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Autore: air_amavna    06/06/2017    0 recensioni
Erin Owen frequenta la High School McStain, ha pochi amici e un carattere freddo e menefreghista. Un giorno entrerà in contatto con uno strano ragazzo, con così tanti segreti che la faranno dubitare della sua esistenza. Pare che solo Erin lo conosca in tutta la scuola, come se fosse un fantasma invisibile agli occhi degli altri studenti.
Dal loro primo incontro nello sgabuzzino impolverato dei sotterrai, la sua visione della vita cambia per sempre.
Genere: Mistero, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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The Ghost of You
Capitolo uno

 

Erin Owen fissava attentamente qualcosa di indefinito oltre la grande vetrata situata al centro del corridoio. Qualcuno la superò di fretta e le fece cadere i libri che stava reggendo. Se la preside di quella scuola non fosse stata iper dittatrice, magari avrebbe gridato un "vaffanculo" e sarebbe andata via senza aggiungere altro.

Invece era costretta a non dire nulla e a fare ciò che le avevano insegnato, ovvero accettare le scuse e annuire sorridente. Quello che le uscì, però, fu uno sguardo a dir poco omicida, tanto che il ragazzo sgranò gli occhi e scappò via, letteralmente.

La ragazza era in quel college da ben tre anni, e l'unico aspetto positivo era la compagnia del suo migliore amico Adam, forse il solo che riuscisse a sopportarla.

Giravano diverse voci su di lei, sulla studentessa dai lunghi capelli castani, sul fatto che vestisse sempre con colori freddi e opachi, che rifiutasse qualsiasi aiuto, che fosse menefreghista e antipatica, e anche spaventosa. Un po' era vero, in effetti. Ma la sua bellezza era rara e particolare e non poteva essere rinchiusa in una studentessa di soli sedici anni.

Nonostante le voci poco gradevoli, lei stava bene anche da sola, non aveva bisogno della popolarità per apparire. Perché in un modo un po' contorto lei già era popolare, sotto la categoria di 'persone strane'.

Mentre saliva le scale in pietra era immersa nei suoi pensieri, senza badare agli studenti che correvano da una parte all'altra in ritardo per le lezioni. Lei di quei problemi non ne aveva.

Stava ricordando a quanto fosse stata stupida nel scegliere quella scuola: l' High School McStain. L'apparenza ingannava, e quella era una delle tante prove. L'esterno era pazzesco, ricordava ancora l'espressione allibita di sua madre, di fronte a quella che più che una scuola sembrasse un antico castello gotico. Era di una grande bellezza, incantava chiunque si trovasse nel passare per quella strada dal cemento consumato. Un qualsiasi pittore impressionista avrebbe catturato le luci che riflettevano sulla superfice in pietra e i colori che essa sprigionava. I passanti scambiavano l'edificio per una cattedrale antica e abbandonata, ma quando tra il cancello in ferro battuto scorgevano dei ragazzi con i loro libri tra le mani, erano increduli.

Le sembrava fin troppo bello, perché quel posto poteva essere uscito solo da un libro o da una fiaba. Ai lati del cancello, due statue di angeli situati su due colonne creavano un'atmosfera quasi tetra. Era come se quei due angeli controllassero la zona e creassero una sorta di protezione, ma tutto quello che Erin sentiva lì dentro non era per niente 'protezione'.

Odiava quella scuola e se non fosse stato per i suoi genitori, sarebbe fuggita il più lontano possibile. Il vasto giardino era uno degli aspetti che più piacevano alla giovane, forse per il fatto che non fosse così tanto controllato. Di solito, gli studenti dell'ultimo anno, avevano la libertà di girovagare tra l'erba poco curata di quel posto, tutte le volte che volevano.

Salì lentamente le scale, senza guardare in faccia nessuno, come faceva di solito. Una volta svoltato l'angolo, il lungo corridoio dalle pareti rosse le si parò davanti agli occhi, e la ragazza era quasi stanca di vedere i soliti dipinti esposti alle pareti. Ce ne era uno in particolare, proprio di fronte alla sua porta in legno, che raffigurava un'immagine in bianco e nero, fatto a matita, dove due uomini si fissavano con rabbia. Quel quadro rispecchiava lo stato d'animo della ragazza, in quel momento.

Una volta aperta la sua stanza, si chiuse la porta alle spalle, senza preoccuparsi di non fare troppo rumore.

Le finestre erano entrambe aperte e i raggi solari illuminavano totalmente la stanza. I due letti, ancora disfatti, erano rivestiti da delle lenzuola di un marrone chiaro; le scrivanie erano l'uno l'opposto dell'altra: quella di Erin in un disordine totale, mentre l'altra in un ordine quasi inquietante.

