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Autore: ClaireOwen    05/06/2017    3 recensioni
[Bellarke - Modern.AU]
“Mi dispiace.”
Sussurra timidamente.
E sa che dovrebbe porgere le sue scuse ad ognuno di loro ma vuole essere sicura che sia proprio lui ad udirle per primo.
Ad ogni modo se c'è una cosa che Bellamy Blake sa fare è stupire e stavolta lo fa riservandole un sorriso docile, spiazzante; china leggermente il capo, prega che nessuno si sia reso conto di quella sua impercettibile reazione perché di certo non è riconosciuto dagli altri come una di quelle persone affabili e gioiose, effettivamente non è dispensando sorrisi che il maggiore dei fratelli Blake si è guadagnato il rispetto da quel branco di scapestrati.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin, Octavia Blake, Raven Reyes, Un po' tutti
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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VII
 
“Clarke, stai bene?”
La voce di Raven Reyes rimbomba nella piccola stanza, la giovane donna, amica, collega e assistente se ne sta seduta alla scrivania dello studio mentre la bionda contempla in modo fin troppo silenzioso il panorama dell’Avenue al di fuori dell’ampia vetrata che inonda di luce l’ambiente.
La Griffin sospira appena, cosa dovrebbe dirle? E’ davvero in grado di esternare tutti i pensieri che nelle ultime ventiquattro ore si sono impossessati di lei?
“Volevo chiederti scusa.”
Mugugna lievemente.
L’altra allora alza il volto dallo schermo cercando di captare qualche segnale ma l’amica è ancora di spalle, sforzandosi appena però riesce a rilevare il suo viso riflesso sulla vetrata e le sue labbra s’increspano in un’espressione preoccupata.
Non vede Clarke in quello stato da così tanto tempo che stenta a ricordare quand’è stata l’ultima volta che la ragazza le fosse risultata così turbata.
Forse dopo la partenza di Octavia, si ritrova a pensare la mora, quando tutti loro ormai non mettevano piede in quel liceo da più di un anno e la giovanissima Griffin si era ritrovata d’improvviso sola, senza più alcun punto di riferimento.
“Perché dovresti?”
Capisce subito che deve lasciarla sfogare, deve farlo prima che sia troppo tardi, prima che possa pentirsi ancora di non essere una buona amica come quell’ultima volta.
Lexa è nuovamente lontana e stavolta non potrà essere presente per lei come durante la serata d’inaugurazione o alla fine del liceo.
“Per ieri.”
Dice voltandosi
“Per aver iniziato il nostro lavoro insieme con così poca attenzione…”
“Clarke… Non fa niente, può succedere e poi eri scossa, con la partenza di Lexa e tutto il resto.”
Ma la bionda scuote la testa velocemente appena le parole della ragazza arrivano a destinazione.
Non ha avuto il tempo di pensare a Lexa se non per pochissimi e superficiali istanti e si sente un vero e proprio mostro, ora che è in grado di rendersene conto.
“Ho fatto un casino Rav’.”
L’altra le rivolge un’occhiata intensa senza più essere in grado di prevedere dove questa conversazione le porterà, realizza subito però che le sue supposizioni potrebbero essere del tutto errate quando ascolta il tono della voce di Clarke rotto dall’angoscia.
“Non l’ho nemmeno salutata… Dopo l’altra sera non ci siamo più riviste, l’ho lasciata andare via così, come se nulla fosse.”
“Frena un attimo, non riesco a seguirti. Se non sei stata con lei allora cosa hai fatto ieri?”
Clarke si morde il labbro inferiore, sta per uscire fuori tutto, sta per ammettere ciò che fino adesso ha solo tentato di rimandare.
“Ero con Bellamy.”
Un filo di voce che risuona pregno di colpevolezza tra quelle mura bianche.
Raven strabuzza gli occhi e l’amica non è in grado di sorreggere quello sguardo inquisitorio.
“… Blake? Per quale assurdo motivo, credevo non lo sopportassi.”
“Dovevo farlo, gliel’avevo promesso l’altra sera all’inaugurazione…”
“Okay, ma perché?”
E Clarke la guarda di nuovo, sente gli occhi bruciarle, non ha bisogno di uno specchio per sapere che devono essere lucidi e completamente arrossati.
“E’ una storia lunga.”
“Oh no, non funziona così. Non puoi gettare la pietra e nascondere la mano.”
Sta solo cercando di spronarla e Clarke lo sa bene per cui trova il modo di riprendere fiato e riassumere il tutto in poche frasi.
“Dopo la separazione dei suoi, Michael, suo padre, ha frequentato la clinica in cui facevo tirocinio, ti ricordi?”
La mora annuisce senza aggiungere nulla, attendendo semplicemente altre delucidazioni.
“Alcolismo. Dovevo dirglielo, aveva il diritto di sapere, sono tornati perché Mike è finito in ospedale Rav’ e loro erano all’oscuro di tutto, per otto anni non hanno mai saputo nulla, mai dubitato.”
Lo sguardo della ragazza si ammorbidisce lievemente ma basta poco perché la giovane Reyes torni all’attacco.
“Va bene ma cosa c’entra questo con Lexa? Non avresti potuto rimandare di qualche ora o di un giorno l’incontro con Bell?”
Ovviamente nulla sfugge alla mente meticolosa e brillante di Raven, quella donna è pragmatica, severa, ordinata, tanto da apparire irreale ed incapace di provare empatia a volte e questa è decisamente una di quelle.
“Avrei potuto, sì. Ma non l’ho fatto.”
“E’ piuttosto evidente… O non saresti in questo stato.”
“Senti, non lo so che mi è preso… Io volevo solo vederl… Voglio dire…”
Si trattiene, non può mettersi a nudo così quando nemmeno è stata in grado di farlo davvero in solitaria.
La confusione regna ancora sovrana nella sua mente.
“Voglio dire che volevo solo scrollarmi questo peso di dosso e mi sembrava la cosa più giusta da fare.”
L’amica fa fatica a trattenere un sospiro che risulta quasi esasperato.
“Più giusta per chi Clarke? Possibile che tu non sia riuscita a mettere da parte il tuo spirito da crocerossina, nemmeno per la persona che ami? Ad ogni modo penso che dovresti chiamarla, prima che sia troppo tardi… Non so mi sembra che tu non abbia ben chiara la situazione, sai? Per te è solo più comodo pensarla così, dire che non hai la più pallida idea di ciò che sta accadendo, è una scusa e tu sei abbastanza intelligente da riconoscerlo.”
Le parole di Raven sono taglienti ma non feriscono Clarke, la conosce bene ormai e sa che quello è semplicemente il suo modo di convincerla a fare la ‘cosa giusta’.
Solo che non vuole pensare a Lexa, non ora e non sopporta l’idea che l’amica abbia bypassato completamente il resto e si sia focalizzata solo sulla sua ragazza.
Certo non può biasimarla, Raven come chiunque altro è all’oscuro di tutto ciò che ha passato con Bellamy prima e con Michael poi.
“Io non so davvero cosa devo fare… ma non è tutto...”
“Cosa c’è ancora, scusa?”
Ogni ruga del suo viso è crucciata.
“Ho rivisto Octavia.”
Raven si passa una mano tra i capelli e aguzza le orecchie facendo cenno alla sua interlocutrice di continuare.
“Nulla. L’ho rivista, avevo riaccompagnato a casa Bellamy e stavo tornando alla macchina, l’ho incrociata per strada e lei ha attraversato non appena mi ha riconosciuto, mi ha evitato come si fa con la peste.”
“Me lo sentivo…”
Dice la mora sovrappensiero, più a sé stessa che a lei.
“Ti sentivi cosa?”
“Che il ritorno dei fratelli Blake avrebbe portato scompiglio.”
Clarke ha un’espressione indispettita dipinta sul volto, forse si aspettava qualcosa in più.
Ma l’altra riprende subito la sua attenzione
“Lo so cosa stai pensando… Credi che io sia un’insensibile non è vero? Bhè, senti qua, non abbiamo più sedici anni e soprattutto non abbiamo tempo per le scenate, per i drammi esistenziali, dobbiamo voltare pagina, andare avanti e tutte quelle stronzate che ti dicono quando sei piccolo e non proprio non riesci a capire nonostante gli sforzi. Clarke dagli la giusta importanza, tu e Octavia vi siete volute troppo bene perché questa storia abbia un epilogo simile, dovete solo darvi del tempo.”
“Tempo? Scherzi? Pensi che otto anni siano pochi?”
“Otto anni d’incomprensioni sono troppi Clarke è questo il punto e adesso siete su due linee parallele ma vedrai che prima o poi riuscirete a trovare un punto d’intersezione soprattutto perché, ora che siamo di nuovo al completo, volente o nolente dovrai passarci del tempo.”
Eppure il pragmatismo della sua collega le sembra fare acqua da tutte le parti.
“Non sono sicura che lei sarà dei nostri.”
“Non ha nessuno oltre noi e Octavia non è in grado di restare sola, combina solo guai, Bellamy l’ha viziata troppo, è sempre stato alle sue spalle, l’ha sempre sorretta…”
 
