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Autore: Riziero Ippoliti    06/06/2017    1 recensioni
Una storia distopica ambientata in un'Italia, popolata dai sopravvissuti ad un, ormai antico, conflitto nucleare.
Genere: Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Nell’ampia e buia stanza da letto penetrava solo uno spiraglio di luce mattutina, passando attraverso le due tende di broccato azzurro che coprivano la finestra, e colpendo le gocce di cristallo del grande lampadario proiettava uno scintillio di luci colorate sulla parete opposta e sul grande letto a baldacchino. E lì, avvolto in coperte di seta e lana finemente ricamate, dormiva un anziano signore, sull’ottantina, dal respiro lento e regolare. Stando steso di lato, un braccio ossuto sporgeva da fuori delle coperte poggiato sul comodino. Vicino al punto dove stava la mano, c’erano un paio di occhiali e alcune boccette rovesciata dalle quali erano cadute delle pillole di vari colori. 
Dal corridoio fuori dalla stanza da letto proveniva un certo tramestio. Inservienti stavano preparando la cerimonia che si svolgeva ogni mattina nella residenza privata. Alcuni stavano pulendo il corridoio e le stanze adiacenti con dei silenziosi aspirapolvere, altri lucidavano i soprammobili d’argento, d’oro e di cristallo, che erano sparsi sui mobili ornamentali. Altri pulivano i quadri. Altri ancora stavano preparando il bagno. Tutti indossavano una camicia bianca e dei pantaloni neri.
A dirigere queste operazioni di pulizia nel corridoio e nelle stanze in cui si sarebbe poi spostato il cerimoniale, c’era un arcigno signore di mezza età con i capelli perfettamente pettinati e lisciati, e il viso incipriato. Indossava un completo nero e dei guanti bianchi. Nei suoi indumenti non vi era nemmeno il minimo dettaglio cosa fuori posto, nemmeno un pelucco. Tutto era perfettamente lavato, stirato e profumato. Il maestro delle cerimonie si muoveva avanti e indietro per il corridoio impartendo ordini agli inservienti, riprendendone qualcuno di tanto in tanto.
«Dovete sbrigarvi, operai!» disse ad un certo punto cadenzando le parole, «è quasi ora! Sua Eccellenza deve trovare tutto perfetto! Il minimo sbaglio sarà segnalato ai vostri Guardiani di riferimento!»
Per un attimo gli inservienti si fermarono, e lo guardarono con occhi pieni di terrore.
«Non pensiate che qui nella Splendoris Civitas i Guardiani siano più morbidi! Al contrario…» soggiunse con un ghigno.
A quelle parole gli inservienti presero a lavorare più febbrilmente e più rapidamente, passando nuovamente dove avevano già lavato. Qualcuno arrivò correndo con delle pezze e delle boccette di prodotto sgrassatore e cominciò a lavare i fregi e le scanalature delle colonne corinzie che ornavano il corridoio. Altri ripeterono le operazioni di pulizia laddove era già passato, così che non ci fosse motivo di rimprovero.
Sapevano infatti che se fossero stati segnalati, avrebbero rischiato delle frustate o peggio. I Guardiani in molti casi erano anch’essi Operai, ma venivano addestrati alla violenza, a provare piacere nell’infliggere dolore al prossimo. Se un Operaio non compiva bene il lavoro assegnatogli, i Guardiani potevano frustato come un animale, facendo saltare via la pelle e la carne della schiena. Ecco perché quella mattina gli inservienti nel corridoio furono tanto terrorizzati da quelle parole.
Il maestro delle cerimonie fu compiaciuto nel vedere quanto la sua minaccia avesse accelerato le operazioni. Esperto e geloso del suo mestiere, voleva che tutto fosse perfetto, come ogni mattina di ogni giorno. Aveva lavorato come maestro delle cerimonie per quaranta anni, e non aveva mai sbagliato nulla. Non voleva pertanto cominciare adesso.
Intanto le operazioni di pulizia si era concluse con successo. Il maestro passò velocemente in rassegna il corridoio e le sale, controllando che fosse tutto in ordine. Con soddisfazione constatò che tutto era perfettamente pulito e lindo. Pronto per la giornata che stava per iniziare.
«Molto bene.» disse senza tradire alcuna emozione, agli inservienti che si erano disposti uno accanto all’altro in due file, come soldati.
