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Autore: 5AM_    05/06/2017    2 recensioni
Chiara è una studentessa universitaria alle prese con un nuovo mondo e una vita totalmente diversa da quella precedente, che sarà sconvolta ulteriormente dall'incontro con una persona che presto diventerà il centro dei suoi pensieri. Ha una grande passione: la musica, che sarà il sottofondo di tutta la storia.
Buona lettura.
"Non sento nulla se non brividi. Brividi. Più le note si espandono più i miei occhi si incatenano ai i suoi"
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yuri, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
Capitoli:
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-Anche a me quello non convince- esordisce lui.
-Dipende da come lo intendono-
-Resta comunque ambiguo- ribatte.
-Non ambiguo quanto la frase di prima…-
-Quello è sicuro- dice con voce ferma.
Mi stiracchio appoggiando i piedi sul tavolino.
-Sara tu che ne dici?- mi chiedono quasi in coro.
Fisso Pietro seria.
-Che dobbiamo metterlo da parte per un po’ di tempo e poi di rileggerlo con calma- dico. -Se continuiamo a leggerlo ogni giorno non cambieranno le ambiguità, le rinunce, i salti nel vuoto che dobbiamo fare… concentriamoci sulle canzoni, sul festival e poi ne riparleremo-
Pietro si arrotola i baffetti pensieroso. Lo fa sempre quando sta pensando, quando cerca di risolvere un problema o quando si perde in sé stesso.
-Sì hai ragione- annuisce.
Dall’altra parte Marco scuote la testa arrabbiato.
Cerco di non darci peso. Sono convinta della mia idea e sono ormai abituata al suo essere sempre contro le mie proposte. Eppure non mi sono mai lasciata mettere i piedi in testa, né da lui né da altri e neanche questa volta sarà così.
Per quanto io sia propensa al rischio, per quanto voglia fare questo salto di qualità, non voglio farlo perché presa dal momento. Voglio farlo nel momento giusto e con la lucidità necessaria.
Se mi chiedono: vuoi diventare ancora più famosa? La risposta è sì. Sono pronta, lo voglio e tutte le altre risposte positive che possono esserci al mondo. Ma c’è sempre un però. Il mio però è che per quanto lo voglia, voglio anche essere consapevole di ciò che sto facendo. Per ora voglio mettere tutta me stessa nelle canzoni che stiamo scrivendo, il resto può e deve aspettare.
-Non capite che è l’occasione che stavamo aspettando da sempre! Nessuno ci aspetterà in eterno!- dice Marco alzandosi nervosamente dalla poltrona.
Incomincia a camminare arrabbiato per la stanza.
-Calmati, nessuno ha detto che dobbiamo farli aspettare in eterno- dice Pietro quasi spossato.
-Ma no che non mi calmo! Non capite che lo faremo solo innervosire!- dice alzando il tono di voce.
-Allora se si innervosisce perché noi ci prendiamo tempo per decidere, non sa cosa significa il mondo in cui lavora lui stesso. Se non pensiamo alle canzoni del nuovo album, se non facciamo un capolavoro, chi pensi che ci contatterà mai? Dobbiamo pensare a quello, poi al resto- dico sedendomi nervosamente sulla sedia.
-Tanto le canzoni le scrivi tutte tu, no? Che problema c’è? Cosa dobbiamo modificare? È tutto sempre perfetto quello che fai tu, no?- dice prendendo la sua felpa e guardandomi diritto negli occhi.
Scuoto la testa nel sentire quelle parole.
Lui si dirige arrabbiato verso la porta.
La apre e la sbatte dietro di sé.
Alzo gli occhi al cielo e sbuffo.
Mi passo una mano tra i capelli e guardo in basso, socchiudendo appena gli occhi.
Il silenzio regna sovrano.
-Coglione- dice Andrea dal nulla.
Dopo pochi secondi il campanello suona.
Pietro si alza e va ad aprire.
-Ehi ragazzi, perché Marcolino era un uragano per le scale? La tipa l’ha lasciato per l’ottava volta?- la voce di Alessandra mi arriva nelle orecchie.
Non appena sente il silenzio di tomba che regna nel salotto e vede che abbiamo tutti in mano il nostro “famoso” contratto con tanto di sottolineature, lascia andare un sonoro: -Oh-
La guardo con quello sguardo che dice: “Indovina cosa è successo di nuovo?!”
-Ma voi rockstar non dovevate già giocare a Guitar Hero mentre ero via?- chiede sconcertata. -E invece no, sempre a pensare al lavoro-
-Non giochiamo più a Guitar Hero dai nostri 12 anni- dice Andrea ironicamente.
-Su! Togliete sti fogli e musi lunghi che ho affittato Halo e Call of Duty- dice raggiante. -Pallottole per tuttiiiii-
Pietro ride appena e mette via il contratto prendendo un joystick.
Tutti lo seguiamo.
Mentre ci spariamo l’uno contro l’altro, il mio unico pensiero è la discussione appena avuta con Marco. Soprattutto le sue ultime parole taglienti.
“Tanto le canzoni le scrivi tutte tu, no?”. Quanto fanno male queste parole. Parole riferite alla cosa che ami di più sulla faccia della terra: la tua stessa musica. Le canzoni che scrivo sono la mia persona trasformata in note, fraseggi, arpeggi, cattiveria e suoni ovvero me ma un’altra dimensione e forma. Quindi ogni piccola parola, pensiero, cattiveria che Marco ha voluto intendere in quelle frasi le ha anche mirate alla mia persona.
Per questo motivo fa male… male da morire. Quasi brucia dentro il cuore e il cervello.
Non ho mai avuto la presunzione di dire: “scrivo io le canzoni e nessuno le può toccare”. Anzi, gli Oltre sono gli Oltre perché alle mie idee gli altri ci aggiungono le proprie. Quella è la parte più bella del creare musica con loro.
Non ho mai pensato di poter essere l’unica in grado di scrivere delle canzoni. Anzi, molte volte ho chiesto aiuto. Soprattutto quando eravamo all’inizio della nostra carriera.
Le parole di Marco mi feriscono perché tutto lo sforzo, la creatività, la volontà e la mia stessa persona l’ho messa a disposizione di tutti: loro ed i fan. Non per me stessa, l’ho distribuita perché è ciò che voglio fare e l’ho fatta sentire a loro perché potessero metterci il loro tocco.
Brutto realizzare che qualcuno non ha capito il mio scopo e mi crede una persona soltanto egoista e assetata di fama.
-Sara, hai una granata sotto al culo! Muoviti, stiamo perdendo- il vibrare del joystick mi risveglia improvvisamente.
-Ma giochi o cosa? Sei appena saltata in aria!- mi rimprovera Alessandra.
-E via, la più forte è andata in mille pezzi! Stiamo per vincere!- dice Pietro esultando con Andrea.
-Ehy e io che sono? Una schiappa?! Ora vi faccio il culo a strisce e chiederete pietà in ogni lingua, anche solfeggiando le vostre preghiere musicisti-
Mai sfidare Alessandra.
Mai.
Non so perché quei due non l’abbiano ancora capito.
Di colpo il vibrare del telefono mi fa distogliere lo sguardo perso nel vuoto.
Leggo il nome sullo schermo.
Chiara.
Mi alzo immediatamente e corro lontano dalle loro voci e grida da gioco.


