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Autore: antigone7    07/06/2017    6 recensioni
Delia ha sedici anni, un carattere sfrontato e solare, una parlantina un po' eccessiva, un mucchio di nuovi amici e un solo acerrimo nemico: Matt Patterson è l'unica persona che fa uscire il suo istinto omicida. Crescendo, però, si accorgerà che l'odio è un sentimento troppo spesso sottovalutato e che, a volte, le cose non sono esattamente come potrebbero sembrare a prima vista.
Avevo davanti due occhi grigio-azzurri che mi scrutavano sospettosi; e io, dannazione, avevo un debole per gli occhi grigi. Inoltre, il portatore di questi occhi era un ragazzo alto, biondo e davvero, davvero molto bello. Mi sembrava di avere di fronte il Principe Azzurro in persona: mancavano il cavallo bianco e il mantello celeste e, forse, gli avrei detto di chiamarmi Cenerentola.
Come ho già specificato, però, questa mia prima impressione durò un attimo. Il tempo che lui aprisse bocca e avevo già cambiato totalmente idea. Probabilmente avrei dovuto capirlo già dal suo modo di guardarmi, sdegnato e infastidito, o dalla posizione svogliata con tanto di mani nelle tasche dei jeans, che era un completo stronzo.
Genere: Commedia, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Marie's and surroundings'
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12. Love and friendship and other things


Pochi giorni dopo il mio primo appuntamento con Nate seguii l’impulso che sentivo solleticarmi le mani da diverso tempo e tornai dalla parrucchiera per cambiare di nuovo i miei capelli. Li spuntai e basta, ma la tentazione di cambiare colore, dopo aver tenuto il nero per quasi quattro mesi, era troppo forte: scartai a malincuore alcune tonalità troppo audaci per amore del fatto che avevo appena cominciato a uscire con un ragazzo nuovo e non volevo spaventarlo e, consigliata da Marisol, puntai su un castano ramato molto naturale e carino.
Inaspettatamente non cambiai più colore per tutto l’anno scolastico, né pensai di farlo. D’altronde per me i mesi successivi furono piuttosto strani e mi sembrarono scorrere a velocità doppia rispetto al solito, soprattutto a causa di qualcosa che mi colse di sorpresa e che scosse non poco la mia visione del mondo: Nate.
So che non c’è modo di spiegare una cosa del genere senza risultare zuccherosa e banale, ma alla fine, quasi senza rendermene conto, mi innamorai davvero di lui, come non mi era mai successo prima e come non mi è più successo dopo, finora. M’innamorai di Nate come ci si innamora a diciassette anni, in modo imprevisto, totale e forse pure un po’ ingenuo.
So anche di aver appena detto che all’epoca avevo una cotta per Matt, ed è vero, non posso negarlo, ma in quel periodo i nostri rapporti si freddarono parecchio e raggiunsero i minimi storici: ci salutavamo quasi sempre in corridoio e uscivamo ancora con lo stesso gruppo di amici, ma evitavamo con tenacia di parlare l’uno con l’altra, a meno che non fosse strettamente necessario, e persino le battutine sarcastiche che eravamo soliti rivolgerci sparirono quasi del tutto.
Matt mi rese le cose più semplici uscendo per qualche settimana con Hillary Kane, particolare che me lo rese ancora più odioso, soprattutto dal momento che lei non perdeva occasione per esibirsi in corridoio con strusciamenti, occhioni dolci e, quando lui glielo permetteva, sbaciucchiamenti vari. Alla fine si stufò anche lui, era già stupefacente il fatto che avesse retto così a lungo quella pantomima, e scaricò la Kane, che per una settimana buona camminò per i corridoi della scuola come se fosse un’attrice hollywoodiana in lutto, con tanto di occhiali da sole giganti a coprirle il viso. Qualche giorno dopo già usciva con Thomas Petrovic, nientepopodimeno, e Patterson era tornato agli occhi di tutti il solito ragazzo solitario, attraente e misterioso.
Solo che non era affatto solitario, quella era una definizione stupida e tipicamente adolescenziale che gli era stata appiccicata addosso e che continuava a precederlo nonostante l’evidenza: Matt non era quasi mai solo, aveva diversi amici a scuola e girava sempre assieme a Josh e David. Non aveva una ragazza diversa ogni weekend, quindi neanche l’etichetta di playboy, guardando alla realtà dei fatti, era meritata. Durante il nostro anno da Senior uscì, oltre che con la Kane, con un altro paio di ragazze, con nessuna di loro ebbe storie troppo serie, ma nemmeno si comportò da stronzo per il gusto di farlo.
Io, da parte mia, guardavo a tutto ciò con moderato interesse, continuando nel frattempo a vivere la mia vita che, appunto, in quel periodo era vivace, allegra e movimentata. Patterson riempiva il bordo esterno della mia visuale, perché se da un lato, frequentando la sua stessa compagnia, ero obbligata ad averlo sempre tra i piedi, dall’altro non riuscivo del tutto a disinteressarmi a ciò che gli accadeva, e avevo il sospetto che per lui fosse lo stesso con me.
Così, mentre tenevo le distanze da Matt e mi barcamenavo tra lezioni, compiti e feste del mio ultimo anno di liceo, la cotta involontaria che mi ero presa per lui parve dissolversi in favore di ciò che cominciai a provare per Nate, che era invece un sentimento limpido, luminoso e, per me, totalmente nuovo. Nate stesso era limpido, era l’esatto opposto del tipo di ragazzo per cui sbandavo di solito, era solare e affettuoso, era un po’ timido all’inizio, ma quando ti permetteva di avvicinarti a lui ti donava tutto ciò che aveva, senza remore. Era spiritoso e autoironico; parlava chiaramente, senza troppi giri di parole, anche dei propri sentimenti; riusciva a farsi voler bene da tutti in poco tempo.
Non era perfetto, tutt’altro, e nemmeno la nostra relazione lo era. Per settimane e settimane mi tenne nascosta ai suoi amici: parlavamo a scuola e non aveva problemi a farsi vedere con me in pubblico, ma fingeva che tra noi non ci fosse nulla di che e sembrava non volermi presentare a nessuna delle persone della sua compagnia. All’inizio lasciai correre, non mi importava più di tanto, ma poi, man mano che le cose si fecero più serie, cominciai a trovare ridicola quella messinscena e glielo feci notare. Col tempo e grazie alla mia insistenza la situazione migliorò, ma rimase sempre una patina di freddezza tra me e i suoi amici, tanto che, anche se Nate usciva sempre con la mia compagnia, raramente accadeva che io passassi del tempo con la sua.
Questo però era solo un neo nel rapporto tra noi due, che restava stupendo, fatto di batticuore e parole dolci sussurrate quand’eravamo soli, di weekend fuori porta di nascosto dai nostri genitori e mani intrecciate per strada. Ogni tanto c’era anche qualche litigata, certo, un paio di volte ci urlammo contro e io corsi a casa di mia nonna arrabbiata col mondo, o chiamai Audrey con la voce spezzata. Ma Nate era una persona che, per il proprio carattere, evitava gli scontri il più possibile, perciò anche quando il mio umore non era alle stelle trovava sempre il modo di stupirmi facendomi tornare il sorriso. Con lui mi sentivo al sicuro, quasi sempre.