Dopo quel botta e risposta concitato Clarke si permette di restarsene in silenzio un istante, forse Raven ha ragione i fratelli Blake porteranno davvero scompiglio nelle loro vite e nulla sarà come prima.
 
Il giorno prima, lasciando casa Blake, ha sentito un vuoto dentro di sé, ha avuto paura che non lo avrebbe più rivisto, che lui non avrebbe più avuto motivo di parlarle, o di chiedere a qualcuno di lei.
Poi proprio quando quei pensieri la stavano divorando i suoi occhi si sono incontrati con quelli di Octavia.
 
Per ora le sembra di essere l’unica ad essere stata travolta in pieno dal loro ritorno.
“A cosa stai pensando?”
Scuote la testa.
“A nulla.”
Raven Reyes scrolla le spalle consapevole che Clarke le ha appena mentito ma non forza più la mano e, dentro di sé, spera solo che quella ragazza trovi pace.
“Bene. Allora è arrivato il momento di rimboccarci le maniche, questo atelier non si terrà in piedi da solo. Abbiamo bisogno di iniziative, organizzare mostre, rassegne, chiamare artisti, entrare nel vivo dell’ambiente, insomma dobbiamo cercare di avviare le attività, non riusciremo a cavarcela con la sola vendita delle tue opere… Senza nulla togliere.”
Le dice sorridendo con una punta di ironia che la bionda coglie accennando un ghigno.
“Sei tu l’esperta nella ricerca informatica, io posso farmi una passeggiata vecchio stile armata di volantini.”
Dice con improvvisa serenità, è sempre stato così del resto, Clarke Griffin ha bisogno di fare per non pensare, per non farsi travolgere dalle emozioni lei deve semplicemente agire, vivere.
“Mi sembra un ottimo compromesso.”
 
