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Autore: Alexa_02    07/06/2017    1 recensioni
Julianne ha tutto ciò che potrebbe mai desiderare, quando guarda la sua vita non c’è una virgola che cambierebbe. È così sicura che ogni cosa andrà nel giusto ordine ed esattamente come se lo aspetta, che quando si sveglia e trova la lettera di addio di sua madre non riesce a capacitarsene.
Qualcosa tra i suoi genitori si è incrinato irrimediabilmente e April ha deciso di scompare dalla vita dei figli e del marito senza lasciare traccia o la benché minima spiegazione.
Abbandonata, sola e ferita Julianne si rifugia in sé stessa, perdendosi. Una spirale scura e pericolosa la inghiotte e niente è più lo stesso. Julianne non è più la stessa.
Quando sua madre si rifà viva, è per stravolgere di nuovo la sua vita e trascinare lei e suo fratello nell'Utah, ad Orem, dalla sua nuova famiglia.Abbandonata la sua casa, suo padre e la sua migliore amica, Julianne è costretta a condividere il tetto con cinque estranei, tra cui l'irriverente e affascinante Aaron. Tra i due, da subito, detona qualcosa di intenso e di forte, che non gli da scampo.
Può l’amore soverchiare ogni cosa?
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Julianne

 

Vendicarsi è spesso come mordere il cane perché lui ti ha morso.
(Austin O’Malley)

 

 

 

Non voglio affrontare la realtà.

Non voglio aprire gli occhi.

La realtà fa schifo.

Resto a cullarmi nella fantasia che quando li aprirò, mi ritroverò magicamente nella mia bellissima, vecchia camera e che non appena aprirò la porta, troverò papà nel suo grembiulino da cuoco intento a bruciare i pancakes. Ma credere in cose impossibili non è nella mia natura, perciò cautamente apro gli occhi, mettendo a fuoco la realtà che mi circonda. Tutte le mie valige e i miei scatoloni sono ancora nella stessa posizione in cui li ho lasciati. Non ho ancora sistemato nulla e non ho intenzione di farlo. Kafka mi dorme stravaccato sul collo, come un calda e pelosa sciarpa nera. Quando mi muovo, brontola infastidito e scivola via dalla gola. Rotolo tra le coperte cercando di riprendere sonno ed evadere da qui, ma prima che Morfeo mi accolga tra le sue braccia, mamma spalanca la porta e zampetta nella stanza.

“Sorgi e splendi, tesoro mio” Zigzaga tra i bagagli e apre le tende con un unico colpo, inondando la stanza di luce “Sono quasi le nove ormai, è ora di alzarsi. È una giornata magnifica”.

Nel linguaggio delle madri sono quasi le nove significa che sono le otto e mezza, infatti quando mi sporgo oltre il materasso per guardare la sveglia, sono le otto e ventisei. Un'irrefrenabile voglia di uccidere mi risale la spina dorsale fino ad arrivare al cervello. È sabato, cazzo.

“Mm mah” grugnisco infilando la testa sotto il cuscino di piume. Dopo la bizzarra e faticosa serata, il mio cervello ha impiegato ore a spegnersi, ho dormito si e no tre ore.

“Julianne...” mamma piroetta nella stanza, osservando il casino impersonale che la circonda “Non hai ancora disfatto i bagagli”. Chiaramente non è una domanda.

La sento trafficare con le scatole e i vestiti, mi tiro su a sedere di scatto “Cosa fai?”.

“Sistemo le tue cose, tesoro”.

“Non farlo”. Metto il broncio.

Si interrompe per osservarmi, stringe le labbra e sospira. Pur essendo in casa porta un abitino di cotone blu e delle décolleté cipria con il tacco. I capelli biondi perfettamente lisci e in piega. Mia madre incarna l'impeccabilità in tutte le sue forme.

Lascia cadere una maglia nello scatolone e si avvicina “È definitivo, Julianne. Per quanto tu possa opporti, la situazione è questa. Resterete qui fino al diploma”.

É la stessa cosa che mi ha detto mio padre ieri sera, ma non significava che io sia d'accordo o che non farò di tutto per tornare a San Diego.

“Nulla è del tutto definitivo”. Non una delle migliori argomentazioni della mia vita, ma a mia discolpa sono a corto di caffeina da troppe ore. La fisso mantenendo il punto e alzando il mento. L'unica risposta che ottengo e un sonoro sospiro di delusione.

“Metti a posto le tue cose” borbotta lasciandomi sola. Direi un inizio di giornata niente male.

 

Rimango a crogiolarmi nell'autocommiserazione altri dieci minuti e poi mi alzo. Mi trascino in camera di mio fratello trainando i vestiti del Musicista Tormentato. Fortunatamente li avevo lanciati dietro ad alcune scatole e mamma non li ha notati, non avrei trovato una scusa per spiegare la situazione. Quando entro nella tana del mostro, il suo letto è rifatto e di lui non c'è traccia. Scaravento la sua divisa sulla scrivania e mi lancio a peso morto su Henry, che dorme sepolto in un mare di cuscini. Con tutta la voce che ho, gli canto nelle orecchie Rise di Katy Perry.

