Fanfic su artisti musicali > Tokio Hotel
Segui la storia  |       
Autore: Lost In Donbass    06/06/2017    2 recensioni
Sono passati due anni da quando Will è morto, due anni in cui Tom e Bill vivono felici e in pace, Tom sempre come irreprensibile agente dell'Anticrimine berlinese e Bill sempre come mercenario per conto di July. Ma questa volta, devono far fronte a un problema molto più grande: chi ha rapito Bill, e soprattutto, cosa vogliono da lui?
In una Honolulu troppo afosa, Tom si troverà a dover lottare contro demoni di cui non conosceva l'esistenza, per salvare Bill dal suo passato una volta per tutte, tra segreti mafiosi, isole hawaiane e la sua solita scanzonata allegria.
Sono tornati tutti, ragazze! July, i coinquilini, i G&G, Heike ... non manca nessuno!
NOTA BENE: SEQUEL DI "WON'T YOU BE MY BLOODY VALENTINE" DI CUI SI CONSIGLIA VIVAMENTE LA LETTURA PER COMPRENDERE MEGLIO QUESTA!!
Genere: Angst, Romantico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bill Kaulitz, Tom Kaulitz, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Incest
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
CAPITOLO SECONDO: HANNO RAPITO BILL-CHAN

Il famigerato Distretto Dieci di Berlino era sempre rimasto invariato, Will o meno. Ci si raccoglievano tutti gli elementi più squinternati della Polizia tedesca, insieme a Mr.Mistake, il grasso gatto che continuava beatamente a riposare sulla loro stampante e accudito amorevolmente da Heike, la loro ottima patologa che finalmente, dopo anni di lotte incessanti, aveva capito che Tom era irraggiungibile per motivi propriamente tecnici, e che aveva finalmente ceduto alle lusinghe di Georg. Con quanti fischi e con quante battutacce irripetibili era stato accompagnato il loro lieto annuncio, e quanto continuavano ancora i commentini di Gustav, ogni volta che la coppia più chiacchierata del Dieci faceva il suo trionfale ingresso insieme la mattina. Erano sempre lì, tutti quanti, a barcamenarsi nella stazione di polizia più calda della capitale, i soliti ventilatori rotti dopo l’ennesima bolletta non pagata, il caffè rancido della macchinetta che non aiutava e Mr. Mistake che dormicchiava sereno sulla stampante. Tom, in realtà, assaporava questo ambiente lavorativo intimista e familiare, il legame che univa tutti i colleghi del Dieci, che se erano finiti lì dovevano per forza essere casi sociali come lui, quella solidarietà forse un po’ corrotta che teneva unite le pareti marcescenti e i casi scottanti che oramai venivano direttamente girati a loro anche se non si trovava implicato il loro distretto di competenza. Dopo il caso del Serial Killer delle Croci, essere agenti del Dieci comportava anche un certo orgoglio, un minimo di incertezza , la consapevolezza che quello non era e non sarebbe mai stato un distretto normale. Sì, decisamente Tom era soddisfatto quel giorno, intento a sfogliare fascicoli su fascicoli, la tazza di caffè annacquato accanto, il caldo insopportabile che gli appiccicava la maglietta alla pelle, le treccine tirate all’indietro e il piercing alla lingua martoriato per la concentrazione: era quella la sua vita, si diceva sempre. L’unica sua certezza dopo un angelo autostoppista. Si passò una mano sul collo, sospirando, e prese a sistemare un altro pacco di vecchi casi freddi, rispolverando i registri pieni di polvere che vegetavano nel Dieci da almeno un ventennio, quando l’affannata voce di Gustav si fece sentire, accompagnata dalla grassa presenza del biondo occhialuto nella stanza, sempre un po’ appesantito e sempre un po’ sconvolto
-Ehi, Tom, dammi orecchio!
Il ragazzo coi cornrows si voltò verso l’amico, finendo di impilare un fascicolo blu e spalancò i grandi occhi scuri
-Che hai, Gus? È successo qualcosa?
