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Autore: Son of Jericho    06/06/2017    2 recensioni
Sequel di "How can I know you, if I don't know myself?"
Sono trascorsi due anni da quando il sipario è calato sullo spettacolo alla Hollywood Arts. La vita per i ragazzi sta andando avanti, tante cose sono cambiate, e sta arrivando per tutti il momento di affrontare responsabilità, problemi e sorprese.
E mentre impareranno cosa significa crescere, si troveranno faccia a faccia con il tormento più profondo: i sentimenti.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Andre Harris, Beck Oliver, Cat Valentine, Jade West, Tori Vega
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Bade - Cuori tra le fiamme'
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VI - iCanOnlySeeTheClouds

 


 

Per certi versi, le preoccupazioni di sua madre non erano totalmente infondate. Spostarsi in un’altra città senza progetti e senza neanche troppi soldi in tasca non era la cosa più semplice del mondo.

Erano trascorse quasi due settimane da quando era arrivato a Los Angeles, e Freddie continuava a vivere in quello squallido motel vicino all’aeroporto. Era ancora senza lavoro, i fondi che si era portato dietro da Seattle erano contati e questo rendeva impossibile trovare un’altra sistemazione.

Giorno dopo giorno stava affrontando le difficoltà di una vita che, se non si è pronti, non lascia scampo. E ad affliggerlo ancora di più, era ovviamente Sam.

Solo nella sua stanza, i pensieri presero a viaggiare verso di lei e, di conseguenza, verso Gabriel.

Doveva dire la verità, non gli aveva fatto una brutta impressione. La sera in cui si erano conosciuti ci aveva scambiato giusto due parole, pronunciate a denti stretti, ma la prima idea che aveva avuto di lui era, tutto sommato, positiva. Sembrava un tipo a posto, tranquillo e convinto di sé, e perfino simpatico.

Un bravo ragazzo, e nessuno sapeva quanto pesasse a Freddie ammetterlo.

Non poteva certo nascondere il fastidio che gli provocava saperlo e vederlo accanto a Sam, o il disturbo che lo avrebbe accompagnato ogni volta che si sarebbero incontrati, ma doveva provarci, o almeno fingere.

Freddie fu improvvisamente distratto dallo squillo del cellulare. Rispose senza prestare attenzione al numero.

- Pronto? –

- Ciao, Freddie. –

La schiena gli si irrigidì all’istante, mentre lo sguardo andava a sbattere contro il muro.

- Sam? – aveva riconosciuto benissimo la sua voce.

- Come stai, Benson? –

- Bene… - balbettò. – Abbastanza bene. –

- Ieri sera ho parlato un po’ con Beck. –

Freddie finse spavalderia. – Beck? Non sapevo foste così uniti. –

- Ci conosciamo quanto basta, credimi. –

Lui abbozzò una mezza risata. – Ok, ok… e posso chiedere di cosa avete parlato? -

- Di te. -

- Di me? -

- Esatto, e mi ha detto che ancora non hai né un lavoro né un posto dove stare. E’ così? –

Sempre dritta al punto. Freddie si trovò subito a corto di fiato. – Beh, veramente io… -

- Non raccontarmi storie, Benson. Sono più portata a credere a Beck che a te, diciamoci la verità. Allora, è così? –

Il tono di Sam era deciso ma privo di inflessioni, e Freddie faticava ancora a capire il senso di quella telefonata. – E’ vero. – confessò abbassando gli occhi.

- Ascoltami, ho pensato a una cosa. Nell’azienda dove lavoro si è liberato un posto nel reparto informatico, potrei organizzarti un colloquio, conosco il tizio. Potrebbe interessarti un vero lavoro da nerd? –

- Come… -

- E non ho finito! – lo interruppe. – In questi giorni hanno liberato un appartamento non lontano dal mio. Da quello che ho visto non è ridotto male, e l’affitto è discreto. -

Freddie non sapeva più che pensare. All’inizio aveva creduto si trattasse di uno scherzo, specialmente conoscendo Sam, ma ora cominciava a prenderla in considerazione. E per un attimo si sentì disorientato.

Le barriere tra loro sembravano essere crollate di colpo, abbattute da una franchezza che Freddie non si aspettava. Lei lo stava mettendo di fronte a una scelta, al di là dell’essere stanco del motel, o della consapevolezza che i soldi non sarebbero durati in eterno.

Era stata Sam a fare il primo passo. Un enorme primo passo.