A dicembre, quando festeggiai il mio diciottesimo compleanno, Nate mi organizzò una festa a sorpresa a casa sua, mettendosi d’accordo coi miei amici. Quella sera mi disse “ti amo” per la prima volta, e il mio cuore esplose in migliaia di coriandoli colorati.
Ero così su di giri che quando arrivò Patterson e mi si avvicinò per farmi gli auguri lo abbracciai di slancio, come avevo abbracciato quasi chiunque quella sera; durò solo un paio di secondi, ma lo sentii irrigidirsi appena contro il mio corpo prima di rendermi conto di ciò che stavo facendo e allontanarmi da lui. Matt, prendendomi alla sprovvista, mi trattenne per un polso, si abbassò su di me e mi posò un bacio sulla guancia.
“Buon compleanno, novellina,” mi sussurrò, prima di scostarsi e guardarsi in giro con un mezzo sorriso stampato in faccia. “Bella festa,” aggiunse poi, quasi distratto.
Mi guardai intorno anch’io: non ero sicura di conoscere tutti i presenti e, soprattutto, non ero per niente sicura che i presenti sapessero di essere lì per il mio compleanno, dal momento che Matt era una delle poche persone che erano venute a farmi gli auguri.
Lo guardai di nuovo e alzai le spalle. “Mi piacciono le feste,” risposi stupidamente.
Lui sorrise come a dire “lo so” e io mi sentii improvvisamente a disagio. Spostai di nuovo gli occhi nei dintorni finché non intravidi Nate che mi faceva un cenno con la mano, così mi congedai da Matt, e quella fu una delle pochissime conversazioni amichevoli che avemmo in quei mesi: un abbraccio dato per sbaglio e tre battute sì e no.
Durante le vacanze invernali Nate mi sorprese di nuovo portandomi nella casa in montagna dei suoi genitori. Fu solo un weekend lungo, ma fu lì che cominciai per la prima volta a pensare che potesse esserci un futuro per noi. Nate mi portava la colazione a letto e io gli preparavo la cena, durante il giorno e la sera decidevamo insieme che cosa fare o che film guardare, e la notte, prima di dormire definitivamente, mi lasciava un bacio sui capelli.
A letto avevamo un’alchimia pazzesca e raramente riuscivamo a passare un pomeriggio assieme senza finire spalmati l’uno sull’altra, ovunque ci trovassimo.
Eravamo giovanissimi, innamorati e assolutamente privi di una visione realistica del futuro. La bolla d’amore ingenuo e luminoso in cui vivevamo sembrava indistruttibile, ma era pur sempre una bolla e, come sempre in questi casi, a un certo punto esplose, facendo non pochi danni.

Nathan era bravo a scuola. Studiava molto e sembrava concentrato nel raggiungere l’obiettivo che si era prefissato fin dall’inizio del liceo, ovvero l’essere ammesso in una università prestigiosa, dove poter continuare anche a giocare a football.
Quando ci ritrovammo assieme a compilare le domande di ammissione per i vari college mi accorsi delle nostre differenti prospettive: mentre lui faceva richiesta per tutte le università migliori, senza curarsi della distanza da Winthrop, io avevo deciso di rimanere a Boston, perché non me la sentivo proprio di trasferirmi di nuovo dall’altra parte del paese. Non capivo dove fosse il problema: nell’area in cui vivevamo era pieno di ottimi college e di corsi di studio rinomati, quindi evitavo di pensare a questa divergenza che si stava creano tra me e Nate. Perciò ne parlammo pochissimo e io non mi accorsi che era una questione più grande di quello che sembrava.
Quando, verso metà aprile, Nathan si decise a parlarmene, ormai era troppo tardi per pensare a una soluzione. Io ero stata accettata alla Northeastern University, a Boston appunto, città in cui avrebbe studiato la maggior parte dei miei amici e dove anche Nate aveva fatto diverse domande di iscrizione. Ma lui, alla fine, aveva altri programmi.
“Phoenix?” domandai, le sopracciglia che mi toccavano quasi l’attaccatura dei capelli per lo stupore.
Nathan annuì, seduto a gambe incrociate sul proprio letto, lo sguardo sul lenzuolo ancora mezzo sfatto dalla mattina. Ero andata a casa sua per una seduta pomeridiana di studio e coccole, e invece mi ritrovavo a dover affrontare una delle discussioni più importanti della nostra relazione.
“Non stai parlando della Phoenix in Arizona, vero?”
“Sì, quella.”
Mi lasciai cadere sulla sedia della sua scrivania, stupita. “Perché non… Quando hai fatto… Insomma, perché?” balbettai.
“È un’ottima università.”
“Hai fatto richiesta per università migliori di quella solo in Massachusetts. Per non parlare di tutti gli altri stati che non sono… non sono dall’altra parte del paese.”
“Nessuna ha il programma sportivo della Phoenix University, nel basket e nel football, per cui ho la borsa di studio.”
“Non avevi mai parlato di andare così lontano, non riesco a capire come sia possibile!”
Nate sospirò e alzò su di me gli occhi, ma solo per qualche secondo. “Esatto, non capisci, Delia. Non è una decisione che ho preso con leggerezza.”
Sentii un il peso che avevo sul petto diventare ancora più insostenibile. “Decisione? Hai già deciso quindi?”
“Io e mio papà abbiamo valutato tutto, e…”
“Bene, perfetto. Se hai valutato con tuo papà, figurati,” sbottai, seriamente infastidita. Suo padre mi aveva sempre mal sopportato, anche se non lo dava a vedere, e pensavo temesse che bloccassi Nate e gli impedissi di fare le scelte migliori per il suo futuro. Alla fine, a quanto pareva, le sue paranoie si erano rivelate infondate.
“Sai quanto ci tengo, quanto ci tiene anche lui!” rispose Nathan. “Ho lavorato sodo per poter scegliere l’università che volevo, possibile che non riesci a metterti nei miei panni?”
“Io ci provo, Nate, ci provo davvero. Ma per quanto mi sforzi non capisco perché non me ne hai parlato prima, avrei potuto valutare se…”
Lui mi interruppe, secco. “Hai sempre detto di voler fare il college a Boston o nei dintorni, non volevo che le mie scelte ti condizionassero.”
Misi il broncio, coi miei soliti modi da bambina viziata e Nate alzò gli occhi al cielo, preoccupato per qualcosa che non potevo ancora capire.
“Dai, non fare così,” borbottò. “Non ti ho detto ancora tutto, Dee. Se sei già arrabbiata adesso, immagino quanto bene prenderai il resto.”
Sbiancai. “Il resto?”
Lui sospirò. “Seguirò… Ci sono dei pre-corsi per studenti meritevoli, a cui sono stato accettato. I miei crediti sono sufficienti anche senza finire gli esami, e contando la borsa di studio per lo sport posso…”
“Cosa vuol dire dei pre-corsi? Senza… senza finire gli esami?”
“Iniziano tra un mese e durano qualche settimana, dopodiché mi sono iscritto a un camping estivo di football.”
Aveva parlato tutto d’un fiato, come per liberarsi di un peso, così io ci misi un paio di secondi a capire ciò che aveva appena detto. Quando compresi, rimasi letteralmente a bocca aperta.