La sua coinquilina era beatamente sdraiata sul letto con un limetta per le unghie tra le mani e salutò Erin, come ormai era abituata.

"Non dovresti essere a lezione?" domandò, senza mai staccare gli occhi dalle sue unghie perfette.

Erin legò i lunghi capelli scuri e non rispose, poggiando poi i libri sulla sua scrivania. Prese il cellulare dal cassetto e lo ripose al suo posto quando notò che non aveva nessuna telefonata persa. Era strano che sua madre non l'avesse chiamata.

"Ti ho fatto una domanda, Erin" continuò la coinqulina, dopo un po'.

"Non ne avevo voglia" disse solo, alzando le spalle.

Erin era definita 'fredda' dai suoi compagni di classe, sopratutto da Jackie, la sua coinquilina, ma ormai erano da tre anni che condividevano la stanza e si erano abituate ai loro rispettivi caratteri. Jackie troppo isterica a volte, ed Erin fin troppo silenziosa e scontrosa.

"Hai saputo di Damian Howard?" domandò, alzando finalmente lo sguardo dalle unghie.

"Qualunque cosa sia, sai perfettamente che non mi importa"

Jackie sbuffò, poggiando l'aggeggio sulla scrivania, mentre Erin lasciava che il suo corpo si stendesse sul letto. "A te non importa mai di nessuno, è diverso"

Era vero, Erin oltre ad essere considerata fredda, veniva anche chiamata 'menefreghista', e tanti altri nomignoli che non avevano nessuno significato per lei. Secondo il suo migliore amico Adam, se lei fosse stata un po' più sorridente e anche più socievole, avrebbe avuto l'intera scuola ai suoi piedi. Anche quel Damian Howard, che creava tanto scalpore tra le ragazze.

Il motivo era dovuto alla sua bellezza, ai suoi occhi azzurro mare, alle sue lentiggini e ai suoi lunghi capelli, che tutte invidiavano.

"Anche se a te non importa, Damian ha tradito la sua ragazza con Jenna Scott! Ti rendi conto?"

Erin alzò gli occhi al cielo e afferrò il suo romanzo preferito dal comodino, per poi sfogliarlo tranquillamente. Lo posizionava ogni voltà lì, come era solita fare anche a casa.

"Quanto vorrei parlargli! Insomma, se Jenna è riuscita a conquistarlo, perché io no?"

"Tu sei malata" fu il commento sincero della sua amica.

"Sta' zitta. E' vero che non ci ho mai parlato, ma lui mi sorride sempre ogni volta che lo vedo"

Erin a quel punto non seppe se ridere o piangere.

Damian Howard era di sicuro un ragazzo 'bellissimo' come lo definiva ripetutamente Jackie, ma non riusciva a capire cosa ci trovassero in lui. Come poteva la sua compagna di stanza ammirarlo così tanto senza neanche conoscerlo?

"Ti stai solo illudendo" sbottò sicura di se stessa.

"Pensi che non sia abbastanza per lui? Pensi questo?"

Jackie si sentì offesa per quel commento, nonostante sapesse alla perfezione com'era fatta la sua coinquilina.

"Sinceramente?" intervenne Erin, alzandosi dal letto, senza neanche guardarla negli occhi. "Mi dai solo noia"

Si aggiustò la gonna nera, sotto lo sguardo arrabbiato di Jackie, e uscì dalla stanza, sbattendo la porta con forza.

 

 

 

"Erin, non hai fame?"

Il piatto era ricoperto da una sottospecie di salsa di patate color verde pisello e non aveva decisamente un odore invitante.

Adam scosse Erin con un braccio e lei immerse la forchetta nella poltiglia, senza però mangiarla.

"È successo qualcosa?" chiese poi, cominciando a preoccuparsi del comportamento strano della sua amica.

"No, semplicemente non ho fame" sbottò, alzando le spalle.

La sala pranzo era piena di studenti, e i tavoli erano divisi per classi. Il suo tavolo era uno dei meno conosciuti e meno rumorosi, in quanto nessuno in particolare partecipava ai corsi extra scolastici, a parte Sid e Viktor che aiutavano la signorina Erika all'interno della biblioteca.

Erin li osservava, mentre teneva tra le mani la fredda forchetta ancora sporca, e lasciava che i suoi occhi scrutassero i suoi coetanei. C'era chi rideva, chi mangiava in silenzio, chi spettegolava sui professori, chi si lamentava e al tempo stesso urlava, e nessuno di loro sembrava immerso in tanti pensieri.