- Sam, io… -

- Non perdere tempo a ringraziarmi, Benson. –

- Sai che devo farlo. – lasciò che le parole gli uscissero direttamente dal cuore, anche a costo di rendersi ridicolo. – Nonostante tutto, i nostri problemi e quello che abbiamo passato, sei una delle migliori amiche che abbia mai… -

- Freddie! – lo interruppe di nuovo. – Credi davvero che in questi quattro anni io sia diventata una fan dei tuoi discorsi ottusi e melensi? –

Freddie sorrise. Era vero, certe cose di Sam Puckett non sarebbero mai cambiate. – Ho capito… grazie, comunque. –

Stava per riattaccare, quando sentì ancora la voce di Sam. – Freddie! -

Riaccostò il cellulare all’orecchio. – Che c’è? –

- E’ bello riaverti intorno. -

 

*****

 

Jade stava ascoltando alcune canzoni sul portatile, così da coprire le fragorose risate di Cat nella stanza accanto. Non c’era bisogno di chiedersi il motivo di tanta allegria, quando sapeva benissimo che si trattava ancora di Robbie. In un certo senso, per quanto le facesse piacere per l’amica, adesso la sua situazione cominciava a darle sui nervi. Cat non poteva essere così ingenua da continuare a credere di vivere nel mondo delle favole.

In quel momento la rossa uscì dalla camera e incrociò Jade, seduta al tavolo della cucina. Aveva ancora il sorriso stampato sul viso. – Ciao Jade! –

L’altra alzò le mani dalla tastiera e la fissò incuriosita. – Ti senti bene, Cat? –

Cat si diresse al frigo per prendere qualcosa da bere. – Benissimo! – rispose, con la testa immersa tra i ripiani ghiacciati. Uscì poi con un succo di frutta, tenendo lo sportello aperto per metà. – Perché me lo chiedi? –

- E’ lui, vero? –

Cat si girò di scatto. Odiava quando Jade la guardava così, con quegli occhi da inquisizione spagnola. – Lui chi? –

Jade inclinò la testa. – Non fare così con me, non ti serve a niente. E’ sempre lui, lo so. –

La rossa combatté la tensione regalando un nuovo sorriso. – Era Robbie, sì! –

- Vi sentite spesso. – Jade osservava compiaciuta la gioia di Cat, ma come aveva avuto modo di pensare altre volte, questo non la lasciava tranquilla. Si sentiva in dovere di preoccuparsi per Cat, visto che lei non era in grado di farlo da sola.

- Mi racconta delle sue giornate in Germania. – la voce tradiva un po’ di imbarazzo. In fondo, aveva sempre cercato di nascondere a tutti i suoi assidui contatti con Robbie. Non ci era riuscita, ma poco importava. – Si sta preparando per il prossimo test di ammissione, sta studiando… una materia di cui non mi ricordo il nome. Ha dei bellissimi progetti per un cortometraggio, vuoi che te li racconti? –

- Un’altra volta, Cat, magari un’altra volta. Tu invece che gli racconti? –

Cat aggrottò lievemente la fronte. – Che intendi? –

- Gli hai detto che ti manca? –

- Un’infinità di volte! Ovviamente, gli ho fatto sapere che manca anche a voi. –

Jade riprese a fissarla intensamente. – Non allo stesso modo, giusto? –

Stavolta Cat non rispose, di nuovo preda dell’imbarazzo.

- Andiamo, Cat, l’ho capito. E’ chiaro come il sole, che provi ancora qualcosa per lui. –

Negli occhi della rossa la felicità lasciò presto il posto ad una sensazione molto simile al terrore. Aveva sempre visto quello che aveva con Robbie come qualcosa di esclusivamente suo, come un tesoro da custodire gelosamente. Dopo quello che aveva passato, il loro primo e unico bacio d’addio, il dolore per la sua partenza, ammettere ad alta voce che quei sentimenti non si erano dissolti era veramente troppo difficile per lei.

- Io… io… - balbettò incerta. – Io vorrei solo che fosse di nuovo qui! –

Jade cercò di calmare l’amica con un sorriso e annuendo comprensiva, come se quella fosse la cosa più giusta del mondo.

“Forse sarebbe meglio se fosse qui”, pensò, mentre lasciava che Cat sparisse dietro la porta di camera, immersa nella timidezza e nei pensieri per Robbie.

E non appena fu rimasta sola, l’espressione sul suo volto fu oscurata da una dolorosa ombra.