◦●◦                                                    ◦●◦

Mentre gli squilli scorrono tra le mie orecchie mi rendo conto di quello che sto facendo e chiudo la chiamata prima che Sara possa rispondere.
Scuoto la testa violentemente mentre continuo a camminare sul marciapiede.
Cosa credevo di fare? Chiamarla e rovesciare su di lei tutti i miei problemi?
Lei che fortunatamente non sa come ci si sente, che è estranea a questo mondo meschino e sbagliato, fatto di bugie e maleducazione. Voglio davvero farla entrare in tutto questo uragano senza fine, senza percorso definito e dalla forza distruttiva?
Mentre gli squilli si riversano nelle mie orecchie ho capito che non voglio. Non voglio che si macchi di questi pensieri. Non voglio che nella sua testa si annidino particolari che poi nessuno riuscirà mai a toglierle.
Era già stato abbastanza tremendo solo sfiorare l’idea del mondo che ho attorno, di certo non volevo farla entrare e segnare anche lei oltre che me stessa.
La mia famiglia è sempre stata come un colore orrendo che ti macchia le mani: più vuoi cancellarlo, più quello non ti lascia la pelle e quando tocchi qualcosa macchi anche quella.
Poco dopo, durante la mia nervosa passeggiata verso casa di mio padre, a sangue freddo avevo realizzato ciò che forse era sempre stato nascosto sotto la mia pelle in questi giorni: era giusto stare con chi non mi aveva fatto del male.
Nella mia vita, soprattutto dopo che la mia adolescenza è stata strappata alla radice, non ho fatto altro che focalizzarmi su chi mi aveva tradito, su chi mi aveva dato tutto e poi se l’era ripreso come se fosse stato una bugia. Quando cresci con uno schema ben preciso, quando pensi che il punto di forza e di ritorno sarà sempre la tua famiglia e quando quella va in frantumi, non fai altro che maledire chi te l’ha fatto credere.
Ecco quello che ho sempre fatto da quel maledetto giorno. Ho maledetto la persona che ha distrutto tutto e non ho pensato, o meglio, non ho curato a dovere chi era rimasto nonostante tutto.
Non ho curato abbastanza il cuore e l’orgoglio ferito di mio padre, ho preferito staccarmi perché l’essere indifferente ti crea meno delusioni. Ma non avevo capito che le delusioni le provochi negli altri.
Era stato più facile trovare difetti nel comportamento di mio padre che capirlo e solo adesso ho realizzato di aver sprecato tempo ad odiare qualcuno per non amare nessuno.
Non appena misi piede nella casa in cui ero scresciuta, uno sguardo preoccupato fece capolino dal salotto illuminato da luci soffuse. La sua espressione diventò ancora più angosciata quando fece caso al mio sospiro.
In quel momento realizzai che avevo fatto la scelta giusta: quello sguardo inquieto mia mamma non me lo rivolgeva da anni. Lui invece, me lo regalava anche se notava il minimo cambiamento d’umore in me.
Dentro di me stavo sorridendo.
-Non dovevi stare a con mamma?-
-Ho cambiato idea- rispondo.
-È successo qualcosa?-
-No, semplicemente preferisco stare con te e la nonna-
Sentivo chiaramente il suo sorriso dispendersi per la casa, dietro le mie spalle. Sentivo le sue labbra allargarsi e i suoi occhi illuminarsi.
Quella sera addormentarsi fu difficile: la rabbia ancora scorreva nelle mie vene, anzi ribolliva.
Era una strana sensazione, perché era rabbia mista a consapevolezza. Consapevolezza di aver fatto delle scelte, di aver scelto delle persone, di averne perse altre per una giusta causa e di essere arrivata in qualche modo ad un checkpoint.
Le parole dette continuavano a rimbombare nella mia testa come un martello pneumatico: con costanza e brutalità. Il suo sguardo mi perseguitava e mi fissava anche quando cercavo di concentrarmi sul buio.
Gli occhi di una madre, quelli che un bambino vede come prima cosa al mondo, quelle iridi che non sa neanche cosa siano e che nome abbiano, erano gli stessi che da anni mi ricordavano come ci si sente ad essere traditi.
In tutto quel caos mentale, in tutte quelle voci, quei ricordi mescolati a realtà che avrei voluto vivere, una voce chiara e dolce mi continuava a ripetere: devi stare con chi ti vuole bene.
Era quello che volevo fare, era quello che stavo cercando di portare a termine.

