Anime & Manga > Tokyo Mew Mew
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Autore: Ria    06/06/2017    6 recensioni
La ragazza saltò giù dalla sedia e fece un cenno verso il gigantesco monitor, su cui le figure tridimensionali ruotavano e si fondevano in un unico corpo confuso. [...]
« Quindi i frammenti potrebbero essere ovunque? »
« In ogni dimensione possibile e su ogni pianeta possibile che l'Incrocio raggiunga. » ammise MoiMoi con un sospiro. Minto si premette forte le dita sulla fronte al culmine dell'irritazione:
« Perfetto! E noi dovremmo collaborare per...?! »
« Per tutto il tempo necessario, caro passerotto. »
« Richiamami ancora a quel modo, Kisshu, e sarà la collaborazione più breve della tua vita! »
[...] « Tu mi hai salvato già una volta, tre anni fa. Sono certo che ci riuscirai di nuovo, perché sei la più forte di tutti. »
« Ao No Kishi... »
Genere: Azione, Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Altri, Ichigo Momomiya/Strawberry, Nuovo Personaggio, Sorpresa
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Intersection'
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Con l’ansia che il capitolo si veda strano (sono da un altro pc e mi sono dimenticata la chiavetta con il mio file convertito ç_ç) passiamo alla parte veramente tragica di questa storia.

Kisshu: sì, perché finora è stata tutta profumi e balocchi -.-“”!

Vi lascio subito alla lettura perché qui è abbastanza corposo, ci si vede in fondo :*

 

~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~

 

Cap. 54 – Toward the Crossing: Tenth road

                The price of your decision

 

 

 

 

La navicella si mosse dall'hangar con leggerezza, tanto che i terrestri seduti nel piccolo vano dell'equipaggio percepirono appena il suo sollevarsi, come dentro un ascensore; più forti furono il clangore dei portelli che aprirono la strada alla superficie e il sibilo del mezzo dentro i tunnel di uscita, che rimbombarono tra le lisce pareti metalliche a suon di funesta marcia trionfale.

Il doppio strato lucido dell'esterno della nave, con effetto specchio, permise alle ragazze e a Ryou di seguire tutte le manovre: videro la città sfuggire oltre i loro sguardi e allontanarsi verso il basso in pochi istanti diventando un puntino in mezzo ad alberi, poi foreste, montagne,  macchie di tutti i toni di verde che si definivano e si confondevano man mano che ci si allontanava dalla superficie; in un minuto Jeweliria con le sue piccole lune divenne visibile ad occhio nudo nella sua interezza, uno smeraldo su del raso nero e tutti loro lo fissarono continuare a rimpicciolirsi, finché non fu più distinguibile tra le luci delle stelle.

Il portello che divideva la prima sezione della navicella si aprì con un risucchio a poco più di cinque minuti dal decollo e Taruto disse che potevano tranquillamente alzarsi e muoversi per il mezzo.

« Ci vorrà una giornata di viaggio prima di arrivare – ricordò sbuffando – quindi vi conviene alzarvi se non volete anchilosarvi le gambe. »

I terrestri obbedirono, sebbene pensassero tutti che quei sedili fossero più comodi della maggior parte di quelli presenti su un volo in turistica, e sarebbe stato più che sopportabile vegetarci un'ora o due.

L'astronave era divisa grossomodo in due ambienti distinti, per separare le zone adibite al soggiorno dell'equipaggio dal resto e corrispondenti alle due diverse forme di cui era composta.

La zona cardine era nella porzione a lancia, a sua volta divisa nella cabina di pilotaggio, davanti, che occupava un terzo dello spazio, e nel vano riservato alle truppe durante le fasi di atterraggio e decollo, immediatamente dietro. La parte arcuata della nave ospitava una piccola saletta per i pasti, con una tavola quadrata e ad occhio nulla per sedersi – ma i terrestri immaginarono che si potessero tirare fuori all'occorrenza, come nelle stanze al Palazzo Bianco – e proseguendo per un breve corridoio altre salette più piccole e spoglie per le cuccette, divise in stanza a tre a tre; al loro interno c'erano perfino dei loculi per le docce, una per stanza, grandi a stento per permettere l'accesso ad una persona non troppo grossa, e Ichigo pensò che fossero apposta realizzati così piccoli e claustrofobici solo per impedire che i soldati perdessero più tempo del necessario a veloci lavaggi.

Come ambiente era abbastanza deprimente, complice l'aspetto anonimo degli interni, la luce artificiale sul metallo, forse anche grazie alla situazione, ma nessuno trovò di aiuto protestare o lamentarsi.

Kisshu e gli altri avrebbero fatto a turni per pilotare, visto che sarebbe stato sufficiente essere in due per gestire la navetta a velocità di crociera; Pai e MoiMoi si offrirono per il primo turno approfittandone per rispiegare velocemente il loro piano d'azione una volta atterrati.

« La gravità al punto di arrivo è all'incirca quella della Luna, sul planetoide di Deep Blue siamo ai valori terrestri. – aveva detto il moro tra le altre cose, mostrando le immagini della zona di sbarco – L'atmosfera invece è rarefatta, il quantitativo di ossigeno e altri gas potrebbe non bastarvi per respirare. »

« È vero che voi avete le abilità da Superman – bofonchiò Purin squadrando i cinque jeweliriani – un po' vi detesto, che invidia. »

« Keiichiro ci ha rifornito di caramelle ad ossigeno(*) – rassicurò Ryou – se non c'è il rischio che ci escano i bulbi oculari per la pressione non avremo problemi. »

« Come essere rassicuranti. »

Grugnì Ichigo e lui fece spallucce.

« Il problema sarà all'arrivo. »

« Che vuoi dire? »

Domandò Minto seria.

« Nonostante l'atmosfera  i planetoidi sono privi di una stella attiva nel suo sistema che li irradi – riflettè piatto il moro – la temperatura al suolo è di -150° C. Nemmeno noi possiamo tollerarla. »

« Meno cent…?! »

« E vi viene in mente ora?! »

« Possiamo usare gli schermi per creare delle barriere temporanee – spiegò MoiMoi, fulminando il kohai per la sua solita incapacità di non apparire catastrofico – sentiremo comunque freddo, ma non moriremo congelati. »

« E dopo? »

« Nemmeno Arashi e i suoi potranno sopravvivere ad una simile temperatura, i loro corpi sono un po' più robusti, ma soffrono gli stessi danni dei nostri. »

Suggerì Zakuro, memore del suo primo incontro in solitaria contro Toyu, e Pai annuì:

« Probabilmente avranno creato un nascondiglio munito di barriera, dovremo solo scovarne l'accesso. »

Ci furono un paio di mormorii d'assenso, pure se a qualcuno parve ben più facile a dirsi che a farsi.

Tra una spiegazione e l'altra e un giro turistico della navetta trascorse la maggior parte della mattinata e fu ora di pranzo; in realtà nessuno parve avere grande appetito – le razioni militari da viaggio, poi, in quanto a consistenza e sapore non stuzzicavano il palato – ma il digiuno sarebbe stato controproducente e, volenti o nolenti, tutti misero qualcosa nello stomaco.

A quel punto si aprì la parte più difficile del viaggio, trovare come trascorrere le ore rimaste prima dell'arrivo. Le ragazze ammazzarono del tempo bivaccando nel vano equipaggio da dove era possibile ammirare lo spazio aperto, e per un paio d'ore l'immensità del vuoto e le stelle e i pianeti sullo sfondo tennero viva la loro attenzione; ben presto però le miriadi di puntini luminosi nel buio persero la loro magia e le terrestri presero a vagare per la navicella in cerca di qualsiasi cosa potesse tenerle occupate, o quantomeno riuscisse a distrarle dall'assillante pensiero della lotta imminente.

Retasu, dopo aver curiosato tutto il contenuto della cambusa alla ricerca di un sistema per avere almeno una cena appetibile – ricerca miseramente fallita – si diresse nella zona cuccette per ispezionarle più attentamente sperando di trovare qualcosa da fare, che fosse anche prepararsi il letto per dormire. Appena ebbe svoltato l'angolo intravide Pai uscire da una delle camere e sentendosi di colpo pimpante gli trotterellò incontro, un sorriso dolce e impacciato in viso.

Descrivere cosa avesse provato la notte precedente sarebbe stato terribilmente difficile.

La timidezza di mostrarsi nuda a qualcuno per la prima volta in vita sua, il lieve imbarazzo che aveva provato per come Pai l'aveva guardata senza pudore, adorante, quasi non potesse esserci qualcuno di più bello ed eccitante di lei, per come l'aveva accarezzata, esplorata, desideroso eppure attento e dolce, la scoperta del piacere che si provava quando si diventava un tutt'uno con la persona amata e da cui si era amati, tutto si sovrapponeva nella testa della mewfocena alle sensazioni di felicità e di abbandono totale in modo inscindibile: non avrebbe potuto spiegare quanto si fosse sentita emozionata e completa, come fossero stati più che uniti, quasi fusi uno nell'altra.

Si erano addormentati vicini, la verde rannicchiata tra le braccia del moro; era stato un brividino di freddo a svegliare lei poco prima dell'alba, facendola avvertire Pai che si era sistemato ed era sceso di sotto fingendo con tutti che non fosse accaduto nulla. Retasu lo aveva imitato, ma non era certa di essere stata altrettanto brava visto il batticuore che scattava nell'istante in cui lui le finiva nel campo visivo causandole un rossore rilevatore, o il sorriso che le spuntava in automatico sul viso.

« Cosa fai? »

« Cercavo di riposarmi in vista del turno di stasera – le rispose sospirando – ma non prendo sonno. Tu? »

« Mi annoiavo. – fece aggiustandosi gli occhiali – Cercavo qualcosa da fare. »

« Non credo ci sia molto da fare qui sopra. – ammise piatto – Non abbiamo pensato a questo dettaglio. »

« Beh c'era ben altro a cui pensare. »

Lo rassicurò lei con un sorriso. Pai annuì vago e la studiò in silenzio prendendo poi ad accarezzarle la guancia con il pollice:

« Come stai? »

Le domandò dolcemente e Retasu arrossì capendo:

« Bene. Sto… Bene. – balbettò sorridendogli – Benissimo. »

Lui in risposta piegò un angolo della bocca all'insù, scostando la mano dal suo viso solo quando entrambi sentirono dei passi venire nella loro direzione.