Erin definiva i suoi coetanei un gregge di pecore, un gruppo di persone che seguisse la massa, dei valori e degli ideali che non rispecchiavano per nulla il suo essere. Lei si sentiva diversa da loro e se non ne voleva avere niente a che fare un motivo c'era.

L'unica persona decente era Adam.

Se qualche sconosciuto lo avesse visto mangiare, avrebbe sicuramente pensato che fosse un morto di fame. Nonostante tutto, Erin lo trovava affascinante, anche nei suoi modi di fare rudi. Immergeva le grandi mani nel piatto e afferrava le cosce di pollo, per poi portarsele alla bocca. Le labbra piene e il naso a punta erano del tutto sporche di salsa, mancava poco e si sarebbe anche sporcato i capelli, nonostante fossero corti.

I due si erano conosciuti il primo giorno di scuola ed Erin subito aveva preso posto al suo fianco. All'inizio non facevano altro che osservarsi e prestarsi i libri, senza però parlare. Adam era troppo timido per farlo, mentre Erin sentiva in lui qualcosa di diverso.

Infatti fu lei a fare il primo passo.

Lo trovò a mangiare, nello stesso modo in cui mangiava in quel momento, e gli disse: "Posso sedermi qui?"

Lui aveva alzato la testa dal piatto e aveva annuito, restando immobile a fissarla.

Così, da quel giorno non avevano fatto altro che parlare, ridere e instaurare un'amicizia forte che difficilemente si sarebbe rotta. La famiglia di Erin conosceva Adam e lo trattava quasi come un figlio. Secondo Erin, era come un fratello, nonostante uno già lo avesse. Ma non lo avrebbe mai detto a parole, era fin troppo orgogliosa e poco sentimentale per riferirlo. Lasciava che fossero i fatti a fargli capire il suo bene. Erin lo difendeva, soprattutto se si trattava di ragazze. Era arrivata anche a fingere di essere la sua fidanzata pur di far andare via il gruppo di 'cheerleder' che lo prendeva quotidianamente in giro.

Adam era silenzioso la maggior parte del tempo, passava ore vicino al pc e la sua passione erano le serie tv: ne vedeva a centinaia e questo spiegava un po' la sua poca vita sociale. Aveva grandi difficoltà ad istaurare rapporti con gli altri, ed Erin era un po' la sua salvezza. Era alto e dalla carnagione chiara, con delle tenue lentiggini sopra il naso che con i raggi solari aumentavano smisuratamente, soprattutto in estate. Era bello in realtà, ma nessuno riusciva a notarlo come aveva fatto Erin. Secondo la giovane, il suo migliore amico era di sicuro più interessante di Damian Howard o di qualsiasi altro ragazzo della scuola.

 

 

 

 

Le classi dell'High School McStain erano piuttosto larghe e comode, se non fosse stato per la spessa polvere che posava sulle librerie antiche e le sedie in legno traballanti.

Il signor House era un uomo sulla cinquantina e sedeva sulla cattedra, con un giornale tra le mani. I raggi del sole quel giorno erano visibilmente accesi e illuminavano la zona, in particolar modo i pantaloni gialli dell'insegnante. Secondo Erin essere un professore doveva essere stancante e noioso. L'apprendimento avveniva soltanto se da entrambe le parti ci fosse stato interesse, se il signor House fosse stato interessato ad insegnare qualcosa ai ragazzi e se gli studenti fossero stati realmente incuriositi da ciò che aveva da dire l'uomo con pochi capelli.

Ma le due classi unite, quel giorno, non facevano altro che osservare divertiti il loro professore, con un paio di lenti doppie poggiate sulla base del naso lungo e con un pantalone a vita alta di uno strano giallo.

Damian Howard e il suo vicino di banco James Wells ridevano come dei matti, scatenando le risate del resto delle classi.

In una lezione, venivano unite due classi diverse, e quell'anno, Erin era capitata nella classe del famoso Damian.

Il signor House, ignaro dei commenti poco gradevoli, cominciò a spiegare, e lo sguardo di Damian fissò insistentemente la schiena della ragazza.

Damian Howard era forse uno dei più noti ragazzi del college e conquistava le ragazzine con un solo accenno di sorriso. Ma per quanto potesse essere popolare se ne stava molto per le sue, socializzava per di più con le studentesse, e aveva pochi veri amici.

I capelli di Erin scendevano morbidi lungo le spalle, coperte solo da un maglioncino grigio di lana. Le maniche coprivano quasi tutte le braccia, lasciando fuoriuscire le dita sottili, con il quale stringeva la penna per scrivere.