-Non posso credere che devi già andare via- la voce limpida di Beatrice risuona nell’aria.
Le faccio uno sguardo dispiaciuto in risposta.
-Sembra ieri che finalmente sei tornata in mezzo a noi provinciali- sogghigna.
Tra tutto il subbuglio che il mio ritorno a casa ha creato ci sono due fattori positivi: l’essere stata con chi mi vuole bene e aver riallacciato i rapporti con la mia migliore amica.
Dopo quella sera difficile avevo passato il tempo che mi rimaneva in città aiutando mia nonna con il suo giardino pieno di ogni sorta di fiori, con mio padre aiutandolo ad arredare il suo nuovo studio super moderno e con Beatrice, cercando di aggiornarci su tutte le nostre novità evitando di pensare che da lì a poco sarei partita.
-Lo sai che puoi venire a trovarmi quando vuoi Bea!- dico cercando di trovare un risvolto positivo nella situazione. -Vivo da sola, quindi non avremmo neanche problemi di coinquiline imbarazzanti-
Lei mi annuisce felice: -Lo so e appena so le date della sessione di settembre ci organizziamo! Mi piacerebbe molto vedere dove vivi e conoscere i tuoi nuovi amici-
-Andreste molto d’accordo sono sicurissima- dico sorridendo dolcemente.
Guardo l’ora dal mio telefono e mi accorgo che è tempo di salutarci.
Ci stringiamo in un abbraccio dolce, esattamente come l’ultimo che ci siamo scambiate.
-Non divertiti troppo con la rossa- mi sussurra nell’orecchio.
Scoppio a ridere immediatamente.
-Non ti preoccupare, cercherò di trattenermi- dico stando al gioco.
Poco dopo mi ritrovo tra le mura di casa mia con la valigia di nuovo piena e sacchetti colmi di cibo in mano.
Mia nonna mi guarda con uno sguardo triste. I suoi occhi grigi dicono tutto: mi mancherai. Anzi, lo urlano. La abbraccio forte, le dico che la chiamerò quanto presto.
-Torna presto- mi dice con un filo di voce.
-Lo farò nonna, verrò più spesso lo prometto- la sento sorridere dietro le mie spalle.
-Signorine, è ora di andare o la marmotta perde il treno- ci interrompe mio padre con rispetto e un filo di ironia.
Posso leggere nelle sue parole e nei suoi comportamenti, un miglioramento. Ho percepito in questi giorni il suo silenzioso ringraziamento. Un ringraziamento per aver scelto, di nuovo, lui.
Il mio cuore dall’altra parte, non ha mai scelto un altro posto. Magari, inconsciamente, sono stata lontana da lui e dalla mia famiglia, forse sono stata indifferente e distaccata. In questo anno mi sono concentrata su me stessa, ma solo quando ho visto il suo sguardo preoccupato nei miei confronti ho realizzato che era ciò di cui avevo bisogno. Era qualcosa che mi ero negata pensando che la mia famiglia non ne valesse la pena. Ma quando i suoi occhi, quella sera hanno incrociato i miei, ho capito che lui e pochi altri mi avrebbero mai riservato quello sguardo preoccupato nella mia vita. Quindi dovevo, ad ogni costo, restare qua e onorare chi mi concedeva quello sguardo.
Tante volte sono stata io a essere preoccupata per lui. Quando abbiamo saputo cosa stava succedendo ero io a regalare la mia preoccupazione a lui, ora invece sta accadendo l’opposto.
Questo fanno le persone che si amano: si preoccupano per l’altro nello stesso modo in cui si preoccupano per loro stessi.
E noi, in qualche strano modo, ancora ci amavamo come solo padre e figlia sanno fare. In modo silenzioso, cauto, a volte difficoltoso e scontroso, eppure siamo ancora la vera famiglia.
-Non è proprio giusto che l’unica che mi aiuta a bagnare i fiori se ne debba andare!- dice mia nonna quasi arrabbiata.
-Papà non ti aiuta neanche un po’?- chiedo ridacchiando.
-Lui?- dice indicando mio padre. -Le piante muoio anche solo al suo passaggio- dice ironicamente lei.
Lui incrocia le braccia in tutta risposta.
-Forza al treno tu!- mi dice indicandomi. -Che voi due fate troppi danni quando incominciate a giocare nella stessa squadra!-
Mi apre la porta e la luce del sole mi abbaglia temporaneamente.
La voce anziana dietro di me mi accompagna fuori dicendo: -Ovviamente contro di te!-
Ridiamo tutti insieme e per la prima volta dopo tanto tempo sento che questa può essere di nuovo una quotidianità e una vera famiglia.
Saliamo in macchina e ci dirigiamo verso la stazione.
-Eleonora ti viene a prendere in stazione?- mi chiede mio padre con un sorriso genuino.
-Non so ancora, appena sarò sul treno le chiederò- dico rispondendo vagamente.
So già che ad aspettarmi sul binario ci sarà Sara. Dopo averla chiamata a vuoto le avevo scritto un messaggio dicendo che mi ero semplicemente sbagliata. Non avrei voluto mentirle, ma non volevo spiegarle nulla di quello che era successo. Successivamente si era offerta di venirmi a prendere in stazione, inutile dire che avevo adorato la sua idea perché, effettivamente, mi mancava.
Ma, ovviamente, non voglio fare nessuno sbaglio o passo falso con mio papà. Questo non è il momento migliore per dirlo, non potremmo parlarne nel dettaglio e non potrei rispondere alle sue domande come vorrei. Di conseguenza è meglio lasciare questo argomento per un futuro, che spero essere vicino.
Ci salutiamo a malincuore stringendoci in un abbraccio sincero.
-Ci vediamo presto papà- dico dolcemente.
-Lo spero, sarei felice di vederti più spesso-
Queste sono le parole più sincere che ci siamo scambiati da tanti anni, queste sono parole che vengono dal cuore perché i suoi occhi brillano nascosti dietro la sua finta durezza e il mio stomaco si contorce perché infondo mi dispiace lasciarlo solo.
Poco dopo mi ritrovo sul treno.
Guardo fuori dal finestrino e una voce famigliare mi canta dolcemente nelle orecchie.

◦●◦                                                    ◦●◦

-Te l’ho già detto devo andare a prendere Chiara in stazione- sbuffo.
-E beh? Vengo anche io!-
Alzo gli occhi al cielo.
Fisso il computer davanti a me.
Pagine intere di testi scritti in tutti questi mesi si presentano davanti ai miei occhi. Erano giorni che cercavo di mettere a posto metriche e linee vocali, ma ovviamente qualcuno mi rendeva il lavoro difficile.
Dopo la “serata sparatutto” Alessandra non mi aveva mollato un secondo.
Comprendevo la sua preoccupazione, le parole di Marco mi avevano ferita ma dall’altra parte non era la prima volta che accadeva. Quando incominci a passare ogni singolo giorno con le solite quattro persone, magari su un bus, su un palco stretto, tendi a perdere la pazienza. Ad un certo punto incominciano a volare parole eccessive, frasi mal interpretabili dovute alla stanchezza e allo stress.
Tante volte è capitato anche a me. Dividere gli spazi e il tempo con loro era fantastico, ma farlo senza pause per più di un anno in tour e studio, beh era tutt’altra cosa. Eppure, dopo esserci scaricati tornavamo come prima. In fondo siamo esseri umani anche noi.
Quindi, la frase di Marco, non era neanche così pesante da sopportare. Ci eravamo tutti abituati. All’inizio ci puoi restare male, ma poi passa perché sai che in realtà non era voluto.
Ma questa parte Alessandra non la stava capendo: continuava a venire a casa mia, a controllarmi di soppiatto mentre registravo le linee vocali nel mio studio e a portarmi cibi ipercalorici.
-Ma non è la tua fidanzata! È la mia- dico quasi spazientita.
-Sono sicura che la tua fidanzata sarà felice di vedermi- dice convinta.
Sbuffo prendendo le chiavi della macchina.
-Muovi quel culo- dico spazientita.