 

“When, when the fire’s at my feet again 
And the vultures all start circling 
They’re whispering, "You’re out of time” 
But still I rise”
 

Mugugna e tenta di tapparsi le orecchie, ma gli blocco le mani contro il materasso. Continuo imperterrita.
 

“This is no mistake, no accident 
When you think the final nail is in 
Think again 
Don’t be surprised
I will still rise”

 

“Okay sono sveglio, smettila!” guaisce dimenandosi “Perché urli?” si stringe la testa.

“Il mio tono di voce è nella norma, fratellino”. Okay, forse sto urlando un pochino, ma in mia difesa si merita di avere mal di testa.

Mi sbuffa in faccia spingendomi via da lui. “Sei fastidiosa”.

“Infastidirti è il mio compito esistenziale”.

“Pensavo fosse proteggermi il tuo compito esistenziale”. Si tira su a sedere ondeggiando.

“Non quando bevi come un cretino e mi spaventi a morte”.

Si comprime le tempie e strizza gli occhi “Mi dispiace, Jules. Ieri sera mi sono lasciato trasportare dal momento e ho perso il controllo”.

“Spero sia un evento isolato, perché per ora il titolo di figlia incasinata e degenere appartiene a me”.

Mi rifila il suo sorrisino sghembo e mi attira tra le braccia, appoggiandomi il mento sulla testa. Lo stringo più forte che posso, perché attaccata a lui resto a galla e non mi perdo nel buco nero che è diventata la mia testa. Mi trascina con sé nel suo nuovo letto e mi racconta i dettagli piccanti del suo incontro con Dylan, il giocatore di lacrosse.

“Wow” È l'unico commento che riesco ad elaborare.

“Lo so. È pazzesco, non so nemmeno io come abbia fatto a lasciarmi andare. Di solito non sono così”.

“Devo dire che l'Henry sciolto e rilassato mi piace parecchio” ridacchio.

“A quanto pare anche a Dylan”.

Ridiamo insieme, sentendoci per una frazione di secondo a casa.

“Quindi ti ha prestato la sua divisa e tu te la sei messa?! E gli hai raccontato informazioni personali di tua spontanea volontà?!” ha gli occhi così spalancati che sembra strafatto. Il racconto di ciò che è successo dopo che lui ha perso i sensi, lo ha scioccato visibilmente. Sembra che abbia rivelato che ho nascosto un cadavere in giardino.

“Tu stavi russando sul sedile posteriore della sua auto, ero appena stata scaraventa in una piscina e umiliata pubblicamente, non ero nella condizioni di prendere decisioni ponderate”. Non è colpa mia se mi ha lasciata da sola con le mie brutte idee.

Inclina la testa e mi scruta tutto concentrato “Ti sei fidata di lui...”

“Si e quindi?”.

Odio quando mi guarda così, come se sapesse quello che sto pensando.

“Nulla...” sussurra criptico.

“Henry!”. Gli mollo una manata sul petto.

“Beh, mi sembra davvero strano, tutto qui”. Si massaggia il pettorale, scuotendo le spalle.

So che rimpiangerò di aver parlato a cuore aperto con Aaron, ma in quel momento non mi sembrava una cattiva idea.

“Mi ha chiamata papà ieri sera mentre tu sbavavi in coma”.

Aggrotta le sopracciglia “Tutto bene?”

“Si, sai, le solite cose. Ha detto che ti chiamerà oggi pomeriggio”. Per un secondo noto una strana espressione attraversargli gli occhi, rimorso o senso di colpa, ma sparisce così in fretta che non saprei dirlo con certezza. È diventato parecchio bravo a nascondermi le sue emozioni, dissimula ciò che prova nel tentativo di non turbarmi in alcun modo. Da quando la cortina di fumo che nascondeva i miei problemi si è dissipata, Henry mi ha infilata in una bolla protettiva lontano da qualsiasi tipo di turbamento.

 

“Devi disfare le valige, Jules. Non ti farà mai tornare a casa” asserisce, dopo che gli ho detto della sveglia della mamma.

“Non ci voglio stare qui. A casa avevo una vita, avevo una migliore amica e papà”.

“Lo so perfettamente, ma per il prossimo anno questa sarà casa tua, meglio che ti ci abitui subito”.

So che ha ragione, lui ha sempre ragione.

Si stiracchia, schiacciandomi e sbadiglia “È ora della colazione” salta fuori dal letto come una gazzella e mi trascina con lui. Vorrei protestare o impuntarmi, ma sono alquanto affamata, così lo seguo al piano inferiore. La casa è tranquilla e silenziosa, sembra che siano usciti tutti. In cucina troviamo la mamma che frigge frittelle e Jim che legge il giornale tutto corrucciato.

“Buongiorno!” esclama Henry radioso. Sembra che il post sbronza gli sia passato rapidamente.

