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Autore: Montana    05/06/2017    0 recensioni
Quattro personaggi, quattro stagioni, un'unica grande storia che ha luogo a Londra. Tra una metropolitana troppo affollata, spettacoli teatrali, fish and chips e ruote panoramiche, seguiamo i protagonisti per un intero anno delle loro vite: si ritroveranno, alla fine, uguali a com'erano partiti?
[Il primo capitolo, "Inverno - Cheers to London" partecipa al contest "Ogni mese, la sua città" indetto sul forum di EFP]
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Inverno - Cheers to London

“Anche se quel giorno non ci fossimo incontrati, tutto sarebbe andato nello stesso modo. Ci eravamo incontrati perché doveva succedere, e anche se non fosse stato quel giorno, prima o poi ci saremmo sicuramente incontrati da qualche parte.”
(Haruki Murakami, Norwegian Wood)
 

La metropolitana il lunedì mattina è un crimine contro l’umanità.
Negli ultimi trent’anni Robert si era ripetuto quella frase ogni lunedì mattina, dal momento in cui le porte del vagone già affollato si aprivano davanti a lui a Hampstead fino al suo arrivo nel West End, strizzato fra turisti esaltati e compatrioti ancora ubriachi dalla sera prima.
Alcune facce gli erano ormai famigliari: c’era l’uomo in completo elegante che passava il tempo attaccato al telefono, due sedili più in là c’era il giardiniere dagli occhi iniettati di sangue che puzzava di alcol, poi la madre ansiosa e i due ragazzini con gli skateboard. Un tempo si sarebbe divertito ad immaginare le loro vite fuori da quel vagone, inventando storie per passarsi il tempo, ma ultimamente riusciva solo a chiedersi se fossero mai andati a vedere il suo spettacolo o se avessero intenzione di farlo. Era un attore teatrale, di una compagnia abbastanza conosciuta che solitamente portava a teatro quasi duecento persone ogni replica, ma le ultime rappresentazioni non erano andate molto bene.
Una brusca frenata del treno lo distolse dai suoi pensieri. Riuscì a rimanere in equilibrio aggrappandosi a un palo, ma qualcuno accanto a lui non fu altrettanto fortunato e gli finì addosso.
«Dannazione. Scusa, non sono riuscita a reggermi»
Una ragazza, poco più che ventenne, con lunghi capelli rossi e occhi grigi, si massaggiava la spalla che aveva sbattuto contro la sua schiena.
Normalmente non le avrebbe risposto, al massimo le avrebbe rivolto un cenno infastidito, ma inspiegabilmente si sentì sorridere e dire «Tranquilla. Tutto ok?»
Lei alzò lo sguardo e annuì un po’ imbarazzata. Poi il treno ripartì e la voce metallica annunciò che la prossima stazione sarebbe stata Tottenham Court Road; la ragazza si fece strada fra le persone stipate nel vagone verso la pota scorrevole e in breve scomparve alla vista.
Lui proseguì fino a Leicester Square, scese insieme a mille turisti rumorosi e disordinati. Il cielo plumbeo che aveva lasciato a Hampstead lo salutò con una leggera spruzzata di bianco; aveva iniziato a nevicare.
 
Shirley arrivò a St Paul di corsa e senza fiato; non era più abituata ad andare a lavorare in metropolitana, aveva dimenticato la calca del lunedì mattina, i turisti ingombranti e soprattutto gli incontri piacevoli ma frustranti. Quel biondo dagli occhi di ghiaccio contro cui aveva goffamente sbattuto le aveva notevolmente migliorato l’umore, bastava non pensare che in quella città non l’avrebbe mai più rivisto.
«Eccoti finalmente!» l’accolse Abby, la sua migliore amica, quando la vide entrare negli uffici.
«Il turno delle nove e trenta comincia tra cinque minuti, cominciavo a pensare che fosse successo qualcosa!»
«No, niente di che. Non ero più abituata a venire fin qui in metropolitana»
Abby, resasi conto della gaffe, si morse un labbro e le passò la sua tazza di caffè «Dai, prendilo tu. Me ne offrirai uno a pranzo»
Shirley faceva la guida turistica. Non era sempre stato il lavoro dei suoi sogni, da bambina voleva fare la cantante, poi l’architetto, poi si era accorta di essere brava nelle lingue e in storia dell’arte e aveva trovato l’impiego giusto per lei.
Lavorava alla Cattedrale da cinque anni, da quando ne aveva appena venti e almeno una volta alla settimana la scambiavano per una studentessa di liceo divisa dai suoi compagni. Lì aveva conosciuto Abby ma anche Gary, il suo grande amore.
Avevano vissuto una lunga storia d’amore tra cupole e opere d’arte e l’anno prima erano andati a vivere insieme a Limehouse, prendevano la DLR ogni mattina ed erano felici. Poi Gary aveva deciso di cambiare orizzonti ed era andato a lavorare dall’altro lato del fiume, alla Tate, dove in poco tempo si era fatto un nuovo gruppo di amici e poi si era fatto anche Vivien, una collega. Shirley lo aveva scoperto e cacciato di casa, ma si era resa conto in fretta che da sola non poteva permettersi un appartamento così vicino al centro. Era dunque tornata ad Highgate da sua madre proprio quel weekend, e dopo il devastante primo viaggio in metropolitana le fu chiaro che si sarebbe dovuta alzare prima e che sarebbe tornata a casa sempre dopo.
«Eccoti il cartellino, ora sei pronta per iniziare! Ah, non dimenticarti che ci incontriamo con Johanna per pranzo, dobbiamo accordarci per il pub di giovedì»
 
