il ferro se continuate a prendermi il sangue?"

"E come fàmo a curarte senza sapere che c'hai?"

Piego le labbra in una smorfia, arrendendomi all'evidenza e gli porgo il braccio destro: "Toh! Buca pure..."

"Guarda che ho già fatto. Mentre eri svenuto!"

"Ah! Ok...".

La febbre è appena sopra il 37 e la pressione è sempre bassa come ieri.

Ulisse mi ordina di starmene buono a letto mentre aspetto la Lisandri ed io, stavolta, non ho nessuna intenzione di disobbedire, anche perché l'idea di svenire di nuovo non è che mi alletti.

Prendo il telefono, guardo un po' Facebook, poi rileggo tutti i messaggi che Giulia mi ha scritto nei giorni scorsi e mi sento un po' stronzo per averla ignorata.

"Ho sempre le palle girate, ma tu non c'entri. Scusa, non ce l'ho con te, è che stare chiuso qua dentro mi sta facendo impazzire. Mi manchi. Davvero" le scrivo.

La sua risposta non tarda ad arrivare: "Io sto impazzendo lontana da te. Non so come sopporterò un'altra settimana. Hai tutto il diritto di avere le palle girate, solo... non tagliarmi fuori. Ti amo".

Abbandono la testa sul cuscino.

E' vero, la sto tagliando fuori.

Per proteggerla.

E per proteggere me.

Per prepararmi al momento in cui crollerà e non ce la farà a starmi accanto, perché questa situazione di merda è troppo grande da gestire.

Perché questo Bestia infame è davvero spaventosa.

E non credo che, a tenere insieme i pezzi, basterà il suo amore.

E nemmeno il mio.


Un paio d'ore dopo, più o meno, arriva la Lisandri, e la sua faccia, adesso, non sembra più scrupolosa, ma preoccupata.

"Leo, è arrivato il referto dell'esame del sangue" mi dice sedendosi sul letto e togliendosi gli occhiali; e basta già questo a mettermi all'erta. "Hai l'emoglobina veramente bassa.”

"Come sarebbe? E il ferro che ho dovuto sorbirmi ieri sera?!"

"A quanto pare non è stato sufficiente. Così è troppo rischioso, considerando anche che a breve dovrai affrontare l'intervento."

"E quindi?" domando cercando di capire quanto sono nella merda.

"Dovresti fare una trasfusione di sangue".

"Una... cosa?!" esclamo mentre le mani mi tremano; devo essere sbiancato più di quanto non sia già.

"Guarda che non hai nulla da temere. E' assolutamente sicura e indolore. L'unico fastidio è che dura circa due ore e nel frattempo dovrai startene sdraiato".

Una trasfusione?!

Ma scherziamo?!

Grazie ad Asia mi son dovuto sorbire non so quante puntate di Grey's Anatomy e lì le trasfusioni sono faccende serie; roba che ti fanno quando sei tipo in fin di vita, reduce da un incidente da codice rosso.

"Ma sono messo così male?! Cioè... siamo già a questo punto?!"

"Non siamo a nessun punto, Leo! Semplicemente hai una forte anemia e necessiti di una trasfusione per rimetterti in sesto. Tutto qui".

Sono abbattuto.

Mi sembra che al peggio non ci sia mai fine.

Mi sembra di stare lottando contro un nemico fin troppo astuto e subdolo, che quando trovo un modo per difendermi e reagire, riesce a trovare un nuovo modo per fregarmi.

"E quando dovrei farla?"

Lei guarda l'orologio: "Nel pomeriggio direi. Dobbiamo aspettare che arrivi tuo padre a firmare il consenso. L'ho già fatto chiamare."

"Ah! Non mi sta lasciando molta scelta, mi pare!" esclamo contrariato.

"Leo, non è che non voglio lasciarti scelta, è che di scelta non ne abbiamo, io per prima. La devi fare e basta."

"Oh, adesso sì che è stata chiara! Allora la prossima volta mi dica subito devi, anziché prendermi in giro col dovresti!"

"Non mi sembra di averti mai preso in giro. Cercavo solo un modo delicato per dirtelo."

"Grazie tante per lo scrupolo, allora, ma cerchi di evitarlo con me! Più è diretta, meglio è!"

"Va bene" dice alzandosi. "D'ora in poi sarò sempre diretta con te, te lo prometto. Ma non so se lo preferirai davvero. Se dovessi cambiare idea in proposito non esitare a dirmelo."

"Non cambierò idea".

Sono veramente sicuro che non la cambierò.

Più conosco le armi della Bestia, più so come contro-attaccare.

E più contro-attacco, più possibilità ho di vincere.


"Ciao..."

"Oh, ciao papà" dico mettendo in pausa The walking dead.

"Ho cercato di arrivare il prima possibile" mi dice avvicinandosi e dandomi un bacio. "Quando ho sentito trasfusione non ci ho capito più niente."

"Eh, non dirlo a me!"

"L'infermiera ha provato a dirmi che non era successo niente di grave ma sono andato in panico lo stesso. Poco fa ho parlato con la dottoressa e mi ha tranquillizzato".