« Oh, eccola… Reta-chan! »

« MoiMoi-san. »

« Ti sta cercando Purin: dice di essersi ricordata di avere con sé un mazzo di carte – lo disse con l'evidente tono di chi non fosse certo di cosa stesse parlando – e che avete una sfida in sospeso al… Grande poveretto? (**) »

La verde si illuminò:

« Oh, meno male! Almeno non moriremo di noia. »

Sospirò sollevata e si voltò verso Pai che corrugò appena la fronte:

« Non sono molto portato per i giochi. »

« Se non hai nulla da fare per lo meno occuperai un po' il tempo. »

Il moro non sembrò convintissimo, ma si limitò a sospirare in assenso incapace di negare alcunché allo sguardo dolce di lei. Il sorriso della verde si fece più largo:

« MoiMoi tu vieni? »

« Grazie Reta-chan, ma passo per stavolta. – sbuffò massaggiandosi il collo – Sono stata ai comandi da stamattina, voglio farmi una doccia e dormire fino all'arrivo. »

La verde fece un cenno con la testa per approvare e si avviò.

« Credevo che tu fossi perfettamente in grado di trattenerti dal soddisfare certi bisogni. »

Il moro si bloccò dopo un passo ascoltando il violetto scimmiottarlo e gli scoccò un'occhiataccia:

« Non sei spiritosa senpai. – sbottò a disagio – E… Come diavolo fai a…?! »

« C'è da chiedersi piuttosto se sia più eloquente la sua faccia o la tua. Ce l'hai scritto pure in fronte. »

Pai storse la bocca imbarazzato e il violetto sorrise malizioso. Lo detestava quando faceva così, con quel ghignetto divertito e consapevolissimo di avere ogni dannata ragione per prenderlo in giro a sangue.

« Sono curiosa di vedere come reagirà Eyn-chan quando lo scoprirà. »

Cinguettò cattivello e Pai persisté a squadrarlo truce:

« Non oserai. »

Fece lugubre, ci mancava solo un predicozzo da parte dell'autoeletto fratello maggiore della verde e suo cavalier servente.

« No, direi di no. – concedette e il suo sguardo si fece più gentile – Certo che potevi scegliere un momento migliore, Pai-chan. »

Il velo di irritazione scomparve dal volto del moro che si adombrò appena:

« … Lo so. »

« Oh, non fraintendermi – gli sorrise – io avrei fatto esattamente come te. »

Si scambiarono un'occhiata velata e MoiMoi, sentendo la voce di Retasu chiamare Pai, gli sorrise malinconico e gli fece cenno di sparire, dandogli le spalle e avviandosi a sua volta.

 

 

***

 

 

Un brivido gli increspò il mantello sulla schiena e il gattino mandò un secco starnuto. Pelo o meno il pavimento di metallo della navetta fu gelido sotto i suoi zampini, ma avrebbe sopportato il fastidio: Purin aveva cercato per tutto il giorno di far rimanere tutti insieme, e pur ammettendo di non essere stato dispiaciuto della cosa Ryou, a cena finita, aveva deciso che la sua asocialità era rimasta a cuccia a sufficienza. Pur di sgusciare via rapido e discreto si era trasformato dopo tanto in Art, confidando nelle piccole dimensioni per sparire fino alla svolta dove si trovò in quel momento, quando decise di essere abbastanza al sicuro perché la mewscimmia non lo intercettasse sbraitando per una rivincita. L'americano si concesse un pensiero affettuoso per lei, la biondina restava vivace e un po' infantile, ma era stato chiaro come si fosse sforzata per nascondere l'ansia che venava quella giornata interminabile: era cresciuta e aveva perso la tenera ingenuità che l'avrebbe riempita di sconsiderato entusiasmo per quell'avventura spaventosa, di certo complici tutto ciò che aveva affrontato tre anni prima e negli ultimi mesi; bastò pensare a come non si fosse allontanata un secondo da Taruto prendendogli timida la mano ogni volta che era stato possibile, quasi avesse paura di vederlo scomparire come nel loro ultimo scontro contro Deep Blue.

Ryou l'aveva capita fin troppo bene.

Si era svegliato quella mattina con gli stessi ricordi spaventosi di fronte agli occhi. La mewscimmia e le altre in lacrime, e Masaya che sorreggeva amorevole il corpo immobile di MewIchigo, la testa riversa sul suo braccio.

Si passò una mano sul viso per scacciare le ombre dalla propria mente e accelerò il passo desideroso solo di stendersi e di tentare, per le ore che rimanevano, di dimenticare cosa li aspettasse all'arrivo; fu così concentrato sul non pensare che reagì troppo tardi alla porta che gli si aprì di fianco, fermandosi un metro più in là con aria frastornata.

Ichigo si affacciò dalla soglia come per magia e stese un sorriso poco convinto:

« …Ciao. »

« Ciao… »

Ryou la vide portarsi le mani dietro la schiena e guardarsi attorno a disagio, stava fingendo nonchalance come se il suo aprire al passaggio del biondo fosse stato un mero caso, fallendo in tronco; diede anzi ancor più credito al fatto che lo stesse aspettando, così come il suo amato pigiama rosa che già aveva indossato e che con cui difficilmente, in circostanze normali, si sarebbe mostrata tranquillamente al ragazzo che le piaceva. Ryou fu tentato di punzecchiarla, ma la sola cosa che pensò fu un ringraziamento per la sua tempestività a fermarlo.

« … Sei ancora sveglia? »

Niente male come premessa da uno con un quoziente intellettivo superiore alla media.

Ichigo giocherellò con qualche ciocca ai lati del viso:

« Già… Anche tu, uh? »

Ryou fece spallucce. Decisamente la peggior conversazione che avessero intavolato da quando si conoscevano.

Continuò a guardarla, le mani in tasca, frugando nella sua mente brillante in cerca di uno straccio di argomento di cui parlare e trovando il vuoto totale. La sola cosa che il suo cervello traditore gli ripeteva – ignorando la sua necessità di articolare frasi di senso compiuto – era di non stare a esitare oltre: Ichigo era lì, sveglia, e la sola cosa che voleva in quel momento era stare vicino a lei.

Più rigido di quanto volesse Ryou si avvicinò alla ragazza chiedendo muto permesso per entrare e lei gli lasciò spazio senza pensarci, chiudendo con un sibilo la porta alle loro spalle. Lui studiò la rossa un momento, aveva le guance rosee e ancora qualche gocciolina sui capelli sciolti lievemente arruffati, doveva essersi fatta una doccia prima di cambiarsi; la guardò sedersi sul letto e la imitò in silenzio.

Ichigo si sporse subito verso di lui posandogli la testa sulla spalla e rannicchiando le gambe in alto, lasciando che Ryou le portasse un braccio attorno alle spalle e la stringesse un po'.

« … Non dovrei fare questi pensieri prima di dormire. – iniziò la rossa dopo un minuto buono – Specie prima di domani. »

« Che genere di pensieri? »

« Sulla battaglia contro Deep Blue tre anni fa – ammise a voce bassa – tutto quello che è successo… »

Ryou le baciò la cima della testa non trattenendo un sorriso e sentendosi meno paranoico.

« Non so se sarò in grado di affrontarlo di nuovo… Se si presentasse con le sembianze di Tayou non credo che riuscirei a reagire. »

La presa del biondo si irrigidì, mentre lui ricordò gli astrusi tormenti riguardo alla rossa e al suo legame con Ao No Kishi.

« Lo sapresti però che non si tratta di lui. »

Buttò lì fingendo pacatezza. Ichigo annuì e sospirò:

« Lo so, ma… A pensarci mi si stringe lo stomaco. Sarebbe come tre anni fa, quand'è morto… »

Sospese la frase stringendo le dita sulla sua maglietta e Ryou avvertì una punta di ben conosciuta gelosia:

« Pensavi ad Aoyama? »

« Pensavo che non voglio più che nessuno muoia per colpa di quel mostro. – lo corresse cupa – E che ho il terrore di non riuscire ad impedirglielo. »

Si rannicchiò contro il suo torace con entrambe le braccia e affondò il viso nella sua maglia:

« Non voglio perderti. »

Ancora, l'amarognolo senso d'incertezza che aveva invaso la gola del biondo svaporò di colpo. Le cinse le spalle anche con l'altro braccio permettendole di voltarsi e posare il viso e le mani sul suo torace.

« Ho in programma una vita lunga e noiosa, ginger. »

« Che prospettiva allettante… »

Bofonchiò lei non trovando affatto efficace il suo tentativo di rassicurarla. Lui sospirò con un mezzo sorriso e le sollevò il mento tra due dita:

« Would you prefer "happily ever after with you"? »

Ichigo contrasse i pugni arrossendo in modo evidente e fece un sorriso impacciato, ricordandosi qualcosa che le fece quasi spuntare le orecchie. La sua espressione fu eloquente e Ryou la studiò più sereno:

« Che succede? »

« Pensavo… Sai, l'altro giorno… »

Lui alzò un sopracciglio interrogativo.

« Quando sono venuta a trovarti e ci siamo baciati. »

« … Oh. »

La vide guardarlo con una luce emozionata e timida negli occhioni nocciola e l'istinto, che così tanto bene teneva al guinzaglio, mandò un basso ruggito felice. Il biondo inclinò un poco la testa sfiorandole il naso con il proprio:

« E a che pensavi? »

Lei strinse le labbra sempre più rossa e tentò di riabbassare lo sguardo, trovando il viso del ragazzo a sbarrarle la strada.

Qualcosa le si strinse forte sopra l'ombelico, ma cosa stava facendo? Decisamente non era il momento per perdersi in sdolcinatezze da adolescente coi calori, non era…

La stretta divenne un formicolio delizioso che si spanse in tutte le direzioni; Ryou aveva proprio un buon profumo…

No, no, smettila, scema! Maniaca!

Accidenti, perché la fissava a quel modo? Non riusciva a smettere di fissarlo se la guardava così, e intanto sentì lo stomaco fare le capriole…

« Solo… A… »

Oh kami-sama, stava balbettando! Stava balbettando! Perché non la smetteva di fissarla così?! Non riusciva a pensare!

« … Se non ci… Avessero interrotti… »

« Cosa sarebbe successo? »

La precedette. Ichigo riuscì solo ad annuire, il viso in fiamme e un basso, lungo, acuto fischio nelle orecchie dopo averlo sentito interpretare i suoi – imbarazzanti – pensieri e per di più avergli dato forma con tono caldo e roco.

Ryou la studiò una manciata di secondi per accertarsi di quanto stava leggendo sul suo viso, poi le sollevò di nuovo il mento tra le dita e la baciò.

Fanculo le remore sul domani, a quei bastardi degli Ancestrali, fanculo ad Ao No Kishi. Fanculo tutto.