-Oh altroché se è successo, amico mio. Sbrigati a venire su, il crimine non dorme mai, e benché meno in sta città di merda. Un omicidio, bello, nella nostra giurisdizione.- Gustav si asciugò il sudore dalla fronte, pulendosi freneticamente le lenti – Georg è già partito, io e te prendiamo Berta.
Mentre correvano fuori nella pesante afa berlinese che gravava addosso a tutti schiacciandoli al suolo, Tom si ritrovò a pensare, sgraditamente, all’estate di due anni prima. Quando aveva conosciuto Bill, il caldo non era da meno. Ricordava lo stesso senso di soffocamento giornaliero che gli attanagliava il collo e non lo lasciava respirare, ricordava il sole malato dietro le nubi di umidità che illuminava Berlino in maniera così tossica da essere affascinante, ricordava quell’estate torrida e oscena, la sequela di incubi che si erano succeduti nella caligine bollente e che erano stati coronati dal temporale più violento che avesse mai colpito la città, quei tuoni che si erano inghiottiti il colpo di grazia che Bill aveva inflitto a Will, quei lampi che avevano illuminato lo shock sul viso di Tom, le lacrime su quello dell’angelo e il ghigno su quello del demone. Sembrava che le estati tedesche non portassero nessun bene alla coppia più squinternata di tutte. E nemmeno alla fida Berta, che resisteva impavida come mezzo più antico di tutte le forze di Polizia della capitale, con le sue porte attaccate con lo scotch e la sirena smontata.
-Briefing veloce, Gus, che si sa?- disse Tom guardando l’amico partire sgommando con la povera, vecchia carretta.
-Poco amico, anche se Georg e Heike sono già sul posto; è stato ucciso un uomo, comunque, pare in una maniera molto strana. Qualcosa che, non vorrei dirlo, mi ricorda il caso di due anni fa.- Gustav fece una smorfia eloquente, mentre Tom si lmitava a chiudere gli occhi e a sospirare. Non aveva bisogno di un nuovo serial killer ora che Bill era lontano, come non aveva bisogno di altri psicopatici che impestassero la sua città.
-Dici che Will sia …
-Will è morto. L’ha ucciso davanti ai miei occhi.
Il tono secco di Tom fece desistere Gustav dal continuare ad infierire, mentre svoltava seccamente in Rosen Strasse, un piccolo vicoletto dove si erano già affolati curiosi e volanti della Polizia. Ormai i due ragazzi si erano fatti le ossa di fronte all’odore di morte e di sopraffazione; c’era quel fastidioso verme che si era insidiato in loro e che li portava a pensare, nell’angoo più recondito del loro cuore “un altro”, quando l’altra metà di loro voleva piangere di fronte all’ennesimo omicidio che si trovavano a dover risolvere. L’assuefazione non si era ancora radicata del tutto nei loro cuori, rimaneva sempre quell’aura di mestizia e di orrore quando si trovavano chini su morti anzitempo, quell’odore pungente e acre che oramai si era infilato nella loro mente e non li avrebbe abbandonati tanto facilmente. A ben pensarci, si diceva a volte Tom, la notte, quando era così concentrato su un caso da non riusicre a dormire, lui e Bill erano fatti di morte, la loro storia puzzava di morte, tutti loro ne erano immersi. E se uno la combatteva e l’altro la portava, andava comunque avanti così e si facevano accompagnare dalla Nera Signora dovunque, oramai parte di loro più di quando volessero ammettere.
Si infilarono sotto i nastri isolanti della polizia, un grasso ragazzo biondo con i capelli unti e uno skater con le treccine senza divisa regolamentare che nessuno poteva credere agenti, con il loro accento provinciale e le espressioni da ragazzotti della periferia dell’impero.
-Pane per i tuoi denti, Tom.- lo accolse Georg, scostandosi i lunghi capelli castani dal viso – Non poi così tanto diverso da due anni fa.