“Andrai via prima che finisca la scuola?”
Lui annuì in silenzio.
“Puoi farlo?”
Fece di nuovo un cenno con la testa. “Devo sistemare un paio di cose burocratiche, ma sì, posso.”
A quel punto mi alzai senza dire una parola, decisa ad andarmene da lì.
“Delia…” tentò di fermarmi senza troppa convinzione.
“Lasciami andare,” mormorai. “Davvero, è meglio così. Sono così incazzata che se parlassi adesso direi cose di cui potrei pentirmi. Non mi hai mai vista così, Nate, dico sul serio. Ci sentiamo.”
Lui seguì il mio consiglio e mi guardò uscire dalla stanza con aria preoccupata.

Un paio di giorni dopo io e Nate ci eravamo già riappacificati, ma il peso sul mio stomaco restava consistente. Non avevamo ancora davvero parlato del futuro, di quello che intendevamo fare, ed a quel punto nemmeno io, per la verità, ero sicura di voler intraprendere una relazione a distanza, tuttavia ero troppo legata a lui per decidere diversamente in quel momento. Neanche lui era così sicuro del nostro rapporto, lo potevo sentire dal modo in cui passammo le ultime settimane insieme.
Il secondo martedì di maggio Nathan doveva partire, ma aveva promesso che sarebbe tornato in meno di un mese, per partecipare al Prom e alla cerimonia del diploma. Sarebbe stata la prima prova per una relazione a distanza.
Lo accompagnai in aeroporto e ci lasciammo con un mucchio di baci, promesse sussurrate e qualche lacrima che però trattenni il più possibile. Tornai a casa e telefonai ad Audrey per sfogarmi e, grazie alle sue parole rassicuranti, un po’ mi consolai.
La tranquillità durò poco. All’inizio io e Nate tentavamo di sentirci tutti i giorni, di darci il buongiorno e la buonanotte e di fare una videochiamata su Skype quando potevamo. Ma man mano che i suoi impegni aumentavano a causa degli allenamenti e delle partite la situazione si fece più difficile e sentii chiaramente che ci stavamo allontanando, anche solo nel giro di un mese. Erano dettagli, piccole cose: una chiamata della sera mancata a causa di un’uscita con gli amici, una telefonata più frettolosa e meno calda delle precedenti, nessun racconto di ciò che gli era successo durante la giornata… Eppure erano dettagli che percepivo.
Non posso dire che sia stata solo colpa sua, avevamo cominciato ad allontanarci già da prima che partisse, forse anche da prima che mi dicesse la scelta che aveva fatto per il college. Se non fosse stato così, un mese non sarebbe mai bastato a dividerci, credo.
Ad ogni modo, quando mi telefonò per dirmi che, nonostante avesse già preso il biglietto aereo, non sarebbe tornato per il Prom come aveva promesso, mi stupii solo fino a un certo punto: era come se la cosa fosse già nell’aria da un bel po’.
Mi arrabbiai comunque. Mancavano solo due giorni al ballo e il mio ragazzo mi stava tirando il bidone via telefono, senza nemmeno darmi una spiegazione che non fosse “ho troppe cose da fare qui”. Quindi mi arrabbiai e litigammo, e una delle cose che mi disse mi rimase impressa più delle altre e mi colpì dritta al cuore.
“Non so nemmeno se sei innamorata di me!”
Boccheggiai, offesa. “Ma cosa diavolo vuol dire, Nate, stiamo insieme da mesi ormai, e fai come se non ti avessi mai dimostrato che…”
“Delia, me l’hai detto due volte in sette mesi, ed eri mezza ubriaca entrambe le volte!” esplose lui, la voce tremante.
“Io non… Non è vero,” ribattei, colpita, cercando di riflettere su ciò che mi aveva rinfacciato per dimostrare in qualche modo il contrario.
“Sì, invece. Lasciamo perdere, è meglio. Devo andare.”
“Nathan…”
Cercai di fermarlo ma aveva già riagganciato il telefono. Aspettai che le lacrime mi riempissero gli occhi, ma non arrivarono mai, non perché non fossi distrutta, ma perché ero talmente sconvolta da quello che mi aveva detto che non riuscivo a pensare ad altro. E non riuscivo a trovare un modo per negarlo: ero convinta di aver sempre dimostrato a Nate il mio amore, ma non gliel’avevo quasi mai detto a parole, e questo per lui aveva pesato.
Ci risentimmo il giorno successivo per decidere che non era il caso di continuare in quel modo. Gli dissi che mi mancava e lui rispose che gli mancavo anch’io, ma sapevamo entrambi che non saremmo durati un altro mese separati e che non eravamo pronti per vivere una relazione a distanza.  Così mi trovai a ridosso del Prom senza accompagnatore e, soprattutto, senza fidanzato.
Andai a scuola il giorno successivo con una faccia che da sola spiegava il mio stato d’animo. Jude e Audrey mi coccolarono tutto il tempo, ma quando dissi loro che avevo dei dubbi riguardo l’andare o meno al ballo cominciarono a bombardarmi di motivi per cui dovevo assolutamente andare. Dissi che ci avrei pensato, ma la mattina dopo non avevo ancora deciso cosa fare.
“È l’ultimo ballo del liceo, Dee, devi venire! Ti ricordi quanto ci siamo divertiti da Senior al ballo d’inverno?”
Sbuffai. Eravamo in mensa e Audrey, che aveva preso molto a cuore la faccenda, continuava a torturarmi per convincermi a non rinunciare al Prom, previsto per quella sera stessa.
“Tu hai un accompagnatore, Aud, io mi sono lasciata da meno di quarantotto ore col mio ragazzo. Posso prendermi una tregua dalle feste pure io, ogni tanto.”
“Ma è l’ultima e… Non voglio che tu rimanga a casa da sola, dai! Se è l’accompagnatore il problema vedrai che qualcuno lo troveremo. Anche Jude era rimasta sola, ma Josh ha scaricato quella poveretta della Montgomery per andare con lei, alla fine.”
“Posso andare anche da sola…” tentai, già conoscendo la sua risposta.
“No, non esiste,” risolse infatti la mia amica, sventolando la mano come a scacciare una mosca. “Sennò poi te la svigni appena noi siamo distratti. Invece devi venire al party post ballo a casa di Matt, sarà la cosa più divertente.”
“I suoi genitori sono via, alla fine?” chiesi, per cambiare argomento e provare a distrarre Audrey dal proposito di trovarmi qualcuno per il ballo.
“Sì, i ragazzi hanno già organizzato quasi tutto” rispose lei, sovrappensiero. “Vediamo, non dev’essere un vero appuntamento, non sei ancora pronta. Più tipo un ripiego…”
“Se poi mi lasci in pace ti prometto che chiedo a Dave appena lo vedo.”
Aud mi lanciò uno sguardo che non riuscii a leggere. “Dave non può,” disse solo, prima di sbattere una mano sul tavolo della mensa facendo girare un paio di persone lì di fianco. “Matt!” esclamò all’improvviso, facendomi sobbalzare.
“Matt cosa? Perché Dave non può?” chiesi, con l’impressione di essermi persa qualcosa. “Vanno insieme?”
