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Autore: katris jackson    08/06/2017    2 recensioni
immaginiamo che Gin Ichimaru non sia morto nello scontro con Aizen, immaginiamo che lui e Matsumoto abbiano la possibilità di vivere una storia d'amore, vediamo cosa succede...
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gin Ichimaru, Kurosaki Ichigo, Rangiku Matsumoto, Renji Abarai
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Nuova Luce
“Quanto casino nella testa,
potrei farne un grattacielo,
un sogno puoi chiamarlo sogno solo se diventa vero…”
Gin accarezzò ancora una volta il cofanetto di velluto blu, gli sudavano le mani ogni volta che lo teneva tra le dita e ogni volta si sentiva, se possibile, ancora più agitato, come se il cuore gli battesse nel petto per la prima volta producendo un suono assordante che avrebbe potuto svegliare l’intera città. Aveva la sensazione che il movimento compulsivo della sua gamba dovuto alla tensione, avrebbe potuto scuotere l’intero edificio e che da un momento all’altro gli sarebbe esplosa la testa… se avesse continuato a pensare.
Doveva calmarsi.
Mise via il cofanetto richiudendolo nel cassetto del comodino, si sfregò il volto con le mani ed emise un profondo respiro.
Lei dormiva dall’altra parte del letto, scompostamente avviluppata tra le lenzuola, ingarbugliata in una camicia da notte di chiffon rosa bordata di piumette che lasciava ben poco all’immaginazione. Respirava sommessamente, con le labbra teneramente socchiuse che lasciavano sfuggire un flebile fruscio e il diaframma che si sollevava ritmicamente scandendo i secondi che mancavano al risveglio.
Gin si strinse accanto a lei, le sfiorò il braccio con dita timide, analizzando centimetro per centimetro la sua pelle calda, morbida e setosa, che emanava un profumo dolce di pesca e cannella. Si accoccolò ancora più vicino al suo corpo, affondando il viso tra i suoi soffici capelli ramati che rilucevano come fili d’oro alla luce del mattino. Si lasciò invadere da quel profumo, finché i loro respiri divennero uno solo e i loro cuori si sincronizzarono battendo senza fretta, e per un istante non desiderò altro che rimanere congelato così per tutta la vita, nel limbo dolciastro del dormiveglia dove tutto era possibile senza che niente sembrasse vero.
 
“…e non c’è dubbio nella verità,
 per questo ci spaventa
È meglio credere di andare, che fallire già in partenza.”
 
Quando la sentì agitarsi tra le sue braccia, Ichimaru le lasciò credere di essere stata la prima a svegliarsi, e soprattutto le lasciò credere che lui avesse davvero dormito quella notte. Rangiku si sciolse prudentemente dal loro intreccio, scivolando sinuosamente tra le spire del suo uomo.
  • Buongiorno Ichimaru-kun!- sussurrò con quella sua voce vellutata, che appariva sensuale perfino quando si era appena svegliata.
Gin rimase indifferente, troppo spaventato per arrendersi all’idea che quel giorno, allo stesso tempo tanto temuto e tanto atteso, fosse già arrivato. Mentre fingeva di giacere ancora tra le braccia di Morfeo, si rese conto che alla fine delle successive ventiquattro ore la sua vita non sarebbe stata più la stessa, poi si chiese se sarebbe stata una vita migliore o peggiore, ma l’unico modo in cui poteva scoprirlo era aprire gli occhi (per così dire) e cominciare.
  • Coraggio dormiglione! - lo istigò Rangiku facendogli scivolare le dita fra i capelli. – Avevi detto che avremmo fatto qualcosa di speciale oggi… ti ricordi che giorno è, vero?
Ichimaru lo ricordava benissimo, viveva in funzione di quella giornata da mesi ormai, ma perché fosse tutto perfetto, perché fosse speciale, doveva comportarsi come sempre: da idiota.
  • Non so che giorno è Rangiku-san, forse il giorno in cui mi preparerai dei pancake per colazione? – disse con un falso tono assonnato, che non avrebbe ingannato nemmeno un sordo, mentre si stiracchiava le braccia.
  • Non aspettarti che me la beva! – esclamò lei indispettita sedendosi sul bordo del letto. – Sai benissimo che oggi è il mio compleanno, mi avevi promesso una giornata indimenticabile perciò giù dalla branda, buono a nulla! – esaminò la sua immagine nello specchio che teneva sul comodino, si ravvivò i capelli e fece per alzarsi -… e mi aspetto di essere trattata come una principessa!
“Tu sei una principessa!” avrebbe voluto dire Gin. Avrebbe voluto farle la proposta lì, su due piedi, mentre erano ancora mezzi nudi e prima che il caffè gli restituisse il buonsenso che avevano perduto la notte precedente, avrebbe voluto avere la certezza che lei lo avrebbe preso sul serio e che gli avrebbe detto “Si”. Ma Rangiku avrebbe avuto ragione ancora, si sarebbe dimostrato il buono a nulla che era, invece Gin voleva provare a rendere quella giornata davvero indimenticabile, e soprattutto se fosse stata l’ultima che avrebbero trascorso insieme, Gin voleva godersela fino all’ultimo istante.