Il ragazzo si accoccolò accanto a Heike, inginocchiata per terra a ispezionare il cadavere, che giaceva riverso sull’uscio di quello che era stata una casa di piacere ormai chiusa da tantissimi anni e mai ripresa. E il respiro gli si strozzò in gola.
Davanti a lui, corsero rapide tutte le immagini e i fotogrammi sparsi eppure orribilmente vividi della prima vittima mietuta da Will, quella povera ragazza tagliuzzata e dipinta col suo stesso sangue, con tanta di quella morfina in corpo e un buco del proiettile nella tempia e per un attimo un forte senso di nausea gli attanagliò lo stomaco. Se non era Will quella volta, chi sarebbe mai potuto essere a impestare Berlino con la sua impronta insanguinata? Non poteva credere che qualche altra associazione mafiosa avesse scelto la sua città come teatro per le loro guerra tra gang, mettendo in mezzo gli innocenti cittadini. D’altronde, non poteva negarlo, quella tra Will e Bill non era stata altro che una guerra di bande criminali che poi era sfociata in omicidi seriali, e, se doveva essere completamente sincero, una microscopica parte di lui era quasi contenta che fosse successo così: non avrebbe conosciuto l’angelo, se Will non fosse impazzito del tutto da spingersi a uccidere persone qualunque. Forse Bill sarebbe morto e lui sarebbe rimasto incompleto per il resto della sua grama vita. Deglutì rumorosamente, concentrandosi sul nuovo morto, un giovane uomo sulla trentina seduto in maniera bizzarra alla porta sbarrata della vecchia casa chiusa. Fece scorrere lo sguardo sulla camicia slacciata che mostrava il petto sfregiato da due lunghi tagli curvilinei che sembravano, a prima vista, colpi di spada, sul sangue incrostato sulla pelle come una delicata superficie nebulosa, fino ad arrivare al viso. Tom trattenne un conato a guardare la bocca dell’uomo, grottescamente e innaturalmente allargata in una risata perversa, gli occhi allucinati con ancora dentro il dolore e il terrore del momento in cui era morto.
-Dio, che scempio …- mormorò a mezza voce, per poi girarsi verso la bionda patologa – Che mi sai dire?
-Devi aspettare l’autopsia, come al solito, ma così a prima vista potrei dirti che i tagli che ha sul petto sembrano essere stati provocati da una lama molto affilata e molto precisa, sicuramente non da un coltello, per intenderci.- illustrò Heike, scostandosi una ciocca dal bel viso regolare, ammiccando all’amico ed ex fiamma mai corrisposta. – Le cause della morte non credo siano dovute a questo però, come nemmeno dallo sfregio che ha sul viso. Non so, Tom, fatemelo studiare e tra qualche ora vi so dire di più. Il resto, a voi.
Heike si alzò, scompigliandogli le treccine scure, lasciandolo da solo a rimirare quell’opera voluta da un qualche sadico scultore col gusto del grottesco. A modo suo, assomigliava alle vittime di Will nella sua orrida finezza di taglio e creatività. Osservò il cadavere venir prelevato dalla Scientifica, e cominciò a guardarsi attorno insieme a Georg, studiando il selciato dissestato del vicoletto dimenticato, attorno alle pattumiere strabordanti e dolorosamenti puzzolenti anche a causa del caldo torrido. Non pareva un posto qualunque; effettivamente, perché prendersi la briga di sedere la propria vittima sull’uscio di un luogo così fuori mano come quello eppure abbastanza conosciuto nel giro dei tossici per non essere mai completamente vuoto? E poi, come mai quello strano rituale sul viso e sul petto?
-Secondo me, l’hanno sbolognato qui per caso.- commentò Gustav, ruminando rumorosamente un pacchetto di patatine – Passavano con l’auto, hanno visto il vicolo vuoto e quale occasione migliore per disfarsi di un cadavere?