“Buongiorno tesoro” tuba la mamma, facendo sfrigolare la padella.

“Avete dormito bene?” domanda Jim, senza staccare gli occhi dalla pagina sportiva.

“Meravigliosamente” assicura Henry arrampicandosi su uno sgabello di legno, posizionato davanti al bancone. Si muove come se fosse a casa, sicuro e a suo agio. Io, d'altro canto, non riesco neanche ad andare al bagno senza sentirmi a disagio.

“E tu, Julianne?” Jim mi inchioda con lo sguardo.

“Bene...” borbotto, ancora ferma sullo stipite della porta. Lui tenta un sorriso e torna a concentrarsi sul giornale.

“Ho fatto le frittelle ai mirtilli e cioccolato, Julie. Le tue preferite”.

Lo so benissimo, la stanza è impregnata di un odore fantastico che sta risvegliando il mio stomaco assopito. Fa scivolare un piatto carico di cibo sul marmo bianco, come un'offerta di pace o un'esca in una trappola. Qualsiasi delle due sia non importa, mi avvicino cautamente e mi siedo. Afferro il piatto e ingurgito tutto finché il mio corpo non dice basta. Per tutto il tempo la mamma blatera delle fantastiche attività che si possono fare in città, dei bar e della sua nuova boutique in centro. Jim ed Henry partecipano attivamente alla conversazione, mentre mi riempio di frittelle.

“Dove hai detto che è andato Aaron?” domanda la mamma.

“Aveva gli allenamenti di lacrosse, torna tra poco” comunica Jim “Andy e Cole sono in camera loro e Liv sta ancora dormendo”.

“Oggi ho delle commissioni da fare, mi accompagni?”. Queste conversazioni famigliari e quotidiane ancora non mi vanno giù.

“Devo andare in chiesa, cara. Magari ti possono accompagnare Julianne ed Henry, così vedono la città”.

“Splendida idea” concorda la mamma.

Prima che possano incastrarmi in qualsiasi interazione sociale, poso il mio piatto nel lavandino e scappo in camera. Una volta al sicuro mi rimetto nel letto insieme a Kafka e afferro il PC.

Scar risponde alla chiamata di FaceTime dopo due squilli.

“È l'apocalisse!” strilla.

“Cosa?!” stringo il gatto al petto.

“Julianne Roux è sveglia alle otto e quaranta di sabato mattina!” mi mostra l'orologio da cucù del negozio di sua nonna. Sta facendo il suo solito turno il sabato mattina al bancone della bottega. Di solito le facevo sempre compagnia, guardavamo serie in streaming finché qualche credulone ignaro entrava nel locale.

“Qui sono le nove e quaranta” mi giustifico.

“È comunque troppo presto per i tuoi standard. Ti fanno alzare all'alba per pregare?”

“Non ancora, ma mia madre stamattina mi ha fatto da sveglia umana e pimpante”.

“Terribile. Ha spalancato le finestre come nelle pubblicità delle brioche?”

Ridacchio facendo i grattini dietro le orecchie a Kafka. “Esattamente”. Ride inclinando la testa indietro, come suo solito.

“Ieri sera sono andata ad una festa”.

La sua espressione divertita si fa seria e si sporge in avanti verso il computer. Mi osserva nei dettagli, cercando segni visibili di una ricaduta nella mia vecchia dipendenza.

“Sto bene, Scar. Non ho perso il controllo” le assicuro.

Abbassa lo sguardo e giocherella con i ciondoli di pietra del suo braccialetto “Ne hai sentito il bisogno?”.

Mentirei se dicessi di no, ma con Scar l'argomento dipendenza è alquanto ostico. Da quando sono tornata dalla riabilitazione, le risulta difficile parlarne apertamente, perciò solitamente parlo con Henry se mi sento male.

“No” mento, ed è dolorosissimo. Odio mentire, in qualsiasi circostanza.

Si rilassa leggermente “Com'è stata?”.

“Ho scoperto che Matt, il ragazzo del campeggio musicale, è il bassista della band di Aaron e l'ho rincontrato. La versione dell'Utah di Candy Quinn Brown mi ha scaraventata in una piscina e umiliata pubblicamente. E ho fatto una lunga conversazione a cuore aperto con il Musicista Tormentato”.

Rimane immobile così a lungo, che per un secondo penso che si sia bloccata la connessione. “Scar?”

Sbatte le palpebre ripetutamente e spalanca la bocca “Sono un sacco di informazioni. Voglio i dettagli di tutto”.

 

Dopo il resoconto minuzioso della mia serata, l'unico commento che le esce è: “Lo sapevo”.

Sospiro “Cosa sapevi?”.

“Che è quello giusto per te”.

Tipico di Scar, a lei basta una conversazione ed è già ora delle nozze.

“Abbiamo solo parlato, Scar”.

“Si capisce tutto da una conversazione”.

Alzo gli occhi al cielo e sbuffo “Sei sempre la solita”.

Sto morendo di caldo, mi sfilo dalle coperte e rotolo infondo al letto con il computer.