Prima che potesse alzarsi, le afferrò dolcemente il polso trattenendola, la baciò sulle labbra rallentando la corsa dell’universo per quei pochi istanti in cui le loro bocche si assaggiarono.
  • Allora diamo inizio a questa giornata, principessa… - le sussurrò quasi senza scostare le labbra dalle sue. Scivolò sulle lenzuola silenziosamente e, senza che lei se ne accorgesse, la circondò con le sue braccia affilate.
Rangiku rimase immobile, lo sguardo languido che esaminava l’espressione serafica di Gin, ipnotizzata dai suoi gesti eleganti e calcolati, disarmata, momentaneamente privata della parola e della propria razionalità. Ichimaru la sollevò con un movimento fluido, senza che lei si rendesse conto di cosa stesse accadendo, la portò nel bagno dove oltre una sottile cortina di vapore, Rangiku vide una vasca d’acqua schiumosa che profumava deliziosamente, Ichimaru la adagiò sul bordo della vasca e le sollevò il mento.
  • Quando sei pronta scendi di sotto, ti aspetto per la colazione…
Poi se ne andò senza aggiungere altro, socchiudendo la porta alle sue spalle mentre usciva. Rangiku si sentì fuori posto, non ricordava di essere mai stata in quella vasca, in quel bagno o in nessuna stanza della casa senza Gin. Non aveva mai pensato di poter usufruire dei lussi di quella reggia senza sentirsi un’ospite temporanea, sempre tragicamente sospesa tra il senso di colpa e il piacere.
Gin si gettò a capofitto nella preparazione della colazione, operazione che richiese quasi un’ora essendo stata studiata nei minimi dettagli. Per quel lasso di tempo, la confusione che provocò tra utensili da cucina e ingredienti fu tale da non fargli sentire i pensieri, il fracasso assordante delle scodelle e del microonde anestetizzò il ronzio di insicurezza nella sua testa. Alla fine, quando era appena riuscito a restituire una parvenza decorosa alla cucina, Rangiku scese per la colazione.
  • Ma cosa combini? - ridacchiò lei varcando la soglia con il portamento da dea che si ritrovava. Gin non ebbe la risposta pronta, stava ammirando la donna che il destino o la fortuna avevano magicamente condotto sulla sua strada, rendendolo l’ingrato più fortunato del mondo.
Rangiku si sistemò su una sedia, avvolta in un lungo cardigan bianco rivestito internamente di pelliccia altrettanto candida, jeans blu fasciavano il suo fisico perfetto mentre un maglioncino rosa corto, ma stranamente poco provocante, le lasciava scoperto l’ombelico.
  • Ti sei dato alle arti culinarie, Ichimaru-kun? – ridacchiò lanciandogli uno sguardo capriccioso.
  • Ed è solo una delle mie innumerevoli qualità… - rispose Gin sarcastico masticando un kaki essiccato.
  • Toshiro-kun non mi ha ancora chiamato… - aggiunse poi con un tono vagamente languido, perfettamente calcolato per mascherare la delusione dietro una vena ironica.  Gin sapeva che anche il suo migliore amico Toshiro aveva preparato qualcosa di speciale per lei, tanto per cominciare lui e Gin avevano deposto le armi in nome di una possibile futura convivenza pacifica, e poi gli aveva dato la sua benedizione e lo aveva aiutato a organizzare quella giornata.
  • Sono certo che presto chiamerà, non mancherebbe mai di farti gli auguri. – la rassicurò Gin chinandosi su di lei e accarezzandole lentamente il volto con i polpastrelli del pollice.
Rangiku lo guardò fiduciosa, eppure profondamente incuriosita, o meglio turbata, da quei gesti. Gin l’aveva sempre riempita di regali e attenzioni frivole, che erano più un modo per scusarsi di non aver saputo guadagnarsi un briciolo della fiducia che Matsumoto aveva in lui, che reali dimostrazioni d’affetto. Eppure quel gesto era stato così spontaneo così… tenero(?), da sembrare quasi vero affetto. Gin era sempre stato un uomo misterioso, ma anche passionale, dolce e allo stesso tempo ambiguo, come se provasse continuamente a svelare qualcosa di sé che non voleva condividere con il mondo… solo con lei. Eppure quella mattina finalmente, a Rangiku Ichimaru sembrava l’uomo dei suoi sogni, quello che avrebbe desiderato vedere ogni volta che lo guardava.
Consumarono la colazione come fosse un gioco, come se fossero di nuovo bambini affamati di periferia, spensierati come non erano mai stati, sospesi in un microcosmo privato al di sopra del tempo e dei perché.
 
“E le strade si confondono,
 le scelte si aggrovigliano,
questi anni disperati neanche più ci meravigliano”
Ichimaru si infilò il doppiopetto grigio, si guardò allo specchio e si sentì come un pugile sul punto di salire sul ring, respirò a fondo e indossò la sua solita faccia, confidando che l’uomo sotto quel sorriso fosse un uomo diverso, ripetendosi che se ci avesse creduto almeno lui forse anche Matsumoto avrebbe potuto vederlo.