-Ma perché prendersi la briga di sederlo, scusa?- obiettò Georg, aggrottando le sopracciglia – Se l’avessero voluto davvero buttare via, l’avrebbero lanciato scompostamente sul terreno, forse al massimo l’avrebbero gettato nella rumenta.
-Ha ragione Geo, il luogo non è un caso.
Tom si era alzato, e l’espressione che aveva in volto fece immediatamente sospirare rumorosamente i suoi indolenti colleghi. Quando piegava la bocca in una linea sottile e fredda, induriva la mascella e guardava l’infinito, assottigliando i grandi occhi scuri, la voce che gli si faceva improvvisamente bassa e roca (“e straordinariamente sexy”, avrebbe aggiunto Bill se fosse stato lì), al Distretto Dieci si sapeva per esperienza che il Segugio era in azione, e non l’avrebbero fermato così facilmente. Nessuno aveva mai capito come un ragazzotto provinciale naif, giusto e idealista come lui potesse avere dentro di sé quell’innata dote che lo portava ad avere sempre una marcia in più in ambito investigativo, ma tutti ci avevano fatto l’abitudine e lo seguivano quasi ciecamente, tentando di tenere dietro ai cavalli furiosi del suo cervello che correvano per strade che tutti gli altri facevano fatica anche solo a vedere.
-Ragioniamo: la Rosen Strasse non è un luogo particolarmente centrale, ma è conosciuto per essere uno dei punti nevralgici per lo spaccio di eroina.
-Intendi dire una regolazione di conti?- intervennero in coro i G&G, lanciandosi un’occhiata esasperata.
-Non saprei.- Tom si grattò una guancia, incerto – Forse è un pochino fuori dai soliti canoni, ma non mi sentirei di escluderlo a priori. Ma l’hanno volutamente seduto sulla porta della casa chiusa, e questo deve per forza significare qualcosa. Georg, appena in centrale, fammi tutte le ricerche che puoi sul bordello. Gus, che si sa di quest’uomo?
-Nulla, capo.- grugnì il biondo – Dobbiamo passare all’identificazione, non aveva documenti.
-E allora tu occupati di questo mentre io vado da Heike ad aggiornarmi. Abbiamo trovato qualcosa qua intorno?- Tom si girò attorno con una strana euforia eccitata che lo coglieva sempre quando incappava in un  caso. Non vedeva l’ora di sentire Bill e tenerlo al corrente della cosa, sentendosi dire il solito “stai attento a non farti male, Tommuccio” che era diventato il suo mantra porta fortuna.
-Non so se possa servire, capo, ma vicino alla vittima c’era questo.- il piccolo Muller, che rimaneva sempre e comunque l’agente più male in arnese del Distretto Dieci si fece avanti timidamente, porgendo a Tom un piccolo orecchino con su montata una delicata perle – Pensa che possa essere utile?
Tom osservò da vicino il gioiellino, grattandosi il collo
-Non saprei dirti, Peter, comunque ottimo lavoro. Lo manderemo alla Scientifica e vedremo se ci possono dire qualcosa.
Strinse gli occhi, e squadrò le perline con una vaga opalescenza azzurrina. Assomigliava tanto a quella collana di perle giapponesi che aveva Bill e che, da quando si conoscevano, aveva indossato solamente una volta. Ripensò a come gli stava bene quel delicato gioiello che sarà costato due occhi della testa sul suo collo lungo e flessuoso, come il bianco delle perle si mimetizzasse con la sua pelle lattea e pulita, come le delicate luminescenze illuminassero il suo viso. Non sapeva esattamente la storia di quella collana, si era fatto andare bene quel vago “Me l’aveva regalata Will” accompagnato da un vago rossosore sulle guance e un repentino cambio di discorso, e non aveva insistito più di tanto quando Bill l’aveva riposta nella sua scatoletta d’avorio e gli aveva detto che per un po’ non l’avrebbe toccata. Non voleva sapere quanti morti e quanto sangue e sofferenza si nascondessero nella delicata maestà delle perle, aveva solamente annuito, aiutandolo a indossare la collana che gli invece gli aveva comprato lui, più volgare e molto meno cara rispetto a quella di Will ma che Bill indossava sempre con un sorriso e con uno squittio deliziato. Aveva tantissimi monili, nel cassetto, che passavano dalle pacchianate che si metteva così volentieri, a grossi anelli coi draghi dono di July, a miliardi di anelli, bracciali, collane di gusto estremamente raffinato ma che metteva solamente in rare occasioni. L’ombra di Will era ancora troppo presente per poter davvero indossare quelle meraviglie senza ricordare.