Arriviamo in stazione puntualissime.
Ci mettiamo sul binario e aspettiamo che Chiara scenda dal treno. Non appena incrocio la sua figura e i suoi occhi un sorriso mi appare automaticamente sul viso. Dopo pochi secondi anche sul suo.
Ci scambiamo un abbraccio tenero e veritiero e quando i suoi occhi si posano di nuovo sui miei decido di lasciarle un dolce bacio sulla fronte, spostando i suoi capelli castani e lunghi.
-Almeno non vi siete saltate addosso in pubblico, mi stupisco della vostra forza di volontà- dice una voce alle mie spalle. Sbuffo sonoramente. Chiara invece ridacchia per poi salutare anche Alessandra.
-Tutto bene il viaggio?- chiedo con un sorriso.
Lei mi annuisce felice in risposta.
Mentre ci incamminiamo verso la macchina, è di nuovo la mia amica a interrompere il silenzio che ci avvolge. -Per fortuna sei tornata Chiara, ero stanca di fare la babysitter a questa qua!-
Chiara mi rivolge uno sguardo interrogativo.
Io faccio spallucce e scuoto la testa.
-Dai, ora puoi andare in vacanza per un po’- risponde la mia ragazza con un filo di ironia.
-Grazie, non vedevo l’ora- risponde l’altra.
-Salite, su- dico aprendo la macchina e caricando la valigia di Chiara.
-Stasera ho una partita, venite a fare il tifo per me?- chiede Alessandra dal sedile dietro.
Guardo Chiara che sorride positiva.
-Certo, contaci!- dico in risposta.
Scarico Alessandra a casa sua e finalmente tiro un sospiro di sollievo. Ancora parcheggiata a lato strada rivolgo uno sguardo a Chiara. -Non ce la facevo più- dico facendola scoppiare a ridere.
-Come mai ha fatto da babysitter alla grande rockstar?- dice ironica.
-Ma tu lo sai? Perché io no!- dico sbuffando.
Continua a ridacchiare continuando a specchiarsi nei miei occhi. Improvvisamente mi rendo conto di quanto mi sia mancata, di quanto io sia già dipendente. Appena il suo profumo mi inonda, appena il suo sguardo si posa su di me, ho solo l’impulso di volerla ancora più vicina.
Con questo pensiero in testa catturo le sue labbra tra le mie con avidità.
Presa alla sprovvista lei lascia andare un leggero sussulto per poi posare una sua mano sulla mia spalla e ricambiare il bacio con desiderio.
Ci stacchiamo leggermente, tutte e due prese dall’altra persona. -Per fortuna sei tornata- dico sottovoce.
-Lo dici per questo o perché così ti sei tolta Alessandra?- dice ridacchiando.
-Tutte e due- rispondo.
Metto in moto. Prossima meta: casa di Chiara.
Una volte entrate poso la sua valigia all’ingresso e lei si butta sul divano.
-Hai fame?- dice lei.
-Umh, un po’. Tu?-
-Sì, ma non c’è nulla in frigo- dice triste.
-Beh, vorrà dire che non entreremo ancora nella fase “ti cucino pranzo”- dico sedendomi di fianco a lei.
Scuote la testa ridendo. -Ordiniamo una pizza?-
Annuisco.

◦●◦                                                    ◦●◦

Ci sediamo sul tavolo.
I cartoni della pizza davanti a noi.
Non avrei mai pensato che queste piccole situazioni mi avrebbero resa così felice.
Essere di nuovo tra le mura di questa piccola e modesta casa, mi rende più felice che tornare nella mia vecchia stanza.
Soprattutto ora che Sara è entrata di colpo nella mia vita. Questa città e questa nuova vita hanno tutto un significato diverso. Hanno un obbiettivo: far durare questa felicità il più possibile.
Addento un pezzo di pizza e mi perdo nei suoi occhi verdi. Mi era mancata questa piccola quotidianità che si sta creando. Lei mi risponde con un dolce sorriso.
-Posso invitare anche Eleonora alla partita di stasera?- chiedo timidamente.
-Ovvio! Più siamo meglio è! Dobbiamo fare tifo!- risponde lei contenta.
Sento il suo sguardo su di me.
Sicuramente vuole sapere com’è andato il mio ritorno a casa.
Eppure non voglio già tornare con i pensieri là, in quel posto pieno di bei ricordi ma anche di brutti, là dove ancora una volta qualcuno mi aveva ferito e deluso, là dove al solo pensiero il mio cuore si frantuma di nuovo.
Dopo aver finito la nostra pizza il silenzio continua a regnare sovrano.
-Film?- propongo.
-O serie tv?- ribatte lei con sguardo ammiccante.
Ridacchio. Ha già capito i miei punti deboli.
-Westworld?- propongo.
-Dio, come sei nerd- alza gli occhi al cielo.
Metto su un finto broncio per convincerla.
-Okay, va bene- dice alzandosi dalla sedia e buttando i cartoni di carta.
Seguo le sue movenze e le sue curve. Un corpo scolpito che, con questo caldo, mostra più che mai: pantaloncini cortissimi e una canottiera larga da cui si intravede il sottostante top. Deglutisco a vuoto non appena realizzo che il corpo della ragazza davanti a me potrebbe benissimo appartenere ad una dea.
Non avevo mai negato la bellezza di Sara, è vero. Però, fino ad ora, non avevo realizzato che quel corpo ora è legato in qualche modo al mio. Che quel corpo è il corpo della mia ragazza, che quelle curve, che quei muscoli tonici e quei vestiti sempre scuri e stretti potevo toccarli solo io.