“Ma no, scema. Matt può venire con te, non ha invitato nessuno, anche perché pensava di liberarsi presto per andare a sistemare delle cose per la festa.”
“Piuttosto che andare con Matt vado con Thomas Petrovic,” ribattei d’istinto.
“Non dire cavolate.”
“Okay, ho esagerato. Piuttosto che andare al ballo con Matt vado con quel tipo del secondo anno coi capelli sempre unti, quello che si dice abbia una svastica tatuata sul petto. Piuttosto che andare con Patterson mi tatuo io stessa una svastica.”
“È sempre bello sentirti dichiarare ai quattro venti il tuo amore per me, novellina,” esclamò una voce ironica alle mie spalle.
Poggiai la fronte sul tavolo, depressa. “Perfetto.”
Matt, Jude e Josh si sedettero al nostro tavolo coi vassoi del pranzo e, appena alzai la testa, Patterson, che evidentemente aveva sentito almeno parte delle mie parole, mi indirizzò un fintissimo sorriso a trentadue denti che evitai di ricambiare.
“Dove dovresti andare con Matt?” domandò Josh, incuriosito, dimostrando che almeno lui non aveva origliato il discorso per intero.
“Da nessuna parte,” risposi secca, ma sapevo che la questione non sarebbe caduta lì: Audrey si era messa in testa qualcosa e non l’avrei smossa così facilmente.
Infatti parlò subito dopo di me. “A Delia servirebbe qualcuno per il ballo.”
“Non è vero,” tentai di intervenire, ma senza convinzione.
Josh scrollò le spalle, come se fosse una cosa da niente. “Beh, sono sicuro che qualcuno di libero c’è. Nessuno sano di mente rifiuterebbe di andare al Prom con Delia.”
Sapevo che Josh l’aveva detto di proposito per tirarmi su, quindi lo ringraziai con un sorriso.
Audrey scosse la testa. “Non è pronta per un appuntamento.”
“Sono qui di fianco a te, Aud.”
Lei mi ignorò e continuò a parlare come se non fossi presente. “Ci vuole qualcuno che venga con lei, così nessuno noterà che non ha un accompagnatore, e così non tenterà di sfuggirci alla prima occasione.”
“Quindi Matt?” si informò Josh.
“Matt è la prima scelta perché è solo,” spiegò Audrey.
“Matt è l’ultima opzione perché lo odio,” la corressi io, quasi ringhiando.
“Sono qui anch’io, grazie,” si fece notare il diretto interessato, con un cenno della mano e un mezzo sorriso esasperato.
Audrey gli rivolse il suo miglior sorriso, spostando gli occhi un paio di volte da me a Patterson. “Ma tu non lasceresti mai sola una tua amica in un momento di difficoltà, vero?” gli chiese melliflua.
Matt mise su la tipica espressione di chi non sa come uscire da una situazione scomoda, aggrottò le sopracciglia e, con l’aria di essere vagamente perplesso, aprì la bocca per parlare, ma a quel punto avevo già deciso che era il caso di intervenire per fermare quella carneficina.
“È una cosa che non sta né in cielo né in terra,” dissi a voce alta, per farmi notare. “Non andrò al ballo con Patterson, questione chiusa.”
Aud non demorse subito. “Ma non è un vero…”
La interruppi seccamente, alzandomi da tavola. “Ho detto questione chiusa, Audrey. Sono stufa di queste puttanate, scusa.”
Me ne andai senza attendere la sua risposta e senza guardare negli occhi nessuno, anche se sentivo gli sguardi di tutti piantati sulla mia schiena.
Quando, pochi minuti dopo, uscii dal cubicolo del bagno, trovai Jude che mi aspettava poggiata ai lavandini con le braccia incrociate e un’espressione risoluta sul volto.
“Senti, non…” cominciai, decisa ad allontanarla, ma lei non mi lasciò continuare.
“Cerca di non fare la stronza anche con me, che non attacca,” mi stoppò, senza muoversi. “Ascolta, Dee. Capisco che Audrey abbia esagerato e capisco che in questo momento l’ultima cosa che hai voglia di fare sia andare al ballo con Matt, ma non puoi prendertela così, quando cercavamo solo di aiutarti.”
Scossi la testa e finii di lavarmi le mani, per poi appoggiarmi al lavabo, accanto a lei. “Non ce l’ho con nessuno, sono solo nervosa ultimamente. Le chiederò scusa.”
“Lo so, non ti ho seguita per farti la ramanzina, ma per chiederti di venirci incontro.”
Gemetti, passandomi la mano ancora umida tra i capelli. “Non posso semplicemente venire al ballo per conto mio?”
“Vieni con me e Josh, così non sei costretta a trovare qualcun altro e Audrey sarà comunque contenta perché non sei sola. Che ne dici?”
Tentennai, ma dovevo ammettere che quella di Jude non sembrava una cattiva idea. “Non voglio rovinare la serata a te e Josh…”
“Non dire scemenze. Non è come se fosse un appuntamento.”
“Ma se Josh ha scaricato la Montgomery per venire con te!”
Lei arrossì leggermente, colta in fallo. “Non è andata proprio così, ma… E comunque non sapevo che l’avrebbe fatto, di certo non gliel’ho chiesto io.”
“Quel ragazzo farebbe qualsiasi cosa per te, Judes.”
Scrollò le spalle. “Resta il fatto che siamo amici, quindi non abbiamo un vero appuntamento. Puoi unirti a noi oppure dare retta a Audrey e andare al ballo con Matt.”
Sospirai, arrendendomi. “Se non vi dispiace, allora…”
Jude mi diede una leggera spallata. “Ci divertiremo, vedrai.”

Alla fine andare al ballo si rivelò la scelta giusta: mi divertii e riuscii per qualche ora a non pensare a Nate, cosa che avrei senz’altro fatto se fossi rimasta a casa da sola a rimuginare. Così fui costretta ad ammettere il mio errore, mi scusai con Audrey e ballai con lei facendo un po’ le sceme, e passai buona parte del tempo rimanente a commentare con Jude i look dei nostri compagni di scuola, ridendo del suo umorismo sarcastico e pungente.
Anche Patterson passò, rimase circa un’ora prima di andare a casa a sistemare il necessario per il party, chiacchierò con Josh, e danzò con una ragazzina del primo anno che era riuscita a tirare fuori il coraggio per chiedergli di ballare e che lo guardava come se fosse il suo sogno divenuto realtà. Lo prendemmo scherzosamente  in giro per il modo in cui si era imbarazzato alla richiesta della ragazza, ma, anche se non lo avrei ammesso nemmeno sotto tortura, trovai carino il fatto che non se la fosse tirata troppo e avesse accettato di ballare con lei. Conoscevo ben poche persone della nostra età che avrebbero fatto altrettanto e rimasi stupita della reazione di Matt, ma dovetti convenire che, forse, in quell’anno fosse maturato ancora e io non me ne fossi accorta, dal momento che quasi non ci parlavamo.
Mi stavo divertendo, quindi, e avevo promesso ad Audrey che, dopo, sarei andata anche alla famosa festa a casa di Patterson, dove avremmo concluso la serata con la maggior parte delle persone del nostro anno. Mi ritrovavo a stare da sola al massimo per una manciata di minuti alla volta, che di solito coincidevano coi momenti in cui mi allontanavo dai miei amici per andare a prendere il punch.