“Di tutto quello che ti ho raccontato, ti sei fissata su Aaron?”.

“Beh il resto è alquanto normale. Le stronze sono sempre stronze e Matt...beh è pazzesco che sia saltato fuori così, ma lui non è il tuo tipo, non credo lo sia mai stato”.

“Non lo hai mai conosciuto”.

Non so perché lo difendo, sono d'accordo con lei, Matt era il tipo della vecchia me.

“Non scordarti del mio dono!” sbraita agitando un dito. Si gira verso il retro del negozio dove sua nonna sta sistemando i talismani “Verdad, abuela?” (Vero, nonna?).

Gabi si volta verso la nipote e sorride “Por cierto, mi amor”. (Certo, amore mio).

Mi nota incornicia nello schermo e scuote la mano “Hola, Juliannas”.

Storpia sempre il mio nome, ma all'abuela Gabi si perdona tutto “Hola, Gabi”.

Scar torna a guardarmi e fissa un punto oltre le mie spalle e ride “Sei sempre la solita. Non hai ancora disfatto i bagagli!”

Rido “No”.

Perde il sorriso e inclina la testa, scurendosi in volto “Pensi di riuscire ancora a convincerla?”.

“Assolutamente. Non mi arrendo”.

Sorride tristemente e annuisce.

L'urlo di Gabi fa sobbalzare entrambe “Scarlett, ven aquì!”.

“Devo andare Julie, fai la brava, ci sentiamo dopo”.

“A dopo”. Chiudo la telefonata e il computer.

 

Mi piacerebbe poter rimanere a letto per sempre, però credo che sia arrivato il momento alzarsi alla ricerca di caffeina e di una lunga doccia calda. Ancora nel mio pigiama con le pizze, sgattaiolo in corridoio diretta alle scale, ma un'imboscata mi blocca il passaggio. Cole salta fuori dalla nicchia delle scale che portano al piano superiore, imbracciando un fucile.

“Ferma o sparo!” sbraita puntandomelo contro. Nella foga del momento, alzo le mani in segno di resa e mi accartoccio sul pavimento.

“Ma che cavolo...” borbotto.

È uno stupido fucile di plastica! Mi sono buttata a terra come una demente, per uno stupido fucile per bambini. La punta del fucile perde acqua, quindi non è solo un giocattolo, ma è pure ad acqua e non a pallini. Bella figura da cretina.

Salto in piedi come un razzo “Ma sei scemo!?”.

Eppure, come ho già ripetuto diverse volte, non prendo molte decisioni ponderate ultimamente. Siccome non ho ascoltato lei sue istruzioni, Cole mi punta l'arma in faccia e fa fuoco. Vengo investita da un getto ad alta pressione dal colore rossastro. Nel giro di due secondo il mio pigiama preferito, le pantofole con gli elefanti e i capelli sono zuppi di un liquido che ho paura ad identificare.

“Ti prego dimmi che è solo acqua...” sussurro. Cole, in risposta, estrae dalle tasche due palloncini e me li tira contro, urlando “Invasore colpito ed eliminato!”.

Oltre a quello che presumo e spero sia vino, vengo ricoperta di farina bianca. Cole emette dei versi da guerra dalla bocca e scappa verso camera sua come una spia.

Il mio corpo reagisce all'aggressione e scatta lungo il corridoio, verso il bambino “Io ti ammazzo!”.

Due braccia forti mi afferrano per la vita, prima che possa infilzare gli artigli in quella piccola peste.

“Ehi, ehi, ehi” Aaron ferma la mia corsa “È solo un bambino, principessa”.

Me lo scrollo di dosso e scuoto le braccia cercando di staccare l'impasto appiccicoso dalla pelle.

“A tuo fratello servirebbe una museruola”

Ridacchia e mi squadra “Sono d'accordo. Fa sempre così, devi stare attenta agli agguati. Come mai ti sei lanciata a terra?” Ride come un cretino e la voglia di uccidere mi infervora di nuovo.

“Da dove vengo io, se ti puntano un'arma è per derubarti o per ucciderti!”

“Qui invece è per inzupparti e riempirti di farina”.

Lo guardo male e vorrei sotterrarmi. Indossa una canottiera larga e dei pantaloncini da basket, ha i capelli umidi ed scalzo. Sembra appena uscito dalla doccia e io sembro una cuoca pazza, in pigiama. Faccio qualche passo indietro, cercando di porre una certa distanza tra i nostri corpi. Mi sento a disagio. Odio sentirmi a disagio.

“Belle ciabatte” ridacchia “Bel pigiamino”.

“Va a quel paese” bofonchio, sbattendo i piedi verso la mia stanza.

 

Spalanco la porta del bagno e Liv caccia un urlo “Non si bussa?!”.

È seduta nella vasca da bagno completamente vestita e immersa in un mare di schiuma. Sul pavimento sono sparse un centinaio di bambole e di vestitini disparati.

“Liv, per favore mi serve il bagno” gemo.