Logan amava Londra. Ci era nato e cresciuto, e a differenza di quel misantropo di suo fratello la adorava in ogni sua sfaccettatura, turisti compresi.
C’è da dire che ne frequentava parecchi molto da vicino, nel suo pub a Soho. Arrivavano attratti dal fish n chips e dalle pinte di birra, ed erano i suoi clienti preferiti, prevedibili e svelti, gli liberavano i tavoli in fretta e non si lamentavano mai né per i prezzi né per la qualità di cibo e servizio.
Apprezzava ovviamente anche i suoi clienti abituali, quelli che ogni settimana avevano una sera prestabilita da passare da lui, bevendo molto e mangiando poco. Amava quel vociare così tipico inglese, era come musica per le sue orecchie.
Certe volte poi capitava che ci fossero visite inattese alquanto piacevoli, come il trio di ragazze che stavano entrando proprio in quel momento. Una rossa, una bionda e una mora, vestite di tutto punto con camicie bianche e gonne nere, sembravano uscite da una pubblicità.
«Buonasera ragazze, cosa vi do?» chiese amichevole appena si furono sedute al bancone.
«Tre bionde a tua scelta, grazie»
Si trattenne dal fare battute sul colore dei capelli e versò tre bicchieri per le signorine.
«Allora, com’è il tempo fuori?» chiese, tanto per attaccare bottone.
«Terribile. Ha minacciato di piovere tutto il giorno e ha iniziato solo quando siamo uscite da lavoro! Dimmi tu se questa non è sfortuna» rispose la mora.
«Sfortuna, sì, oppure un classico inverno londinese! Non lavorate qui vicino, vero? Scusate l’indiscrezione, ma sono sicuro di non avervi mai viste qua prima d’ora, e permettetemi di dire che di voi mi ricorderei.» aggiunse ammiccando.
La rossa e la bionda sbuffarono, la mora invece ridacchiò «Lavoriamo a St Paul, noi due siamo guide turistiche, lei invece vende i souvenir. Non eravamo mai venute qui prima d’ora, ma abbiamo sentito parlare molto bene di questo posto quindi abbiamo deciso di provarlo»
«Oh, bene! E come vi sembra?»
«Beh, la birra è buona e i baristi simpatici, quindi per adesso direi ottimo!»
«Sì, adesso valutiamo bene anche il cibo. Ci porti qualcosa? Delle patatine e degli anelli di cipolla, grazie»
Quando il barista si fu allontanato per portare la loro ordinazione in cucina, le tre amiche cominciarono a parlottare sottovoce.
«Abby, ti prego, non flirtare così apertamente con quel poveruomo» la rimproverò Jo.
«E perché no? È simpatico ed è anche carino!»
«Ok, ma se il posto ci fa schifo e non torniamo più? Non devi dargli false speranze»
«Non sto dando false speranze a nessuno, sto solo chiacchierando con una persona gentile e interessante. Non c’è nulla di sbagliato, vero Shirley?»
La rossa buttò giù un sorso di birra «È il barista di un pub sempre affollato, sa come trattare le persone e probabilmente fa così con ogni ragazza carina che gli dà un po’ corda» rispose atona.
Le due amiche la guardarono perplesse.
«L’amore fa schifo» aggiunse Shirley per rincarare la dose.
«Shir, ti voglio molto bene e sai che ti stimo, ma ultimamente uscire con te sta diventando una deprimente rottura di coglioni. L’amore fa schifo? È vero, ma chissenefrega! Vivi un po’, esci e divertiti! Ci sarà qualcuno in questa città strabordante di persone che possa aiutarti a stare meglio, o no? Santo cielo, ci vorrebbe a te un barista esuberante o qualcuno di simile» sbottò Jo.
«A proposito di barista, sta tornando! State buone, mi raccomando»
Rimasero lì ancora per due o tre ore, e quando dopo aver pagato decisero che il pub aveva tutte le carte in regola per entrare nella loro lista dei preferiti, Abby di premurò di lasciare il suo numero al barista biondo.
 