In uno di quei momenti, appunto, mi stavo versando la bibita nel bicchiere quando qualcuno mi parlò.
“Quei due stanno assieme?” sentii una voce domandare alle mie spalle.
Mi voltai e vidi Jeremy, il ragazzo con cui usciva Audrey. All’epoca ci sembrava essere una persona decente, ma poi, nemmeno a dirlo, nel giro di qualche settimana si rivelò un completo stronzo, di quelli per cui Aud aveva un radar formidabile.
Seguii il suo sguardo con il mio e trovai Josh e Jude che ballavano in un angolo.
Mi scappò un sorriso. “No, no, sono amici,” risposi, abituata a quel tipo di domande.
Jeremy non sembrava troppo convinto. “È strano, non sono l’unico a scuola a essere convinto che siano una coppia.”
Li guardai con più attenzione: Josh la teneva stretta, tanto che Jude era stata forzata a mettere le braccia dietro il collo di lui, erano vicinissimi, ma si guardavano negli occhi senza imbarazzo, con una sintonia e un’intesa che erano difficili da trovare nelle altre coppie che danzavano attorno a loro. Lui disse qualcosa facendo una piccola smorfia e Jude gli tirò uno scappellotto sulla nuca, ma ridevano entrambi. A quel punto Josh si abbassò per darle un bacio su una guancia, ma le sue labbra atterrarono talmente vicino all’angolo della bocca di lei da essere fraintendibili per chiunque, poi si abbassò ancora e le sussurrò qualcosa all’orecchio, facendole poggiare la testa sulla propria spalla.
“Sei sicura?” chiese ancora Jeremy, al mio fianco.
Josh e Jude continuavano a ballare come se non ci fosse nessuno intorno a loro. Tentennai: se non avessi saputo con certezza che quei due erano amici, anch’io dal loro ballo avrei dedotto che fossero una coppietta amoreggiante. Avevo pensato sin dall’inizio che Josh avesse un debole per Jude, era così dolce e protettivo solo con lei, eppure man mano che li frequentavo mi ero resa conto che il loro modo di relazionarsi fosse proprio quello, e che loro due non ci trovassero niente di strano.
Scrollai le spalle, annuendo appena, e Jeremy si fece bastare la mia risposta e versò del punch per se stesso e per Audrey, dopodiché tornammo insieme al punto dove ci eravamo sistemati da inizio serata. Quando arrivammo Aud stava rientrando e rimettendo il telefono nella propria borsetta appoggiata su di una sedia.
“Con chi parlavi?” domandai io, curiosa come sempre.
“Dave,” mi informò la mia amica. “Ha detto che da Matt hanno sistemato tutto e che possiamo andare quando ci va. Pensa che Stevenson, Hart e altre persone sono già là, hanno portato la spina della birra e si sono piazzati in giardino.”
“Mh,” risposi pensierosa. Poi, siccome non riuscivo a togliermi quel pensiero dalla testa, sputai fuori la questione che mi attanagliava da quella mattina. “Sai perché David non è venuto al Prom?”
“Sì, lo so,” confermò Audrey, quasi sulle spine.
La sua risposta mi insospettì ancora di più. “Non dirmi che è perché doveva mettere a posto la casa di Patterson, perché bastava che andassimo via tutti un po’ prima dal ballo per farlo in pochi minuti. Nessuno ha voluto spiegarmi cosa sta succedendo e sinceramente la cosa sta diventando seccante, quindi se non vuoi parlare nemmeno tu…”
“No, non è così.” Aud si guardò in giro, come per verificare che nessuno ci stesse ascoltando: siccome anche Jeremy si era allontanato per chiacchierare con un suo amico, alla fine continuò. “Non è che non voglio dirtelo, Dee, e non è nemmeno vero che Dave ti sta nascondendo qualcosa. Credo solo che non abbia ancora trovato il tempo di parlartene.”
“Di cosa?”
Lei sospirò, ma cedette. “Ha conosciuto un ragazzo e si frequentano. L’ha invitato al ballo, ma lui preferiva non venire, anche perché credo sia più grande di noi di un paio d’anni e… Insomma, lo vedremo alla festa più tardi, per quella ha detto di sì.”
Spalancai gli occhi, sorpresa. “Dave sta… Sta con uno?”
“Più o meno. Non so molto, ma è una cosa nuova, comunque.”
“Da quanto tempo?”
“Due, forse tre settimane. L’ha incontrato in un locale a Boston e…” Si fermò e, vedendo la mia faccia confusa, capì che ero ferita, così si precipitò a spiegare il resto. “Te l’avrebbe detto lui stasera, Delia, per questo non te ne ho parlato prima, non volevo intromettermi.”
“Lo sapevate tutti?”
“No, no… Credo l’abbia accennato solo a me ed a Matt. E non so se anche a Josh, ma…”
“Se lo sa Josh lo sa anche Jude, quindi sì, lo sapevate tutti tranne me,” decretai, rattristata.
Io e David parlavamo sempre di qualsiasi cosa, da quando ero arrivata a Winthrop era stata la persona con cui mi ero confidata di più. Possibile che nell’ultimo periodo fossi così presa dai miei drammi personali da non accorgermi che si stesse frequentando con qualcuno? Perché non aveva voluto parlarmene?
Tentai di nascondere i miei pensieri dietro un’espressione noncurante, ma quel tarlo continuò a martellarmi anche quando lasciammo la palestra e ci dirigemmo verso casa di Patterson.

Alla festa c’era ormai diversa gente: in casa si aggirava solo qualche persona isolata, ma in giardino, attorno alla grande piscina, c’era già un miscuglio di ragazzi e ragazze della nostra scuola. In teoria doveva essere un party aperto a quelli del nostro anno, i diplomandi, in pratica, mentre la serata procedeva, vedevo sempre più gente che non avrebbe dovuto essere lì. Qualcuno era vestito come al ballo, io, ad esempio, avevo tenuto il mio abito bordeaux corto, altri si erano portati il costume per fare un salto in piscina, altri ancora volevano buttarsi ma, essendo sprovvisti del necessario, facevano il bagno con gli abiti da cerimonia o direttamente in mutande. Era un delirio.
La prima volta che parlai con David riuscii a fare finta di niente e mi limitai a qualche convenevole. Più tardi lo vidi parlare con la faccia a due centimetri di distanza da quella di un ragazzo moro e alto circa come lui, e intuii che fosse il tipo di cui mi aveva parlato Audrey. Non riuscii a fermarmi e mi avvicinai a loro.
“Allora, ragazzi, com’è andato il pre-party qui?” esordii, porgendo loro un bicchiere a testa con della birra che ero appena andata a spinare.
Dave sembrò in imbarazzo e pensai se lo meritasse. “Bene, noi… Abbiamo più che altro preparato l’impianto stereo e fatto sparire alcune cose che non potevano essere toccate. Anche perché i genitori di Matt non hanno idea che ci sia una festa qui.” Esitò, prima di continuare. “E il Prom, invece? Sei stupenda stasera, Deels, davvero.”
Sbuffai. Di solito i complimenti di Dave mi mettevano di buon umore, ma quella sera non ero in vena.