«Molto bene» ripeté, «adesso andate alle cucine e state pronti a portare la colazione al suono della campanella!»
Gli inservienti si dileguarono, sparendo in una porta in fondo al corridoio, mentre il maestro controllò gli ultimi dettagli ossessivamente e risistemò la propria uniforme. Tutto doveva essere perfetto.
Egli si stava già disponendo fuori della porta della stanza da letto, quando nel corridoio un antico orologio a pendolo, con le ore sul quadrante scritte a numeri romani e intarsiate in oro, suonò sette rintocchi. Il maestro, allora bussò tre volte alla porta.
Dopo di ché la aprì e a bassa voce sussurrò: «Eccellenza, è ora.»
L’anziano signore nel letto si contorse e inspirò profondamente, dopodiché si alzò mettendosi a sedere sul bordo del letto con le spalle rivolte verso la porta.
«Buongiorno, Eccellenza» disse con deferenza il maestro delle cerimonie, chinando leggermente il capo, «le faccio portare subito la colazione!»
Il signore non rispose, e il maestro delle cerimonie uscì richiudendo la porta. Il vecchio si alzò, infilò una vestaglia da notte color ruggine che stava appesa alla parete accanto al letto, e si mise gli occhiali che stavano sul comodino. Sul piccolo mobile c’era una pulsantiera, e il vecchio premette il tasto sotto il quale c’era scritto “agenda”.
Subito il dispositivo si illuminò. Una melliflua voce femminile disse: «Primo ottobre, anno 2305. Incarichi della giornata: ore 11:00, seduta del Consiglio Supremo della Guerra e della Sicurezza; ore 15:00 visita medica; ore 16:30 incontro con la delegazione dei…»
L’uomo premette nuovamente il pulsante, interrompendo la voce.
Si avvicinò alla finestra e aprì le tende. La luce del giorno inondò la stanza, rendendo visibili le pareti e la volta a crociera affrescate, con immagini di battaglie vinte contro i ribelli e contro i nemici dello stato.
Nella stanza, oltre al letto a baldacchino, c’erano anche un tavolo con delle sedie di legno intagliato e con intarsi in madreperla, e un cassettone in stile art nouveau, con le maniglie di cristallo, sormontato da uno specchio.
Sul cassettone vi erano alcune cornici con fotografie. Una rappresentava una bella signora di una certa età, e sulla cornice era incisa una parola: “Penelope”. Un’altra rappresentava un uomo giovane dall’aria vagamente triste, e l’intestazione recava “Claudio”. Infine ve ne era un’altra in cui erano ritratte due ragazze, una con i capelli biondo cenere e l’altra, più giovane, con i capelli di un colore biondo ramato, che si tenevano abbracciate. I nomi impressi sulla cornice erano “Selene e Domiziana”. Infine vi era un'altra foto che ritraeva la famiglia al completo.
L’uomo restò in piedi con i pugni che si toccavano dietro la schiena, e attraverso le piccole, nere e opache lenti dei suoi occhiali, guardò fuori dalla finestra. Dall’alto della Turris Maxima egli osservava la capitale, che si estendeva per chilometri in tutte le direzioni, solcata, da nord est a sud ovest, dalla scia verdognola del suo fiume.
I quartieri più vicini alla residenza, erano stati ristrutturati, eppure c’erano ancora molti antichi edifici in rovina, invasi da piante rampicanti, e circondati da cumuli di macerie. Molte chiese diroccate e campanili spezzati. Molti tetti ceduti.
In mezzo ad essi spiccavano edifici moderni, torri e grattacieli, che parevano fatti di cristallo, e riflettevano in strani giochi di luci la luce del sole mattutino. Alcuni avevano forme geometriche e regolari, come parallelepipedi, cilindri o piramidi. Altri invece avevano forme più irregolari, come eliche o torri ricurve. Molti di questi grattacieli erano collegati fra loro da ponti, e passerelle sospese a centinaia di metri sopra gli antichi tetti circostanti. Molti di questi edifici erano dotati di terrazze, sui cui venivano coltivati lussureggianti giardini pensili, i cui innaffiatoi automatici spruzzavano sulle piante acqua nebulizzata che rifrangendo la luce produceva arcobaleni.