-
 
Quando si sveglia la casa è vuota.
Nessun rumore segnala la presenza di qualcuno oltre lui, ne è grato, non ha tempo adesso per un confronto e sa che è ciò che lo aspetta con Mike ed O’.
Quindi il giovane Blake si sforza di sentirsi pronto a dare una svolta nella sua vita.
E’ finito l’ozio e con esso il veloce e forse poco efficace riadattamento alla vita quotidiana di Washington.
Senza pensare a quanto sia accaduto la sera prima si lava e si veste in modo quasi meccanico, apatico.
In poco più di mezz’ora dal suo risveglio è già pronto fuori casa, armato mentalmente per immergersi nel caos metropolitano.
 
Bellamy Blake non è uno sprovveduto, ha fatto lavori umili in Australia, ha messo i soldi da parte, non ha mai terminato l’università lasciata dopo il trasferimento ma è stato in grado di mantenere un solo vero rapporto in piedi.
L’unico che potesse assicurargli un nuovo inizio se mai avesse rimesso piede negli States, quello con Marcus Kane: professore di scrittura creativa alla Georgetown e responsabile della biblioteca nazionale di Washington DC.
Non era nemmeno stata esattamente una sua intenzione, semplicemente il professor Kane aveva dimostrato un attaccamento incredibile nei suoi confronti, impossibile da non ricambiare.
 
E ai tempi Bellamy Blake avrebbe davvero voluto laurearsi ed inseguire i suoi sogni, Marcus Kane aveva stimolato quella giovane mente, gli aveva permesso di avere più confidenza nelle sue potenzialità e probabilmente era davvero rimasto male quando Bellamy gli aveva comunicato che avrebbe interrotto il corso, che non avrebbe proseguito gli studi perché la sua famiglia aveva bisogno di lui.
Quindi, poco prima che il giovane lasciasse per sempre il suo studio, l’uomo lo aveva afferrato per un braccio.
“Non così in fretta Blake.”
Lo aveva richiamato e poi aveva fatto scivolare nella sua mano un biglietto da visita
“Qui ci sono i miei recapiti telefonici e la mia mail.”
“Grazie molte professore ma…”
Lui gli lanciò un’occhiata severa.
“Niente ‘ma’ ragazzo, insegno qui da vent’anni ormai e non ho mai visto uno studente con del potenziale come il tuo, passami il francesismo: buttare al cesso tutto questo sarebbe un errore madornale. Hai lavorato sodo Blake, hai ottenuto una borsa di studio che sogna ogni ventenne americano con un po’ di sale in zucca e lo hai fatto con una semplicità incredibile… Scrivimi, ovunque sarai, raccontami della tua giovane vita e avrò la prova di aver insegnato ad una delle menti più brillanti di questo nuovo secolo.”
Non era bravo a ricevere complimenti, ad immagazzinarli, semplicemente non era abituato, si era imposto sugli altri, sui suoi amici, è vero. Era diventato una sorta di punto di riferimento, un leader carismatico ai quali tutti si riferivano ma ottenere un simile riconoscimento da qualcuno che non fosse suo coetaneo era di gran lunga un’altra storia.
Annuì abbozzando un sorriso più riconoscente che gioioso e dopo aver salutato Kane con un cenno del capo si defilò.
 
Ci mise un anno ad inviare la prima mail.
Un lungo anno durante il quale aveva scoperto di essere stato completamente travolto da una vita che non aveva mai desiderato fatta di turni di lavoro massacranti, ore piccole e corpi formosi nei quali si abbandonava per non pensare a tutto ciò che aveva lasciato indietro.
Credeva che Marcus Kane si fosse dimenticato di lui, ne era convinto ma in un momento di sconforto si ritrovò assorto davanti allo schermo del suo computer intento a scrivere.
Sembrava una patetica pagina di un diario di una ragazzina ma era tutto ciò di cui aveva bisogno, dopo tutto quella era l’unica cosa che riuscisse a tranquillizzarlo.
Scrivere, immaginare, sfogare i tormenti del proprio cuore sulla carta bianca – o su di uno schermo in tal caso.
C’era un tempo in cui si era immaginato sceneggiatore, giornalista, intellettuale ma erano giorni lontani ormai.
Nonostante ciò scrisse, fece come lui gli aveva detto, facendo scivolare velocemente le mani sulla tastiera, dando forma ai suoi pensieri.
Raccontò delle stagioni invertite, del caldo insopportabile, del mare, della moltitudine di bellissime ragazze che aveva avuto il privilegio di trovare tra le sue lenzuola senza mai ritrovarsi realmente soddisfatto, di sua sorella, della sua potenza, del suo essersi adattata molto più di quanto non avesse fatto lui.
Poi premette invio senza darsi il tempo di poterci ripensare.
La risposta di Marcus Kane non tardò ad arrivare e da quel momento Bellamy mantenne un contatto con quell’uomo quasi settimanale, più di quanto non fosse stato in grado di fare con Murphy o Miller.
 
 
L’appuntamento era alle undici.
 
Sono le undici e dieci e Bellamy è ancora su quel maledetto autobus che lo sta facendo tardare.
Non sa cosa aspettarsi anche se è perfettamente conscio del fatto che quello che gli verrà offerto non sarà il lavoro dei suoi sogni.
 