Fu l’altro ragazzo a intervenire, invece. “Deels? Sei tu Delia?”
Feci sì con la testa e abbozzai un sorriso girandomi verso di lui, che mi porse la mano.
“Tyler, piacere. David mi ha parlato di te.”
Il mio sorriso di accentuò, ma diventò più tagliente mentre mi voltavo a guardare il mio amico. “È buffo, perché a me invece non ha detto proprio nulla di te. Vero, Davie?”
Lui assottigliò gli occhi e capii che voleva suggerirmi di non fare scenate, ma ormai ero partita.
“Da quant’è che vi conoscete, qualche settimana? Ho solo notizie di seconda mano, sai, non sapevo praticamente nulla fino a poco fa.”
“Delia…”
“Dimmi, Dave.”
Lui mi prese per un braccio, si scusò con Tyler e, per limitare i danni, mi portò in cucina, dove c’erano solo un paio di altre persone.
“Ti sembra il caso?” ringhiò, esasperato.
Arrivata a quel punto e con un paio di birre in corpo, non potevo più trattenermi. “Perché non mi hai detto niente?”
“Volevo parlartene, Delia, davvero. Ma ero così felice e tu eri così triste per Nate, che mi sembrava di farti un torto, negli ultimi giorni sei stata sempre peggio.”
“Quindi adesso sarebbe colpa mia?”
“Non ho detto questo, è che…”
Lo interruppi. “Io e Nate ci siamo lasciati tre giorni fa, già prima avevi tutto il tempo per parlare. Non hai voluto.”
“Non eri molto ricettiva nemmeno prima,” sbottò allora lui, cominciando ad innervosirsi per il mio continuo attaccare.
Alzai la voce di qualche tono. “Lo vedi che dai la colpa a me? Sono l’ultima a sapere le cose e devo anche sentirmi additata perché non sono stata ricettiva!”
“Delia, io ho provato a parlartene ancora due settimane fa. Ti ho detto che ero stato a Boston in un club, ricordi? L’Exspace.”
“Non… non ricordo che tu me l’abbia detto,” balbettai, sulla difensiva. “Forse ti sbagli tu.”
“No, me lo ricordo bene, te l’ho accennato ma tu non riuscivi ad ascoltarmi, quindi ho rimandato e rimandato. È stato un mio errore, lo so, ma da quando hai cominciato ad avere problemi con Nate sei stata completamente assente.”
“Va bene, sono io! Sono un’amica di merda! Penso solo ai miei problemi!” urlai, indietreggiando.
Dave aggrottò le sopracciglia mentre tentava di avvicinarsi a me. “Non fare così, adesso. Non ho detto questo, volevo solo…”
Spostai il braccio quando me lo sfiorò. “Lasciami in pace,” mormorai con la voce rotta, prima di allontanarmi definitivamente.
Scappai da lì con il cuore che faceva male. Le lacrime premevano forte per uscire, ma le ricacciai indietro deglutendo: non ero una persona che piangeva spesso e, soprattutto, non volevo farlo in pubblico, davanti a metà della nostra scuola.
Dovevo cercare un luogo dove stare in pace, perché tutto quello che fino a quel momento avevo cercato di trattenere, tutta la tristezza, la rabbia, la frustrazione, tutto l’orgoglio ferito, tutte queste cose ora traboccavano dal mio petto, come se fosse impossibile contenerle, sperare di fare ancora finta di nulla.
Quella mattina ero sbottata contro Audrey che stava cercando di aiutarmi e ora avevo pure litigato con David, nonostante sapessi perfettamente che lui non c’entrava nulla col mio stato d’animo. Ma mi sentivo tradita anche da lui, mi sentivo messa da parte, mi sentivo sola come poche volte mi era successo in vita; era una sensazione di quelle che ti si infilano sotto pelle, che non puoi scrollarti di dosso con facilità, e anche se adesso, col senno di poi, posso dire di non essere mai stata davvero sola, in quel momento non riuscivo a ragionare in modo oggettivo.
Superai alcune persone che giocavano a birra pong su un lato del giardino e, istintivamente, aprii la porta della dependance e mi ci infilai dentro, sperando di non trovarvi nessuno. Per fortuna le mie preghiere vennero esaudite: la stanza, che comprendeva una piccola cucina e un’area salotto con una televisione di fronte a un tavolino, un divano e una poltrona, era vuota e in penombra, e non sembrava provenire alcun rumore nemmeno dalle due porte chiuse che si affacciavano sul salone. Era evidente che le persone avevano preferito riversarsi nella villa principale e in cortile, magari pensando che la dependance fosse chiusa.
Sapevo che Patterson viveva lì da almeno un anno a quella parte, ma non ci ero mai entrata. Non ero molto in vena di curiosare in giro, né mi interessava farlo, per la verità, perciò in due passi raggiunsi il divano e mi ci buttai sopra e, appena mi rilassai, le lacrime che avevo trattenuto per tanto tempo fecero capolino.
Erano passati solo pochi minuti dal mio arrivo quando sentii un rumore alle mie spalle e, guardando sopra lo schienale del divano, vidi Patterson che usciva da una delle porte infilandosi una maglietta. Senza volerlo, emisi uno sbuffo di lamentela che lo fece sussultare appena, prima di voltarsi e vedermi. Restammo in silenzio per qualche secondo, poi io tirai su col naso e gli feci la domanda che entrambi avevamo in testa.
“Cosa ci fai tu qui?”
Matt indicò la porta da cui era appena uscito. “Quella è la mia camera, io ci vivo qui. Casomai dovrei chiedere cosa ci fai tu qui.”
Aprii la bocca per rispondere e la richiusi, a corto di parole, finché un pensiero mi balenò in testa, improvviso. “Oh mio dio, ti ho disturbato mentre facevi…?”
Lui inarcò le sopracciglia, invitandomi a continuare.
“Stai… Sei con qualcuno lì dentro?” pigolai, indicando la porta con il mento.
Patterson sorrise, criptico. “Sarebbe imbarazzante, vero?”
Gemetti e mi tirai in piedi alla velocità della luce, pronta a sparire, ma Matt mi fermò prima che facessi un passo.
“Ma no, sta’ ferma. Sono venuto a cambiarmi, Josh mi ha lanciato in piscina poco fa.”
Sospirai, sollevata, e mi ributtai sul divano senza farmi ripetere l’invito a rimanere. In effetti, quando Matt fece il giro del divano e si fermò circa davanti a me, notai che non indossava più l’abito del ballo, ma dei pantaloncini e una maglietta blu, e che i suoi capelli erano umidi. Lui, nel frattempo, se ne stava fermo di fronte al divano e occhieggiava nella mia direzione indeciso sul da farsi: pensai che avesse intuito il motivo della mia fuga e che non sapesse se lasciarmi sola o meno.
Una lacrima che fino a quel momento era rimasta impigliata sulle mia ciglia si decise a cadere e rotolò sul lato della mia guancia. La asciugai con la mano, imbarazzata, ma Patterson finse di non vederla, anche se quella fu probabilmente la motivazione che lo spinse a fare qualche passo incerto e sedersi sulla poltrona che faceva angolo col divano sul quale ero posizionata io. Non disse niente e io, nonostante la situazione, sentii come al solito l’urgenza di parlare per riempire quel silenzio così poco adatto a me.