Strade e ferrovie sopraelevate passavano tra i grattacieli, o attraverso essi. Velocissimi treni sfrecciavano su di esse. Si vedeva anche una serie di veicoli fluttuanti di varie dimensioni, che sciamavano tra gli edifici. Erano le aereonavi, singolari veicoli mossi da motori antigravitazionali. Agili, veloci e con una forma simile a quella delle chiglie delle antiche navi che solcavano gli oceani, erano un ottimo strumento bellico oltre che un eccellente mezzo di trasporto.
Il contrasto con l’antichità della città era molto forte. Anche alcuni degli antichi edifici, risalenti a quando la città era stata centro di un antico impero, e poi di quando era stata culla della cristianità, erano stati ricostruiti o riparati. Tra questi, verso ovest, proprio di fronte alla finestra, vi era una grande basilica bianca, con una maestosa cupola che spiccava al pari degli altri grattacieli. Essa era in ristrutturazione, lo si capiva dalle impalcature allestite intorno alla sua mole bianca, come molti altri edifici antichi della città. Ovunque infatti si scorgevano gru e impalcature, ed altri veicoli volanti che trasportavano materiali. Ovunque si tentava di preservare quel che restava di Roma.
L’Imperatore osservava la sua capitale, quando si udì il trillo di una campanella a mano e fu di nuovo bussato alla porta. Si voltò verso la porta e proferì la prima parola della giornata, con voce bassa e fredda: «Avanti»
La porta si aprì.
«Eccellenza, la sua colazione» disse il maestro delle cerimonie aprendo la porta.
L’Imperatore rispose con un gesto con la mano.
Il maestro chinò il capo, e poi batté le mani. Subito un inserviente spinse dentro la stanza un carrello con il piano di cristallo. Su di esso, perfettamente ripiegata, c’era una tovaglia e accanto c’era un vassoio d’argento con una tazza di caffè e un’altra, più grande, di latte, un piattino con una brioche calda, con la glassa che luccicava riflettendo la luce, e un contenitore con due diverse tipologie di zucchero. Vicino alla tovaglia e al vassoio c’era una giornale piegato a metà e fresco di stampa.
Un altro inserviente seguì il primo, e arrivati al tavolo lo apparecchiarono insieme, disponendo tutto in perfetto ordine. Quando fu tutto pronto, i due inservienti e il maestro delle cerimonie accennarono un inchino all’Imperatore.
«Tra trenta minuti mandatemi il consulente militare» disse il vecchio.
Dopodiché fece un altro gesto con la mano e quelli se ne andarono chiudendo la porta. L’Imperatore amava consumare i suoi pasti da solo, e non visto se non dai suoi parenti. Non appena rimase solo, Marco Silla prese posto, disponendo la sedia lateralmente al tavolo. Versò parte del latte nella tazza con il caffé e, dopo avervi messo un cucchiaino di zucchero bianco, trangugiò il caffellatte tutto d'un fiato. Poi afferrò la brioche con un tovagliolo e cominciò a mangiarla. Era dolce e farcita con crema. Con un altro tovagliolo l'uomo si tamponava le sottili labbra per pulirsi.
Quando anche la brioche fu terminata l'Imperatore prese il giornale e lo aprì. Era un'edizione del giornale che Silla abitualmente leggeva, ovvero “L'Impero”. Sotto il titolo della testata, campeggiava in prima pagina un grande titolo scritto tutto in maiuscolo: SCONTRI AL SENATO IMPERIALE. L’occhiello recava: Saraga, andiamo avanti. Mentre il sommario: Roma, ancora proteste al Senato Imperiale da parte delle opposizioni contro il decreto economico presentato dal Consiglio Esecutivo il 19 settembre, il Senatore Reggente John Mills sospende otto senatori dell'FDD. E sotto c'era una foto che ritraeva gli scranni del Senato tra i quali alcuni senatori aveva sollevato cartelli con messaggi di protesta.
Sulla destra della pagina c'era il lungo editoriale del direttore del giornale che aveva titolo ”Perché Marco Aurelio Silla, Nono Imperatore, deve restare”. Il direttore chiedeva all'Imperatore di espletare un terzo mandato, in altre parole di restare in carica fino alla fine dei suoi giorni, vista la sua età avanzata, visto che in quella situazione non c'era nessun altro che fosse all'altezza di sostituirlo come capo dello stato. Silla ne lesse solo la prima parte, senza badarci. Riceveva questi appelli pieni di ipocrisia quasi tutti i giorni da qualche tempo, ma aveva sempre rifiutato. Non aveva intenzione di presentarsi davanti al Senato Imperiale, e farsi eleggere una terza volta Imperatore del Dominio. In fondo aveva già espletato due mandati, ed era da ventisei anni che reggeva le sorti dello stato. Era vecchio e stanco, ed era fin troppo intelligente per essere attaccato ancora al proprio seggio.
