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Autore: Elphie94    08/06/2017    2 recensioni
In un mondo in cui tutto è morto, stranamente lui le appare come l'unica fiamma viva.
[Erik/Meg Giry; più Leroux che ALW; Zombie Apocalypse!AU.]
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Erik/Il fantasma
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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at the end of all things.

 

When a monster is not a monster?

Oh,

when you love it.”

[Caitlyn Siehl.]

 

i.

 

I granuli di terra sotto i suoi piedi bruciano come la calura d'estate. Li può sentire attraverso il cuoio degli anfibi pesanti, come le stille di sudore sulla pelle rovente del collo e della fronte. Meg si scuote una ciocca di capelli neri dalla fronte bassa e corrucciata e, per l'ennesima volta, si chiede se la faccia dell’uomo che cammina al suo fianco non si sia liquefatta dietro la protezione della maschera nera. Ma probabilmente lui lo preferirebbe. Nel suo humour nero, gli apparirebbe tuttavia una gaffe: per una volta, la sua faccia è utile; per una volta, la sua faccia non è diversa da quella degli altri in modo così dolorosamente evidente.

Erik è un morto che cammina e respira e parla con voce dorata; ma il suo odore dolciastro in modo nauseante (le rammenta in qualche modo quello che emanava dal cadavere impiccato di suo padre, più qualcos'altro di acre a cui preferisce non pensare) è un sudario che li protegge dai veri morti. Il vero pericolo.

 

(«Sentiti ringraziamenti per il puzzo di decomposizione. Ci ha salvato il culo in più di un occasione.»

«Ringrazia il dio ubriaco che mi ha creato così, non me.»)

 

Avanzano sul suolo brullo in salita ripida e il sole continua a spaccare le pietre, a lasciare cicatrici di luce tra il fogliame inaridito di arbusti e alberi. Sembra spaccare anche quelli, tanto sono fragili le radici che serbano per loro quella parvenza di vita.

Non conoscono la loro meta; sanno solo che debbono fuggire, spostarsi, cercare magazzini abbandonati dove trascorrere la notte e rifornirsi di provviste (nelle fonti d'acqua di ruscelli e stagni si nascondono cose morte che ti afferrano per i capelli, ti graffiano la pelle nel tentativo di divorarti; e anche con un graffio, a quel punto, sei spacciato, e ti rimangono solo ore contate prima che la febbre ti trasformi in un morto che marcisce in piedi).

Meg dà una pacca muta alla lama che tiene stretta alla cintura: con quella ha ucciso il suo primo morto, e anche l'ultimo.

«Siamo quasi arrivati» annuncia Erik in un sussurro spezzato da un ansimo. Meg non gli ha mai chiesto quanti anni abbia, ma è chiaro che non è più giovane. Eppure si muove con una rapidità che ha dell’innaturale, mentre conficca le sue due daghe nei cervelli dei morti che si apprestano ad accerchiarli. È la danza macabra definitiva.

«Sarà meglio.» Il tono di Meg è conciso e chiaro: se si ritrovano nel bel mezzo del nulla assediati da un'orda di morti, sono solo carne fresca per i loro denti marci.

Eppure Erik potrebbe andarsene; il suo odore e il suo aspetto ingannano i veri morti, che lo ignorano credendolo uno di loro. Meg invece sa di pelle fresca e incontrovertibilmente viva, ed è una preda perfetta mentre combatte per divenire Morte e non morta, tutta ringhi e sangue coagulato sulla lama del coltello che è divenuto tutto per lei quanto lo erano una volta le scarpette da ballo con la punta di gesso, i nastri annodati alle caviglie sottili.

Erik non se n'è mai andato. È rimasto a farle la guardia come un mastino troppo magro o un Angelo della Morte.

Meg non sa se essergli grata perché grazie a lui è ancora viva. Nel dubbio, tace.

 

 

ii.

 

Il giorno in cui il mondo finì fu anche quello in cui incontrò Erik per la prima volta.

Parigi era un regno di caos, e la Morte avanzava in grande marcia mentre i suoi figli conquistavano ogni cosa. Alla porta del loro appartamento, un incubo d'uomo giunse per condurle alla salvezza, sotto la terra e fuori dalla città ormai morta. Sua madre rivelava amici inaspettati.

Presto erano rimasti solo loro due contro un mondo vuoto che minacciava di sopraffarli ad ogni loro passo.

 

(«Come ti chiami?»

Lui aveva esitato per un momento. «Erik.»

«Un nome da re» aveva mugugnato lei, sarcastica.

«Tra le altre cose.»

Era vero. Significava anche solo.)

 

Nei sogni, Meg rivede ancora la lama – la sua stessa lama – dare pace a sua madre dopo un morso lacerante di un morto.

Erik si era offerto di farlo al suo posto. Meg aveva rifiutato con fermezza. «Devo farlo io» aveva spiegato con voce roca. E così era stato.

Da quel momento, non avevano incontrato più nessuno.

 

 

iii.