Tom inserì l’orecchino in un sacchetto di plastica sterilizzato
-Dove l’hai trovato precisamente?
Il piccolo Muller indicò timidamente uno spazietto dove prima il cadavere aveva poggiata la mano sinistra e Tom si grattò la testa. Un segnale? Qualcosa che funzionava come le croci sui corpi di due anni prima? O col pentacolo di sangue? Non riusciva quasi a capacitarsi che fossero tornati ad avere dei casi contorti come quello di due anni prima. Tom grugnì di disappunto, prima di incamminarsi verso la Centrale, l’orecchino in tasca che continuava a toccare nervosamente. C’era qualcosa che non andava, stava urlando il suo sesto senso, che solitamente non sbagliava mai in quei frangenti. Faceva caldo, quell’estate. E si sa che il caldo non porta altro che follia tra la gente e grossi guai per il Distretto Dieci.
 
-Allora, tesoro, novità?
Tom osservò Heike indaffarata dietro al cadavere con un lungo paio di pinzette poco rassicuranti, sventolandosi nervosamente. Quel morto sghignazzante a pochi metri da lui non stava aiutando la sua concentrazione.
-Altrochè!- esclamò la ragazza, togliendosi la mascherina dal viso e scuotendo i lunghi capelli biondissimi – Rognoso, amico, te lo dico già.
Tom fece una smorfia, avvicinandosi al tavolo dove la vittima giaceva ridendo grottescamente la sua infame fine nella Rosen Strasse. Guardò la pelle sfigurata dal velo di sangue secco come una delicata decorazione di tulle maledetto e si trattenne dal far passare il dito su quei decori osceni eppure così artistici se non fossero stati fatti sul corpo di un morto.
-Dall’esame tossicologico non risulta nulla di particolarmente venefico, se non un esagerata dose di ketamina. La suddetta è una droga sintetica usata soprattutto in ambiente veterinario come sedativo per gli equini, ma sull’uomo ha effetti eccitanti e allucinogeni, una sorta di ecstasy. La usano come droga dello stupro, anche.
-Dici che è usata nell’ambiente veterinario? Potrebbe c’entrare qualcosa con le corse di cavalli?- tentò Tom, accarezzandosi distrattamente le treccine.
-Potrebbe, ma tieni presente che ora la ketamina è ampiamente utilizzata in ambito giovanile come sballo.- Heike socchiuse gli occhi celesti – Non è mica detto che c’entrino per forza le corse agli ippodromi. Comunque, ketamina a parte, le ferite da arma da taglio che ha sul torace sono state fatte da quella che presumo essere una spada a lama ricurva, come una katana, per esempio.
Tom deglutì rumorosamente. Ogni volta che pensava a una katana, il pensiero lo rimandava meccanicamente a Bill, alle sue spade, all’unica volta in cui l’aveva visto di sfuggita, lottare come una sorta di geisha assassina e volteggiare per aria muovendo con una rapidità incredibile lunghe lame troppo affilate.
-E tutto pre mortem.- Heike scosse la testa, sospirando e trattenendo un conato di vomito – Anche il massacro della bocca. Gli è stata brutalmente eppure metodicamente aperta in questo orrendo sorriso con un coltello, e gli hanno tirato … la carne. La morte è stata causata, alla fine, da una semplice botta in testa, e oserei far notare la precisione con cui è stata data. Hanno beccato perfettamente uno dei punti cruciali, la morte è stata immediata.