Per questo rispondeva sempre: «Avete un anno e mezzo, fino alla scadenza del mio secondo mandato, per trovare un candidato adeguato: trovatelo, dunque!»
In quel momento fu di nuovo bussato nuovamente alla porta, e l’Imperatore ripeté: «Avanti!»
Il maestro delle cerimonie entrò chinando il capo come sempre.
«Eccellenza, c’è qui il consulente militare»
«Fatelo entrare.»
Il maestro chinò nuovamente il capo, e poi fece cenno a qualcuno di entrare.
«Prego» disse.
Entrò allora un uomo in alta uniforme, con i capelli brizzolati, che portava una borsa di cuoio bruno nella mano. Non appena si trovò dinanzi al Capo dello Stato l’uomo si drizzò e fece un saluto militare con la mano destra. L’Imperatore rispose con un cenno del capo.
«Prego» disse indicando l’altra sedia.
L’uomo stette un momento ad osservarlo.
C'è chi dice che il potere logora: Marco Aurelio Silla, almeno dal punto di vista fisico, ne era la dimostrazione vivente. Da quando circa trent'anni prima era diventato Imperatore, era stato colpito da numerose patologie che lo avevano lasciato magro, deperito e pallido come un cadavere.
Era di bassa statura, e superava di poco il metro e cinquanta. Leggermente ingobbito, spesso tendeva a zoppicare. La fronte era ampia, spaziosa e solcata da numerose rughe parallele che formavano strane cuspidi sopra gli occhi, quando parlava. L'attaccatura dei capelli bianchi era molto alta. Il viso era anch’esso solcato da rughe e scavato abbastanza da poterne perfettamente distinguere le ossa del cranio e della mandibola.
Ciò che più impressionava di lui erano gli occhi. In effetti nessuno aveva più visto i suoi occhi da almeno venti anni. Pare che una grave malattia avesse pregiudicato la sua vista, ed era per lenirne gli effetti che porta sempre quel paio di occhiali dalle lenti nere e opache e dalla esile montatura. Le lenti non coprivano l'intera orbita, come occhiali normali, ma la sola apertura delle palpebre. Questo gli dava l’aspetto di uno strano insetto, e quando aggrottava la fronte lembi di pelli avviluppano le lenti, che sembrano così parte del suo corpo.
Il consulente si sedette e, posata la borsa sul tavolo, ne estrasse un fascicolo.
«Eccellenza, qui ci sono in sintesi gli argomenti che saranno trattati nella seduta di oggi del Consiglio Supremo della Guerra e della Sicurezza»
Silla li prese senza fare una parola, e li esaminò.
«Come può vedere le ho aggiunto un sommario all’inizio…» e qui il consulente prese a spiegare le varie strategie che l’esercito stava seguendo in quel periodo, per risolvere le dispute di confine con le altre Nazioni Sopravvissute, cioè il Nord Europa e la Nuova Russia. Continuò poi con i movimenti dei Ribelli negli spazi tra le Isole.
«Ieri notte si è verificato un incidente e le nostre nuove aereonavi hanno risolto la situazione»
«Si spieghi!»
«Il sistema d’allarme delle ferrovie magnetiche è scattato alle ore 23:49. I computer hanno rilevato l’approssimarsi di mezzi non autorizzati ai binari magnetici presso le rovine di Firenze.»
«Quali mezzi?!»
«Due aereonavi modello Aquila Tre» rispose il consulente.
«Mi risultava che i Ribelli possedessero solo mezzi di terra. Da quando hanno anche delle aereonavi da guerra?!»
«Eccellenza, hanno... hanno depredato un di deposito di aereonavi dismesse circa tre settimane fa»
«Cosa?! Hanno preso delle aereonavi?!»