Non avevo mai ragionato troppo su questo aspetto perché, per me, la bellezza è un fattore superficiale. Non mi innamoro della bellezza, ma dell’io di qualcuno ovvero la sua anima, le sue idee, le sue passioni, i suoi difetti e i suoi ideali. Quest’idea la applico parallelamente su di me, non mi sono mai truccata eccessivamente, non mi sono mai mostrata inutilmente perché se qualcuno davvero mi vuole allora deve conoscermi. Non ho mai creduto nell’amore al primo sguardo, perché con lo sguardo vedi solo uno strato, con la mente vedi tutti i livelli che compongono una persona.
Per Sara, è stato lo stesso. Solo quando l’ho conosciuta, quando l’ho vissuta ho capito quanto fosse speciale per me. Quando le sue parole sulla musica mi hanno penetrato la pelle ho sentito i brividi, quando le sue carezze mi hanno sfiorato ho sentito il mio cuore tremare. La bellezza, beh, non ti darà mai gli stessi brividi, lo stesso capogiro di quando ha occhi solo per te.
Nello stesso momento mi rendo conto di quanto i nostri corpi siano differenti. Io per niente tonica e sportiva, lei una statua scolpita nel marmo.
Il mio sguardo ha indugiato un po’ troppo sul suo corpo, perché i suoi occhi verdi si posano sui miei mentre le sue mani raccolgono i suoi capelli rossi in un chignon basso e morbido. Mi sorride di sbieco: beccata in pieno.
-Possiamo andare sul letto a fare la maratona Westworld?- chiedo quasi pregandola.
Mi ammicca di nuovo.
-Non ti facevo così intraprendente, Chiara- ridacchia.
Le tiro il tovagliolo addosso in risposta.
-Dai, andiamo-
Dopo poco ci ritroviamo sul mio letto, nella mia modesta camera, con Sara che fissa la mia chitarra appoggiata al muro.
-Non mi avevi detto che ne avevi una qua- dice guardandola attentamente.
-Perché in confronto alle tue è legna da ardere- dico seria.
-Ma che dici? Non esistono chitarre di migliori o peggiori, è il legame che creiamo con loro che fa la musica che suoniamo. Il legno da un tono alle corde ma le corde sono mosse da sentimenti- dice seria.
-Con una Fender i miei sentimenti sarebbero molto più felici- dico cercando di toglierle quello sguardo serio dalla faccia. Dai, stiamo solo parlando di una chitarra da poche centinaia di euro! Perché tutta questa serietà?
Ride in risposta. -Eppure la prima chitarra non si scorda mai- dice con tono serio.
-Beh, guardiamo o no?- chiedo a Sara.
Lei annuisce mettendosi al mio fianco.
La serie tv ci ha preso totalmente. È un capolavoro di regia e di recitazione, con riferimenti culturali bellissimi.
Eppure, per quanto sia presa, non faccio altro che pensare alla mia mano che è intrecciata con quella di Sara, ai cerchi che lei sta facendo sulla mia gamba sinistra mentre il suo sguardo intenso è dedicato totalmente alla serie. D’impulso anche io inizio a ricambiare queste semplici e dolci coccole. Sciolgo le nostre mani e mi metto più comoda, appoggiando la mia testa sulla sua spalla e incrociando le nostre gambe.
Ho notato come questa sia la nostra posizione preferita quando guardiamo film o quando dormiamo insieme. La mia mano destra vaga dolcemente sulla pelle appena sopra la linea dei suoi pantaloni, una sottile striscia di pelle scoperta inavvertitamente dalla canottiera.
Inconsciamente, quando ancora i miei occhi sono puntati sul momento clou della puntata, mi accorgo che la mia mano era andata direttamente sotto la sua canottiera e sul suo fianco tracciando percorsi immaginari.
Mi blocco quasi immediatamente. Anche se è una sciocchezza non mi ero mai spinta fino a lì. Certo, Sara di sicuro è abituata a cose ben più intime… eppure per noi è nuovo. Vago con lo sguardo fino ad incerettare il suo volto. Mi sorride dolce, non penso neanche che abbia capito il mio turbamento. Le sorrido in risposta allungandomi per darle un dolce bacio sulle labbra.
In fondo devo recuperare le occasioni perse durante la mia assenza.
Il fatto che non ci stacchiamo facilmente mi fa capire che anche lei vuole recuperare.
Sorrido involontariamente sulle sue labbra.
Utilizzo questa breve pausa per prendere fiato.
Eppure dopo pochi secondi le labbra di Sara si avventano di nuovo contro le mie, dischiudendole lentamente. La sua lingua cerca la mia bisognosa. Seguo i suoi movimenti, mi muovo verso di lei per essere più vicine. Sento il suo respiro sul mio volto e subito dopo avverto una sua mano sopra il mio fianco.
Improvvisamente il mio non diventa più bisogno, ma desiderio. Desiderio di sfiorare la sua pelle e di sentire il suo respiro su di me. Mentre il mio cervello elabora questo pensiero i miei denti mordono il suo labbro inferiore e un piccolo gemito esce dalla sua bocca.
Audace, mi complimento da sola.
Le mie mani afferrano i suoi fianchi e ora posso sentire, sotto le mie dita, tutta la sua pelle morbida. Non che le sue siano meno vagabonde, perché le sento sulla mia schiena delicatamente.
Quando le nostre bocche si staccano, i nostri occhi si aprono.
Mi ritrovo quasi sopra di lei, incastrata in lei.
-Forse dovremmo tornare all’episodio- mi dice dolcemente.
Annuisco quasi imbarazzata.
Torno al mio posto, eppure non riesco più a seguire la trama.