Kane è stato chiaro del resto
 “Non posso esserti d’aiuto come vorresti, senza un titolo specifico è difficile inserirti in certi ambienti… Sei proprio sicuro di non voler ritentare?”
Bellamy  allora aveva trattenuto il respiro alla cornetta per poi sputare fuori la mera verità
“Mi servono i soldi. Non ho più tempo per pensare a cosa voglio.”
 
Scende dall’autobus di corsa ripensando a quella bizzarra telefonata di qualche giorno prima.
Per scaramanzia non ha detto nulla né a suo padre, né ad Octavia, tanto meno a chiunque altro con cui abbia avuto modo e tempo di parlare.
Arriva con il cuore che gli martella in petto di fronte al vecchio edificio, dinnanzi a lui si staglia una delle infinite succursali della Library of Congress, nota anche per essere la più grande biblioteca al mondo.
Si prende il tempo di un minuto per guardarsi intorno, è già in ritardo del resto, un minuto ormai non potrà più fare alcuna differenza.
Ma poco dopo vede una figura alta e avvolta da un elegante completo, si avvicina: i capelli brizzolati sono ancora tenuti in una pettinatura leggermente retrò che gli permette di riconoscere il suo ex professore.
“Mi scusi il ritardo prof….”
L’uomo gli rivolge un sorriso smagliante
“Non c’è più bisogno di chiamarmi professore Bellamy, da oggi sono solo Marcus.”
Il più giovane allora annuisce mentre le loro mani si stringono in saluto formale ma cordiale al tempo stesso e quel breve e deciso contatto sembra trasudare profonda stima da entrambe le parti.
“Ti trovo bene.”
Dice Kane analizzandolo appena con un’occhiata attenta.
“Me la cavo… Lei invece? Sta bene?”
“Uhm. Cose da anziani…”
Fa spallucce, il suo tono è ironico e stranamente riesce a tranquillizzare Bellamy che pian piano percepisce tutta l’agitazione accumulata abbandonarlo alla svelta.
“Vieni, seguimi.”
Bellamy si ammutolisce dato che l’altro gli ha già dato le spalle e non perde tempo e obbedendo, senza fare alcuna domanda, lo segue affiancandolo dopo aver recuperato la breve distanza.
Entrano nell’edificio marmoreo, la prima cosa che il maggiore dei Blake nota è l’assoluto silenzio, sorpassano varie stanze, di libri ancora nemmeno l’ombra, ci sono solo cartelli con molteplici indicazioni, banchi, tavoli, una specie di caffetteria, una reception…
Bellamy Blake non ha il tempo di riuscire ad osservare tutto ciò che pian piano appare dinnanzi la sua vista curiosa, Marcus Kane sembra non voler sprecare un momento di più ed il suo passo è svelto, tanto da non lasciare alcuna possibilità di orientamento al ragazzo che lo segue.
Scale.
Una, due, tre porte.
Corridoi.
Poi un’arcata imperante con un’elegante insegna
“Letteratura inglese e americana”
Kane non si perde in chiacchiere, varca quella soglia austera e per la prima volta il moro li vede.
Scaffali immensi colmi di volumi dominano l’ampia stanza, creano angusti vicoli, piccoli slarghi, nota alcuni tavoli posti lungo il perimetro in modo accurato, tale da non intralciare la ricerca di chi vi si reca.
Con discreto stupore osserva i molti giovani che occupano quei banchi, tanto assorti da non aver fatto caso al loro ingresso.
Deve essersi fermato per un istante perché il suo ex professore ha fatto qualche passo indietro e prendendolo per un braccio lo ha condotto dietro ad una sorta di banco informazioni.
“Ci siamo.”
Sussurra per non disturbare la quiete.
Bellamy si concede uno sguardo interrogativo, Kane gli aveva accennato della possibilità di lavorare alla biblioteca ma quell’informazione non era stata accompagnata da nessun dettaglio.
Si sente smarrito.
“E’ molto semplice Blake, sarai il responsabile – uno dei, sarebbe corretto dire - del dipartimento di Letteratura. Il tuo compito non è particolarmente complicato: dovrai occuparti dell’inventario dei libri, di segnare prestiti e restituzioni dei volumi, di controllare che ogni frequentatore sia fornito della tessera della biblioteca e via dicendo… Il contratto è a tempo determinato, semestrale. Se farai un buon lavoro mi assicurerò io stesso del suo rinnovo, la paga è modesta, parliamo di Ottocento dollari netti al mese ma dovrai essere qui solo per cinque ore al giorno, avrai dei turni specifici e se accetti ti stampo subito la scheda con gli orari.”
Quella valanga di informazioni inonda la mente di Bellamy che sfugge momentaneamente lo sguardo dell’uomo brizzolato.
Non è abbastanza. Tutti i suoi amici ormai sono indipendenti da tempo, lavorano a tempo pieno, hanno delle case di proprietà o quanto meno riescono a permettersi di pagare un affitto e il ragazzo sa bene che quella cifra non gli consentirà di fare nulla di tutto quello.
“Accetto.”
Si ritrova a bisbigliare emulando il tono lieve che Marcus Kane ha adottato poco prima.
Non ha altra scelta del resto, non ha tempo per varare altre opzioni ed è sempre meglio che ritrovarsi a fare dei turni impossibili come cameriere in un pub.
“Ma…” Leggermente insicuro, alla fine si consente di avanzare una piccola richiesta “Se dovesse saltar fuori qualcos’altro… Qualsiasi altra cosa, mi tenga in considerazione: turni straordinari, progetti… Non so. Gliene sarei grato.”
L’uomo gli rivolge un sorriso sincero che a Bellamy Blake non piace affatto, percepisce la pena nei suoi occhi, l’apprensione mista a rassegnazione che prova nei suoi confronti, come se già sapesse che non è abbastanza, come se fosse impietosito dalla sua condizione di semplice e futuro impiegato senza alcuna possibilità di salire più su in quella strana gerarchia che ruota attorno al mondo letterario ed universitario.
“Sai bene che lo farò, ma se può farti stare più tranquillo, ti do la mia parola.”
 