Non era stata sincera con Cat. Avrebbe voluto avvertirla che questo non è il mondo delle favole, che non è tutto rosa, che le cose non vanno come nei film. Avrebbe voluto dirle che le relazioni a distanza sono destinate a non funzionare. Ma non l’aveva fatto.

Perché la verità serve soltanto a fare male, e non è quasi mai la scelta migliore. Cat era una cara amica, e Jade avrebbe maledetto se stessa a vederla soffrire.

Esattamente come la verità aveva fatto soffrire lei circa sei mesi prima. Non esiste rapporto che non ponga le proprie basi sulla lealtà e sulla sincerità, eppure a volte questo non basta. Quando le parole risuonano più dei sentimenti, anche le migliori intenzioni portano a danni profondi e irreparabili.

Forse Beck aveva creduto veramente di fare la cosa giusta, rivelando ciò che ancora si teneva dentro. Volevano ripartire da zero, senza più segreti o menzogne tra loro. E Beck aveva deciso di raccontare tutto, le ragioni che lo avevano portato a Seattle e lontano da lei, i suoi pensieri, e soprattutto, di Sonja.

Aveva sbagliato, per l’ennesima volta.

Da quando aveva scoperto quello che era successo a Seattle, Jade aveva trascorso notti intere senza dormire. Aveva nascosto a Beck la sua reazione, aveva finto che andasse tutto bene, quando in realtà non era per niente così.

Sapere di Sonja era stato un durissimo colpo al cuore. Si era rivelato uno scoglio che, per quanto ci avesse tentato, non era riuscita a superare.

Non era solo per quello che c’era stato tra loro, l’intimità e il tradimento. Ma era perché sapeva cosa Beck aveva cercato in Sonja: il desiderio di trovare un’altra, diversa da Jade, come se volesse dare un calcio a tutto ciò che fino a quel momento aveva dichiarato di amare.

E allora come poteva Jade essere certa che, malgrado tutte le promesse di un nuovo inizio, a Beck andasse bene com’era? Era sicura che lui l’amasse ancora?

Nei giorni a seguire, nascondendo i pensieri dietro le prove a teatro, la sua fiducia nei confronti di Beck aveva iniziato a vacillare, mentre la gelosia faceva capolino per l’ennesima volta.

Aveva tentato di superare i suoi tormenti, ci aveva provato davvero. E all’inizio forse ci era pure riuscita, almeno finché il sipario non si era alzato sulla loro storia, svelando un orizzonte tutt’altro che luminoso.

 

*****

 

Sam aveva mantenuto la sua promessa, organizzando per Freddie un colloquio con il responsabile informatico dell’azienda.

Erano circa le nove quando Freddie si presentò fuori dal portone, con la sua camicia migliore e tanto nervosismo. C’erano molti motivi che lo portavano ad essere così teso, dall’importanza che poteva avere quel lavoro, decisamente diverso da quello che aveva a Seattle, a ciò che significava per lui e per Sam.

Dall’esterno, l’edificio dava subito l’impressione di un ambiente all’avanguardia e a tratti addirittura futuristico. In alto, l’insegna era predominata da un blu elettrico e recava il nome dell’azienda a caratteri cubitali. Lo stabile, dalle pareti bianche e fresche di tinteggiatura, era sviluppato molto più in larghezza che in altezza. Presentava una sola fila di finestre sull’ala est, e aveva due entrate, una per gli uffici e l’altra per i laboratori.

Freddie varcò la soglia, stringendo ancora più forte il curriculum, e si ritrovò come catapultato in un’altra realtà. Gli piacque subito quel posto, dove il silenzio regnava sovrano tra i corridoi. C’era un diffuso senso di organizzazione e ordine in mezzo alle varie postazioni, gestite da facce concentrate sul proprio lavoro. Gli scappò da ridere, pensando a come facesse Sam a stare lì.

Si avvicinò alla scrivania della segretaria, una donna molto elegante sulla trentina. Quando lo vide, lo accolse con un sorriso di circostanza. Freddie deglutì per allentare il groppo alla gola. – Buongiorno, sono… -

- Freddie! – una voce fin troppo familiare lo colpì alle spalle.

Fu raggiunto dal demonio biondo, mentre il peso gli scendeva dalla gola fino allo stomaco. Quella mattina, una parte di sé aveva sperato di non incontrarla, ma si era trovata a scontrarsi con l’altra che invece pareva aver disperatamente bisogno di lei. E come spesso accadeva quando si trattava di Sam Puckett, non c’erano stati né vincitori né vinti. Freddie aveva l’impressione di essere l’unico ad aver perso.