Lo sguardo azzurrino e serio di Erin fissava la lavagna con attenzione, scrivendo con tranquillità quello che il professore riportava.

"Bene, adesso dividetevi a coppie e cominciate a fare un riassunto su quello che ho spiegato"

Il professore si sitemò gli occhiali rotondi e lanciò un'occhiata distratta alla classe, che per l'intera spiegazione non aveva fatto altro che ridere.

Quello che esagerava era sicuramente James Wells, che aveva fatto addirittura un disegno con la matita, dove ritraeva la figura di un uomo molto simile al professore.

Quando Erin sentì la sedia al suo fianco spostarsi sbuffò, e incrociò le braccia al petto.

"Posso?"

Damian Howard le si era appena seduto al suo fianco e lei era forse stata l'unica a non sospirare di piacere.

"Come vuoi" borbottò, spostandosi i capelli da un lato.

"Io sono Damian" si presentò, stupendo completamente la ragazza che aveva di fronte.

"So chi sei" disse, girando con velocità una pagina del libro. Il chiacchiericcio era aumentato e quasi nessuno si era accorto che i due stessero parlando.

"Tu sei Erin, vero?" continuò lui, catturando finalmente l'attenzione della mora.

Le loro pelli creavano un grande contrasto, la pelle di Damian era più scura a differenza sua. I capelli portati in alto erano perfettamente in ordine e le labbra erano aperte in un largo sorriso.

Erin voleva solo finire di fare quel riassunto e stare alla sua larga. Non aveva voglia di conoscerlo, non gli ispirava neanche un po' di simpatia.

"Sì, sono io" disse solo, scrutando gli occhi scuri e sottili del ragazzo. Damian non era poi così interessante come affermavano le altre, e decisamente non faceva per lei.

Erin era troppo complicata per avere un fidanzato, secondo Adam nessuno sarebbe stato capace di sopportarla. E poi il suo cuore era freddo come una roccia, un po' come la sua personalità.

"Ho sentito parlare molto di te" sussurrò, avvicinando di poco la sua sedia. Erin non ne capiva il motivo di questo suo sussurrare, il signor House era immerso nella lettura del suo giornale quotidiano, non si sarebbe accorto che non stavano lavorando. "Non sono buone voci, ma ho sempre avuto la curiosità di conoscerti"

Erin rimase a fissare le varie scritte colorate sul banco bianco e ne ricalcò una con la matita, persa nei suoi pensieri.

"Mi ispiri simpatia e anche se dicono che sei fredda e antipatica, a me non importa"

Le labbra carnose di Erin si aprirono in un leggero sorrisetto furbo che però Damian non riuscì a capire.

"Howard, non sono interessata a te"

"Ma voglio esserti amico" si difese, aprendo finalmente il suo quaderno. "Voglio conoscerti"

Erin sbuffò e anche se per lei Damian Howard sarebbe rimasto sempre un idiota senza cervello, decise di annuire. Le era capitato raramente di incontrare qualcuno che le dicesse quelle cose, di solito pochi le si avvicinavano.

E poi si trattava di Damian Howard, Jackie avrebbe sicuramente dato di matto quando lo avrebbe saputo.

Per tutto il tempo, Erin studiò la calligrafia spigolosa e piccola di Damian, mentre lui di tanto in tanto le guardava il viso, cercando di captare anche i più piccoli particolari.

Di solito le ragazze lo guardavano sognante e imbarazzate, ma in lei c'era qualcosa di diverso. Era davvero intenzionato ad esserle amico, ma a quanto pareva la classe li fissava attenti, come se da un momento all'altro fosse successo qualcosa di esilarante.

Erano abituati al Damian Howard conquistatore, quello che usciva con le ragazze che voleva e le baciava senza neanche conoscerle, quello che si vantava per far vedere agli sfigati che solo lui poteva, ma in realtà nessuno conosceva il vero lui. Nessuno avrebbe mai detto che, quando era da solo, leggeva tanti di quei libri da consumerne addirittura le copertine. Nessuno sapeva che ascoltava i The Fray, i Simple Plan e i The Smiths, e non quella roba orribile da discoteca; nessuno sapeva che era innamorato perso di Erika, la giovane signorina che lavorava nella biblioteca della scuola; nessuno sapeva nulla di Damian Howard. E lui voleva che Erin lo conoscesse, perché le sembrava una persona affidabile e completamente opposta alle sue coetanee.

Già, Erin era forse la ragazza più strana di tutte quelle del college. Indossava quotidianamente dei maglioni larghi, dello smalto scuro, e delle con segni strambi. Odiava il cibo della mensa, i tipi come Damian Howard, le compagne di classe e il caldo.