-
 
Ha camminato senza sosta, non con una concreta destinazione, ha consegnato tutti i volantini di cui si era armata, è entrata nei locali più sensibili al mondo artistico, nelle accademie, nelle scuole, ovunque qualcuno potesse essere interessato a mettersi in contatto con lei per organizzare corsi, chiederle delle lezioni o per esporre.
Ha parlato meccanicamente con una dozzina di persone, ha venduto le sue idee, il suo ideale artistico tentando di accaparrarsi l’attenzione dei più svariati interlocutori: dai giovanissimi ai più attempati.
E lo ha fatto non solo perché ne ha un estremo bisogno, non esclusivamente perché c’è in gioco la sua attività per cui ha sudato sette camicie, no.
Lo ha fatto per non pensare.
Per non permettersi d’intrufolarsi nei meandri labirintici dei suoi dubbi, della sua mente, dei suoi sentimenti.
Per non visualizzare in modo dettagliato il viso acuto di Lexa.
Per non rivedere gli occhi grandi e colmi di rancore di Octavia.
Per non ripensare alle labbra del maggiore dei Blake.
Per scacciare quei consigli di Raven che, nella sua memoria, sono risuonati più come ammonimenti.
 
Ma ora apre la porta dello studio e dopo lunghe ore si ritrova da capo a dodici.
La giovane Reyes sembra quasi non essersi mossa da come l’ha lasciata durante la mattinata e Clarke non si stupirebbe se questa sua supposizione fosse realtà.
E’ ancora lì assorta in quello schermo che pare inglobarla che sembra stimolare, molto più di quanto possa risultare visibile, il suo instancabile cervello.
Non alza nemmeno il capo quando la bionda si richiude la porta alle spalle e si lascia cadere in un moto di stanchezza e sconsolatezza sul divanetto che costeggia il muro.
“Hai mangiato?”
Le chiede senza salutarla.
“Ho preso un panino per strada.”
Risponde lei evasiva.
“Com’è andata?”
“Bene. Voglio dire ho trovato anche qualcuno disposto a farsi una chiacchiera… Nulla di concreto ma credo di essere riuscita ad incuriosire più di una persona.”
Raven Reyes risponde con una sorta di mugugno distratto, come se quello che la sua collega le ha appena detto non sia davvero influente e forse, a mente fredda – cosa di cui la brunetta è dotata in modo evidente - non sarebbe sbagliato poi giudicare quelle informazioni così, per quello che sono: vane, dubbiose, non sicure.
“Senti qua allora. Ho trovato qualcosa di super interessante e fossi in te mi ci fionderei a capofitto…”
Sospende la frase per essere sicura di aver attirato l’attenzione dell’amica, poi prosegue lanciandole un’occhiata briosa
“Il Ministero dell’istruzione ha indetto un bando per qualificarsi in un progetto che prevede delle lezioni d’arte collettive per studenti problematici. Qui dice che si tratta di un qualcosa di pratico, niente storia dell’arte dunque ma… Solo un laboratorio artistico che deve essere in grado di suscitare l’interesse degli allievi e di far sfogare alcuni disturbi comportamentali tramite l’art-therapy. C’è scritto anche che il bando e la realizzazione del corso sono svolti in collaborazione con la Library of Congress che metterà a disposizione materiali e aule.”
Finisce così, non aggiunge altri commenti ma le rivolge uno sguardo intenso, carico di aspettative.
“Dice nulla riguardo ipotetici guadagni?”
E’ una domanda all’apparenza superficiale ma Raven percepisce tutta la curiosità dell’altra, così cerca di colmare qualche lacuna in modo convincente
“C’è scritto che chi vincerà il bando riceverà una paga settimanale di Trecento dollari. Il test del bando si svolge tra quattro giorni alla Georgetown e che il responsabile del progetto è il professor Marcus Kane di scrittura creativa, nonché preside del dipartimento di letteratura e responsabile della biblioteca. Ci sono dei recapiti telefonici, l’orario di ricevimento del professore e… Insomma fossi in te andrei, riceve domani mattina!”
Qualcosa dentro di lei si smuove, sente le vene pulsare il sangue dritto al suo cervello.
Clarke Griffin ama l’arte almeno quanto ama sentirsi utile per qualcuno, è dentro di lei, non può farci nulla, ha sempre avuto questo spirito che non si è mai sopito del tutto, quello di voler a tutti costi aiutare chi si trovasse in difficoltà e questo spiega la sua difficoltà nell’abbandonare la clinica di recupero presso cui ha prestato volontariato.
Ma in quel caso frequentava il liceo, l’ultimo anno, aveva degli obiettivi da raggiungere e solo quando ebbe la sicurezza che avrebbe potuto assistere Michael Blake anche al di fuori della clinica si decise a lasciarla.
E’ buffo poi pensare che entrambe le sue predisposizioni si siano stimolate a vicenda, se non avesse messo anima e corpo dietro la cura di Mike, non avrebbe mai scoperto a pieno quanto l’arte fosse una parte essenziale di lei.
Questa quindi le sembra un’occasione irripetibile ma alcuni dubbi si insinuano in lei: non sa nulla di art-therapy, non sa cosa le verrà chiesto durante il test, non sa se tutto ciò che sa è abbastanza e teme profondamente di non essere all’altezza per tutto ciò.
Si ritrova assorta nelle sue insicurezze ma annuisce, come se stesse cercando di far ordine, di attuare un piano.
“Hei! E’ la tua occasione Clarke, devi almeno tentare.”
Clarke le rivolge i suoi occhi azzurri colmi di incertezza.
“Andiamo! Tua madre è un medico, tra i migliori degli States oltretutto, sono sicura che riuscirà a darti una mano se quei test saranno più specifici del previsto.”
Non può obiettare.
Eppure in cuor suo sa bene che le è difficile chiedere ed accettare un aiuto quasi al pari di quanto le risulta semplice fornire il suo agli altri.
Poi però un nuovo scenario si apre nelle sue ponderazioni, se vincesse quel bando, se approfondisse l’argomento e parlasse con quel Kane, se il gioco valesse la candela e quel corso fosse davvero così serio come viene presentato… Allora sua madre dovrebbe ricredersi.
Abby Griffin che ha sempre visto quella storia del disegno come un semplice hobby un po’ patetico, come un percorso troppo insicuro e privo di certezze per la sua unica figlia dovrebbe far fronte alla realtà.
L’arte è molto più potente di quanto possa sembrare, talmente grande, coinvolgente da poter aiutare dei ragazzini in difficoltà.
“A che ora?”
Dice con un filo di voce, come se avesse paura di poterci ripensare da un momento all’altro.
“Dalle nove alle dieci.”
Le risponde l’amica con sorrisino soddisfatto stampato sul volto.
“D’accordo, stampa i documenti per l’iscrizione, allora.”
“Vedrai che andrà alla grande!”
Raven si lascia sfuggire un forse eccessivo entusiasmo.
Ma non può farne a meno, ha sempre riposto tanto in Clarke Griffin ed ha paura che la ragazza possa essere ancora turbata dal discorso fatto nella prima mattinata.
 