C'erano ampie possibilità che non arrivasse a vedere un'altra notte. La sola cosa che voleva in quel momento era restare con Ichigo, abbracciarla, baciarla; dimostrarle quanto non avesse desiderato altro da quattro maledetti anni e quanto ancora gli sembrasse un sogno che lei, finalmente, lo ricambiasse.

L'afferrò quasi issandosela sul torace per poterla baciare meglio, le dita perse sulla sua nuca ancora umida; sorrise lieve sulle labbra della rossa sentendo vagamente lo scampanellio della coda da gatto, mentre continuò a tracciare le sue curve sotto al pigiama. Tollerò poco la presenza della massa di morbida stoffa rosa e presto scivolò con il palmo sulla schiena nuda di lei, l'altra mano che stuzzicò il punto sopra cui spuntava la coda felina.

Il petto dell'americano mandò un ruggito di soddisfazione appena il ragazzo capì di poter già esplorare ogni punto della pelle della mewneko, morbida e tiepida per la doccia, poiché non c'era nient'altro a dividerla da lui se non il già superato pigiama.

Ichigo fu sicura che la testa le stesse evaporando. Ricordò di aver provato qualcosa di simile quella notta in cui Ryou l'aveva abbracciata nel fiume, le sole cose a cui riuscì a pensare erano le sensazioni brucianti che stava provando e la presenza del biondo, così violenta da pensare non ci fosse niente oltre a loro nell'universo.

Il suo odore. Il suo respiro sul collo. La sua bocca, i suoi baci. Le sue mani che si fecero spazio tra loro, verso il seno di lei, che la rossa stava premendo contro il biondo con così forza e innocenza da dargli alla testa, e che lei avvertì stringere con dolcezza, beato della forma piena e del tepore sotto le dita.

« Ryou… »

Lui impiegò un secondo in più a risponderle, certo che il suo bisbiglio gli avesse mandato in cortocircuito il cervello:

« Uh? »

« … Le orecchie… »

Ryou studiò le orecchiette nere e il grosso fiocco rosso sulla coda felina come se non si fosse accorto fino ad allora di essi, e sorrise malizioso:

« They're cute. And you're even hotter with them. »

Il campanellino tintinnò nel silenzio elettrico e Ichigo soffocò un pigolio, nascondendo le guance infuocate contro la maglietta di lui, stritolandola nei palmi:

« Non prendermi in giro…! »

Lo sentì ridere a labbra chiuse e posarle le labbra sui capelli:

« Non ti sto prendendo in giro. »

La costrinse ad alzare il viso e le accarezzò una guancia sorridendo:

« Lo sai che se ti rilassi spariscono. »

Lei non rispose chiudendo gli occhi mentre riprese a baciarla.

Facile a dirsi, con il cuore che le mitragliava il petto e lo stomaco ormai finito chissà dove, e lei riusciva solo a sentire i brividi mentre lui le accarezzava il seno con meticolosa precisione, attento al modo e al punto in cui le strappava più sospiri di piacere.

Tutto avrebbe potuto fare tranne rilassarsi e non fu così certa che la cosa le dispiacesse.

La parte sopra del pigiama fu sfilata di colpo non dandole neppure tempo di razionalizzare la cosa. Ryou cacciò la maglia per terra e tornò ad abbracciare la rossa per godersi la sensazione della sua pelle nuda, l'odore del bagnoschiuma, ancora più intenso per il calore, che gli penetrò fino in fondo ai polmoni. Non riuscì a smettere di baciarla, ubriaco del suo sapore, ma più forte fu il desiderio di provare di nuovo il piacere di averla tra le braccia pelle su pelle e allontanandosi il minimo necessario – felice nel vederla tenare di riagguantarlo per averlo ancora sulle labbra, gli occhi come cioccolato fuso – si sfilò anche lui la maglia.

Ichigo trattenne il fiato quando Ryou la strinse contro il proprio torace nudo. Lo accarezzò frenetica e impacciata, avrebbe voluto solo perdersi ad accarezzarlo, palmo a palmo, potersi finalmente concentrare sulle linee del suo fisico atletico che aveva sempre sbirciato con un po' di senso di colpa e che a cui negli ultimi mesi non riusciva a non pensare, fino a sognarlo ad occhi aperti; allo stesso tempo avrebbe voluto essere sensuale, sicura di come toccarlo e come muoversi per fargli perdere la testa come lui stava facendo con lei, avere perfettamente sotto controllo tutto quanto stava succedendo.

Invece era completamente abbandonata a lui, incapace di negarsi o almeno tenere il suo passo.

Lo sentì farla scivolare sotto di sé stendendola sul letto e nascose un sospiro troppo eloquente contro la sua bocca, quando lui scese sotto l'elastico dei pantaloni informi lungo della sua schiena fino alle natiche. Il cuore le partì in gola mentre premendo leggera con le unghie tracciò la linea forte delle sue spalle, della spina dorsale fino in basso; una piccola soddisfazione quando gli sfiorò il bordo dei jeans e lo ascoltò mancare un respiro, ma la dimenticò all'istante perché lui passò dalla schiena verso la pancia, scivolando in basso lungo il monte di Venere. Ichigo emise un secco mugolio inarcando un poco i fianchi e gli si aggrappò alle spalle con tutta la forza, lasciandogli baci scombinati sul viso e sul collo.

Ryou sarebbe andato avanti all'infinito a stuzzicarla, a godere del suo sapore baciandola ovunque potesse arrivare, ma presto capì di essere molto vicino al proprio limite – fisico e mentale. Riuscì a stento a intuire le mani della rossa, incerte, ancora a vagare sui suoi jeans e decise che fosse l'ora di aiutarla; si allontanò da lei strappandole un lieve sbuffo scontento che nascose con un bacio, mentre posò entrambe le mani sulle sue per spingere in basso i pantaloni.

Si fermò per riprendere fiato, i jeans che gli caddero dalle caviglie al pavimento. Sorrise e rimirò Ichigo in un misto di tenerezza ed eccitazione, studiando il suo respiro corto e le guance rosse, una mano che tentava di nascondere l'espressione persa del viso, i capelli rossi disordinati sul cuscino e pantaloni rosa ancora addosso, spostasti malamente fino al limite delle anche; la mewneko lo fissò di rimando con le iridi scure liquide e lui tornò sopra di lei poggiandosi con le braccia ai lati del suo viso, spostando appena le gambe in modo da sistemarsi tra le sue.

« You're so beautiful, ginger»

« Ti amo. »

Ryou sgranò gli occhi un istante fermando la lenta discesa verso il suo viso. Era la prima volta che diceva chiaramente di amarlo.

Ichigo, le labbra strette, gli passò le braccia sulle spalle inarcandosi per andargli più vicina:

« Ti amo… »

All'improvviso aveva avuto l'impressione che il suo petto fosse diventato un vaso in cui avessero gettato decine di liquidi diversi e di colpo tutti fossero straripati, iniziando a mescolarsi tra loro.

Il fremito che le aveva invaso ogni vena del corpo, facendole tremare i fianchi e detestando sia se stessa che Ryou per ogni secondo perso senza sfiorarsi, senza potersi smarrire tra quelle inebrianti ondati di calore che le scuotevano i nervi.

L'affetto, cresciuto e maturato, mutato negli anni per quel musone antipatico e adorabile, forte e assoluto per i suoi pregi e perfino per i suoi insopportabili difetti.

Il terrore di vederselo portare via.

Lui le passò una mano dietro le spalle e la baciò più piano, calmo e dolce, facendola stendere nuovamente e dopo guardandola negli occhi:

« Ti amo anche io. »

Lei lo vide sorridere come aveva capito facesse solo con lei, il viso disteso senza ombra di ironia o intrinseco di distacco, e il tumulto svanì così com'era arrivato; avvertì gli attributi felini scomparire e si sciolse a sua volta in un sorriso, di colpo serena sebbene ancora ben più che emozionata, baciandolo teneramente. Ryou le accarezzò la guancia con il pollice, seguendo la linea della mascella e lungo la gola, il viso ad un millimetro dal suo per sentirla fare le fusa e il suo respiro spezzarsi di nuovo quando proseguì a scendere; era magnifico vedere il suo sguardo innamorato e allo stesso tempo avvertirla tremare di piacere, la sua pelle rovente sotto le dita, le curve morbide che scattavano appena nel momento in cui sfiorava un punto più sensibile.

« Posso…? »

Domandò facendo scorrere vaghi gli indici sotto l'elastico del pigiama; Ichigo assunse una nuova gradazione di rosso, la mano sempre sulla bocca, ma continuò a sorridere e annuì. Il ragazzo si disfò degli ultimi impicci di vestiario e tornò lentamente sopra la mewneko, le iridi azzurre fisse in quelle castane di lei che non distolse un secondo lo sguardo. Ryou la baciò di nuovo, intrecciando le dita con le sue:

« You're really one in a million… »

 

 

 

***

 

 

Si doveva essere addormentato per un'ora, forse due scarse; sentì un martellio allucinante in testa, il cervello in protesta che reclamò altro sonno che lui non potè dargli.

Si mise a sedere sbuffando e fregandosi la frangia, sorridendo appena con il viso contro il palmo studiando Minto dormire tranquilla – anni di balletto dovevano averla addestrata per l'ansia da attesa concedendole di riuscire a riposarsi in qualsiasi circostanza – i capelli corvini sparsi in riccioli arruffati sotto il suo pugno chiuso. Kisshu era andato a cercarla appena si erano tutti ritirati per dormire, scovandola a fissare incantata lo spazio dal vano equipaggio e portandola via senza, a dirla tutta, grande resistenza da parte di lei; il verde aveva ringraziato di dividere la stanza solo con Eyner e che il bruno si sarebbe fatto il turno notturno ai comandi, non era nell'indole di scovare un posticino appartato come di solito solo lui riusciva a fare: la sola cosa che aveva voluto era rimanersene tranquillo quanto più possibile con Minto.

Kisshu mandò un leggero sospiro e prese a sistemare dietro l'orecchio della mewbird qualche ciuffo disordinato: la sua schiena reclamò pietà, dormire nelle cuccette di per sé non era il massimo, in due era una tortura al risveglio, ma non voleva alzarsi; alla fine, seccato, si decise per un compromesso e piano piano smontò dal letto con l'intenzione di sgranchirsi le gambe anchilosate giusto cinque minuti. Ebbe l'impressione ci fosse più freddo del normale quando scese o forse, pensò mentre sistemò il lenzuolo sulla spalla nuda di Minto, lei era così calda che lui sentiva già la sua mancanza  una volta in piedi.