-Dio, che scempio, Heike, che scempio. Siamo di fronte a una belva.- commentò Tom, grattandosi il collo – Ha goduto nel veder soffrire la sua vittima, ma non nell’ucciderla. È un sadico, dunque, non gli interessa la morte tanto quanto la tortura. Oltretutto, se la droga che hai nominato è anche una delle cosiddette droghe dello sturpo, possiamo desumere che lui ha vissuto tutta la tortura senza poter reagire. Bestiale per noi, ma estremamente eccitante per il suo assassino.
-Probabile, e questo non mi piace per nulla.- mormorò Heike, appoggiando distrattamente una mano sul braccio dell’agente – Ma ho lasciato per ultimo il dessert migliore.- Scoprì rapidamente il cadavere, mostrando il polso dell’uomo, dove erano state incise una S e una V intrecciate. – E prima che tu me lo chieda, sono state fatte post mortem. Incise con un coltellino non troppo a fondo nella carne ma abbastanza da lasciare il segno, come i tagli adolescenziali. Insieme a questo simbolo strano.
Tom si grattò la guancia, socchiudendo gli occhi e aggrottando la fronte. Un segno sul polso e quel simbolo che, chissà come mai, gli ricordava gli hangoul sui documenti di Bill. Che c’entrasse nuovamente la mafia coreana? Possibile che Berlino fosse di nuovo diventata la piazza per le loro regolazioni di conti?
-Non mi piace questo simbolo, e nemmeno questa firma. È troppo ambigua. Non siamo di fronte a un semplice omicidio, Heike, l’avevo detto subito che era qualcosa legato alla malavita.
-Stai pensando a Bill, vero?- sussurrò Heike, stringendogli il braccio solidale. Tom non rispose, limitandosi a guardarla con i suoi grossi occhi scuri fattivi improvvisamente malinconici e preoccupati. Sì, ci stava pensando. Non gli piaceva quella storia e ancora meno ora che aveva capito che in qualche modo erano tornati in un brutto rewind del Serial Killer delle Croci. Non avrebbe potuto sopportare che il suo angelo finisse di nuovo in pericolo, non sapeva se avesse avuto la forza di scappare anche da questi nuovi demoni, non sapeva nemmeno se lui stesso sarebbe stato in grado quella volta di tacitare nuovamente gli incubi che lo avvelenavano e portarlo alla luce. Era confuso, e voleva toccare la pelle pallida di Bill, sentire le sue labbra sulle sue che gli giuravano eterno amore e fedeltà, ascoltare la sua voce dolce che lo rassicurava prima di dormire, vedere i suoi occhi incantati così vivi come nessuno mai, sprizzanti voglia di vivere da ogni sfumatura del nero oscuro, voleva sentire il suo profumo e inebriarsene, stringere le sue belle mani e non lasciarlo mai andare via. Quando era così lontano, Tom aveva paura di perderlo, che i suoi nemici, i suoi incubi, i suoi diavoli lo uccidessero e lui non era lì per proteggerlo. Ogni giorno che passava senza di lui  era una coltellata che lo lasciava sfinito. Bill era la sua metedrina e gli faceva più male di qualunque mix o amfetamina.
-Ehm, scusate se disturbo, ma … Tom, ti cercano tre musi gialli. Io non so che vogliano, ma hanno detto che è urgente.
La grossa mole di Gustav sbucò dalla porta dell’obitorio, piuttosto incerto e forse anche inquietato.
-Cosa?!- il cuore di Tom fece tre giri in petto – Chi mi cerca?!
