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Autore: dekembrios    05/06/2017    0 recensioni
La macchina sfrecciava veloce sulla strada appena asfaltata di non sapevamo quale paese. Era una strada immersa nelle campagne, circondate dalle alte spighe di grano che ondeggiavano al vento in una danza soave che veniva disturbata e talvolta interrotta da noi che cercavamo di toccarle, allungandoci fuori dal finestrino. Il vento che entrava nell'auto dai finestrini era caldo, secco; un’aria che non avremmo trovato a Milano quell'estate.
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
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1. Fast Car

La macchina sfrecciava veloce sulla strada appena asfaltata di non sapevamo quale paese. Era una strada immersa nelle campagne, circondate dalle alte spighe di grano che ondeggiavano al vento in una danza soave che veniva disturbata e talvolta interrotta da noi che cercavamo di toccarle, allungandoci fuori dal finestrino. Il vento che entrava nell’auto dai finestrini era caldo, secco; un’aria che non avremmo trovato a Milano quell’estate.
Dopo gli esami universitari avevamo deciso di scappare via tutti insieme per almeno una settimana dalle torride e umide città in cui eravamo cresciuti e in cui eravamo destinati a rimanere per quasi tutto agosto. La sessione estiva era ormai un lontano ricordo, per alcuni di noi piacevole e per altri un po’ meno, ma ci eravamo promessi che per una settimana non ne avremmo mai parlato e non ci avremmo pensato, anche se quest’ultima promessa non l’avrebbe mantenuta nessuno e lo sapevamo.
Ritirai la mano che fino a quel momento era rimasta fuori dal finestrino per sentire il vento dentro l’auto, chiusi il vetro e vi appoggiai la testa; lo sguardo si spostò sul lato della strada, verso le spighe, e la mente incominciò a viaggiare e a pensare a quello che sarebbe potuto succedere in quei pochi giorni lontani da casa, pensieri di tanto in tanto interrotti dai canti a squarciagola intonati dai miei compagni di viaggio nei sedili posteriori. La mia attenzione venne distolta da una macchina che ci superò a tutta velocità e che ci suonò più volte; dopo poco Francesco rispose al clacson e capì che era l’auto dei restanti nostri compagni di avventura che inevitabilmente furono costretti a stare separati da noi. Ormai per lui era diventata una questione d’onore e premette istantaneamente il piede sull’acceleratore, superandoli in pochi secondi. La corsa clandestina finì quasi subito dopo un seccato “Oh piantala, che se facciamo un incidente muoio pure io!” di Lucrezia, che si trovava esattamente dietro di me.
Da quella matta gara passarono pochi minuti e la nostra attenzione fu catturata dal mare; finalmente eravamo arrivati. Dopo parecchie ore di viaggio, musica ed euforia eravamo finalmente giunti alla nostra meta. La gioia salì subito alle stelle; era visibile negli sguardi di tutti. Già ci stavamo immaginando sulla spiaggia, davanti ad un fuoco a cantare con chissà quali altri personaggi che lì avremmo conosciuto, a fare e a raccontarci le peggiori stupidaggini; ci stavamo costruendo in testa  la tipica estate da adolescenti che da poco tempo non eravamo più, quell’estate che aveva contrassegnato la fine della fanciullezza, che però volevamo disperatamente rivivere e che avevamo intenzione di rivivere ogni anno fino alla fine del percorso universitario, se tutto fosse andato per il meglio. 
Dopo pochi tornanti ci si figurò davanti il parcheggio del campeggio quasi del tutto occupato e senza più posti all’ombra. Con un’abile manovra Francesco riuscì a parcheggiare e senza nemmeno dargli il tempo di dire qualcosa io e Lucrezia ci catapultammo in spiaggia, per capire com’era la situazione e prendere dei posti per le tende. In poco tempo ci raggiunsero anche tutti gli altri con le tende già fuori dalla loro custodia e pronte per essere montate.
 
Al grido di “Bene, ragazzi, si comincia!” la nostra estate poté avere ufficialmente inizio. 
  
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