Sam gli diede una sonora pacca sulla schiena, prima di rivolgersi, allegra ma decisa, alla segretaria. – Lui è qui per un colloquio. Puoi dire a Martin che Freddie Benson è arrivato? Secondo me lo sta aspettando. –

Mentre la donna componeva il numero di un interno, Sam si voltò verso di lui. – Secondo me ti sta aspettando. – ripeté. – Sei in ritardo, Benson. –

Freddie guardò stupito l’orologio. – No! Io… -

Sam non gli concesse nemmeno un secondo per ribattere. – Sai, Freddie, non ti presenti bene a un lavoro se non riesci a dire nemmeno chi sei e cosa ci fai qui. Ma l’hai mai fatto un colloquio? –

Il ragazzo aveva iniziato a sudare. – Sei tu che mi hai interrotto… -

- E tu sei sempre il solito. – lei lo afferrò per la spalla sorridendo. – Andiamo. –

Decise di accompagnarlo verso la sezione informatica, i cui uffici erano esattamente dalla parte opposta dello stabile. Nonostante il tempo che potevano condividere, Freddie non riusciva a dire una parola. Non sapeva se a turbarlo così tanto fosse l’idea del colloquio o la presenza di Sam. Anche se per poco, erano di nuovo loro due. Da soli, senza Beck, Cat e gli altri. Insieme, come lo erano stati un tempo.

Dopo due corridoi e una rampa di scale, Sam si accorse di quanto fosse taciturno Freddie. – So cosa stai pensando. –

Il giovane Benson fu preso dal panico. – Davvero? Come… -

- Ti stai chiedendo come abbia fatto una come me a trovare un lavoro qui. –

Non esattamente, pensò lui. Gli era appena passato per la mente, ma scelse comunque di lasciarglielo credere. – Esatto. -

- Non ci crederesti se ti dicessi che è stato grazie a iCarly. –

- Infatti non ci credo. –

- Dovresti, invece. Hanno visto in me del talento per la pubblicità, a quanto pare. Dicevano che sapevo come catturare l’attenzione dello spettatore e raggiungere il loro cuore, e che il marketing non è niente di diverso. Bisogna saper parlare alla gente, che sia davanti a uno schermo o su un volantino. E così mi sono ritrovata a prendere in giro casalinghe annoiate per convincerle a comprare frigoriferi e lavatrici. -

- Sono felice per te. –

- Lo sarei anch’io, se mi pagassero un po’ di più. – scherzò.

– Immagino non sia facile, però, essere la novellina che viene da un web-show per ragazzini. Insomma… -

- Ho capito cosa intendi. – indurì il tono. – Ma io non permetto mai a nessuno di mettermi i piedi in testa. Dovresti saperlo, Benson. -

Freddie annuì, mentre rifletteva su quelle parole.

Nei minuti successivi Sam gli raccontò dell’azienda, del suo lavoro e di qualche aneddoto. Freddie sentì il nodo allo stomaco sciogliersi lentamente, realizzando quanto stesse di nuovo bene accanto a lei. Eppure, niente di tutto ciò che stava ascoltando lo interessava.

Adesso che erano da soli, c’era soltanto una voce che lo assillava. Il tormento legato all’unica ragione che gli impediva di godere della presenza di Sam, che gli negava la possibilità di essere felice, o almeno di provarci, e che lo stava relegando ad un ruolo che non meritava. Voleva sapere di Gabriel, l’altro.

– Come… - iniziò, senza tuttavia considerare quanto il tempo, a volte, sia un nemico inesorabile.

- Sei arrivato. – Sam si fermò all’imboccatura di un corridoio stretto e semi-nascosto, e gli fece cenno di proseguire. – La seconda porta a sinistra. –

E in quell’istante, Freddie si ritrovò a provare uno strano senso di abbandono. Sulla soglia, fu colto dalla tentazione di rinunciare perfino al colloquio, pur di continuare a parlare con Sam. Si girò d’istinto, proprio mentre lei si allontanava verso le scale. – Aspetta! – la chiamò speranzoso.