-
 
Marcus lo ha lasciato insistendo per offrirgli un caffè e dandogli appuntamento nel suo studio il mattino seguente: gli avrebbe lasciato così la spilla con il suo nome, dei documenti necessari per il contratto e le chiavi dell’ala riservata al dipartimento di Letteratura.
Il posto è suo, stenta ancora a crederci, deve aver mostrato meno entusiasmo del previsto, lo ha letto chiaramente nello sguardo dell’uomo.
Ma non può farci nulla, è fatto così, ci mette sempre troppo a realizzare alcune notizie, ad interiorizzarle, eppure mentre compiva il tragitto a ritroso, verso casa, seduto sul vecchio bus un timido sorriso gli ha incurvato le labbra.
Non era felicità quanto serenità, ha sempre temuto che alcune scelte compiute durante la sua tarda adolescenza lo avrebbero portato ad un destino fallimentare e pensare di avere uno stipendio fisso che non implichi turni bestiali anche se per un semestre, gli aveva donato uno strano senso di leggerezza, di tranquillità.
 
Quando apre la porta di casa trova suo padre indaffarato a scrutare vari documenti, Michael non sembra nemmeno averlo notato.
“Sono a casa!”
Si ritrova ad esclamare e per un istante ha quasi dimenticato cosa è accaduto il giorno precedente: la chiacchierata con Clarke su suo padre, la strana sfuriata che Octavia non gli ha risparmiato, tutto è scomparso in un buco nero che però si riapre in un momento, non appena gli occhi profondi del padre incrociano i suoi.
“Bellamy… Mi ero preoccupato, non sapevo che fine avessi fatto, non rispondevi al telefono e tua sorella non aveva la più pallida idea di dove fossi.”
Blake junior scrolla le spalle e accenna un furbo sorrisetto, una reazione che sembra quasi mettere a disagio il maggiore che lo osserva con uno sguardo confuso.
“Eravamo d’accordo…” Si schiarisce la voce il ragazzo prima di proseguire “Ti avevo detto che mi sarei rimboccato le maniche per cercare un lavoro.”
Fece cadere la frase aspettando di leggere un segnale sul volto dell’uomo evidentemente attento ed incuriosito dall’esordio del figlio.
“Bhè… Da domani sarò ufficialmente un impiegato nella Library of Congress!”
C’è una punta di orgoglio nel tono solenne di Bellamy Blake, ed è quella che gonfia il petto a Michael facendogli dimenticare quel senso di inquietudine che ha provato fino a qualche secondo prima, ben conscio del fatto che ora anche Bell conosceva la versione integrale della sua storia.
“Oh mio Dio.”
Si lascia sfuggire.
Ed il suo tono è quasi emozionato e i suoi occhi sono sgranati, colmi di felicità.
Mike si alza dalla poltrona, noncurante lascia cadere maldestramente alcuni di quei fogli che aveva consultato fino a quel momento e con qualche passo colma la distanza che lo separa dal figlio.
Lo abbraccia.
Non pensa più a nulla di brutto e preso dalla notizia avvolge la sua stretta intorno alle spalle del ragazzo.
“Sono così fiero di te Bell.”
Ammette quando i due si sciolgono da quell’abbraccio caloroso, denso di affetto.
E Bellamy non può far a meno di riservargli un sorriso ampio che lascia scoperta la sua dentatura perfetta.
 