“Perché quando sono sola e depressa spunti sempre tu?”
Matt sorrise e scrollò le spalle. “Giuro che stavolta non sono venuto a cercarti.”
“Stavolta?” domandai, ma lui non si scompose di un millimetro.
“Vuoi che vada a chiamarti qualcuno?” chiese invece, titubante. “Audrey? Dave?”
“No, no, ti prego,” dissi di fretta. “Non… non disturbare nessuno. Non volevo disturbare neanche te, in realtà, quindi non serve che stai qui, la festa è bella e immagino che avrai voglia di divertirti insieme a tutti gli altri piuttosto che rimanere con l’unica persona che odi, solo per pena. Sei gentile, ma non serve. Tra l’altro è casa tua ed è pieno di persone di là, è pieno di belle ragazze, c’è la piscina, c’è l’alcol, è casa tua, dovresti più che altro controllare che vada tutto bene… Non devi stare qui.”
Lui rimase in silenzio un paio di secondi al termine della mia tirata, come per essere certo che avessi finito di parlare. “Cos’è successo?”
“Come se non lo sapessi,” ribattei, risentita.
“Non ti ho chiesto cos’è successo nella tua vita, non sono la persona adatta da farti da padre confessore. È successo qualcosa adesso, vero?”
Mi guardai le mani con interesse. “Ho litigato con Dave.”
Lui annuì, come se si aspettasse una risposta del genere, ma non fece le altre domande che sembravano scontate; invece, si alzò dalla poltrona e andò verso la cucina ad angolo che occupava una piccola parte della stanza. Quando tornò aveva in mano una bottiglia di tequila e un paio di bicchierini da shot.
Cercai di ribellarmi debolmente. “Non tutto si risolve con l’alcol, principino.”
“Alla festa post ballo del liceo sì.”
Appoggiò sul tavolino i bicchieri e li riempì, poi sembrò ricordarsi di qualcosa e tornò verso la cucina. Mi girai e lo guardai trafficare per un po’ senza capire cosa stesse combinando e, quando si riavvicinò a me, notai che aveva un piattino in mano.
“Tequila sale e limone?” domandai incerta, vedendone il contenuto. “Non l’ho mai bevuta così.”
“Allora devi,” disse lui, spingendo il bicchierino verso di me.
Si inumidì con la lingua la pelle tra il pollice e l’indice della mano destra e io lo imitai, per fare in modo che il sale si attaccasse meglio, poi presi la fetta di limone e la tequila.
“Pronta?” mi chiese Matt, che poi, notando la mia esitazione, aggiunse: “prima il sale, poi bevi, e poi metti subito in bocca il limone.”
“Perché subito?”
“Perché ti salva la vita,” rispose con un mezzo sorriso, prima di sporgersi per far tintinnare il bicchiere sul mio.
“Non c’è molto da brindare,” commentai amara.
“Come no? È finito il liceo! A quanto dicono, abbiamo superato la parte più difficile.”
Arricciai il naso in una smorfia, ma mi scappò un sorrisino. “Alla fine del liceo, allora,” confermai, alzando il bicchierino.
Leccai il sale dalla mia mano, buttai giù la tequila tutta d’un fiato e, infine, prima ancora di sentirla bruciare nel mio stomaco, mi infilai il limone in bocca, strizzando forte gli occhi. Senza rendermene conto cominciai a mugugnare e feci un paio di colpi di tosse sputacchiando la fetta di limone, che mi cadde sulle gambe incrociate.
“Che cazzo,” brontolai, pulendomi la bocca con il retro della mano senza troppa finezza. “Ogni volta che bevo la tequila mi dimentico che la volta precedente avevo detto che non l’avrei più bevuta.”
Matt ridacchiò. “Non ti è piaciuta?”
“Stai scherzando?” esclamai, rimettendo in bocca il mio limone per finire di mangiarlo, buccia compresa. “La adoro. Il limone ti salva davvero la vita.”
Feci scivolare il mio bicchierino sul tavolo nella direzione di Patterson, che mi guardò stupito e un po’ ammirato, ma non disse niente, me lo riempì e me lo porse di nuovo, prima di versare la tequila anche a se stesso.
“Alla fine del liceo e alla fine della mia prima relazione decente,” dissi, alzando lo shot.
Matt si limitò ad assecondarmi.

Facemmo diversi altri brindisi quella sera, io e Patterson: alla mia prima litigata con David, alle feste in piscina piene di ragazze in bikini, alla professoressa di matematica che aveva un debole per lui, a Monty, il modellino di scheletro del laboratorio di biologia, alla ragazzina coraggiosa del Prom, alle lezioni di danza per il ballo delle debuttanti.
Matt mi permise di proporre la maggior parte di quelle dediche, divertito dal fatto che diventassi sempre più fantasiosa a ogni bicchiere riempito e successivamente svuotato, ma l’ultima la decise lui, poco dopo essersi alzato e aver riposto la bottiglia mezza vuota su un mobiletto in alto, difficile per me da raggiungere.
“Mi nascondi la tequila?” chiesi, cercando di fare una faccia da cucciolo abbandonato.
“Direi che siamo a posto così,” spiegò, deciso, buttandosi a sedere, stavolta, accanto a me sul divano.
“Sei una femminuccia, Patterson.”
“Oh, credimi, lo faccio per te, stellina.”
“Perfetto, non sei neanche capace di approfittarti di una ragazza,” risposi a tono, sbeffeggiandolo. “E non chiamarmi stellina.”
“Dai, ultimo brindisi,” propose lui, porgendomi il mio bicchiere per poi allungarsi a prendere il proprio.
“Quando l’hai versata questa?” domandai, confusa.
Matt rise e io capitolai, come da manuale.
“Non ridere,” lo pregai, gli occhi quasi sbarrati.
“Sei divertente, Gray, non ti ho mai vista così.”
Non ascoltai nemmeno quello che stava dicendo. “Quando ridi fai quella cosa con la faccia, con… È meglio se non ridi. Per favore.”
Ora era decisamente lui ad essere confuso. “Quale cosa?”
“Quella cosa,” ripetei, ancora abbastanza in me da auto intimarmi di non continuare quel discorso. “A cosa brindiamo?”
Matt alzò il bicchiere verso il mio. “A noi due, che abbiamo ricominciato a parlare.”
“Solo perché ti stai approfittando del fatto che sono triste e sola,” mugugnai un secondo prima di bere.
Lui mi seguì a ruota e poi rispose. “Ma se hai appena detto che non sono capace di approfittarmene.”
“Mi hai ubriacata tu, eh,” gli feci notare, totalmente a sproposito.
“Sei bella che ubriaca, sì,” commentò lui, ridacchiando. “E non dire che adesso sono responsabile di te, che non sono messo benissimo neppure io.”
Il mio cervello era piuttosto inceppato. “Hai detto che sono bella da ubriaca?” biascicai, perplessa.
“Ho detto che sei bella che ubriaca,” specificò Matt.
“Comunque hai detto bella,” ripetei, ridendo come una scema.
Lui scrollò le spalle, arrendendosi. “Come vuoi.”