Ma la cosa più diversa in lei erano i suoi modi di fare, i suoi profondi occhi grigi che gelavano chiunque la guardasse.

Quando la campanella suonò, cominciarono a mettere la roba nella borsa, mentre il resto degli alunni si catapultava al di fuori della classe. Il professore tentò di zittire il restante, ma si arrese, e uscì anche lui, camminando in un modo a dir poco goffo.

"Più lo guardo e più mi viene da ridere" si intromise Damian, tenendo i libri con le mani.

Erin sorrise e per la prima volta, forse, gli diede ragione. La maglietta del moro era nera e a maniche lunghe, ed era così aderente che anche un cieco sarebbe stato capace di contare i suoi leggeri addominali. Forse era anche per quello che Erin non lo sopportava: la sua vanità.

Dove lo trovava il tempo di allenarsi? Nella scuola c'era una palestra, ma Erin credeva che nessuno ci andasse, soprattutto dopo l'ultimo incidente con uno studente di terza. Gli era caduto un pezzo del soffito addosso ed era finito all' ospedale, dopodichè andò via completamente dalla scuola. Quella palestra era a pezzi, poco attrezzata e poco pulita, ma il bisogno di essere in forma per certi studenti doveva essere una questione di vita o di morte.

"Posso farti una domanda?" domandò Erin, lasciando la classe ormai vuota, seguita da lui. "Perché ti vesti in questo modo?"

Lui aggrottò le sopracciglia ed Erin si stupì di aver posto quella domanda. Insomma, dopotutto cosa le importava di quel Damian?

"Lo faccio per conquistare una ragazza" rispose semplicemente, alzando le spalle.

Erin finse un sorriso, e soffocò una risata. Non voleva sapere chi fosse, era già tanto se gli avesse dato troppa importanza.

Quando arrivò il momento di separarsi, si salutarono con un cenno della mano, e ognuno andò per la propria strada.

Era sicura che non gli avrebbe più parlato.

 

Adam era sdraiato sul suo letto e sfogliava un fumetto dall'aria malconcia, ridendo di tanto in tanto. Erin fissava il soffitto e pensava, senza però rendersi conto che l'amico l'aveva cominciata a chiamare da un bel po'.

"Erin, sei troppo pensierosa ultimamente" disse lui, lanciandole uno sguardo confuso, per poi sfogliare tranquillamente una pagina.

"Ho troppi compiti da fare e non mi va di aprire nessun libro" sussurrò, dando un'occhiata al di fuori della finestra. Era vero, era passato solo un mese dall'inizio della scuola e già era piena di arretrati che non avrebbe mai recuperato in un solo pomeriggio.

Lui parve non sentirla e scoppiò in una fragorosa risata, indicando un punto sul fumetto, che ritraeva la figura di un uomo con una spada in mano.

"E non farli allora" consigliò lui, tornando a guardarla di nuovo.

Lei alzò le spalle e afferrò il cellulare dalla scrivania disordinata.

Adam aveva una ossessione patologica verso ogni serie tv, di qualsiasi genere. Il suo computer era come una droga, ne aveva un disperato bisogno, ovunque andasse. Erin ricordava che la prima volta che decisero di passare un pomeriggio insieme, lui le fece vedere tutta la prima stagione di 'Menti di Ferro'*.

Per non perdersi gli episodi, se ne stava sveglio fino ad orari improbabili, e al posto di uscire dalla camera e andare a fare un giro, preferiva restarsene per conto suo vicino al computer. Era un pazzo, ed Erin era pazza di lui.

"Come mai non hai il computer con te?" commentò, senza togliere l'attenzione dal suo cellulare.

"Sto cominciando a leggere un nuovo fumetto, questo è solo il primo"

"Non ti verrà l'ossessione per i fumetti, vero?"

Lui sbuffò e non comprese il sarcasmo della sua migliore amica. "Sto cominciando a chiedermi quando ti verrà l'ossesione per le ragazze"

Sbuffò di nuovo e lei continuò a ridere.

"Erin..."

"Scherzavo" aggiunse. "Insomma, ti odierei a morte se ti venisse questa strana ossessione. Diventeresti come Damian Howard o addirittura scemo come James Wells e oddio, non ti sopporterei mai! Probabilmente non saremmo mai più amici"

Adam si riprese e rise come non mai e si diede dello scemo per aver anche solo dubitato su di lei.

Erin e Adam non avevano molti amici, loro due insieme però formavano una grandisisma squadra, molto più forte di tutti i gruppi delle altre classi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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