◦●◦                                                    ◦●◦


-Ma è il nuovo Del Pietro!- urla Eleonora tutta esagitata alzandosi in piedi, dopo il secondo goal di Alessandra.
Chiara, al mio fianco, non sa più che fare per tenerla buona quindi opta per nascondere il viso dietro le sue stesse mani.
Io ridacchio alla vista della scena.
-Ma se è l’unico nome di calciatore che conosci- dice la mia ragazza sconsolata.
-Chiara, zitta!- risponde l’altra sedendosi. -Tu non lo puoi sapere!-
Faccio segno a Chiara di lasciar perdere, lei sbuffa in risposta.
Le ragazze stanno vincendo ancora una volta.
Con questa vittoria andrebbero in finale, infatti noi sugli spalti stiamo aspettando solo il fischio della fine.
Quando finalmente, pochi minuti dopo, l’arbitro fischia lo stadio esplode in un boato e il giallo e rosso sventolano a festa.
Corriamo giù per le scale alla ricerca di Alessandra che ci viene incontro correndo. Abbraccia tutti felice e ci dice: -Offro io, cazzo se offro io stasera!-
Pietro ed Eleonora non aspettavano altro.
Infatti sono i primi a riempirsi di Leffe rossa doppio malto. Ad ogni sorso Pietro esordisce con un “la finale ci aspetta!” neanche fosse lui a dover giocare tra un mese.
Dall’altra parte Eleonora butta giù alcool come acqua e segue Pietro a ruota. Ogni tanto dice frasi assurde e fa domande come: “E se la NASA ci spiasse tutti mentre facciamo la pipì? Nessuno più indosserebbe i loro loghi… una perdita enorme per il brand”, scatenando le risate di tutti noi.
Invece Chiara, con il suo solito analcolico, ride e scherza con Andrea. La fisso incantata: quando l’ho conosciuta era timida e fredda, quasi impaurita dagli altri. Avevo paura che in questo caos di artisti strampalati e migliori amiche assurde si sentisse fuori posto. In realtà è bastato poco per capire che quella era solo una misera facciata. Chiara è molto più che timidezza e indifferenza, anzi, è tutt’altro. È calore ed amicizia, è impegno e dedizione verso i suoi cari, è un sentimento silenzioso che regala agli altri senza tanti gesti plateali.
Chiara è qualcosa di nascosto che pochi hanno il piacere di assaporare ed io faccio parte di quei pochi fortunati.
-Andiamo a casa?- mi chiede sottovoce mentre gli altri parlano dei goal di Ale.
Annuisco dolcemente. -Casa mia?- propongo, visto che siamo state tutto il giorno nella sua.
Lei annuisce semplicemente.
-Niente Westworld però- scherzo alzandomi. -Ehy Ale, noi andiamo Chiara ha fatto il viaggio di ritorno ed è abbastanza stanca- spiego.
-Ragazze traaaanquille, ci vediamo presto! Andate a casa divertitevi e amatevi, ma ricordatevi che vi amo eh! Vi amo ragazzeeee!- dice visibilmente ubriaca.
Rivolgo uno sguardo preoccupato ad Andrea: -Sicuro che riuscirai a gestire questi qua?-
-Sì capo, vai pure. Se ci pensi abbiamo affrontato di peggio in certe situazioni!- mi risponde lui alludendo a specifiche serate di festeggiamenti dopo il tour di cui ho ancora vaghi e offuscati ricordi.
Ridacchio. -Va bene, allora buona notte!-
Chiara si lancia sul letto subito dopo essersi cambiata.
-Io amo questo letto, te l’ho mai detto?- dice farfugliando tra le lenzuola. -Io lo amo- ripete.
Mi corico di fianco a lei. -Umh, ora mi sa che l’hai detto-
-È morbido e grande e freeeesco- dice allargando le braccia.
-Com’è che fai più complimenti al letto che a me?- dico girandomi verso di lei.
-Emh, ovviamente lui ha tutte queste qualità perché è tuo…- dice con sguardo supplichevole.
-Non basta…-
-Perché sta nella tua bellissima casa- aggiunge cercando di riparare all’errore.
-E poi?-
-Che è tua per questo è bellissima-
Ridacchio sentendo queste scuse improponibili e decido di fargliela pagare in un solo modo possibile: il solletico.
-Dai smettila!- mi supplica.
Ma io continuo.
-Sono… indifesa!- grida quasi.
-Okay, okay, stop! Non farò più apprezzamenti al tuo letto!- dice infine.
-Molto meglio- dico ridendo e lasciandola andare.
-Abbiamo distrutto il letto- mi dice guardandomi con sguardo colpevole.
-L’avremmo distrutto comunque stanotte a causa di questo caldo torrido- rispondo coricandomi. -Non mi hai detto cosa hai fatto a casa tua. Dai raccontami, voglio sapere tutto- dico con sincerità.
Il silenzio che ha lasciato al ritorno dal suo piccolo viaggio, non so propri come prenderlo. È un segnale positivo, oppure negativo? Significa che non è successo nulla di eclatante oppure che è successo troppo?
I miei occhi si posano sui suoi. Lei, dentro la sua maglietta che aveva lasciato qua in caso di necessità, mi guarda con occhi stanchi.
-Il solito- mi liquida.
Rispondo con uno sguardo scettico.
-Pranzi e cene con i parenti… ho bagnato i fiori con la nonna, sono stata da mia mamma, ho visto Beatrice, la mia migliore amica e… basta direi- dice vaga.
-Uh, non mi avevi detto di avere una migliore amica là- dico cercando di farla parlare quel poco di più.
-Ci conosciamo dalle superiori. Prendevamo lo stesso autobus per andare a scuola e lei la mattina leggeva sempre qualche libro. Quando ho visto che leggeva Murakami, beh… non sono riuscita a stare zitta: dovevo dirle che lo amavo anche io. Per farla breve lei lo ha odiato e lo odiava già alla seconda pagina, però da quel giorno abbiamo continuato a parlare di libri e musica. Il resto è storia- dice ridacchiando.
Mi unisco alle sue risate. -Fare amicizia con qualcuno che odia un autore che ami è davvero strano, ma mi piace già questa Beatrice- dico seria.
-Secondo me andreste molto d’accordo, ma sicuramente vi unireste con Eleonora per darmi fastidio in ogni modo-
Rido di gusto di nuovo. -È vero, lei saprebbe così tanti segreti su di te che di sicuro verrebbe utile creare un’alleanza…- dico pensierosa.
Il cuscino mi arriva diritto in faccia dopo pochi secondi.
Un grugnito di dolore esce dalla mia bocca.
-Non vuoi la guerra, vero?- dico facendo la finta arrabbiata.
Scuote la testa preoccupata.
-Perché non viene qualche volta qua durante le vacanze?- chiedo timida.
Voglio che Chiara non senta la sua famiglia o i suoi amici così lontani come, effettivamente, possono essere.
-In realtà l’ho già proposto a lei. Ha detto che mi farà sapere- dice mentre le sue mani finiscono per accarezzare i miei capelli arruffati.
Sorrido in risposta.
-E tu che hai fatto in queste due settimane?- mi chiede.
-Provato, registrato, ho cercato di concludere i testi eppure Alessandra non mi lasciava mai in pace- dico sbuffando.
Vorrei dirle della grande proposta avanzata agli Oltre, ma prima voglio mettere a tacere i dissapori all’interno della band e poi discuterne con Chiara. Di sicuro, anche se non me lo vuole dire, questo piccolo viaggio a casa avrà creato in lei molti pensieri e reazioni. Inutile, quindi, crearne altri inopportunamente ora.
-Alessandra è iperattiva quasi quanto Eleonora-
-Togli il quasi- dico ridacchiando.
Poco dopo il suo respiro regolare si infrange sul mio collo nudo. Dorme beata al mio fianco e guardandola capisco che questo mi era mancato moltissimo e presto non saprò più farne a meno.

Clicco play.
Lascio che la musica scorra fino al punto desiderato e poi comincio a cantare a piena voce, ma con un volume medio-basso.
 -So I'll be a shadow of the flame
I lent down to kiss you then erased my name
And I'll be a whisper on the wind
My hands are shaking from holding so tight for so long
-

Puoi fare di meglio Leonardi, concentrati.
Faccio partire la canzone di nuovo e provo di nuovo a cantare con una diversa melodia.
Okay, molto meglio.
Quando riapro la bocca per cantare di nuovo sento distintamente l’obbiettivo della fotocamera di Chiara chiudersi e riaprirsi dietro di me.
Sta fotografando? Me? Sara Leonardi; alle 9:30 di mattina; davanti ad un computer pieno di barre colorate e di spettrometri; con un testo scritto male su un’agenda consumatissima che tenta di tirare fuori una linea vocale decente?
-Chiara...- dico senza girarmi spezzando il silenzio
-Eddai come hai fatto a sentirmi? Ho anche aperto la porta pianissimo-
-L’obbiettivo della tua amica ti ha fregato- dico girandomi verso di lei.
I suoi capelli castani e lungi sono raccolti in una coda improvvisata. La maglietta le ricade morbida sui fianchi e i pantaloncini corti lasciano scoperte le sue gambe esili.
-Stavo solo fotografando l’artista all’opera- dice venendo verso di me per poi lasciarmi un tenero bacio sulle labbra.
-Hai fame? Volevo fare colazione fuori- dico gentilmente.
Annuisce felice. -Oggi devi finire le canzoni?- mi chiede.
-Sì, ne ho ancora un bel po’. Mi spiace-
-Tranquilla- mi sorride. -Tanto devo sopportarmi quella pazza furiosa di Eleonora, soprattutto per vedere se è sopravvissuta a ieri sera-
Ridiamo in coro.