"Hai già firmato il consenso?" domando rassegnato.

"Sì, credo che tra poco arrivi l'infermiera. Ho firmato anche una delega per Asia, in modo tale che se c'è bisogno può firmare anche lei al posto mio".

Questa cosa che gli altri possano decidere per il mio corpo semplicemente mettendo una firma, mi fa incazzare di brutto.

"E Asia che ne pensa?"

"A dire il vero non gliel'ho chiesto. È una cosa che abbiamo deciso poco fa con la dottoressa. Come sai sono molto impegnato con il lavoro e Asia può riuscire ad arrivare più velocemente di me, se ce n'è bisogno."

"A me non sembra giusto nei confronti di Asia, darle una simile responsabilità. E senza nemmeno chiederglielo!".

E non mi sembra giusto che non sia stato chiesto neanche a me.

E mi sembra solo un modo che ha trovato per avere una scusa in più per tirarsi indietro e lasciare il lavoro sporco a lei.

"Gliene parlerò stasera. Ad ogni modo è solo una faccenda burocratica, non è che lei debba prendersi delle responsabilità. Deve solo affidarsi a ciò che dicono i medici e mettere la firma su un foglio."

"Certo, questo è quello che hai sempre fatto tu, no?! Affidarti a quello che ti dicono gli altri... senza avere il coraggio di decidere per conto tuo! Perché così è più facile, no?!"

"No Leo, non è più facile. È difficile sentirmi impotente, ma i medici sanno meglio di me cosa c'è da fare, ed è giusto che siano loro a..."

"No! Non è sempre così! Tu... tu... dovevi riportarla a casa!" urlo sbattendo la mano contro il tavolino, facendo sobbalzare il computer. "Dovevi riportarla a casa quando ti hanno detto che non c'era più niente da fare! E invece l'hai lasciata morire qui!".

I miei occhi si riempiono di lacrime mentre stringo le labbra per trattenerle, inutilmente.

Anche i suoi si velano di lacrime, mentre mi risponde con la voce tremante: "Lo sai anche tu che qui potevano prendersene cura meglio, evitando di farla soffrire più del dovuto..., alleviandole il dolore..."

"Cazzate! Queste sono tutte cazzate! La verità è che era il tuo dolore che volevi alleviare, non il suo!"

"Sì, era anche il mio. Hai ragione. Ma io non sono forte com'era lei... Io... non sono forte come te. Io non ce la faccio a reagire al dolore. Mi annienta e basta. Ed è per questo che vengo poco a trovarti, perché non ce la faccio, perché vederti qua mi fa stare troppo male, perché non posso darti forza, perché sarei solo un peso per te e non un aiuto."

"E' troppo comodo così! Pensi che dire che non ce la fai, sia abbastanza?! Beh, non lo è! Perché stare qua è l'ultima cosa che vorrei! Ma ci devo stare per forza! E ci sono giorni in cui davvero penso che non ce la faccio ad andare avanti così, ma lo devo fare! Non posso fare altrimenti! E la cosa più ridicola è che non ho nemmeno il diritto di firmare per ciò che mi riguarda, mentre tu ce l'hai! Tu hai sul mio corpo più diritti di quelli che ho io e questa cosa è ridicola e mi fa incazzare! E non so per quanto tempo ancora dovrò lottare contro questo cazzo di tumore, ma so che per altri due anni tu continuerai ad avere più diritti di me ed è una cosa che non sopporto! Non lo sopporto! Cosa farai se le cose si mettono male, eh?! Lascerai anche me a morire qua dentro?!".

La mia voce è diventata rauca a furia di piangere e urlare.

Credo mi abbiano sentito lungo tutto il corridoio.

Ma non m'interessa.

Sono troppo stanco, e incazzato, e nervoso, e avvilito per potermene interessare.

"Non succederà..." risponde lui poggiandomi una mano sulla spalla. "Le cose non si metteranno male."

"Non lo puoi sapere!" urlo scansando la sua mano. "Non lo puoi sapere" ripeto abbassando la voce e facendo un lungo respiro. "Voglio che me lo prometti."

"Cosa...?"

"Voglio che mi prometti che... se le cose si mettono male..., metti una firma e mi riporti a casa, anche contro il parere dei dottori" gli dico mentre tremo nervosamente.

"Ma Leo, non..."

"Promettimelo. Io non voglio morire qui. Promettimelo."

"D'accordo" risponde lui con voce strozzata. "Te lo prometto".

Rimaniamo a guardarci in silenzio.

Troppo chiusi, ognuno nel proprio dolore, per dire altro.

Troppo chiusi, ognuno nella propria solitudine, per abbracciarci.

Eppure lo vorrei tanto un abbraccio.

Ma non riesco a chiederglielo.

E lui non riesce a darmelo.

Poi arriva Laura per la trasfusione e lui preferisce andarsene.

Guardo la sua schiena e penso che abbiamo perso l'ennesima occasione per avvicinarci, invece di continuare ad allontanarci.

Sempre più.

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Braccialetti rossi / Vai alla pagina dell'autore: Civaghina