 

Sa poco di Erik: sa che sua madre lo conobbe quando entrambi erano ragazzini, ad una fiera. La Morte Vivente, lo chiamavano. Se solo avessero saputo che era un presagio dell'Apocalisse – e forse lo è, fatto di spigoli e ossa e carne livida; peccato che Meg non creda ai presagi. Crede a ciò che può toccare e vedere e odorare, e i sensi le dicono di aggrapparsi ad Erik per rimanere in vita.

Le ore sono una pellicola grigia e monotona: muoversi, camminare, uccidere persone già morte, dormicchiare tra gli attimi rubati alla pace che neanche la notte sa dare. Il tutto intervallato da pasti frugali e costanti rifornimenti. Fanno irruzione in qualche casa per razziare abiti, cibo, acqua, un po' di sapone e di riposo. Spesso trovano degli ospiti alquanto sgradevoli, ma la mascherata di Erik li aiuta a rimandarli nelle tombe a cui appartengono con minor rischio.

 

(La prima volta che uccide un morto quasi si vomita sulle sneakers. Ma non c'è tempo per l'orrore: si lascia prendere dall'apatia e corre, corre, corre.)

 

Hanno capito ormai da tempo che tutti sono contagiati dal virus: sono tutti destinati a divenire cadaveri viventi, una volta che il cuore cessa di battere.

«A quanto pare è un destino che non posso eludere» commenta Erik con macabro divertimento. Hanno quello in comune.

 

(«Dimmi che lo farai.» La voce di Meg è soffocata appena dal cuscino del sacco a pelo nel quale nasconde metà del viso.

Erik la guarda dubbioso. I suoi occhi dorati splendono nell'oscurità come stelle rubate al cielo notturno.

«Cosa?»

«Che sarai tu a conficcarmi una di quelle tue belle daghe nel cervello. Una volta giunto il momento.»

«Non vedo nessun altro che possa assolvere a un tale compito.»

«Se troviamo qualcuno… Fallo tu. Intesi?»

Erik annuisce nell'ombra. «Intesi.»

Chissà per quale ragione, gli crede.)

 

 

iv.

 

L'Angelo della Morte si è trasformato in qualche modo in angelo guardiano. Le fa scudo durante ogni attacco, la protegge in un modo che, si trattasse di un altro uomo (meno distante, di una distanza che sta negli occhi; più vivo), le farebbe quasi pensare che gli importi. Il che è ridicolo – un patetico istinto di trovare calore in un altro corpo anche qui, alla fine del mondo. È istinto animale, tutto qui – come quello che le fa chiedere tra sé e sé come sarebbe sfiorare quelle labbra morte e sentirle umane al tocco; quello che la spinge a conficcare il pugnale ancora e ancora, a scalpitare e a respirare un battito di vita nel mezzo dell’Inferno, quando il cuore le direbbe di lasciarsi andare.

Ma lei non è mai stata brava a dare ascolto al suo cuore.

«Non c'è bisogno che tu mi protegga. Non sei il mio babysitter.»

«Davvero?»

Il tono di nero sarcasmo la infuria – vorrebbe saltargli addosso, solo per centrarlo con un pugno, beninteso – vorrebbe –

«So cavarmela da sola.»

«Non dubito delle tue capacità di sopravvivenza. Ma ho fatto una promessa a tua madre, e terrei a mantenerla.»

Quindi è per sua madre. Non per lei in quanto tale.

«Sei uno stronzo.»

«Grazie.»

«Mi tratti come una bambina e non lo sopporto –»

«Sei una bambina.»

«E tu sei un assassino» sputa lei tra i denti.

Erik si irrigidisce. «Non lo nego.»

«Mia madre mi ha detto che eri un sicario, prima

«Lo ero.»

«Questo non ti rende migliore di me in questo mondo di merda, capito?»

Lui non commenta. Respira piano, dandole le spalle, mentre lei lo fulmina con lo sguardo. (Non ammette di essere tormentata da una malattia chiamata fascinazione, desiderio. È il sintomo più dolce e terrificante che abbia mai avuto.)

«Limitati a restare viva, Meg.»

Lei si acciglia. Lo avrà notato, lui, che lei non lo ha ancora mai chiamato per nome? Qualcosa si spezzerebbe se lo facesse. O forse ha più paura di ciò che accadrebbe se le faglie ricamate sulle loro pelli si infrangessero le une contro le altre, come onde sulla rena.

 

 

v.

 

Sempre più spesso chiacchierano al buio, sotto voce – quasi potessero disturbare la notte – immaginando sopra di loro un cielo trapunto di stelle in luogo del soffitto di qualche casa scassinata e disinfestata a dovere.

Parlano di ciò che era e non sarà mai; di ciò che sarebbe stato se…

Lui le descrive le città straniere che ha visitato, e lei come la danza fosse l'unica disciplina di cui potesse sopportare i dettami. Parlano delle compagne di balletto di Meg e del suo scopamico; di come la madre di Erik sia sempre stata impotente dinanzi all'impossibilità di amare quel suo figlio sbagliato.