-Un muffin al cioccolato- dice Chiara prima che possa ordinare. Un sorriso dolce si dipinge sul mio viso nel ricordare quel giorno. Quando ancora non sapevo nulla su di lei, ma comunque tutto mi portava da lei: le mie azioni, i miei pensieri e inavvertitamente anche il destino.
-E per me un cornetto alla nutella- aggiunge.
Quando la cameriera se ne va le dico: -Mi hai tradito e poi ne volevo due-
Lei si mette a ridere.
-Ricordi questo posto?- le chiedo azzannando il mio muffin al cioccolato.
-Certo- sorride.
-Era tutto molto diverso e per certi versi anche strano- dico ridacchiando.
-Beh, di certo hai fatto di tutto per farci incontrare ancora- dice alludendo alla mia richiesta del pride.
-Ti dispiace?- chiedo timida.
-Per niente. Se non lo avessi fatto tu, io non penso sarei stata così intraprendente- ammette.
Sorrido felice.
Nessuna delle due si stava pentendo di tutto questo.
Dopo aver mangiato la nostra colazione iniziamo a parlare del più e del meno, dei nostri programmi per la giornata e della possibilità di vederci per cena.
-Ho una proposta da fare- dico seria.
Lei annuisce curiosa.
-Hai da fare dal 9 al 13 Agosto?-
-Sara, l’ultima volta che me l’hai chiesto sono finita ad un Gay Pride-
-Non ricordo di aver sentito lamentele- la stuzzico.
-Sì, sono libera. Che intenzioni hai?-
-Ho intenzione di farti fare una valigia e di farti portare dentro: magliette e pantaloncini che puoi buttare senza indugio, la tua fotocamera, un costume e soprattutto farti cambiare i tuoi euro in fiorini- dico senza prendere fiato.
-Leonardi è meglio se mi spieghi nel dettaglio o potrei impazzire di curiosità-
-Si va allo Sziget- esclamo di colpo.

◦●◦                                                    ◦●◦

-Scherzi??- urla Eleonora dall’altra parte della casa.
Scuoto la testa sconcertata.
-Per la quarta volta: no- dico quasi distrutta.
-E me lo dici così?!-
-Volevi una raccomandata? O un telegramma?- dico ironicamente.
-Ti rendi conto che è il nostro sogno da tipo… sempre? Ovvero dalla prima lezione di Matematica che abbiamo subito?!- torna in cucina gesticolando affannata. -E lei arriva qua, così dal nulla e ci soffia il nostro viaggio after-laurea così come se niente fosse-
Rido sentendo questo sproloquio senza senso.
-Gli Oltre suonano, ci andiamo semplicemente per questo- cerco di spiegare.
-Cosa?! La smetti di darmi notizie assurde a distanza di 5 secondi?!- continua a dire guardandomi sconcertata.
Mi metto una mano sulla bocca in risposta.
-E io sono invitata ovviamente- dice lei speranzosa.
-Mi ha detto che ti può dare un biglietto-
Eleonora si mette a saltellare contenta per la cucina.
-Ma solo se fai la brava- dico finendo la frase.
-La brava? Ma che vuol dire “la brava”?- dice frenando subito il suo entusiasmo.
Faccio spallucce. -Riporto solamente quello che mi è stato detto. Ambasciator non porta pena-
-Ma poi che sono?! Vostra figlia? Che decidete voi se faccio la brava o no?!- dice buttando giù un bicchiere di Fanta ghiacciata. -Ho capito. Volete farvi la vostra luna di miele e non volete me tra i piedi-
Mi guarda di sbieco.
Io scoppio a ridere.
-Allora sei pronta?- le chiedo.
-Possibile che tu devi essere un genio e passare tutti gli esami e invece io no?- dice sbuffando e tirando fuori i libri. -Quindi eccomi qua che studio a fine luglio. Che disgrazia-
-Dai pensa che dopo queste ore di tortura esci con la tua bella- dico ammiccando.
-Oh, santo Dio. Spero che faccia una qualche mossa perché ho una frustrazione sessuale che non puoi capire, sta a livello “pericolo”-
-Ew, questi particolari non voglio saperli- alzo gli occhi al cielo.
-Certo, perché di sicuro tu non devi sopportare una tortura che neanche nel Medioevo! La vedo tutti i giorni lì che fa i pesi, che corre, che si piega e che suda con un sorriso. È una tortura non poter tastare quei suoi muscoli-
-Lalalala non voglio sentire- dico facendo finta di tapparmi le orecchie.
-Non vuoi sentire perché la tua frustrazione la placa già qualcun altro- esclama con un sorriso stampato in faccia.
-Spero che Irene plachi la tua di frustrazione, così smetti di pensare a me e Sara- dico ironicamente.
-Oh, lo spero, lo spero moltissimo- dice lei sognante.
-Dai ora dimmi. Mentre io ero via l’hai vista?- chiedo curiosa.
Lei mi alza un sopracciglio in risposta. -Ovvio- dice ridacchiando. -Usciamo insieme appena ne abbiamo occasione, ma nessuna delle due ha specificato se queste uscite sono appuntamenti oppure no-
-Ma siete da sole?-
Lei annuisce.
-Dai allora è palese: sono appuntamenti-
Lei sbuffa e appoggia la schiena allo schienale della sedia. -Lei è più grande di me. Non dovrebbe fare lei il primo passo?-
Stavolta sono io quella che sbuffa. -Oh dai Ele, l’età non conta. Se ti piace e se andate d’accordo dovresti dirle che vorresti qualcosa di più. Così magari potreste iniziare ad uscire come coppia, capire se può funzionare e conoscervi ancora meglio-
-Ho una vaga idea di come conoscerci ancora meglio- dice lei con un sorriso beffardo dipinto sulle labbra.
-Oddio, Ele sei un caso perso. Fammi questi integrali oppure giuro che ti abbandono qua in mezzo- dico quasi minacciandola.
-Cosa c’è? Sono bisogni umani!-
-Integrali ho detto!-
◦●◦                                                    ◦●◦