“Dì per favore!” gracchia scuotendo una barbie nell'acqua.

“L'ho appena fatto!”.

“Non è vero! Vai via! Le mie amiche devo fare il bagno, le metti in imbarazzo!” urla coprendo le bambole nude con le mani.

Mi chiudo la porta alle spalle, sbattendola. Questa famiglia è un circo. Non posso vivere qui. Non voglio vivere qui.

“Hai bisogno?” domanda Aaron dallo stipite, bello come un dio greco. Vorrei conficcarmi qualcosa di appuntito negli occhi, non devo guardarlo, urta le mie capacità cerebrali.

“Vorrei lavarmi, ma a quanto pare l'igiene delle bambole di Liv ha la precedenza”.

“Puoi usare il nostro bagno, se vuoi”.

Aggrotto le sopracciglia scettica, ci sono mille campanelli d'allarme che mi gridano di dire di no.

“Prometto di fare la guardia”. Si stringe le braccia al petto e mi sorride, mandando in cortocircuito il mio sistema di difesa. La mia diffidenza vacilla, facendomi prendere la peggiore decisione di sempre, o quasi.

 

 

Mi accorgo della stronzata che ho fatto, quando ormai è troppo tardi.

Sono sotto il getto della doccia del bagno di Aaron e dei suoi fratelli, quando mi rendo conto dell'errore tattico che ho commesso. Mai abbassare la guardia, Julianne, soprattutto se è un modello di Abercrombie a proporti la soluzione ai tuoi problemi. Cerco di scrostare via il miscuglio di farina e vino, quando vedo un'ombra attraverso la tendina colorata della doccia. All'inizio penso che sia la mia immaginazione, ma poi la vedo una seconda volta. Aspetto l'attacco, coprendomi i punti strategici, ma non succede nulla. Finisco di lavarmi e cautamente ficco la testa oltre la tendina e sbircio la situazione. Il bagno è vuoto, non c'è nessuno. Strano...

No! No! No!

Il bagno è proprio vuoto. Non c'è il mio accappatoio, non ci sono gli asciugamani, non ci sono i miei vestiti. Non c'è un cavolo di niente. Controllo gli armadietti, ma nulla. Dietro la porta. Nulla. Si sono portati via tutti gli indumenti possibili, lasciandomi nuda nel loro bagno. Balzo nella doccia per nascondermi con le tendina di plastica.

Cazzo!

Più credulona di così si muore. Si sono appropriati pure del mio telefono! Non posso nemmeno chiamare aiuto. Esco fuori dal mio nascondiglio e sbatto sulla porta “Aaron!”.

Vedo l'ombra dei suoi piedi sotto la porta “Hai bisogno di qualcosa, dolcezza?”gongola.

“Dove diavolo sono i miei vestiti!?”

“Non so di cosa parli...” lo sento trattenere una risata a stento.

Va te faire foutre! ” sbatto il pugno contro la porta. (Vaffanculo)

Ride di gusto facendo rimbombare il corridoio.

“Henry!” urlo “Henry!”. Ti prego, ti prego...

“Tuo fratello è uscito con tua madre. Ci siamo solo noi qui”.

Merde!

Maledizione a Henry!

Maledizione a me.

Okay. Respira. Ci vuole un piano.

“Senti principessa, non hai molte possibilità: o esci come mamma ti ha fatta e ti arrendi alla nostra superiorità, o aspetti che qualcuno venga a salvarti, come una codarda. O ti arrendi o fai la vigliacca. A te la scelta”.

“Sei sicuro di questa cosa Aaron?” sento la voce di Andy attraverso il legno. Fermalo, ti prego.

“Sicurissimo” assicura.

Cole ride.

Oh, me la pagherà molto cara quando uscirò di qui. Il signor Intelligentone ha fatto male i conti, c'è una terza via d'uscita: Batterli al loro stesso gioco.

Okay, ho più QI di loro tre messi insieme, troviamo una soluzione. Il bagno ha due porte, una che da sulla camera di Aaron ed Henry e una che da sul corridoio. Da brava scema, ho chiuso a chiave solo quella da cui sono entrata, cioè dalla stanza del mostro. Mi fiondo verso l'altra porta e la blindo. Ora sono al sicuro da intrusioni esterne.

Ci sono due finestre ed entrambe danno sul giardino sul retro e siamo al primo piano, non sono così atletica. Saltare è escluso. L'uscita più rapida verso camera mia è la porta sul corridoio, proprio dove sono appostati loro. Hanno preso tutti gli indumenti possibili e visibili, ma è un bagno dei maschi, quindi ci deve essere qualcosa di imboscato. Raccolgo i capelli e mi metto alla ricerca di qualsiasi cosa possa coprirmi.

“Oooh, non mi dire che fai la vigliacca. Ti credevo un tipo diverso di persona” Tuba Aaron.

Quando esco di qui lo strangolo.