Sente una strana sensazione quel ragazzo così ottuso e preso dalle sue convinzioni, percepisce che quell’abbraccio è stato molto più importante di mille parole.
Capisce che suo padre vive per loro: per lui e Octavia e che vederli felici, pronti a realizzare dei seppur modesti obiettivi, è ciò che lo aiuta ad andare avanti, a superare i propri errori, forse persino ad ammetterli nella speranza di non ricaderci più.
Lo vede nei suoi occhi.
Sa che Michael Blake ha sempre temuto che fosse destinato a finire come lui, non che ci fosse nulla di male nella manovalanza, ma il suo vecchio temeva di non avergli mai dato le giuste opportunità anche e soprattutto dal punto di vista economico.
Ma Bellamy ha imparato che non sempre bisogna avere una montagna di soldi per farcela, basta la stima, l’affetto la vicinanza delle persone care e forse è proprio per questo che è sempre rimasto così attaccato alla sua famiglia e ai suoi amici.
Il ragazzo sa anche che quello non è un lavoro magnifico ma in quel momento per lui conta molto di più di quel che potesse aspettarsi.
Intascherà i soldi, avrà dei turni regolari e controllati e persino il tempo di leggere qualche volume direttamente lì in libreria, potrebbe persino ricominciare a scrivere se le cose andassero davvero secondo i suoi piani…
Suo padre l’ha capito subito quello che provava e allora Bellamy Blake decide che non c’è bisogno di ritornare a parlare del passato, che forse per superarlo basta solo concentrarsi sul futuro e decide di conservare per tutto il pomeriggio il sincero calore di quell’abbraccio paterno.
 
 
E’ arrivato prima di Kane, il campus era vuoto e la brezza ancora piccante della mattinata lo ha svegliato a dovere, molto più del torpido tragitto in autobus che ha compiuto stilato in mezzo ad una folla incravattata  dai visi spenti.
Octavia non era tornata a casa la sera scorsa, si era promesso di non preoccuparsi ma…
Il risultato è stato un sonno leggero e quasi tormentato.
Suo padre sembrava sereno e Bellamy non riusciva a concepirlo ma dopo quel tenero episodio pomeridiano ha lasciato da parte le polemiche.
Michael gli aveva semplicemente detto che Octavia si era fermata a dormire da un’amica e forse suo padre poteva anche cascarci ma il maggiore dei fratelli Blake aveva i suoi legittimi dubbi.
Un tempo forse sarebbe potuto essere possibile, quasi all’ordine del giorno, che Octavia passasse le nottate fuori ad organizzare dubbi pigiama-party con Clarke ed Harper ma ora le cose non stavano più così.
Da quel che ne sapeva O’ non aveva amici a Washington o meglio, dopo il misterioso distacco dalla sua inseparabile metà bionda, aveva tagliato i contatti anche con tutti gli altri.
 
Questi pensieri furono interrotti quando il suo orologio segnava le otto e mezza passate.
Marcus Kane lo salutò con una pacca sulla spalla scusandosi per il ritardo ed invitandolo ad entrare nel suo studio personale.
 
“Sei stato di parola… Dopo il ritardo di ieri credevo che fossi avvezzo a questo tipo di vizio.”
Disse in tono piuttosto scherzoso.
“Cerco di evitarlo sul lavoro.”
Rispose serio.
Non importava se il professor Kane si fosse affezionato in modo così forte alla sua persona, Bellamy vuole dimostrarsi all’altezza e sa perfettamente che è solo così che riuscirà a fare quella gavetta che si è messo in testa di scalare.
“Bene Blake, questo è lo spirito giusto.”
Dice mentre raduna dei fogli di carta e apre qualche cassetto della sua scrivania, gli porge poi i fascicoli ed un mazzo di chiavi appena recuperato dall’ultimo cassetto.
“Questo è il contratto, leggitelo con calma e firma, qui invece c’è la tua copia delle chiavi, aprono esclusivamente la biblioteca di Letteratura e un bagno privato che ti segnaleranno alla reception.”
Bellamy annuisce afferrando le chiavi e si immerge nella lettura del contratto semestrale.
Marcus Kane è stato di una correttezza unica, tutto ciò che gli ha anticipato è stampato su quei fogli ed dopo pochi minuti il moro si prodiga a firmare la documentazione, restituendo poi i fogli all’uomo.
“Hai qualche domanda?”
Il ragazzo fa per pensarci poi scuote la testa velocemente, è tutto lucido e chiaro, sotto il suo totale controllo.
“Va tutto bene.”
“Ottimo, il tuo turno inizia alle dieci meno un quarto, la sala apre al pubblico alle dieci quindi è bene riservarsi quel quarto d’ora d’anticipo… Ad ogni modo da qui, se sei con i mezzi dovresti metterci davvero poco.”
Il telefono squilla senza dare modo al maggiore dei Blake di rispondere e dileguarsi alla svelta.
Kane lo lascia suonare un paio di volte prima di tirare su la cornetta.
Lo osserva mentre un’espressione seria ma rilassata gli domina il volto, lo vede annuire
“Va bene, ho quasi finito… La lasci aspettare qui fuori, la riceverò appena avrò terminato, tra pochi minuti.”
Riaggancia.
Si passa una mano sul volto leggermente rugoso  e poi lascia che quella compia un percorso a ritroso sui capelli brizzolati di media lunghezza ma comunque ordinatissimi.
“Prima di andare volevo dirti una cosa… Potrei avere dell’altro per te ma vediamo come vanno questi primi giorni… Con il Ministero dell’istruzione stiamo organizzando un progetto artistico per le scuole e stiamo selezionando del personale competente ma il tutto è svolto grazie al patrocinio della Library of Congress, potrebbe essere necessario quindi che ci sia qualcuno interno all’ambiente che debba supervisionare questo esperimento. Per ora non ti anticipo nulla ma… se dovesse interessarti…”
Bellamy lo interrompe in modo prorompente
“Gliel’ho detto: qualunque cosa.”
“Bene. Ti terrò aggiornato allora.”
Gli stringe la mano e lo lascia congedarsi.
Quando il ragazzo è sul punto di aprire la porta dello studio si volta
“Grazie profes… signore. Grazie davvero per quello che sta facendo per me.”
L’altro annuisce in modo pacato, chiudendo appena gli occhi come a dire ‘E’ il minimo che potessi fare’ ma non lo dice.
Piuttosto gli chiede:
“Lascia la porta aperta, ho qualcuno da ricevere.”
E Bellamy Blake esegue gli ordini.
 