Caro mio, sei diventato un beota sentimentale.

Le gambe lo portarono da sole verso la sala comandi. Trovò Eyner da solo, che gli rivolse giusto un'occhiata incuriosito dal rumore della porta che veniva aperta e poi tornò al suo lavoro, e il verde si piazzò su uno dei sedili liberi cacciando le gambe oltre un bracciolo e la schiena sull'altro.

« Insonne? »

« Ho superato il mio limite di sopportazione delle cuccette l'ultima volta che sono tornato dalla Terra. »

Il bruno gli concesse uno sbuffo divertito.

Non parlarono per un po', solo il vago suono elettrico dei comandi di quando in quando a risuonare nell'abitacolo. Kisshu, gli occhi a fissare il soffitto, si grattò distratto il punto sul petto dove riposava la cicatrice di Deep Blue; le dita si chiusero a pugno sulla stoffa.

« … Non avrei voluto venisse. »

Iniziò di colpo. Eyner lo studiò in attesa riprendesse e vedendolo tacere chiese, pur intuendo la risposta:

« Parli di Minto? »

Il verde replicò con un grugnito affermativo. Il bruno si allontanò dai comandi guardandolo meglio:

« Le hai detto qualcosa? »

« Ci ho provato – ammise e scosse la testa – mi ha zittito prima che completassi la frase… Il passerotto ha metodi molto persuasivi. »

« Posso immaginare lo sforzo di resisterle. »

Scherzò. Kisshu rise un po' forzato ed Eyner gli fece eco, poi tornò il silenzio.

« Ci ho provato anch'io. »

Il verde lo sbirciò di sottecchi e stese un tentativo di ghigno sarcastico, Zakuro non era di certo il tipo di ragazza da far passare per fanciulla indifesa:

« Temerario. »

Eyner gli tirò un calcio alla sedia sorridendo stanco e Kisshu domandò più serio:

« E…? »

« Ha finto di non sentirmi. »

« Meglio che un cazzotto. »

« Kisshu. »

« Dico solo che la tua donna mena bene. »

Aggiunse innocente ed entrambi si concessero qualcosa di simile ad una risata vera.

« … Probabilmente stava pensando di chiederti la stessa cosa. »

Disse ancora con fare incoraggiante ed Eyner sorrise appena:

« Lo so. Vale anche per te. »

« Oh, non serviva me lo dicessi. So bene che il passerotto morirebbe di crepacuore senza la mia smagliante presenza. »

« Tre minuti ormai è il tuo limite per essere serio? »

Sospirò il bruno tornando a concentrarsi sui comandi e Kisshu, più rilassato, schioccò la lingua affermativo:

« Ho tempo da morto per essere serio. »

Eyner scosse la testa rassegnato ed evitò di replicare. Tornò il silenzio per qualche minuto poi il bruno si irrigidì sulla sedia, diventando torvo:

« Ci siamo. »

 

 

Quasi nessuno di chi stava ancora dormendo si accorse dell'atterraggio e Pai dovette andare a svegliare i ritardatari. Si radunarono nel vano dell'equipaggio, il solo ambiente della navetta in cui potessero stare contemporaneamente tutti e undici quindi MoiMoi fece il giro di tutti gli schermi dei terrestri, impostandoli in modo che potessero minimamente proteggerli dal freddo, poi passò al proprio e a quello dei ragazzi; alla fine, con un evidente disappunto di Ichigo e delle altre, si prepararono al salto. Retasu vide i jeweliriani disporsi al meglio possibile attorno a loro e muovere le mani in sincrono perché si teletrasportassero tutti assieme e le venne in mente di aver già provato una vaga paura del genere guardando una scena simile, quando i tre Ikisatashi avevano teletrasportato le MewMew fuori dal palazzo di Deep Blue.

Rispetto ad allora però sapeva dove stavano andando. Il problema era proprio quello, se sarebbero arrivati, e come.

La stretta all'ombelico e il breve senso di nausea chiusero lo stomaco solo una manciata di secondi. Ichigo serrò gli occhi e trattenne il respiro, pronta alla morsa gelida dell'aria che le avrebbe trafitto la pelle, ma quando i suoi piedi toccarono il suolo non sentì altro che un leggero tepore.

Accidenti… Come sono efficaci…!

« Ok. Dove diavolo siamo? »

La domanda sussurrata di Kisshu le sembrò più assurda che preoccupante e la rossa aprì gli occhi lentamente, come se farlo così l'avrebbe protetta da qualsiasi cosa avesse di fronte.

« Ragazzi… Siamo sicuri sia il pianeta giusto? »

Nessuno riuscì a replicare alla domanda di Purin, ma Ichigo pensò che fosse venuta in mente quasi a tutti.

Si era preparata ad un panorama desolato, vuoto e freddo come le pianure lunari, senza luce se non le stelle sul cielo nero, e con un'aria immobile e così fredda da insinuarsi malevola nelle viscere.

Invece sì, la volta sopra di loro era buia, puntellata di piccoli diamanti, ma la temperatura era mite, quasi primaverile, e attorno a loro c'erano segni inequivocabili – e inspiegabili – di vita.

C'era erba sotto i loro piedi, cespugli, fiori di ogni colore. Sentieri lastricati con raffinate pietre rossicce si insinuavano tra aiuole e colonne cinte di edera, in mezzo a porticati che guidavano verso una larga piazza con una fontana zampillante. Ichigo seguì con lo sguardo i profili degli edifici non riuscendo a credere a ciò che le disse la memoria, ma seppe di non sbagliarsi: quel luogo era una versione totalmente vuota della città che aveva visto nei ricordi di Luz, il luogo dove lei e i Melynas erano esistiti e dove era nata la MewAqua.

Il gruppo si mosse lentamente di qualche passo, tentando di capire cosa stesse succedendo. Sul limite della città, alle spalle della piazza grande, un immenso colonnato era disposto ad anfiteatro per abbracciare un palazzo monumentale. Una struttura a due piramidi, una poggiata sulla base dell'altra; la punta di quella inferiore era troncata, permettendo all'edificio di reggersi al suolo, aiutato da quattro lunghi archi che lo sorreggevano sui quattro punti cardinali, simili a zampe di ragno. Una lunga scala saliva fino a un terzo della parte inferiore, apparendo e scomparendo dietro a pannelli bianchi che ruotavano attorno all'edificio.

« Quello… Non vi ricorda il palazzo di…? »

Pure la domanda di Minto non trovò risposta, solo qualcuno che ribattè con un suono muto.

Ichigo avvertì le viscere contrarsi. L'ambiente appariva di certo surreale, ma ancor più innaturale; qualcosa, forse l'istinto del Gatto Iriomote, prese ad urlare da dentro di lei intimandole di scappare: quel luogo era artefatto, qualsiasi cosa lì apparisse viva non lo era davvero e se la rossa teneva alla sua vita avrebbe dovuto iniziare a correre e scappare con quanta forza aveva nelle gambe. La sola azione sensata che la rossa riuscì a compiere fu rimanere immobile, mentre Kisshu stufo di tergiversare aprì la strada puntando a passo spedito verso il palazzo di Deep Blue. Raggiungere la costruzione a piedi sembrò la scelta migliore per prepararsi ad un possibile attacco, e il gruppo camminò in religioso silenzio, solo lo sciacquio della fontana nell'aria immobile e la presenza ridondante dei fiori multicolori, che non emanavano alcun profumo.

Il palazzo risultò ancora più imponente visto da sotto. La scalinata che portava all'ingresso si inerpicava lungo una delle facciate della piramide bassa sporgendosi, apparentemente, su una superficie impenetrabile composta da vetri scuri che ne decoravano tutta la superficie.

Quando raggiunsero l'ultimo scalino, Kisshu sempre in testa, ci fu un rapido scambio di occhiate per capire come agire per entrare, ma l'edificio gli tolse l'onere della decisione e la parete si aprì lungo le venature divisorie dei vari specchi: un'apertura ovale larga abbastanza per far passare tre persone si spalancò su un corridoio vuoto e buio e ai terrestri ricordò la scena di un film horror, con una presenza maligna che invitava le sue nuove prede a cadere nella sua trappola.

« Prima le signore? »

La battuta di Kisshu, che indicò oltre l'ingresso con la punta di un sai, cadde nel gelo.

« Come non detto. »

L'ingresso si chiuse non appena l'ultimo di loro l'ebbe varcato con un tonfo sepolcrale. L'atmosfera all'interno del palazzo fu più opprimente di quanto avesse lasciato intendere un primo sguardo, ma almeno c'era sufficiente luce per vedere dove si poggiavano i piedi.

Ichigo non avrebbe saputo dire per quanto camminarono lungo i corridoi deserti, i passi attutiti dai tappeti spessi e rossi che ingombravano i pavimenti; nessuno provò ad attaccarli o a fermarli, perciò o nessuno aveva trovato importante tentare ad ostacolarli o nessuno si era accorto del loro arrivo.

La seconda ipotesi si annidò per alcuni minuti nella mente della rossa dandole un certo sollievo.

Solo per pochi minuti.

I jeweliriani si bloccarono nello stesso momento imbracciando le armi, scrutando nelle ombre fitte in attesa che qualcosa sbucasse da dietro un angolo o una colonna. I terrestri li imitarono, Ryou assumendo la forma di pantera e acquattandosi pancia a terra ringhiando basso, eppure nulla si mosse.

Poi, un fruscio. Passi leggerissimi sulla superficie di stoffa. Il suono indistinto di un oggetto con parti in metallo, un filo che venne teso. Un lieve baluginio d'acciaio.

« Andatevene. Adesso. »

Ryou vedendo chi si nascose nel buio si abbassò ancor più ventre a terra, gli artigli affondati nella stoffa rossa e i denti scoperti mentre mandò un ringhio cupo, quasi lo stesso che emise Pai:

« Inetaki. »

Sputò fuori ogni lettera con quanto disprezzo era capace, gli occhi ametista colmi d'odio, e si frappose d'istinto tra la mora e Retasu puntando contro la prima il suo ventaglio. Lenatheri stese un secondo un ghigno sprezzante e ripetè ferma:

« Andatevene adesso. »

Prima che lei o chiunque altro muovesse un passo per attaccarla si udì un sibilo e il colpo secco di qualcosa che veniva conficcato nel pavimento; quasi nello stesso momento Lena scoccò mirando precisa in mezzo al gruppo verso il suo assalitore – non sapeva chi fosse stato, ma sapeva da dove aveva colpito – strappando a Purin un grido per la freccia che le fischiò a due millimetri dall'orecchio. La mora capì di aver mancato il bersaglio e caricò un altro colpo fermandosi a metà operazione, quando la sua caviglia urtò contro l'oggetto che le era stato scagliato contro, anzi, di fronte ai suoi piedi.