-Ma che ne so, tre musi gialli ti ho detto, un mezzo travestito e due …
Gustav non fece in tempo a finir di parlare che Tom si era già lasciato alle spalle i due amici e si era precipitato col cuore in gola su per le scale. Non sentiva nulla, se non il rombo del suo sangue nelle orecchie. Se addirittura July si era presentato in centrale, voleva per forza dire che era successo qualcosa di grave a Bill, quasi che con quel nuovo caso si fosse tirato addosso una nuova sventura. Aveva il fiatone e gli occhi fuori dalle orbite quando fece il suo rumoroso ingresso nella stanza dove stavano i tre fratelli Choy, compostamente sistemati secondo il loro uso comune. July sedeva su una sedia, minuto e perfetto come una bambola anche se truccato e conciato come una drag queen, le lunghe unghie ad artiglio smaltate di nero e lillà che accarezzavano distrattamente le teste una mora e una tinta di rosso di June-Mei-Rin e di May-Ran-Mao, inginocchiate ai suoi piedi, i poveri agenti del Dieci che li fissavano con timore e reverenza, perché un senso di alterigia e nobiltà tale solamente loro potevano trasmettere. Non gli piacque per nulla l’espressione che vide stampata sul volto androgino e delicato di July, non gli piacquero quelle rughe attorno alla bocca, la linea indurita della labbra, come nemmeno gli quadrava la cattiveria, se così avrebbe potuto chiamarla, che grondava a fiumi dai grandi occhi così neri da inquietare. Abbassò lo sguardo sui visi congelati delle gemelle, che non tradivano la minima espressione, solitamente, ma che in quel momento luccicavano di agitazione. Se erano agitate loro, allora Tom sapeva che era successo qualcosa di davvero sconveniente.
-Tom-sama.- July alzò la testa, guardandolo dritto negli occhi, nessun sorrisetto sardonico in volto ma solo una smorfia addolorata – Portiamo un vento di sventure.
-Ju … July, June, May. Ma che ci fate qui?- balbettò Tom, avvicinandosi, il cuore avvolto in una morsa che non lo lasciava battere normalmente – Cosa è successo?
-E’ morto un uomo, oggi, Tom-sama. Un uomo che portava il simbolo delle Mudang.- commentò con voce atona July, lisciandosi le pieghe del bolero di paillettes rosa – Sappiamo che era un uomo sghignazzante. Indemoniato. Dimmi, aveva delle lettere sul polso?
-Eh? Intendete il cadavere rinvenuto oggi sulla Rosen? Non sto capendo, July, sì, era sfigurato come se stesse ridendo e sì, aveva delle lettere ma non …
-E’ quello che immaginavo.- July lo zittì con lo sguardo, mordendosi il labbro inferiore – Il problema allora è più grosso di quanto potessi pensare.
-Ma si può sapere che cosa vuoi dire?- Tom si mise le mani nelle treccine, scuotendo la testa – Sei piombato qui, sai del cadavere, sai cosa gli è successo, ma che …?
-Tom-sama, il problema non è come io possa sapere queste inezie. Il problema è un altro, e decisamente di altra portata.
July si era alzato, avvicinandosi al ragazzo, e sembrò ancora più piccolo ed efebico di quanto già non fosse. Non gli piaceva quando faceva così: sapeva per esperienza che nascondeva qualcosa di molto cattivo. Lo Scorpione Di Fuoco non ti si avvicinava per niente e non ti posava la manina sul petto per nulla, Tom lo aveva imparato a sue spese e nulla lo terrorizzava più che quel semplice gesto pieno di dolore e di sconcerto.
-Tom-sama, promettimi di stare calmo.- July alzò gli occhi su di lui, piantandogli impercettibilmente le unghie nella maglietta – Il vento contrario è più forte di quanto pensassi. E il vento, si sa, segue il suo corso e non guarda dove passa. Non guarda nemmeno che cosa solleva e porta via nel suo percorso. Hanno rapito Bill-chan, Tom-sama. Hanno rapito Bill-chan.
 
 
 
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Tokio Hotel / Vai alla pagina dell'autore: Lost In Donbass