Sam si fermò e lo guardò perplessa. – E adesso che c’è? –

Niente, in fin dei conti. Se non la prima risposta che gli passò per la mente. – Non mi hai detto niente di… di cosa dovrei fare, di chi… -

Lei lo salutò con lo stesso gesto di un militare al congedo. – Perché non ce n’è bisogno, Freddie. Quel posto è già tuo, me lo sento. -

 

*****

 

Tori non poteva negare che Thomas stesse diventando una parte sempre più importante della sua giornata. Da quando aveva fatto la sua comparsa, il ragazzo le stava regalando nuova linfa, soprattutto per il lavoro. Il supermarket non sarebbe mai diventato una boutique di lusso, ma almeno non sembrava più una bettola abbandonata.

Stava legando molto con lui, più di quanto avesse mai fatto con gli altri suoi colleghi. C’era una buona complicità, che li portava a parlare e scherzare spesso, in qualunque cosa fossero impegnati.

Ancora più spesso, però, Tori si perdeva in pensieri e fantasie su Thomas. L’immagine di quei grandi occhi nocciola che si posavano sui suoi le rimaneva impressa nella mente per ore, fino a che non veniva riportata sulla Terra.

Da un paio di giorni, dal loro incontro nello spogliatoio, i dubbi avevano cominciato a scatenarsi nella mente di Tori. Si chiedeva cosa potesse pensare Thomas di lei, se anche lui vedesse le stesse cose, se si stesse davvero sviluppando qualcosa, o se fosse tutto soltanto un film nella sua testa.

Ebbe una risposta piuttosto chiara quel pomeriggio, alla fine del loro turno.

Tori si era diretta al parcheggio e aveva raggiunto la sua auto, felice di poter tornare a casa a riposarsi. Mentre apriva lo sportello per riporre la borsa sul sedile, notò che pochi metri più in là, era posteggiata una bellissima moto dalla carrozzeria nera cromata.

La fissò meravigliata per dei secondi, prima di avvicinarsi per ammirarla meglio. Non era un’esperta in materia, ma le ricordava quelle da corsa che le era capitato di vedere in tv.

- Ti piace? – spuntò una voce alle spalle.

Tori si destò di scatto, trovandosi improvvisamente di fronte al volto compiaciuto di Thomas. Annuì con particolare imbarazzo. – E’ tua? –

- Già, sorpresa! –

Il ragazzo sollevò il sottosella per riporci lo zaino. – E’ una Kawasaki ER del 2009, l’ho appena rimessa in strada. – iniziò a raccontare. – Ho un amico che ha un’officina, mi sono fatto dare una mano da lui. Abbiamo risistemato il motore e i pistoni, e il telaio ora è come nuovo. E’ stato un duro lavoro, ma il risultato è grandioso. –

- Hai ragione, è magnifica. -

Thomas si girò verso Tori, e si accorse di come lei non riuscisse a staccargli gli occhi di dosso. La moto non era l’unica cosa che stava osservando a bocca aperta.

– Ti va di farci un giro? –

La giovane Vega si sentì mancare il fiato, ma non ebbe nemmeno bisogno di pensare alla proposta. La luce proveniente dagli occhi e dalla bocca di Thomas bastò ad attirarla, e a convincerla che non si trattava di un film.

– Andiamo. –

 

*****

 

Per riuscire a portare avanti il progetto del video-clip, Andre aveva affittato un piccolo locale per le prove. Era lontano dal centro ma si trovava in una zona tranquilla, nascosto in una stradina interna e poco trafficata.

Aveva capito che continuare a lavorare nel garage di sua nonna non avrebbe portato lontano nessuno di loro, in un momento così difficile per dei giovani artisti emergenti.

Quel pomeriggio, aveva invitato tutti i suoi amici per fargli visitare il posto e sapere cosa ne pensassero.

Tori e Cat erano già arrivate e stavano chiacchierando con Andre nella saletta audio, mentre Jade aveva chiamato dicendo che sarebbe passata più tardi.

Verso le quattro e mezzo si presentò anche Freddie, accompagnato da Beck alla fine del suo turno alla biblioteca.

Andre li salutò da lontano attraverso il vetro, lasciando poi i due a guardarsi intorno. La stanza era piuttosto ampia, di circa 60 metri quadri, ma ancora in attesa di essere arredata con l’attrezzatura necessaria. C’erano giusto tre sedie accatastate in un angolo e un rotolo di moquette appoggiato al muro.

Beck emise un urlo per costatare l’effetto dell’eco.

- Ha un buon sound? – chiese Freddie.