« Quello è il tuo pugnale, Lena? »

La mora abbassò l'arco, gli occhi sgranati e un respiro perso lungo la via. Guardò la lama ai suoi piedi e poi su, verso gli invasori, immobili e muti, in mezzo a cui MoiMoi si fece avanti a passi lenti fissando per terra.

« Hai cambiato abbigliamento, vedo. »

Disse vago alzando appena lo sguardo. Lena tirò istintivamente indietro la gamba sinistra, priva della benda, nascondendo protettiva la pelle rosea che mostrò al posto degli ingranaggi.

« Quello è il tuo pugnale. »

Ripetè il violetto monocorde. La mora lo fissò prendendo un lungo respiro:

« Tu non sai… »

« È il tuo pugnale, Lena? – insisté con tono secco – Con Arashi e Sando… C'eri tu? »

Gli altri, rimasti fino a quel momento ad ascoltare la loro conversazione senza capire nulla, si irrigidirono. Eyner sgranò gli occhi come se non si capacitasse di quanto stava afferrando, Retasu si chiuse una mano sulla bocca; Taruto, dopo il primo secondo di stordimento, trasfigurò in viso:

« Non puoi…! Maledetta stronza…! »

Purin fu certa di non averlo mai visto così furioso, ma prima che il brunetto si lanciasse contro Lena, o uno degli altri, la sua stessa espressione feroce, lo imitasse, MoiMoi insisté con voce tonante bloccandoli:

« C'eri tu?! »

Lenatheri per un istante sfuggì il suo sguardo dorato. Poi, con fare dolente, alzò piano la testa e disse piano:

« … Non doveva essere lì. »

Ci fu un secondo in cui tutto parve immobile.

Non un suono, non un fiato.

Poi MoiMoi strinse i pugni furente e le sue pupille ferine si ridussero a due lame:

« LENATHERI!! »

Il grido rabbioso del violetto fu coperto dal terrificante fracasso delle pareti che venivano squarciate da serpenti di terra e pietra. Il pavimento tremò come se dovesse essere divelto in un colpo da cima a fondo e gli esseri di terra saettarono dritti contro Lenatheri, che scoccò solo una freccia verso il suo aggressore prima di scattare all'indietro nel tentativo di schivare le colonne di roccia. MoiMoi schizzò dietro di lei l'istante successivo, il martello in mano, raggiungendola in pochi secondi e mancando di poco la sua testa con un attacco che creò l'ennesima voragine nel muro.

Per alcuni istanti gli altri non poterono agire, troppo intenti ad evitare che un pezzo vagante di soffitto li prendesse in testa o una crepa sotto i loro piedi gli inghiottisse. I serpenti di terra salivano e scendevano fuori dal pavimento come pesci nel mare, fluendo sinuosi dietro a Lenatheri e mancandola sempre di un soffio; lei intanto tentava di seminare MoiMoi, la propria arma in mano che roteò a destra e a manca con una precisione impensabile per un masso di granito su un bastone, tallonandola incurante delle frecce che lei continuò a scoccare ad ogni spiraglio libero. L'aria si saturò rapidamente di polvere rendendo impossibile capire cosa stesse succedendo, si poteva solo intuire la chioma violetta di MoiMoi apparire di quando in quando dietro una nuvola di calcinacci, ma non era raccomandabile rimanere troppo vicino per vedere e rischiare di essere investiti per caso da una massa compressa di terreno.

Lena cacciò un urlo rabbioso. Finalmente una sua freccia centrò MoiMoi alla spalla destra e il violetto con un gemito secco si schiantò contro la parete opposta, dandole tregua dalle sue creature che svanirono in ciò che rimaneva del pavimento. La mora caricò l'arco pronta ad attaccare gli altri, che la imitarono, ma il violetto intervenne ancor prima che qualcuno battesse ciglio:

« No! »

Mosse malamente il suo martello con il braccio sinistro; un'onda di roccia spaccò una giunzione tra muro e pavimento fracassandosi su Lena e mandandola al tappeto alcuni secondi, a sufficienza perché MoiMoi potesse alzarsi e frapporsi tra lei e il resto del gruppo.

« Merda…! »

« MoiMoi-chan! »

« Sto bene…! »

Tagliò corto, senza fiato, e Ichigo trattenne il respiro mentre lo vide togliersi la freccia dalla spalla sibilando a denti stretti:

« Andate avanti! Subito! »

« Co…?! MoiMoi-ch- »

Le parole di Minto si spensero in un grido secco, un alto muro di terra che le spuntò davanti al naso e impedì che il colpo di Lena andasse a buon fine.

« Andate! »

Le ragazze rimasero ferme, esitanti. Solo Zakuro, corrugando la fronte, capì e si avviò a passo spedito seguita a ruota da Ryou e dagli altri ragazzi, che non dissero cupi in volto ascoltando ancora gli ordini del loro senpai; Taruto invece protestò:

« MoiMoi-san, non…! »

« Lei è mia! Mi hai capita?! – ringhiò furente – Vai! »

Un'altra parete si sollevò tra loro e i due avversari prima che una nuova freccia li colpisse, arrivando a toccare il soffitto. MoiMoi intimò ancora ai ragazzi di andarsene e, titubanti, anche gli ultimi di loro si lasciarono il muro di pietre alle loro spalle e proseguirono.

« Tzs. "Lei è mia!"? »

La risata sarcastica di Lena fu un soffio, veloce e aspro. Il violetto, il martello posato al suolo, la fissò soltanto con durezza; lei schioccò la lingua irriverente:

« È inutile. – lo punzecchiò acida – non sai uccidere le persone. Anche se ti impegni. »

Gli rivolse un'occhiata quasi sprezzante:

« Anche adesso, pensi che io stia giocando? – domandò offesa – Miri senza puntare alle zone vitali. Io no. Io sto mirando per ucciderti, senpai. Dovresti farlo anche tu. »

MoiMoi continuò a fissarla in silenzio.

« Perché stai sicura, se non mi ucciderai tu, lo farò io. »

« Oh, io non voglio ucciderti. »

Lenatheri sussultò mentre, lo sguardo fisso sull'avversario, percepì troppo tardi la stretta ferma che le fece formicolare la carne da sotto l'anca fino a terra. I suoi occhi color rame si dilatarono spaventati intanto che, nei pochi secondi in cui lo sentì parlare, capì.

« Ma posso farti desiderare con tutto il cuore che lo faccia. »

 

 

***

 

 

L'essere spalancò gli occhi di soprassalto. Mosse di pochi millimetri la testa, gli occhi color del ghiaccio che percorsero attorno a sé cercando la fonte di disturbo, eppure non un'ombra o un suono parve turbare la quiete della stanza in penombra. Nondimeno Deep Blue sospirò un istante, trovando l'origine del fastidio, e tornando supino con un guizzo d'irritazione sul volto si portò la mano destra di fronte allo sguardo rimirandola per lunghi minuti; potè percepire ancora i motivi del soffitto attraverso il miscuglio di ossa e carne, quasi che il suo arto fosse fatto di carta velina. Non era ancora pronto.

Un balugino più intenso richiamò la sua attenzione verso il piedistallo su cui fluttuava il Dono, ormai ridotto alle dimensioni di una pesca. Un ghigno freddo si disegnò a fatica sul suo viso:

« Le hai condotte fin qui? »

La figura di Tayou, appena percepibile, nulla più che un tremolio di calura estiva nell'aria, lo fissò con durezza da dietro il piedistallo e Deep Blue ghignò con più convinzione:

« La tua volontà di proteggere quelle ragazzine è svanita per condurle a morire? »

L'ombra opalescente non potè parlare, ma mosse le labbra indistinte.

Ti fermeranno.

Deep Blue rise a labbra chiuse, una risata gelida e ostile:

« Nulla potrà ostacolarmi d'ora in avanti. Sono finalmente l'essere supremo, con il Dono completo al mio comando. »

Distolse la sua attenzione dal biondo che parlò ancora con la sua voce muta.

Invece, cadrai. Stavolta sarà l'ultima.

 

 

***

 

 

Il grido di Lenatheri echeggiò fino al soffitto, agghiacciante quanto il frastuono della pietra che scattava come una tenaglia sulla sua gamba. Uno schiocco e un tonfo e la morsa le troncò l'osso del femore appena sotto l'anca per poi staccarle di netto l'arto.

Lena cadde a terra con le mani sul moncherino sanguinante tentando inutilmente di arrestare l'emorragia, le dita premute sui lembi di pelle e carne che si coprirono di sangue intanto che lei, priva di respiro, rantolò in silenzio con la bocca spalancata e gli occhi fuori dal cranio.

« Fa male, vero? »

La mora lo guardò da terra con le pupille smarrite nelle iridi rame, i denti digrignati e la bava alla bocca mentre tentò di non svenire, il petto che si alzava e abbassava convulso. Il violetto la fissò girandole attorno lentamente, il martello in una mano che sfiorava il pavimento; i suoi occhi dorati vibravano di una rabbia gelida e spietata che Lena non avrebbe mai immaginato fosse capace di provare.

« Ora, concentratici. – ordinò a bassa voce – Prendilo e moltiplicalo ancora, e ancora. »

Lena emise un altro rantolo acuto piegandosi con tutto il busto sull'arto mancante, il respiro come quello di un topolino.

« Forse arriverai a capire un po' cos'ha passato mezza Jeweliria per colpa tua. »

La mora lo trucidò con lo sguardo sanguigno, le guance tremanti fradice di lacrime di dolore e frustrazione.

« Forse potresti intuire cosa sto provando io. »

« … Maledetta…! »

Ringhiando la ragazza mollò la presa sul moncone, imbracciò l'arco e scoccò rapida costringendo MoiMoi a retrocedere di qualche passo. Lo sforzo unito alla ferita fu tale che Lena si piegò di nuovo su se stessa dando di stomaco; riuscì a scoccare un'altra volta per prendere tempo, riversa su un fianco alternando conati e colpi di tosse nel tentativo di ricomporsi, quindi ottenuto un minimo equilibrio aprì il palmo di una mano verso l'alto: MoiMoi, che non aveva agito fino ad allora fissandola, si mise sul chi vive, ma non intervenne mentre Lena fece comparire un para-para e se lo inserì nella gamba. La mora cacciò l'ennesimo urlo strozzato e il parassita creò qualcosa dal moncherino che MoiMoi le aveva lasciato, non propriamente una gamba, ma giusto un abbozzo di arto adatto a rimanere in equilibrio e a non farla morire dissanguata.