Erik è un genio dalle mille risorse: conosce innumerevoli lingue, è un grande sapiente di musica, architettura, arte, letteratura e scienza, e la diletta con mille aneddoti che Meg non avrebbe mai creduto di aver bisogno di udire.

È un eccellente ventriloquo: grazie ai suoi trucchi, Meg sorride per la prima volta dopo l'inizio della fine.

«Perché, con tutto questo sapere, hai scelto di uccidere? Non ti sarebbe mancato di certo il denaro.»

Gli occhi di Erik mandano un lampo nell’oscurità. «Venivo considerato un mostro. Se ero tale, tanto valeva esserlo completamente.»

«Mi pare una visione un po’ semplicistica.»

«Forse sono davvero solo un mostro» conclude lui con un sospiro.

L'unica cosa di cui Meg è certa è che Erik, mostro o no, è e rimane una creatura senza alcuna conoscenza dell'amore.

 

 

vi.

 

Sono arrivati. Non è altro che una capanna, ma ha un tetto e mura sufficientemente resistenti, e un pavimento di certo duro e scomodo su cui riposare.

E, soprattutto, è priva di morti al suo interno.

Fa freddo, lì dentro, e Meg si morde un labbro a sangue per evitare di battere i denti e mostrare segni di cedimento; invano. Erik l'avvolge in più coperte (tutte quelle che sono riuscite a recuperare nei loro saccheggi), ed è chiaro che le offrirebbe il suo corpo come fonte di calore se questo non fosse gelido come il ghiaccio.

«E tu cosa farai, mentre io assomiglio a un burrito umano?»

«Il freddo mi è indifferente.»

I minuti gocciolano via come il silenzio. Meg avrebbe voglia di interromperlo, per distrarsi dal freddo e dalla noia (e per sentire la sua voce versarle lacrime di miele nei timpani sensibili), ma non ha idea di cosa dire. Finché…

«Dilettami con una delle tue numerose virtù.»

I contorni delle labbra di Erik si distendono in un sorrisetto lieve. «Come un intrattenitore alla corte di un’Imperatrice.»

«Facciamo che mi aiuti a scacciare la noia.»

Lui continua a sorridere, questa volta in un modo più morbido che la fa dolere dentro – un dolore piacevole.

Poi dischiude le labbra e inizia a cantare.

Anche se Meg fosse brava nell'uso delle parole – e non lo è – non riuscirebbe a descrivere appieno l'incomparabile bellezza della sua voce. È un sussurro d'angelo nell'ala del cuore; è Mida e muta in oro ogni nota che sfiora.

Quando l'aria termina, Meg si ritrova a ricacciare lacrime insidiose, e ammicca come dinanzi a una luce troppo forte.

«Non pensavo sapessi cantare» farfuglia.

«Una delle mie numerose virtù, come le hai gentilmente definite tu.»

«Ma cantare così…»

Gli si avvicina gradualmente, con la posa di un felino; Erik trema quando gli tocca una mano. Intreccia le loro dita, e lui rimane a guardarle come fossero un miracolo.

«Non sei un mostro. Mi hai sentito? Non sei un mostro

«Meg…» Lui si porta la mano di lei al petto, all'altezza del cuore. È il centro di una supernova in combustione, e lui ha le lacrime agli occhi.

(E lei è ancora più attratta, cade in lui e ivi si perde – )

«Non serve che tu mi protegga, Erik, o che mi faccia sopravvivere. Aiutami a vivere davvero, invece.»

È la prima volta che lo chiama per nome, e sussultano entrambi.

«Devo confessarti di essere una creatura assolutamente egoista, e gradisco proteggere chi per la cui morte agonizzante soffrirei.»

Poi aggiunge, più in un soffio: «Mi correggo: ne morirei.»

Rimangono abbracciati per minuti innumerabili, e per un attimo il cuore di Erik è integro sotto il palmo della sua mano, e pulsa fiero. Incuranti del freddo, delle scomodità, del fatto che potrebbero morire l'indomani in mille modi diversi.

In un mondo in cui tutto è morto, stranamente lui le appare come l'unica fiamma viva.

 

 

Note dell'Autrice: Salve! Rieccomi in questo fandom. Ultimamente lo sto invadendo, scusate. Questa fic è nata dal prompt “You don't need to protect me” segnalatomi da un'amica brasiliana su Tumblr. Volevo scrivere una Zombie!AU da una vita, ed ecco trovata l'occasione. Scriverla è stato molto divertente, e spero che abbia divertito anche voi, sebbene il tema generale sia un po' macabro… Devo ringraziare The Walking Dead per le mie conoscenze in materia di zombie e affini. La scena finale è molto dolce – Erik riesce a piangere anche durante un'Apocalisse zombie, da non crederci.
La versione inglese della storia si trova qui, su Archive of Our Own, se volete potete lasciare Kudos o commenti, anche anonimamente.
Chi mi conosce sa che ho scritto anche altre fic su questa strana coppia: potete trovarle nel mio account e leggerle, se ne avete voglia.
Grazie per l'attenzione e alla prossima!

   
 
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