- Mi sembra leggermente troppo chiuso, come una caverna. Ma sono sicuro che i nostri amici laggiù ne sappiano più di me. – sorrise. - Il canto non è mai stato il mio forte. Dammi Shakespeare da leggere per due ore intere e lo farò, ma non pensare di mandarmi su un palco a intonare l’inno americano. Sai che ho scoperto di essere più stonato di quanto credessi? –

Freddie scoppiò a ridere. – Ti farei conoscere un mio vecchio amico di Seattle, nemmeno lui era esattamente Freddie Mercury… -

Beck fece per tirare giù una sedia, ma rinunciò non appena vide quanto fossero polverose. – Com’è andato il colloquio stamattina? –

L’amico ebbe una strana reazione in viso. – Di per sé è andato alla grande. Il lavoro è semplice, si tratterebbe di gestire le reti aziendali e di fare manutenzione ai computer interni. Hanno un CED che… -

- Un “CED”? –

- Centro Elaborazione Dati, scusa. Ci lavoravano tre ragazzi, ma uno si è trasferito e adesso hanno bisogno di qualcuno che dia una mano. –

Il canadese aveva tuttavia letto la sua espressione. – Non ti vedo convinto, però. Non ti hanno preso? –

- In realtà cominciò lunedì, e anche la paga non è così male. –

- E allora cosa c’è che non va? –

- Quello che c’è stato dietro il colloquio, ecco cosa. –

- Dov’è il problema? Sei la persona giusta e ti hanno assunto! –

- Non intendevo questo, Beck. È il modo in cui sono arrivato a questo lavoro. Se non fosse stato per Sam, forse sarei ancora a letto a fissare il soffitto. –

- Si è comportata da buona amica. –

Freddie annuì. – Bravo, è questo il punto. –

Beck aggrottò le sopracciglia. – In che senso? –

- Che io… non capisco. Non capisco perché l’abbia fatto, non capisco come dovrei vederla, non capisco nemmeno cosa dovrei pensare. Non so cosa aspettarmi da lei. –

Beck tentò di entrare nel flusso dei pensieri dell’amico. – Che rapporto credi di avere con Sam? –

Freddie lasciò andare un sospiro e scosse il capo. – Non lo so, Beck. Lo hai visto anche tu, quando siamo insieme, come ci comportiamo. Ci sentiamo come due estranei. Poi però vedo tutto quello che ha fatto per me, il lavoro, l’appartamento, e la vedo come fosse la migliore amica del mondo. Tra noi c’è sempre stato qualcosa di strano, che andava al di là dell’odio, dell’affetto o dell’amore. Eravamo due mine vaganti, l’uno per l’altro. –

- E adesso? –

- E adesso non so più cosa considerarla, o cosa considerarmi io per lei. Sapevo che, venendo a Los Angeles, non avrei trovato la stessa Sam Puckett di quattro anni fa, ma non credevo sarebbe stato così complicato. Io dovrei conoscerla meglio di chiunque altro, eppure quello che vedo non riesco a farlo assomigliare a niente. Sembra una persona diversa, e io fatico a riconoscerla. –

- Siete cresciuti. –

- Non è solo quello. Non sto parlando soltanto di quello che ha deciso di fare per me, ma anche di quello che ha con Gabriel. Beck, sinceramente, io non ho mai visto Sam così felice come quando è con lui. –

Freddie non poteva evitare di mettere a confronto la sua storia con quella del presente, e Beck lo aveva capito. Anche lui aveva un passato che non sembrava volerlo abbandonare.

- Nella vita succedono tante cose, e quasi mai riusciamo ad avere il controllo su di esse. Ma di una cosa sono sicuro: possono passare gli anni, ma le persone non cambiano. Dai tempo a te stesso e a lei, Freddie, e capirai che quella è sempre la Sam che conoscevi, di cui eri innamorato a Seattle, e di cui sei innamorato ancora oggi, a Hollywood. –

Beck lo aveva provato sulla sua pelle. Bruciava ancora il ricordo della reazione di Jade, quando lui le aveva aperto il cuore e le aveva confessato di Seattle e di Sonja.

Voleva che la loro relazione stavolta avesse basi solide, fondate sulla sincerità. Era stata la cosa più dolorosa che avesse mai dovuto dirle, ma insieme l’avevano superata.

Eppure, una vocina lontana continuava a perseguitarlo con un’altra verità, cioè la convinzione che la gelosia di Jade non se ne sarebbe andata così facilmente.

Aveva ragione.

E Beck aveva scoperto che persino il muro più resistente, a forza di essere colpito, prima o poi finisce per crollare.

 
   
 
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