Di certo non fu la cosa più pratica mai vista e dovette causare a Lenatheri un dolore atroce quanto la perdita dell'arto, a giudicare dal pallore cadaverico del suo viso e ai sudori freddi che le colarono lungo le tempie.

« Non ti facevo… Una sadica di merda…! »

« Io non ti facevo una traditrice. »

« Non osare venire a farmi la morale! – berciò stridula – Avevo le mie ragioni! »

« Oh, posso immaginarle. – ribattè sprezzante – Una lauta ricompensa. »

Puntò con il suo martello verso l'artefatto di chimero e Lena scoprì i denti ferini:

« Tu non ha la minima idea di come stiano le cose! »

« No, non ce l'ho. – ammise MoiMoi freddamente – Ma ormai, non mi interessa più. »

Le iridi dorate mandarono un lampo:

« La sola cosa che mi interessi è che per colpa tua ho perso ciò che di più caro avevo al mondo. Ora io toglierò a te le cose a cui tieni di più. »

Alle spalle del violetto sbocciarono dal pavimento quattro nuovi serpenti di terra, più grossi dei precedenti e con fattezze più definite, bocche e denti formati nel fango e nelle pietre come sciabole opache e due cavità buie per gli occhi.

« In ultimo, la sola cosa che ti sia mai importata veramente: te stessa. »

« Tu non hai davvero capito un cazzo. »

« Sei tu che non hai capito niente. »

Il martello di granito piombò a terra crenando il pavimento per un raggio di due metri e i serpenti di terra scattarono in avanti travolgendo ogni cosa al loro passaggio.

Pareti, soffitto e pavimento vennero scardinati pezzo a pezzo in una pioggia di pietre e legno in un frastuono da temporale mentre le quattro creature si gettarono con il loro padrone sulla loro preda, l'intero edificio che tremò fino al proprio cuore.

 

 

***

 

 

Quanto erano già distanti? Un piano? Due? Si perdeva il senso del tempo e dello spazio in quei corridoi tutti uguali.

In ogni caso dovevano essere saliti di un bel po' e dal fiato corto che aveva per il passo di marcia era parecchio tempo che avanzavano. Eppure lei ancora non si dava pace.

« Insomma Ichigo, che ti prende? Andiamo! »

La rossa non badò alle parole di MewMinto e si girò di nuovo alle sue spalle:

« Dobbiamo tornare indietro. »

« MoiMoi-san ci ha detto di andare – ruggì cavernoso Ryou– e noi andiamo. »

La mewneko rimase immobile dove si trovava, per nulla convinta, e spalancò le braccia agli sguardi poco partecipi degli altri:

« Non possiamo lasciarla da sola! »

« Per la terza volta – sbottò Pai – MoiMoi sa cavarsela perfettamente. Specie contro una come Inetaki. »

« Però-! »

« Ichigo. »

La rossa guardò MewZakuro adombrata in viso per il tono di ramanzina, ma come sempre non ribattè alla voce calma dell'amica:

« È una cosa di cui deve occuparsi lei. »

Ichigo sgranò appena gli occhioni rosa e scostò lo sguardo dalla mora mordendosi il labbro. Capiva, capiva benissimo, ma continuava a non parerle giusto aver lasciato il violetto indietro.

« La senpai è una più cazzuta di quanto non sembri. »

Bofonchiò Taruto, nemmeno lui così convinto della decisione del violetto, ma che ostentò un mezzo sorriso furbetto:

« Vedrai che finirà in un lampo e ci raggiungerà subito. »

« Parlando di questo – sbuffò Minto – si può sapere perché stiamo andando a piedi? Non potremmo teletrasportarci? »

« Fuori discussione. – sospirò Eyner – Questo palazzo, qualunque cosa sia, emana le stesse vibrazioni della dimensione dove si erano rintanati Arashi e gli altri, è uno spazio distorto. Se iniziassimo a teletrasportarci rischieremmo di finire da tutt'altro parte rispetto a dove vorremmo andare. »

Minto aggrottò la fronte poco convinta(***).

« Su cornacchietta, tanto voi vi lamentate sempre del… »

Le parole di Kisshu si spensero dietro un cupo rimbombo che fece tremare il pavimento. Prima che uno solo aprisse bocca sotto ai loro piedi si aprì una voragine da un lato all'altro del corridoio e, contemporaneamente, un grosso pezzo di soffitto si staccò troncando a metà ciò che restava del passaggio dove si trovarono tutti.

Fu questione di pochi secondi. Tutto attorno vibrò, il grido delle mura che vennero squarciate trapanò i timpani, e Ichigo ebbe solo il tempo di voltarsi verso Ryou e allungare la mano nella sua direzione prima che precipitasse nel vuoto, il buio e la polvere ad accompagnarla.

 

 

***

 

 

L'ultimo serpente finì la sua corsa contro l'angolo dei corridoi sfiorando solo Lenatheri che sbandò per il colpo al fianco, strisciò sulla parete opposta e continuò la sua fuga lanciando dietro di sé quante più frecce potè. MoiMoi schioccò la lingua furioso, schivando i suoi colpi, e decise di passare al solo attacco diretto: lo spazio era troppo angusto per continuare ad inseguirla a quel modo e lui aveva serie difficoltà a controllare la potenza dei suoi colpi; già aveva sentito degli inquietanti rimbombi salire dal resto del palazzo e temette di aver distrutto un paio di piani sopra di sé, non sarebbe stato simpatico farsi crollare il resto dell'edificio in testa.

I due arrivarono in uno spazio più ampio, un incrocio tra più corridoi costituito da un grande vano circolare con il soffitto a volta. Lenatheri tentò di sgusciare in uno dei passaggi disponibili, ma con un ampio movimento del suo martello MoiMoi creò delle solide pareti che tapparono le uscite, bloccandola.

« È la tua ultima occasione per teletrasportarti via. – le sibilò con sdegno – In caso contrario, sappi che mi sono stufata di rincorrerti come un gatto col topo. »

Lena rimase a fissarlo qualche secondo, poi imbracciò ancora il suo arco e mirò ferma verso il violetto che sorrise sarcastico:

« Un po' di orgoglio almeno ti è rimasto. »

La mora emise un verso stizzito e scoccò.

I due divennero due macchie indistinte nella stanza ombrosa, due lampi verde e viola che guizzarono da una parte all'altra in un fracasso di pietra contro metallo. Lenatheri tentò con tutte le forze di rimanere concentrata, il dolore alla gamba così forte da farle girare la testa, e soprattutto di non posare i piedi a terra perché certa di non riuscire a reggersi in equilibrio, né di tollerare una soglia del dolore più alta senza perdere i sensi. MoiMoi parve saperlo e la incalzò verso il basso costringendola più volte a sfiorare il pavimento, il viso fermo in una furia gelida che stava sempre più perdendo la sua impassibilità.

« Sei una codarda traditrice…! »

« Non avrei voluto che succedesse tutto questo. »

Gli ribattè la mora prima di scoccare e di prenderlo quasi nell'occhio. MoiMoi emise una risata sprezzante:

« Mi hai fatta saltare per aria! »

« Non sapevo fosse una bomba! – esalò esasperata l'altra, quasi confessando – Non volevo farti del male! »

« Hai pugnalato Sando! »

Ribattè lui, la voce furente che s'incrinò appena:

« L'hai pugnalato… L'hai pugnalato alle spalle, come una vigliacca! – gridò più forte e una lacrima gli sfuggì sulla guancia sciupata – L'hai lasciato lì a morire! »

Per un secondo l'espressione combattiva della mora vacillò:

« Non…! Non era quello che volevo…! »

MoiMoi scoprì i canini ferini e dimenò il martello tanto velocemente che Lena non potè impedire la sfiorasse, lanciandola dall'altra parte della stanza.

« Lo hai pugnalato alla schiena! »

Lenatheri, reggendosi la testa e guardando il sangue che iniziò a colare dal sopracciglio spaccato, mormorò con respiro pesante:

« Volevo… Volevo solo metterlo fuori gioco. »

Farfugliò rimirandosi il palmo rosso. Pareva stesse focalizzando solo in quel momento cosa avesse fatto, o che non avesse voluto pensarci dalla sera della Celebrazione e la cosa ora la stesse prendendo prepotentemente a schiaffi:

« Arashi lo avrebbe ucciso… »

« Oh, per quello ci sei stata tu! »

Berciò livoroso il violetto.

« Volevo solo fare in modo che smettesse di contrastarlo e…! Ma lui si è… Si è mosso prima che io… »

« Stai zitta! »

La raggiunse e riuscì a disarmarla mandando il suo arco in frantumi contro il muro. Lena scattò sotto il suo braccio teso e tirò fuori il pugnale che MoiMoi le aveva involontariamente restituito impedendo con sommo sforzo che il violetto le spappolasse la testa.

« Non avevo altra scelta. »

Sussurrò, le braccia che tremarono sotto la spinta del martello, e MoiMoi mandò un'altra secca risata di disprezzo:

« Su cos'è che non avevi scelta? Ferire a morte un tuo amico? O tradire la tua gente? »

Respinse il pugnale e dondolando la sua arma come un pendolo fece per tornare indietro e colpirla ancora; Lenatheri si difese a fatica deviando con la sua lama il colpo, ma finendo sbalzata al suolo. Cacciò un grido e un'imprecazione sdraiandosi sulla schiena senza fiato.

« Non avevi scelta quando hai deciso di seguire Ebode e agire contro tutti noi, alle nostre spalle? »

La mora si alzò faticosamente e sputò un po' di sangue dal labbro rotto per terra:

« Avete deciso di mettere le nostre vite in mano a delle bambine…! »

« Oh, gli dei mi aiutino, falla finita! – tuonò il violetto – Vorresti convincermi di aver fatto tutto per gelosia, come l'ultima delle stupide?! »

Lena digrignò i denti, gli occhi spalancati, furenti, offesi, vili, e balzò contro di lui squarciando l'aria a fendenti tentando di farlo tacere.

« O per la tua gamba?! »

« Smettila! – strillò la mora – Tu non sai! Non sai tutto quello che ho perso solo per questa! »

« Ah! »

MoiMoi schivò l'affondo alla pancia, ruotò su se stesso e la prese di striscio alla spalla inveendo ancora:

« Io c'ero, Lena! E la sola cosa che ho visto sei stata tu che come sempre non riesci ad affrontare la realtà! »

« Smettila…! »

Il pugnale continuò a fendere l'aria con scatti sempre più convulsi, quasi nella sola speranza di colpire mirando alla cieca e riuscendo, almeno, a tenere il violetto a distanza sufficiente perché non colpisse la mora.