Sotto i mobili non c'è nulla. Frugo ovunque, ma zero. Non c'è assolutamente niente qui. Quando sto per perdere le speranze, mi metto a guardare dietro la vasca e il tunnel si illumina. C'è una maglia sporca di qualcosa che non voglio individuare, la infilo cercando di non toccarla troppo. Mi accontento di qualsiasi cosa. Coperta, faccio scattare la serratura e piombo nel corridoio. Aaron è spaparanzato sulle scale che salgono al piano superiore e tiene tra le mani una videocamera. Il sorriso sornione che gli decora la faccia, crolla non appena vede che sono vestita. La mia espressione feroce fa dileguare Cole ed Andrew, mentre Aaron si alza lentamente stringendo gli occhi. “Come...”.

Gli sfilo la videocamera, ne estraggo la scheda sd e la lancio contro il muro, frantumandola. È fortunato che non lancio lui.

“Per il tuo benessere ti consiglio di dormire con un occhio aperto”.

La minaccia non è a vuoto. Raccolgo il mio cellulare dal pavimento.

“Dove hai...”. Mi segue mentre marcio verso la mia camera.

“Triste. Pensavo non ti servissero trucchetti per far spogliare e bagnare una ragazza.”

Gli sbatto la porta in faccia godendomi la sua espressione delusa e infastidita. Chiudo entrambe le porte a chiave, mi cambio e asciugo i capelli.

Ripensandoci meglio, non avrei mai dovuto accettare il suo aiuto, ma la nostra conversazione della sera prima ha forviato la mia capacità di giudizio. Oltretutto, se rimetto insieme i pezzi, tutti gli avvenimenti dall'assalto di Cole in poi suonano un po' sospetti. Di solito non sono così sprovveduta, mi sono lasciata distrarre. Non succederà più.

Quando sento la maniglia muoversi, afferro la mazza da baseball che Jared mi aveva regalato e la brandisco pronta a difendermi. Faccio scattare la serratura e preparo il colpo, aprendo la porta.

Henry tira un urlo e salta indietro “Gesù! Jules, ma sei impazzita?!”.

Lo tiro dentro prima che possa dire altro e blindo la porta dietro di lui.

“Si può sapere dov'eri?!” lo aggredisco, ancora brandendo la mazza.

“Ma cosa fai con la mazza del tuo ex? Perché ci hai chiuso dentro?”

“Mentre eri chissà dove a farti i fatti tuoi, io sono stata aggredita da un branco di selvaggi pervertiti”.

Henry aggrotta le sopracciglia confuso “Cosa?”.

La mia concentrazione sciama “Cosa sono?” chiedo indicando il bicchiere e il sacchetto di carta bianco che ha in mano.

“Ho accompagnato la mamma ha fare le sue commissioni e ti ho preso un caffè e un dolcet...”.

Non lo lascio nemmeno finire, afferro il caffè, il sacchetto e mi butto sul letto. Sono a corto di zuccheri e caffeina, senza non ragione lucidamente.

“Mi dici cos'è successo?”.

Affondo la faccia nel cupcake al cioccolato, con molta più passione del necessario e ingurgito caffè, come se ne dipendesse la mia vita. Mio fratello attende tranquillamente che smetta di ingozzarmi, prima di farmi il terzo grado. La pazienza non è una dote che condividiamo.

“Ora che ti sei rifocillata, mi dici cos'è successo?”

“Durante il tuo stupido momento madre-figlio, Aaron e io suoi terrificanti fratelli mi hanno teso un agguato”.

Mi fissa sbattendo le ciglia.

“Cole mi ha imbrattata di un liquido non identificabile e farina, Liv ha occupato il bagno, presumibilmente spinta da i suoi fratelli, e Aaron mi ha offerto il vostro bagno come soluzione”.

Inspira rumorosamente “Ti sei fidata? Ti ha sorriso, vero?”.

Grugnisco, ignorandolo “Mi hanno rubato gli asciugamani, i vestiti e mi hanno aspettata fuori dal bagno con una video camera”.

Henry si irrigidisce, assumendo la sua posa protettiva.

“Va tutto bene” mi affretto a dire “Ho smontato il loro scherzo e distrutto la scheda sd”.

Sospira e rilassa la schiena “Hai intenzione di fargliela pagare?”.

“Puoi giurarci”.

 

 

La mattina successiva decido di mettere in atto la mia spietata e crudele vendetta. Aaron è intento a rimirarsi nello specchio, ringraziando il cielo di tanta perfezione, quando sgattaiolo in camera sua come un ladro. Da quello che Henry mi ha detto, prima di andare a dormire lucida la sua chitarra preferita, Angelina ( sì, lasciamo perdere), e la bacia come se fosse l'incarnazione dell'attrice. Lasciando Henry in corridoio a fare il palo, afferro Angelina e la rapisco. So perfettamente come nascondere qualcosa in modo che nessuno lo trovi. Dopo aver imboscato il corpo del reato, saltello al piano inferiore a gustarmi una sana e esultate colazione. Henry mi siede accanto teso come una corda di violino, sfogliando la sua settimana enigmistica.