«Sì, Eccellenza! Ma non c’è da preoccuparsi: si tratta di modelli vecchi e lenti, come le Aquila Tre o le Gheppio Otto. Molte di esse sono anche gravemente danneggiate. Non potrebbero competere con il nuovo modello Falco Quindici!» disse alzando le mani.
«E con ciò?!»
«Signore, Eccellenza, quei Ribelli stava piazzando degli ordigni esplosivi. Supponiamo volessero far saltare la ferrovia. Le nostre Falco Quindici sono giunte sul posto in un minuto. Quei bastardi hanno tentato di fuggire, ma le Aquila Tre sono troppo lente e le nostre Falco Quindici le hanno raggiunte. Una è stata abbattuta. Invece l'altra è riuscita ad allontanarsi ma è stata gravemente danneggiata. Dubito che potrà servigrgli in seguito!»
«Non si può negare che sia un buon risultato, tuttavia non possiamo abbassare la guardia! Ciò nonostante» disse l’Imperatore, «non possiamo permetterci il lusso di sottovalutarli!»
«Certamente, Eccellenza!»
«Rammenta cosa avvenne al mio predecessore?»
«Certo, Eccellenza. Come dimenticare la tragica dipartita di Sua Eccellenza Antonio Scavari? Fu un grande uomo…»
«Egli era indubbiamente un uomo probo» disse Silla con condiscendenza, «ma purtroppo era un ingenuo idealista: pensava di poter riportare i rinnegati in seno al Dominio. Fece troppe concessioni agli Elettori, agli Operai ed anche ai Ribelli, ai quali offrì la pace…»
E qui l’Imperatore scosse il capo.
«L’unica cosa che ottenne da loro furono cinquecento libbre di tritolo sotto la vecchia residenza imperiale!» soggiunse sprezzante.
«Ha ragione, Eccellenza»
Silla si appoggiò con il gomito al tavolo, tenendosi la testa.
«Può bastare così, sergente» disse. «E’ tutto!»
«Eccellenza!» disse il consulente alzandosi e facendo un saluto militare.
«Lasci quelle carte. Potrebbero servirmi ancora. E riferisca al Generale Silber che voglio delle informazioni in più cuirca l'incidente di ieri sera!» disse Silla, mentre tornava alla finestra.
«Sissignore!» disse facendo un altro saluto militare, dopo di ché uscì chiudendosi dietro la porta.  
L'Imperatore tornò alla finestra, una mano stretta a pugno dietro la schiena e l'altra che  massaggiava l'ampia fronte calva. Adesso il numero di aereonavi da trasporto che solcavano i cieli della capitale era notevolmente aumentato, e le strade erano oramai congestionate. Silla osservò la scena, per qualche minuto, riflettendo su quanto il consulente gli aveva appena riferito e sulla situazione del paese.
Ribelli che si impossessavano di aereonavi, attentati presso la ferrovia, tensioni che sfociavano in scontri aperti con le altre Nazioni Sopravvissute, scontri e scandali nelle istituzioni, proteste da parte degli Elettori ancor più che dagli Operai. Era chiaro che la situazione stava per precipitare. La precaria pace che Silla aveva garantito per quasi trenta anni al Dominio, governandolo inflessibilmente, si avviava oramai al termine. Il sistema morente che aveva cercato di preservare stava ormai per implodere su sé stesso.
E la minaccia non veniva solo dall'esterno, dai selvaggi fuori dal continente, dai Ribelli o dalle altre Nazioni Sopravvissute, ma anche e soprattutto dall'interno. Dignitari, politici e imprenditori avidi di denaro e potere, pazzi e incoscienti, disposti a sacrificare la stabilità del paese pur di raggiungere i loro scopi individualistici. Silla scosse il capo. Per trenta anni aveva fatto da arbitro in questo pericoloso gioco, ridimensionando chiunque tra questi andasse troppo oltre. Quel che più lo preoccupava era che nessuno, tra coloro che si candidavano a succedergli, era lontano da quelle ambizioni, ed era anche questo il motivo per cui gli si chiedeva di restare. Faceva comodo una figura forte a fare da arbitro imparziale. Ma oramai si sentiva troppo stanco e vecchio per continuare ad arginarli.