Quando mette piede fuori sente uno strano formicolio impossessarsi di lui, non credeva fosse così facile ritornare al Campus.
E’ lì che ha lasciato ogni suo sogno del resto.
E’ lì che lo ha sepolto ed è talmente preso da questa sensazione che non si rende minimamente conto di essersi appena scontrato con qualcuno, qualcuno che deve essere stato distratto almeno quanto lui dato che il corridoio è molto ampio.
“Scusami.”
Quella voce.
Subito dopo il suo naso percepisce un odore familiare, il suo profumo ma non può essere, deve essersi completamente rincoglionito.
“B-bellamy?”
‘Come non detto.’
Allora alza lo sguardo quando i due corpi sono di nuovo alla giusta distanza di sicurezza, ci hanno messo così poco a tornare ai loro posti, è stato così naturale.
La vede, i capelli biondi legati in un morbido chignon ed il suo corpo soffice ma tonico al tempo stesso, stretto in una camicia che le fascia il busto ed entra ordinata e in modo severo nella stretta di una gonna nera.
E gli occhi che riprendono la sfumatura del cielo mattutino.
“Clarke.”
Sussurra quasi accompagnando il nome ad un cenno del capo fatto a mo’ di saluto.
Poi collega la sua figura a quel luogo e si chiede cosa diamine ci faccia, in tanti posti che ci sono a Washington, proprio davanti allo studio del professor Kane.
E’ ancora annebbiato per collegare ogni informazione che possiede e così lascia libero sfogo alla sua curiosità
“Che ci fai qui?”
Lei sorride appena, non capisce perché lo stia facendo ma ne è grato dato che sente il suo sangue ricominciare a pulsare nel suo corpo ancora piuttosto intorpidito dalla notte passata quasi in bianco.
“Potrei chiederti la stessa cosa… Ma devo davvero entrare, un esperimento comunque.”
Ed alza la mano destra tenendo l’indice e il medio intrecciati tra loro, incrocia le dita in un gesto fanciullesco e mantenendo quell’espressione amichevole mentre automaticamente il ragazzo si fa da parte per farla passare.
La vede scivolare all’interno di quella porta, chiudersela alle spalle e sospira.
Il suo cuore deve aver saltato qualche battito e forse per qualche istante gli è mancato il fiato ma, grazie al cielo, non ha dimenticato di ricambiare quello sguardo speranzoso e gioioso.
 

Angolo autrice:
Rieccomi qui con un nuovo aggiornamento che mi ha fatto davvero sudare.
E' un capitolo di passaggio e probabilmente è proprio per questo che ho faticato un po' di più. Non è forse particolarmente entusiasmante ma fondamentale all'intreccio e, ancora una volta, per entrare in sintonia con i nostri Bellamy e Clarke, per conoscerli sempre di più.
Spero sia all'altezza dei precedenti che avete accolto con un fantastico entusiasmo, non potevo aspettarmelo e mi ha dato tantissimo slancio nello scrivere, spero quindi di sentirvi anche qui perché la gioia che mi provocano le vostre recensioni è indefinibile!

Una piccola nota comunque:
Ho scelto un Bellamy appassionato alla letteratura e alla scrittura perché avevo sentito un'intervista di Bob nella quale dichiarava una forte predisposizione per la scrittura creativa, da quel che ho capito uno dei suoi sogni nel cassetto è approssimarsi anche al mondo della sceneggiatura.
Insomma non volevo descrivere il solito Bellamy delle Au che, per ovvie ragioni, è quasi sempre un poliziotto in carriera e ho cercato l'ispirazione in giro!

Ringrazio tutte le fantastiche persone che sono arrivate fin qui, tutte quelle che continuano a seguire la storia e chiunque abbia speso il suo tempo nello scrivere delle bellissime e importanti recensioni.
Vi mando un abbraccione affettuoso,
Chiara.



 
   
 
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