Non è il tipo da vendette.

Carico una badilata di cereali alla frutta sul cucchiaino, quando la porta sul retro si apre cigolando.

“Ehi, Julie!” esclama Matt entrando in cucina, seguito da Lip e Tyson. “Ciao Henry”.

“Buongiorno!” cinguetto sorridendo.

“Sei stranamente allegra...è un bruttissimo segno” mormora, scoccandomi un bacio sulla testa.

Lip spalanca il frigorifero come se fosse a casa sua e afferra il cartone del succo d'arancia. Tyson si appoggia al lavello studiando silenziosamente la stanza. Vedo Henry sbirciarlo di soppiatto, fingendo indifferenza.

“Credo che sia una mattinata magnifica, non trovate?” trillo, inspirando sprofondamento.

Matt sgrana gli occhi sorpreso e mi analizza “Ora sono preoccupato. Cosa hai combinato?”.

Lip si svuota il succo di arancia in gola, direttamente dal cartone, facendo incrinare il mio buon'umore “Ehi, bestia! Lo sai che esistono i bicchieri”.

Si asciuga la bocca con il dorso della mano “Vuoi che ti faccia vedere la vera bestia, bellezza?”.

“Lip” lo ammonisce Matt.

“Preferire bere candeggina” grugnisco schifata.

“Sempre a disposizione” ammicca verso di me e muove le sopracciglia. Infila la mano nella credenza e si impossessa dei biscotti alla cannella.

Mi giro verso Matt “Come mai siete qui? Oltre a svuotare la dispensa, ovvio”.

“Abbiamo le prove della band, ci esercitiamo nel garage di Aaron. Scommetto che è sotto la doccia ora”. Annuisco.

Fisso Tyson incuriosita, da quando l'ho conosciuto non ha mai detto una parola, mentre Lip ne ha dette anche troppe. Vorrei sapere cosa nasconde dietro quegli occhi scuri e quell'espressione imperturbabile. Da come mio fratello lo guarda, direi che pensa lo stesso.

Un urlo assolutamente privo di virilità infrange i miei pensieri. Si comincia...

“Jules...”borbotta Henry agitandosi sullo sgabello.

“Non dire nulla e il tuo nome non salterà fuori”.

“Cosa sta...” domanda Matt. Aaron ruzzola lungo le scale, verso la cucina come una furia, stringendosi un asciugamano in vita. Mi ci vuole uno sforzo immane per non ammirargli gli addominali.

“TU!” ulula agitando le braccia. Ha i capelli neri bagnati, sparati in tutte le direzioni. È davvero arduo non guardarlo, ma resto concentrata sulla mia colazione e la mia indifferenza.

“Dove l'hai messa?!” strilla facendo rimbombare la stanza.

“Cosa? La tua dignità? Prova nella spazzatura” indico il cestino col cucchiaio.

“Sei hai torto un solo capello ad Angelina io...”

“Tu cosa?! Mi tenderei un agguato mentre sono nella doccia? Ah, no. Lo hai già fatto!”.

“Si può sapere cosa sta succedendo?” si intromette Matt.

Aaron sbuffa dalle narici “Questa...” soppesa le parole indicandomi con la mano “Questa t...”

“Occhio a cosa dici, ho un martello e uno strumento musicale che non mi appartiene!” sbraito balzando giù dallo sgabello. Scelta poco studiata, perché lo sgabello mi dava qualche centimetro in più, che non fanno mai male e stare in piedi mi porta ad altezza pettorali, che intaccano la mia osticità. I muscoli a V del suo bacino chiamano il mio nome.

“Julie...”

“Dov'è'!?” mi afferra un polso con un po' troppa irruenza. Matt ed Henry fanno un passo in avanti nello stesso istante, facendo mollare la presa ad Aaron, come se scottassi.

“Ha preso in ostaggio Angelina!” si giustifica.

“La Stratocaster nera?!” geme Lip.

“Prendere in ostaggio presuppone che lei sia ancora viva e io non ho mai detto questo”.

Aaron geme come se gli avessi sparato.

“Julie, dov'è la chitarra?” domanda Matt.

“Gliel'ho detto. Guarda nella spazzatura”.

Aaron sbianca avvicinandosi al cestino, alza il tappo ed inspira. Infila una mano tremante tra l'immondizia e ne estrae due corde da chitarra tagliate.

Okay, sia chiaro, so quanto siano importanti gli strumenti musicali per un musicista e infatti Angelina riposa incolume sotto il mio letto, ma questo Aaron non lo sa. Quelle che tiene in mano sono vecchie corde rotte del mio violino. C'è differenza tra le corde, ma Aaron è troppo sconvolto per notarlo.

La faccia di Aaron raggiunge la tonalità del bianco più chiara che abbia mai visto e io mi sento irradiata.

“Tu...hai....lei...” balbetta. Boccheggia e annaspa, indietreggiando fino ad aggrapparsi a qualcosa di solido.