Jo era completamente priva di tatto, come ogni inglese che si rispetti. E come ogni inglese che si rispetti, non aveva torto a comportarsi così e a dire quelle cose.
Shirley lo sapeva bene, per questo aveva incassato il colpo senza ribattere quella sera al pub, promettendosi di migliorare. Il problema era che non ci stava riuscendo, anzi, stava proprio peggiorando.
Da un lato non era solo colpa sua: Londra a Natale è fatta per le coppiette, per la gente che ha qualcuno che la aspetti a casa, tra le vetrine dei negozi, le luminarie, le coppie di turisti venuti a festeggiare il Natale e le pubblicità natalizie di Tesco o delle compagnie aeree. Insomma, era possibile non riuscire a guardare più di cinque minuti di tv sul divano senza scoppiare in lacrime alla vista di famiglie riunite e baci sotto il vischio? In pigiama sul divano, intenta a mangiare gelato come una novella Bridget Jones, protettrice delle ragazze inglesi single e depresse, Shirley si lasciò sfuggire un sospiro affranto.
Quello sarebbe dovuto essere il quarto Natale con Gary, il primo nel loro appartamento nuovo, e invece eccola sul divano di sua madre a disperarsi.
Certo, Abby avrebbe potuto avere più tatto nel dirle che era uscita con Logan, il famoso barista di Soho, e che la cosa andava a gonfie vele, ma lei avrebbe dovuto avere un maggior ritegno. Che diamine, si disse; siamo inglesi, una tazza di tè e passa tutto.
 
Robert aveva un piacere nascosto che in pochissimi conoscevano: i fuochi d’artificio di Capodanno al London Eye. Per i rimanenti 364 giorni l’anno detestava quell’orrida attrazione per turisti, ma l’ultimo dell’anno acquisiva per lui qualcosa di magico. Solitamente il 31 dicembre stava in teatro con gli altri, brindavano a mezzanotte e poi guardavano i fuochi in televisione (lui fingeva di lamentarsene, ovviamente, per non uscire dal personaggio) ma quell’anno suo fratello era riuscito miracolosamente a trovare i biglietti per assistervi dal vivo.
Se ne stavano in mezzo alla calca infernale a bere una birra mentre aspettavano la nuova ragazza del più giovane dei de, per la quale aveva preso due biglietti e che quini avrebbe portato un’amica.
«Ne ha due a cui è molto legata, non so quale porterà. Ma sono entrambe carine e simpatiche, non preoccuparti. Forse riusciranno a farti sorridere un po’, almeno l’ultimo giorno dell’anno»
Robert lo fulminò con lo sguardo, non amava che lo prendesse in giro per il suo brutto carattere. Era nato così, non poteva farci nulla.
«Appunto… ehi, eccole là! Aspetta qui, vado a prenderle»
Logan scomparve nella folla per riemergere qualche manciata di secondi dopo tenendo per mano una ragazza mora sorridente.
«Eccoci qua! Allora Abby, questo è mio fratello Robert; Robert, lei è Abby»
I due si strinsero la mano rapidamente.
«Lei invece è Shirley. Tu la conosci già, Logan, no?» disse Abby avvicinando la sua amica, rimasta in disparte fino a quel momento.
«Certo che sì! Robert, lei è Shirley; Shirley, Robert»
«Piace…» Robert si bloccò a metà della parola quando vide i capelli rossi e gli occhi grigi della ragazza: era lei, la sconosciuta della metropolitana che lo aveva fatto sorridere! L’aveva cercata sul treno le mattine seguenti, ma non avendola più trovata se n’era fatto una ragione l’aveva archiviata.
Nello sguardo meravigliato di lei lesse che anche lei lo aveva riconosciuto, e di nuovo si sentì sorridere «Ci rincontriamo» disse.
Lei rispose al sorriso, questa volta «Sembrerebbe di sì. Almeno stavolta so il tuo nome»
«Vi conoscete già?» chiese Abby incredula.
«Più o meno» rispose Robert, senza smettere di sorridere.
I quattro si avvicinarono il più possibile al parapetto di pietra, cercando di fendere la folla.
In una città di otto milioni di abitanti, pensò Robert, era riuscito a rincontrare per puro caso una ragazza che lo aveva colpito, che lo faceva sorridere; c’era un che di straordinario, poco ma sicuro.
Forse, si disse mentre iniziava il conto alla rovescia, forse era stata proprio la sua città che lui tanto insultava e bistrattava, che metteva ogni giorno a dura prova i suoi nervi con il suo meteo indeciso, i suoi abitanti snob, le sue strade caotiche, le sue metropolitane affollate e le sue orde di turisti, a dare la spinta per farli rincontrare.
Beh, cheers to London, si disse alzando il bicchiere di birra al primo rintocco del nuovo anno.
  
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