« Ti ho vista autocommiserarti decidendo da sola che quello non era il percorso giusto della tua vita, e invece di rialzarti… »

« Chiudi il becco! »

« … Hai preferito convincerti di aver perso tutto! »

Lenatheri urlò e avvertì la lama fare resistenza contro il fianco del violetto, ma lui si limitò a stringere un'imprecazione tra i denti e riprese a tentare di disarmarla.

« Hai deciso di esserti rovinata il futuro con la tua gamba, hai deciso che le terrestri erano una minaccia, hai deciso di non farti carico dei tuoi errori! »

« Smettila!! »

Sentì di nuovo prepotente l'impulso di vomitare. Il dolore alla gamba le stava ottundendo la ragione, faticava a restare concentrata sulla lotta e capiva che presto avrebbe perso il controllo sul parassita, rischiando di lasciarci la penne prima che MoiMoi riuscisse ad agguantarla; ogni muscolo mandò latrati di dolore, bruciando con forza sotto la pelle e tendendosi ostile ai suoi movimenti, ma era la sua testa che la stava facendo cedere.

Non occorreva che MoiMoi le dicesse quelle cose, le sapeva già. Confrontarsi così con il violetto però le sbattè in faccia tutti i suoi dubbi, tutte le sue amare consapevolezze, e non voleva sentirlo parlare ancora.

Se l'era domandato il giorno in cui Toyu le aveva proposto la loro alleanza e ancora se lo chiedeva ogni volta che non riusciva a tenere la mente abbastanza occupata a pensare ad altro.

Quando aveva iniziato a precipitare?

Ogni passo che aveva compiuto, ogni scelta che aveva fatto l'aveva spinta sempre più nel baratro. Era certa di aver perso il proprio futuro e aveva respinto chi le era accanto per crogiolarsi nel suo dolore, pretendendo al contempo che la salvassero non sapeva bene come. Poi l'amara verità, la coscienza che si potesse andare avanti, che il ricominciare o meno fosse solo una questione di decisioni e che lei aveva optato semplicemente per la resa.

Aveva scelto di incanalare la sua rabbia sulle terrestri, di ergerle a simbolo vivente del cambiamento che lei non era in grado di accettare. E ancora aveva sbagliato scegliendo di ostacolarle, di vedere solo loro come un nemico subdolo e silenzioso e non l'insieme delle cose, finché non aveva rischiato di perdere il poco di bene rimasto nella sua vita.

Aveva avuto un'occasione a quel punto. Poteva fermarsi, tornare indietro; confessare la sua stupidità e implorare un perdono che, una minuscola parte di lei sapeva, pur con fatica avrebbe ottenuto.

Invece aveva lasciato che la paura la convincesse dell'irrimediabilità delle sue azioni, di essersi già scavata una fossa senza uscita; e aveva taciuto, vigliacca, fingendo di non sapere e come tutti di bramare vendetta, di essere un'alleata, finché la bugia si era infranta e davvero le era stato strappato tutto.

Solo un lumino di speranza era rimasto, ed era stato proprio MoiMoi a offrirglielo cercando di capire le sue azioni. Eppure ancora si era arroccata in se stessa, nel suo silenzio, nel suo orgoglioso autocompatimento, convincendosi di essere eternamente sola e incompresa, fuggendo e abbandonando i resti della sua vita e la sua casa pronta all'oblio.

Finché qualcuno non le aveva ricordato che non era mai stata una in grado di dimenticare.

Avrebbe ancora potuto lottare. Avrebbe potuto impedire tante cose, contrastare ciò che le accadde attorno, o nel suo egoismo almeno proteggere chi l'aveva sempre fatto con lei, come con una sorellina un po' riottosa.

Ancora, si era abbandonata agli eventi, muovendosi solo quand'era ormai troppo tardi e nel modo più stupido che potesse concepire.

E quello era il suo epilogo.

Squadrò MoiMoi dall'altra parte della stanza. La sua stretta sul manico del pugnale era tale da rendere insensibile la mano, respirare era così doloroso da essere insopportabile; ormai la vista era così annebbiata per la ferita che riusciva a distinguere con chiarezza il violetto solo quando inspirava e arrivava più ossigeno al cervello, le orecchie fischiavano, tanto che non fu sicurissima che MoiMoi avesse parlato di nuovo quando gli sibilò per l'ennesima volta di tacere.

Il violetto la fissò in silenzio guardandola ondeggiare nel vuoto, la testa ciondolante e lo sguardo color rame opaco, quindi strinse la presa sul suo martello. Aspettò, immobile, finché Lenatheri spalancando la bocca in un urlo da belva non imbracciò il pugnale mirando dritta al petto violetto, decisa a trapassarlo; fu allora che lui tirò indietro il martello e poi lo scagliò in una parabola davanti a sé.

Lena spense il grido e poi emise uno strano verso secco quando, inerme nel contraccolpo, centrò la parete. Si accasciò al suolo voltandosi mollemente sulla schiena ed emise un paio di mormorii prima di piombare nel silenzio totale.

MoiMoi rimase ancora immobile. Il martello sospeso nel punto in cui aveva impattato con la mora, il ragazzo sgranò gli occhi un istante, la realtà di averla centrata che gli rovinò addosso; prese due lunghi respiri, drizzando le spalle, e scese a terra fermandosi in piedi accanto a Lenatheri guardandola con distacco.

Il corpo della mora sussultò lievemente; una brutta macchia rossa si stava aprendo sul torace e i respiri di lei, brevi e secchi, erano accompagnati da uno strano gorgoglio: aveva sangue in bocca, troppo, il colpo doveva averle fratturato le costole e perforato i polmoni. La raffazzonata protesi alla gamba si disintegrò velocemente e il pulsare del nucleo del para-para coprì i lievissimi lamenti della sua padrona, lo sguardo già vitreo a pochi secondi dalla fine.

MoiMoi rimase dove si trovava ancora qualche istante. Lenatheri riuscì a girare la testa quel minimo da vederlo in faccia, inarcò appena la schiena in un ultimo spasmo e si lasciò andare sul pavimento distrutto, sconfitta.

Quando capì che non si sarebbe più mossa il violetto ritirò la sua arma. Mandò un sibilo di dolore e si fissò le mani, aveva stretto così tanto il manico durante lo scontro che i palmi si erano scorticati senza pietà. Studiò i tagli sulla pelle e strinse i pugni, ignorando il bruciore e sentendosi uno stupido, l'aria che si espanse nel petto soffocandolo un po'.

Non guardò più ai suoi piedi né alle sue spalle mentre si allontanò verso uno dei corridoi, imboccandolo senza rifletterci troppo consapevole di non avere la minima idea di dove fossero gli altri e pregando solo di raggiungerli velocemente. Le sole cose che percepì, dopo il boato della lotta, il sangue nelle orecchie per la foga, il frastuono dei colpi, furono il pigolio distante del para-para che fluttuò ignaro nella sala deserta, il proprio respiro fievole e i propri passi pesanti sull'ennesimo tappeto rosso.

Si strinse protettivo il polso sinistro al petto, la gola serrata in una morsa. Fu la prima volta in cui capì quanto davvero si sentisse solo:

« Sando… »

 

 

***

 

 

Nell'oscurità credette di precipitare per anni, finché i suoi occhi felini non distinsero il pavimento a pochi metri dall'impatto con esso, e la caduta si ridusse ad istanti.

Provò a girarsi sulla schiena e atterrare a quattro zampe – in fondo era un gatto, per la miseria! – ma capì che non avrebbe fatto in tempo e a rallentare senza sfracellarsi le giunture.

« Cavolocavolocavolocavolo…!!! »

Cacciò un urletto secco quando si sentì afferrare e la sua caduta si fermò all'improvviso, facendole scattare all'indietro la testa con un colpo secco:

« Nyah, che male…! »

« Questo dovrei dirlo io…! »

La rossa mandò un altro miagolio e si sentì un po' ridicola mentre Taruto scese con garbo gli ultimi metri fino a terra tenendola in braccio: dovette apparire come un enorme e kitsch bomboniera rosa, tra la gonnella vaporosa e la differenza di altezza con il brunetto, evidente anche da quella posizione.

« Ma quanto pesi vecchiaccia?! – si lagnò lui massaggiandosi la spalla destra – Mi hai maciullato la spalla! »

« Sei un moccioso maleducato! – soffiò la ragazza gonfiando il pelo – E nessuno ti ha chiesto aiuto! »

Il brunetto la ignorò palesemente muovendo la spalla per controllare di riuscire a farlo agilmente:

« Sei decisamente più pesante di quanto sembri! »

Lei non replicò borbottando a denti stretti:

« Questa l'ho già sentita… »

Si guardò un istante attorno, macerie a parte non c'era grande differenza con i corridoi che avevano attraversato fino a quel momento, solo il minor uso di decorazioni e la luce quasi inesistente che resero l'ambiente ancor più lugubre. La rossa alzò lo sguardo per capire cosa fosse successo e vide un puntino luminoso, metri e metri sopra di sé, il piano da cui erano precipitati.

« Cazzo…! »

Ichigo drizzò le orecchie all'imprecazione di Taruto e lo vide correre verso Pai, qualche metro di distanza da loro e riverso a terra. La mewneko si avvicinò di corsa aiutando il ragazzino a farlo alzare, il moro non aveva decisamente una bella cera e immaginò che la ragione fosse il sangue che gli vide colare in un piccolo rivolo dalla nuca lungo il collo: qualche calcinaccio vagante doveva averlo preso, per fortuna non così forte da metterlo fuori gioco, ma abbastanza da fargli vedere nero per cinque minuti.

« Ci sei? »

« Sì… – bofonchiò lui spazzolandosi la polvere dalle spalle, un orecchio che piò appena – Questa non ci voleva… »

Sentendolo Ichigo si corrucciò e si guardò attorno, impallidendo al pari di Taruto: c'erano solo loro tre lì attorno.

« Dove sono gli altri?! »

« È crollato mezzo palazzo. – disse Pai con tono cupo – Non ne ho idea. »

Ichigo dimenò la coda terrorizzata e iniziò a chiamare gli altri a gran voce, ma ottenne solo la risposta dell'eco.

« Forse se proviamo a risalire li troviamo. »

Suggerì Taruto sforzandosi di mantenere un tono fermo nonostante l'evidente ansia dipinta sul viso; Pai scosse la testa:

« Quante possibilità ci sono che siano caduti nel punto in cui siamo caduti noi fermandosi a caso un piano prima? – domandò caustico – Direi quasi nulle. »

Il brunetto annuì con un grugnito, la logica del fratello di sicuro non lo fece sentire più tranquillo.