Cercai di alzarmi, appoggiandomi con le mani al divano, e Patterson mi porse il braccio per aiutarmi. Lo ringraziai confusamente, mi lisciai le pieghe del vestito e mi diressi verso la porta a vetri della dependance. La vetrata era per più di metà coperta da una tenda azzurro chiaro, ma si vedeva comunque che il party era ancora vivace e pieno di gente.
“Io vado a dare un’occhiata intorno alla piscina prima che la festa finisca, magari trovo qualcun altro che mi dice che sono bella. Senza… senza la parte sull’ubriaca.”
Matt rise e mi accorsi che si era alzato anche lui ed era di fianco a me.
“Non ridere, ho detto,” gli ordinai di nuovo, puntandogli un dito sul petto.
Lui alzò le mani, tornando fintamente serio, dopodiché mi aprì la porta e mi poggiò leggera una mano alla base della schiena per spingermi a uscire, prima di seguirmi. Non appena fui fuori, in mezzo alla gente, mi ritrovai inconsciamente e stupidamente a sperare che la mano di Matt restasse dov’era ancora per un po’, ma lui si scostò e mi rivolse un mezzo sorriso incerto.
“Divertiti, la serata è ancora lunga,” mi consigliò, mettendosi le mani in tasca.
“Certo. Ci si becca in giro.”
Annuì. “Cerca di non fare troppe stupidaggini, novellina.”

Non mi servì bere ancora per fare stupidaggini, la tequila fece il suo dovere per bene. Un’ora dopo stavo flirtando con un ragazzo per cui non avevo alcun interesse e, ancora un po’ più tardi, stavo baciando qualcuno nella cucina della casa principale.
Ero confusa, la testa mi girava abbastanza, tenevo gli occhi chiusi e mi concentravo su quel bacio disordinato e morbido e strano, così strano.
Conoscevo la persona che stavo baciando, ne riconoscevo il profumo, mischiato all’odore di alcol, che non era proprio il massimo, ma, cavolo, chi ero io per giudicare? Ero quasi sicuramente più ubriaca di lui. Conoscevo il suo profumo e forse anche il suo sapore… Ci eravamo già baciati?
Dio, avevo così paura di aprire gli occhi, mi piaceva quel bacio, davvero. Non mi preoccupava il fatto di baciare uno sconosciuto da ubriaca, mi preoccupava di più il fatto che potesse essere qualcuno che conoscevo bene. Un’idea raccapricciante mi balenò in testa: e se fosse stato Petrovic? L’avevo sicuramente visto alla festa.
Fu a causa di quel pensiero che, alla fine, mi costrinsi ad alzare un po’ il mento per interrompere il bacio e ad aprire gli occhi. Davanti a me, occhi serrati e labbra ancora socchiuse, c’era Matt.
Okay, era Matt. Richiusi gli occhi, sollevata, ricollegando anche quello strano formicolio alla base del mio stomaco al fatto che davanti a me ci fosse lui, proprio lui, e non qualcun altro. Mi alzai sulle punte dei piedi e lo baciai di nuovo, stringendogli di più le braccia dietro al collo.
Stavo baciando Matt, non Petrovic. Tutto a posto, quindi. No?













Ciao a chi è arrivato fino in fondo! Siete eroici ad aspettarmi, davvero. <3
Se avete altri due minuti di pazienza leggete anche le note, anche se purtroppo ho diverse cose da dire e non posso promettere brevità, conoscendomi.

Innanzitutto il capitolo (di nuovo) non doveva finire così, ma nella mia testa era destinato ad andare avanti almeno fino al giorno successivo alla sera della festa. Poi mi sono accorta che stavo scrivendo troppo, che questo, pur non essendo un papiro, era già il capitolo più lungo che avessi mai scritto finora (in questa storia) e che, se avessi continuato, avrebbe avuto almeno altre 2-3000 parole, forse di più. Non ho voluto restringere né limitare la parte successiva, che è molto importante. Non odiatemi, tutto sarà spiegato. Più o meno.
La cosa positiva è che, siccome non ho scritto il capitolo in ordine cronologico ma a pezzi (spero che non si noti troppo), una parte del capitolo successivo è già pronta, e un'altra parte è in fase di scrittura.
Non sono sicura che mi piaccia ciò che ho scritto. Di sicuro ho amato far parlare di nuovo Matt e Delia, ma è stata dura e spero di non aver fatto errori: nella parte finale dovevano prima riavvicinarsi dopo essersi ignorati per lungo tempo, poi interagire da ubriachi e infine... beh, avete letto. L'ultima parte è stata la più difficile. Non vedevo l'ora di farli parlare, riavvicinare, ma ho fatto una fatica boia.

E ora le note dolenti. Per quanto un pezzo del capitolo successivo sia già scritto (e anche parti ancora più avanti), se continuo a procedere a questa velocità diventiamo tutti vecchi qui. C'è solo una cosa che aiuta in questi casi ed è trovare qualche recensione (positiva, ma anche no) come stimolo per continuare. E credetemi, mi dispiace davvero rompere le palle al riguardo, ma la storia ha più di cinquanta persone che la seguono e una media di meno di due recensioni per capitolo. Forse dovrei dedurre che le persone che l'hanno inserita nei preferiti/seguiti non la guardino davvero, e sto cominciando a pensarlo, in effetti.
Ora, non vi chiedo di commentare ogni capitolo, capisco che non abbiate voglia di farlo, ma vi garantisco che una recensione una tantum può fare miracoli, qui. A questo proposito, ringrazio di cuore, di nuovo, Evelyn 98, che finora ha seguito Matt e Delia con così tanta devozione e riponendo fiducia immeritata nei miei confronti. Mille volte grazie! <3

Solite precisazioni prima di dileguarmi:
- Il titolo del capitolo è schematico come sembra: Love (parte iniziale, Nate) and friendship (parte centrale, Aud, Jude, Josh, Dave) and other things (parte finale, Matt). La fantasia!
- Per chi fosse interessato a Jude e Josh, ricordo, dato che è da un po' che non lo faccio, che questa storia è uno spin-off di Of all the people in the world, che parla proprio di quei due. Click sul titolo se vi interessa, sennò pazienza.
- La battuta in cui Delia chiede a Matt come mai spunti sempre lui quando lei è triste è un vago rimando a un dialogo di BTVS tra Buffy e Spike: "Why are you always around when I'm miserable?" "Cause that's when you're alone, I reckon". Per quanto io abbia amato la risposta di Spike in quel momento, Matt non è ancora pronto a quel tipo di rivelazione, purtroppo. :) 

Mi trovate anche su Wattpad (qualcuno mi ha già trovata, eheh) con lo stesso nome e con le stesse storie. Continuo a pubblicare sempre prima qui, anche perché non capisco molto bene il mondo di Wattpad e i suoi meccanismi.

Chiudo qui, ché stavolta ho davvero esagerato. Vi prego, fatemi sapere cosa ne pensate di qualsiasi cosa vi venga in mente, da ciò che vi è piaciuto a quello che avete odiato, dall'html al mio stile di scrittura. Davvero, ne sarei felice.
Un bacio grande a chi continua a seguirmi! Alla prossima.
  
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