“Ti avevo avvertito di guardarti le spalle”. Vederlo soffrire risana lo smacco dovuto dell'agguato nella doccia. Matt cattura il mio sguardo furioso “Julie, avanti ridagli la chitarra, qualsiasi cosa ti abbia fatto, adesso è pentito”.

“Tentare di riprendermi nuda sotto la doccia non merita pietà”.

Matt spalanca la bocca e scuote la testa“Aaron!”.

L'unica espressione che attraversa gli occhi di Tyson, è una leggera sorpresa. Lip si piega in avanti ridendo “Ben fatto, amico!” Alza la mano attendendo un cinque, che Aaron non ricambia.

Lui ignora entrambi, mi si piazza davanti e mi fissa. I suoi occhi verdi e furiosi mi scorrono sul viso, alla ricerca di un segno di cedimento, ma non lo trovano. Il suo sguardo si sofferma un po' troppo sulle labbra, facendomi guadagnare altro vantaggio. In ogni caso, il mio corpo non resta indifferente. È tremendamente figo, ho la bocca secca e mi trema la pancia, ma non cederò. Ho imparato negli anni che al fisico possono piacere cose che la testa odia, e la mente predomina sempre.

Nessuno si muove, ho la situazione stretta in pugno e ho intenzione di usarla come arma.

Avanzo verso di lui, arrivandogli praticamente addosso “Magari, e dico magari, se implori perdono rivedrai Angelina quasi incolume”.

Inspira tra i denti e il suo petto scultoreo mi sfiora dandomi i brividi. Vedo gli ingranaggi del suo cervello soppesare l'idea ed elaborare una risposta. Vorrei dirgli di non sforzarsi troppo o finirà per sovraccaricarsi, ma resto in silenzio e aspetto di vederlo strisciare.

“Mi dispiace e ti chiedo scusa per...” borbotta a denti stretti “...lo scherzo della doccia. Posso riavere la mia chitarra adesso?”.

Inclino la testa, picchiettandomi le labbra con l'indice “Fammici pensare...”.

“Julie avanti, non torturalo, ti ha chiesto scusa” mi fa notare Matt, intromettendosi come suo solito. Ma il punto di tutto questo è la tortura, farlo sentire a disagio e in trappola come lui ha fatto sentire me. La mia vena sadica si è sviluppata durante il periodo buio con Jared, lui era bravissimo ad ottenere tutto ciò che voleva e a farla pagare a chi gli mancava di rispetto.

“Cosa sta succedendo?” la voce della mamma fa voltare tutti verso la porta “Sembra che stia per scoppiare la terza guerra mondiale...Aaron perché sei in asciugamano?”. Posa le borse della spesa vicino ad Henry e si acciglia.

Aaron indietreggia e la guarda infastidito “Stavo appunto andando a vestirmi”. Mentre si dirige al piano superiore non posso fare a meno di squadrargli il sedere e di gongolare per la vittoria appena ottenuta.

“È un piacere avervi qui ragazzi, volete restare per pranzo?” domanda melensa.

Si scambiano un'occhiata e annuiscono in contemporanea, come se riuscissero a comunicare mentalmente.

“Mangeremo in giardino, siamo un numero considerevole...cosa posso cucinare?”

“Se siamo di disturbo noi...” inizia Matt, ma la mamma lo blocca.

“No! Assolutamente no. Mi fa piacere avere ospiti, più siamo meglio è. Però avrei bisogno di una mano con la cena...”

Henry balza giù dalla sedia e mi agguanta “Noi abbiamo delle cose da fare, mamma, dopo veniamo ad aiutarti a cucinare” promette, tirandomi in mezzo. Si, certo.

“Perfetto” sorride “Ah! Ricordatevi che domani comincia la scuola, dovete andare un po' prima perché avete il colloquio con il preside Richmond”.

“Certo” assicura mio fratello. Mi scorta oltre la soglia della stanza.

“Noi andiamo a cercare Aaron” dice Matt. Seguito dai ragazzi, Henry mi tira al piano di sopra e mi spinge in camera mia.

“Tira fuori la chitarra, sorellina, prima che questa battaglia diventi una guerra”.

“Troppo tardi” Aaron è sulla soglia completamente vestito e con un ghigno soddisfatto dipinto sul volto. “Per un secondo ho quasi creduto che tu l'avessi davvero rovinata, una musicista non rovinerebbe mai una stratocaster fender, vero bambolina?” Stringo i denti, perché ha perfettamente ragione, quella chitarra è stupenda. “Quelle erano corde da violino, oltretutto. Mi hai quasi fregato”.

Non poteva non accorgersene “Molto intuitivo complimenti”. Ignora il sarcasmo.

“Tieniti pure la chitarra se ti fa pensare a me durante la notte. Uno a uno, palla al centro. D'ora in poi è guerra” Mi sgancia uno dei suoi sorrisi e si volta “Andiamo ragazzi, abbiamo delle prove da fare”. Lo seguono fuori, chiudendosi la porta alle spalle.

   
 
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