« In ogni caso meglio spostarci da qui – sentenziò Pai reggendosi un poco la fronte con una mano, lo sguardo ancora annebbiato – Deep Blue e gli altri forse fino ad ora non si sono accorti di noi, ma ormai sarà questione di minuti. »

Scoccò un'occhiata indecifrabile ad Ichigo che strinse i pugni sulla sua gonna e annuì, avviandosi con i due ragazzi per il lato del corridoio che sembrò risalire. Nessuno lo disse, ma la rossa fu sicura che tutti e tre stessero provando la stessa angoscia nel sentire solo quei pochi passi attorno a loro.

Ryou, ti prego… Stai attento…

 

 

***

 

 

« Ichigo! Zakuro-san! Taruto-san! »

« Retasu, scendi da lì, finirai per ammazzarti…! »

Retasu non ascoltò nemmeno la raccomandazione di Minto e continuò ad inerpicarsi sulla parete crollata, che aveva sigillato il corridoio alle loro spalle da pavimento a soffitto come una valanga.

« Eyner! Purin! »

La mewbird la guardò preoccupata tastare ogni centimetro di detriti in cerca di uno spiragli continuando a chiamare gli altri e arrivando quasi a toccare la volta del corridoio.

« Pai-! AH! »

Strozzò un gridolino quando mise un piede in fallo su un sasso malmesso; per un secondo sentì la schiena nel vuoto e poi qualcuno afferrarla salda per un braccio.

« Occhio pesciolina, non vorrai spiaccicarti. »

La verde non rispose al tentativo di battuta di Kisshu e annuì solo per ringraziare, assecondandolo mentre la rimise in piedi.

« Ce la siamo cavata in situazioni peggiori, vedrai che stanno tutti bene. »

La rassicurò vedendo il suo colorito terreo e gli occhioni mesti quasi stesse per scoppiare in lacrime; poi le ammiccò e più a bassa voce aggiunse:

« Pai è troppo presuntuoso per crepare spappolato da qualche sassolino. »

Retasu emise uno strano verso nasale che doveva essere una risata nervosa, si fregò il viso e annuì accettando il braccio che le porse per scendere più velocemente.

« Motherfucker…! – imprecando altri due minuti Ryou tirò un calcio alla parete di macerie, cercando ancora un passaggio che chiaramente non c'era – Che diavolo è successo?! »

« Se posso fare qualche ipotesi, nel migliore dei casi alla senpai è sfuggita la mano. – sbuffò Kisshu massaggiandosi il collo – Nella peggiore, qualcuno di quegli stronzi biondi è uscito a giocare. »

« Fuck… »

« Non ha importanza, anzi mi fa pensare che dovremmo smetterla di stare qui a cincischiare. – disse Minto con aria grave – Dobbiamo trovare gli altri. Prima che Arashi e compagnia trovino noi, aggiungerei. »

 

 

***

 

 

Deep Blue aveva di nuovo aperto gli occhi e si era messo seduto, le mani intrecciate in grembo e lo sguardo seccato nel vuoto. Quando Arashi e gli altri aprirono la porta dei suoi alloggi non li fece neppure parlare:

« Lo so. »

« Inetaki è scomparsa mio signore – aggiunse soltanto Arashi con tono piatto – ritengo sia andata loro incontro. »

« Perciò o è andata a regolare i propri conti, o sta tentando scioccamente di tornare indietro e tradire anche noi. – commentò freddo il moro e chiuse gli occhi indifferente – In ogni caso, si è scelta la propria sorte. Non è cosa che importi. »

« E per quanto riguarda le terrestri e i loro soci? »

Domandò Toyu concitato e l'occhiata gelida del suo signore gli sigillò il fiato sulle labbra.

« Nulla per cui fare tanto scalpore. Arashi. »

« Sissignore. »

« Pensaci tu. – gli ordinò spiccio – Il mio ultimo desiderio è dovermi occupare una seconda volta di quegli stupidi. »

Alla sua affermazione Lindèvi e Toyu si guardarono allibiti.

« Ma mio signore…! – pigolò la bionda – Noi abbiamo dovuto sopportare quegli insetti per più tempo! Ci permetta-! »

« No. »

Il comando lapidario del moro la zittì con uno squittio.

« Arashi è più che sufficiente. Inoltre – i suoi occhi color del ghiaccio si strinsero appena, riprovevoli – sia tu che Toyu avete mancato di adempiere al vostro compito quando richiesto, perdendovi in inutili scaramucce. Ora non è tempo di giocare, non voglio fastidi di alcun genere. »

Lindèvi e Toyu si irrigidirono punti sul vivo, ma si guardarono bene dal ribattere. Arashi svanì con un risucchio e gli altri due uscirono in perfetto silenzio, i volti torvi e rabbiosi.

Rimasero in piedi fuori dalla porta chiusa, Lindèvi emettendo brevi respiri da cagnolino per soffocare la rabbia e Toyu stringendo i pugni fino a rischiare di rompersi le nocche. Si guardarono un secondo, smorfie feroci sul viso, e in silenzio scomparvero anche loro.

 

 

***

 

 

« Onee-chan tutto bene? »

Zakuro si voltò verso Purin e le sorrise:

« Sì, stai tranquilla. È solo un graffietto. »

La biondina si sforzò di sorridere, guardando comunque preoccupata l'ampia serie di graffi che l'amica si era procurata sulla gamba sinistra tentando di frenare la propria caduta.

« Su, non fare quella faccia. – le sorrise Eyner – Lo sai meglio di me, è più robusta di quanto sembri. E noi dobbiamo sbrigarci, per trovare come riunirci agli altri. »

« Sui complimenti c'è sempre da lavorare. »

Commentò solo la mewwolf con un mezzo sorrisetto a cui il bruno replicò con una scrollata divertita di spalle e Purin, rincuorata, ridacchiò e accelerò il passo.

In realtà anche Eyner era preoccupato, più che delle loro ammaccature del loro isolamento. Era riuscito a fermare la propria caduta infilandosi in una voragine aperta su un corridoio, afferrando Zakuro e Purin all'ultimo momento, ma quando aveva fatto per risalire al livello da cui erano franati i detriti avevano sigillato l'uscita lasciandoli da soli e al buio.

Aveva pensato di usare il proprio comunicatore o quelli delle ragazze per trovare gli altri, però – e immaginò che agli altri fosse venuto lo stesso pensiero – la cosa non avrebbe avuto senso se poi non potevano teletrasportarsi con sicurezza da un posto all'altro.

A quel punto la cosa migliore sarebbe stata cercare un modo per risalire e ritrovare il resto del gruppo prima possibile, MoiMoi compreso, e rimanere quindi il minimo indispensabile alla mercé di un assalto improvviso.

« Certo che quando si dice la iella! – borbottò Purin incrociando le braccia – Possibile che proprio mentre ci siamo noi dentro questo loculo abbia preso a croll- »

Eyner e Zakuro percepirono un lampo indistinto schizzare in mezzo a loro due e Purin s'interruppe con un grido. Toyu si avventò su di lei afferrandola per i capelli e si lanciò contro la prima parete disponibile come un proiettile, la mewscimmia saldamente prigioniera:

« Fuori dai coglioni, ragazzina. »

Si udì il terribile fracasso di pietre infrante mentre il biondo sbattè con violenza Purin contro il muro. Lo strillo di lei e il suo dimenarsi tentando di sfuggire alla sua presa si spensero del tutto con il secondo colpo, quando Toyu dovette interrompersi perché Eyner e Zakuro non lo tranciassero in due con le proprie armi. Si alzò in aria, evitando un affondo del jitte che gli avrebbe portato via la mano con cui aveva agguantato la mewscimmia, e Purin si afflosciò a terra mentre Zakuro ritirò la frusta e le si gettò accanto:

« Purin! »

La biondina emise solo un vago lamento, gli occhi chiusi e il corpo inerme. La mora avvertì un brivido intanto che, sollevandola, passò una mano tra la zazzera bionda e si bagnò le dita in qualcosa di caldo e appiccicoso; rimase immobile alcuni secondi a fissarsi il palmo rosso, obbligandosi a riprendere il controllo nel momento in cui Eyner le prese Purin dalle braccia:

« C'è polso. Respira. »

Fece spiccio; la vide riprendere fiato e annuire, capendo, Toyu era ancora lì con loro e non avrebbe certo aspettato che si prendessero cura di Purin.

« Le cose a quattro sono troppo complicate. »

Disse con crudele divertimento il biondo, fluttuato dalla parte opposta del varco. Zakuro, schioccando minacciosa la frusta a terra, scoprì i denti e parve ringhiare:

« Questa la pagherai, grandissimo bastardo…! »

Lui girò il proprio fioretto tra le dita e spalancò le braccia teatrale:

« Godiamoci questo momento allora, piccolo glicine selvatico. »

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(*) quelle che compaiono nell'episodio 46

(**) Dai Hinmin (大貧民  Grande Poveretto) o Dai Fugou (大富豪 Gran riccone) è un gioco di carte molto diffuso in Giappone. Va a punteggio, che aumenta o diminuisce a seconda del valore assegnato alle carte dalle regole del gioco stesso; vince chi ha il punteggio più alto (per darvi un'idea può essere assimilato alla nostra briscola, anche se le regole sono ovviamente diverse)

Per i curiosi qui spiegano tutto abbastanza bene http://www.yumeshima.net/board/index.php?topic=1591.0

(***) visto che è passato un po' di tempo (capitoli)… Minto non è mai entrata nella dimensione degli Ancestrali, era ricoverata per colpa delle lame di Lindèvi

 

 

 

 

 

 

~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~

 

Se state provando quel che provo io, le sensazioni sono estremamente contrastanti ^^”” sono felice, è stata soddisfatta la mia sete di sangue xD, mi sento una caccola çwç, so che sto per creare la devastazione ^^”

Prima che mi tolgano il saluto ringrazio Danya, mobo, LittleDreamer90, Hypnotic Poison e la new entry Sissi1978 (vi adoro quando decidete di imbarcarvi nella lettura a questi punti !) tutti i lettori silenziosi e in generale tutti voi, che ancora non mi avete abbandonata :3
A prestissimo e, se non tanto presto :P a prestissimo su Fragment of Path (per cui sto finendo le idee porca miseria suggerite! xD)

 

Mata ne ~ ♥!

 

Ria

 

 

   
 
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