Guardò il suo orologio da polso che segnava le nove, e allora uscì dalla stanza e si diresse verso il bagno. Anche la stanza da bagno era degna della residenza imperiale. Tutto l'ambiente era rivestito di mattonelle e maioliche. Gli inservienti avevano preparato tutto a puntino. Abiti puliti erano appesi con delle stampelle in fondo alla stanza e tutto l'occorrente per l'igene personale dell'Imperatore era disposto sopra un grosso lavandino di marmo lucido con la maniglia in argento, sormontato da una specchio con rifiniture di ottone. L'Imperatore entrò e si chiuse dietro la porta.
Ne uscì una mezz'ora dopo, pronto per la giornata. Aveva indossato un completo blu scuro, e una cravatta dello stesso colore, sotto la quale si intravedeva una camicia di fine seta bianca. Fazzoletto al taschino, e poco sopra una medaglietta appuntata. La stoffa del nastro era rossa, salvo per un rombo bianco nel mezzo. Sul tondo d'oro della medaglietta era inciso un simbolo: una croce, come quella delle chiese, sormontata da un'aquila con le ali aperte e il becco rivolto verso destra. Al posto degli occhi, l'aquila aveva due rubini. Sua Eccellenza, l'Imperatore, era pronto a svolgere gli incarichi della giornata.
Su uno dei mobili ornamentali era posta una campanella con il manuico di legno intagliato. L'Imperatore la presa e la agitò, facendola trillare. Nel volgere di appena un minuto, apparve il Maestro delle Cerimonie, che avvicinandosi di corsa all'Imperatore si lisciò i capelli con le mani.
«Comandi!» disse.
«Dite alle mie nipoti, che sto per scendere a trovarle!» disse, ancora con la sua voce bassa e fredda.
«Subito, Eccellenza» disse il Maestro, e poi si allontanò e nel corridoio risuonò il suono cadenzato delle suole delle sue scarpe che sbattevano sul lucido pavimento.
Poco dopo il vecchio si avviò, con andatura lenta e claudicante, verso la porta in fondo al corridoio. Alla destra della porta c'erano dei pulsanti. L'Imperatore premette quello su cui era disegnata una freccia rivolta verso il basso. La porta si aprì, dividendosi in due parti che scorsero all'interno del muro,  ed egli varcò la soglia dell'ascensore. Con pareti di materiale trasparente, la cabina era appesa all'esterno dell'alto edificio in cui si trovava la residenza imperiale.
L'uomo premette un tasto e l'ascensore sfrecciò subito, e gli edifici che circondavano la Turris Maxima parvero cambiare forma man mano che scendeva verso il basso, e i particolari erano sempre più nitidi. Con una frenata leggera la cabina si fermò ad almeno venti piani più in basso. Le porte si aprirono mostrando all'Imperatore un corridoio molto simile a quello della sua residenza. L'unica differenza era che esso era più corto, e in fondo si apriva in un ampio salone luminoso. Carta da parati, soffitto affrescato, tavoli di legno intagliato e dorato, un lussuoso sofa e un'altra serie di sfarzosi oggetti decorativi caratterizzavano la grande sala.
L'Imperatore percorse il corridoio silenziosamente, accompagnato da una musica suonata su un'arpa. Egli riconobbe subito La Danza delle Fate Confetto di  Tchaikovsky. Quando varcò la soglia vide seduta sul grande sofa, rivestito di tessuto bianco, una giovane ragazza con i capelli color biondo ramato. Davanti a lei su un piccolo piedistallo era posto una spartito, ed ella reggeva appoggiata sulla spalla sinistra una grande arpa, dalla colonna scolpita con motivi floreali. Improvvisamente smise di pizzicare le corde e si voltò. Aveva il viso picchiettato di efelidi e gli occhi azzurri. Posata l'arpa, andò incontro all'Imperatore sorridendo.
«Nonno!» disse lei con voce allegra e squillante.
Silla l'abbracciò e sorrise. Sorrise di un sorriso che solo le sue due nipoti, Selene e Domiziana, riuscivano a strappargli. Un sorriso che però svanì subito. Si guardò intorno, e riaggrottò subito le ciglia, facendo un impercettibile movimento con gli occhi dietro le lenti.
«Dove è Selene?! Dove è tua sorella?!» chiese alla più giovane delle sue nipoti.
«Dorme. Ieri sera è tornata tardi! È andata con i suoi compagni di università ad una festa» rispose la ragazza indicando una delle porte che si aprivano sul fondo della sala.
L'Imperatore non rispose, ma scosse il capo.
   
 
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