Apro la porta felice.
-Buonasera Prof- le dico scherzando.
Lei ride un poco e poi mi bacia dolcemente. -Guarda, lasciamo perdere. Ho capito che insegnare non è il mio mestiere-
-L’alunna non si impegna o tu sei così intelligente da non trasmettere il tuo sapere?- ironizzo.
-L’alunna pensa a tutto tranne che alla matematica- dice buttandosi sul divano.
-Dai non ci pensare. Per toglierti lo stress post-lezione ho messo a caricare un film nerd dei tuoi-
Mi abbraccia di slancio. -Ehi, guarda che potrei abituarmi-
Scoppiamo a ridere insieme.
-Però prima dimmi una cosa- mi dice. -Com’è andata la tua giornata? Parliamo solo di me ultimamente- sorride.
-Bene, abbiamo finito tutti i testi delle canzoni e abbiamo deciso la scaletta dell’album e del live- spiego.
-Siete agitati?-
-Per ora no, perché sembra ancora lontano. Ma quando saremo vicini alla partenza sarà un disastro- dico ridendo.
-Vi preparerete e vedrai che andrà tutto bene-, mi rassicura teneramente.
-Lo spero-
-E invece con l’album?-
-Abbiamo finito la parte più sostanziosa che richiedeva uno sforzo più grande. Tutti i provini sono pronti e tutto è definito, dopo questo concerto parleremo di registrazioni vere e proprie, di copertine, foto, interviste e date di rilascio. Sarà una lunghissima fase di preparazione…- tendo di spiegarle i meccanismi di questo difficile e intricato mondo.
-Ora non ci pensiamo dai- dice con un sorriso, capendo che il solo pensare a tutte quelle cose mi mette un po’ di ansia e adrenalina allo stesso tempo.
Il silenzio ci circonda di colpo. I suoi occhi sono fissi sui miei: non aspettano nulla, non vogliono che io faccia nulla, mi stanno solo osservando con sentimento.
Le rispondo con un sorriso e poi dico di colpo: -In realtà, volevo venissi qua anche per un altro motivo-
Lei mi risponde con uno sguardo interrogativo.
-Allora, partiamo da un presupposto. Da quel poco che mi hai detto con la tua famiglia non hai il rapporto che vorresti. Ecco… quindi ho pensato che potremmo andare a salutare la mia di famiglia-
Mi guarda spaventata.
-Ehy, aspetta non impanicarti. Lasciami finire- dico ridacchiando per smorzare la tensione che si è venuta a creare.
-Loro non abitano qua vicino e sì, ci sentiamo regolarmente, però io ho una vita complicata e loro altrettanto quindi non abbiamo la possibilità di vederci spesso. Ora è agosto, loro sono in ferie, tra poco noi partiamo per un piccolo viaggio e mi sembra sia l’occasione perfetta per dargli delle buone notizie sull’avanzare della mia carriera e anche su altri passi avanti…- dico alludendo alla nostra nuova relazione.
Lei si rilassa un po’ e ridacchia capendo dove voglio arrivare.
-Lo so che ti può sembrare troppo presto, troppo avventato e so ti mette ansia, però credimi, non lo faccio per questo. Lo faccio solo perché loro sono un tipo di famiglia che ti accoglierebbe senza indugi, in cui tu magari puoi vivere qualcosa che da altre parti non potresti vivere. Non sto dicendo che mio padre e mia madre devono sostituire i tuoi genitori, ma che possono darti e darci ogni tanto una boccata di aria fresca, un po’ di coccole che la nostra vita da adulte non ci concede sempre-
Voglio che Chiara capisca le mie intenzioni.
Non voglio affrettare le cose, non voglio bruciare le tappe, voglio solo che si senta parte di un qualcosa che non sia la sua cerchia di amici e la mia cerchia di amici.
La lascio riflettere silenziosamente sulle parole che ho detto, le lascio il giusto spazio per pensare e intanto spero con tutto il cuore che mi abbia capita.
-Non pensi sia un po’, presto?- dice poi timidamente.
-Chiara, non c’è un tempo preciso per nulla. Se vuoi fare una cosa la fai quando senti sia il momento giusto. È il momento giusto conoscere qualcuno che fa parte della mia vita?-
-Vorrei davvero conoscere ogni particolare della tua vita- mi risponde sincera.
-Ecco hai la tua risposta- sorrido. -Sono persone normalissime, anzi… anche molto pacate, aperte, alla buona. Per certi versi anche pazze, ma vogliono bene a chiunque voglia bene io, quindi sarebbero solo felici di condividere un po’ del loro tempo con noi. Inoltre non li vedo da molto tempo e quando ci vediamo, ovvero raramente, è sempre una festa. Una festa che non puoi perdere-
Mi sorride felice. -Ti mancano?-
-Un po’. Dopo tanti mesi che non li vedo incomincio a sentire la loro mancanza- ammetto sia a lei che a me stessa.
-Non ti vengono a sentire suonare?-
-All’inizio di tutto questo sì, erano sempre presenti… anche quando gli Oltre erano una stupida band di adolescenti liceali che suonava alle feste della birra. Però quando il tutto si è fatto più serio mi hanno lasciato i miei spazi, mi hanno lasciato crescere in questa nuova realtà e mi hanno dato libertà di scegliere ciò che preferivo fare a riguardo-
-È una cosa molto bella-
-Sì, infatti non mi posso lamentare. In questo modo mi hanno fatto capire come sarebbe stata la mia futura vita e non li ringrazierò mai abbastanza. Però ora loro sono presissimi dal loro lavoro, io dal mio e il tempo manca, per questo vorrei davvero passare con i miei genitori un week-end. Però ti lascio del tempo per decidere se vuoi venire anche tu-
-Ho deciso, vengo- mi risponde lei convinta.
Ci scambiamo un tenero e casto bacio.
-Film?- chiedo.
-Ovvio!-
Non appena clicchiamo play il telefono di Chiara squilla.

◦●◦                                                    ◦●◦

-Ele, dimmi- rispondo un po’ scocciata.
-Ciao Chiara del mio cuore! Che fai?-
-Okay, Eleonora… che hai fatto? Dove devo venirti a recuperare? Sei in prigione o semplicemente ubriaca da qualche parte?- chiedo alla mia amica che quando parte con queste sviolinate son solo guai.
-Ohu! Ma cos’è questa poca fiducia in me? Ti stavo dichiarando il mio amore!- risponde lei.
-Dai, sputa il rospo-
-Okay, potrei aver seguito il tuo consiglio…- dice lei quasi sottovoce.
Mi drizzo imemdiatamente sul divano guardando Sara con occhi sgranati.
-E??-
-E lei era tutta positiva, ha detto che ci vuole provare, che le piaccio e tutto…-
-Ma bellissimo! Non sei felice?-
-Sì tantissimo! Ma sai no… eravamo su questa bellissima panchina in legno, io ero tutta agitata… lei era oddio mozzafiato guarda, aveva questo vestitino che addio eppure io ero in panico, cuore in gola e tut-
-Taglia Ele!-
-Potrebbe essermi scappato che questa sera potevamo fare un’uscita a quattro per scaldarci un po’ senza buttarci su un appuntamento galante… e le altre due siete tu e Sara…-
Dannata Eleonora.

 

Buonasera signori e signore!
Andiamo per punti: scusate il ritardo ma è un periodo molto difficile: esami, tesi, lavoro e casa… fate voi le vostre conclusioni.
Per il motivo che ho riportato sopra questo capitolo l’ho scritto a pezzi… tanti pezzi. In ogni momento libero scrivevo, però sinceramente poteva uscire meglio. Eppure non volevo farvi aspettare ancora e scriverlo da capo sarebbe stato un suicidio. Spero vi piaccia anche se è un po’ di passaggio e spero sia scorrevole.
Per il resto spero che stiate bene, che siate felici di leggere un nuovo capitolo della storia e che mi diciate i vostri pareri.
Un abbraccio a tutti.

(la canzone che canta Sara è una bellissima canzone che fa così: https://www.youtube.com/watch?v=pdOMXTe72QE )
   
 
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