  • Vogliamo andare? – disse offrendole il braccio per uscire di casa, lei lo accettò con un’ombra di dubbio sul volto e Gin finse di non notarlo, finse di non sentirsi ferito. Le aprì la portiera, aspettò che si accomodasse e raggiunse il posto del guidatore.
La sua Honda SNX bianca ruggì accendendosi, in un altro tempo, quello sarebbe stato per Gin il momento più eccitante ed emozionante che riuscisse ad immaginare, ma quella mattina Ichimaru a stento riuscì a ricordarsi come far avanzare l’auto sull’asfalto senza uscire dalla carreggiata, nemmeno fece caso al suo ruggito, avrebbe potuto essere alla guida di un carretto trainato da buoi e si sarebbe sentito esattamente nello stesso modo. Riusciva solo a vedere Rangiku mentre si godeva la carezza violenta del vento che le scompigliava i capelli, che accentuava quell’aria sprezzante e maliziosa di cui amava vestirsi, il sole che le illuminava il viso le faceva splendere gli occhi come zaffiri puri, come la superficie scintillante dell’oceano, e tutto il paesaggio intorno a loro sembrava distorcersi per divenire la perfetta cornice della sua bellezza.
Gin agì senza riflettere, selezionò il cambio automatico e fece scivolare la sua mano su quella di Rangiku, spontaneamente abbandonata sulla sua gamba. Rangiku fissò prima lui, poi la mano un paio di volte, poi sorrise docile e intrecciò le sue dita con quelle di lui, gli accarezzò il dorso della mano e, sollevandola, la fece scivolare lungo la propria guancia e il proprio collo, come un gatto che fa le fusa trastullando la mano inerme del proprio padroncino.
Rangiku non lo seppe mai, ma nei seguenti due, tre, dieci, o forse venti minuti Gin non ebbe il minimo controllo dell’auto o delle proprie funzioni vitali, non riusciva a vedere ciò che realmente aveva davanti a sé né era in grado di rispondere ai propri riflessi, nella sua testa stava vivendo una fantasia romantica in cui Matsumoto avrebbe ripetuto quel gesto ogni giorno, tutti i giorni, per il resto delle loro vite…
Matsumoto sapeva che quel momento non sarebbe durato, Matsumoto conosceva Ichimaru e sapeva che quel comportamento non era da lui, sapeva perfettamente che la stava solo accontentando, come si fa con i bambini nel giorno del loro compleanno, eppure non seppe resistere alla possibilità di poter vivere quell’illusione con tutta sé stessa, come se non si fosse mai svegliata e come se quello che stava vivendo non fosse altro che il suo sogno più proibito.
Matsumoto e Gin erano innamorati. Lo erano stati da sempre, fin da quando erano troppo piccoli per capire i propri sentimenti, eppure non se lo erano mai detto. Il destino e i suoi intrighi avevano separato e intrecciato le loro vite come filo spinato, rendendo il loro passato indistricabile. Si erano allontanati, si erano cercati, e alla fine si erano sempre ritrovati. A quel punto si erano rassegnati, il loro filo rosso li avrebbe tenuti comunque insieme in qualche modo, allora si erano concessi quella relazione, fatta di passione e mancanza di fiducia. Un eterno rincorrersi senza avere il coraggio di non lasciarsi andare, un rapporto di congiunta solitudine in cui il silenzio era un vaso di pandora troppo pieno di cose da dirsi per rischiare di aprirlo. Avevano perfino deciso di fuggire un po' dalla Soul Society per creare quel nido lontano dai giudizi di chi non era in grado di capirli. Erano felici perché era insieme che volevano stare, eppure erano tristi perché non era quello il modo in cui volevano stare insieme. Per questo mentivano a loro stessi, perché avevano paura di dover rinunciare a quel poco che potevano avere se avessero rischiato di raggiungere ciò che davvero avrebbero voluto.
Gli anni erano passati così: nell’agrodolce nido che avevano costruito, perseguitati dall’incessante brusio delle loro coscienze.
“Ti sei mai chiesto che senso ha
Se non riesci più a sentirla…
La felicità.”
Una volta Ichimaru si era svegliato nel cuore della notte, Rangiku dormiva adagiata sul suo petto, il suo respiro delicato era l’unica cosa a riempire il silenzio e il vuoto intorno a lui… era stato allora che aveva deciso che l’avrebbe sposata. Improvvisamente, dentro di lui era tutto chiaro. Avrebbe fatto di quella donna che si era permesso di trattare come un’amante illecita, la propria regina. Perché non c’era bisogno di spiegazioni, solo di coraggio, il coraggio di immaginare il futuro lasciandosi alle spalle il passato. All’improvviso Ichimaru non vedeva l’ora di prendersi la colpa di tutte le stronzate che aveva fatto se era quello il prezzo da pagare per avere ciò di cui aveva intensamente bisogno e che tutti i suoi soldi, le comodità della sua casa e il suo potere non gli avrebbero mai dato, quello di cui tutti abbiamo bisogno, anche se fingiamo che non sia così, anche se ci imponiamo di credere che esista e si possa desiderare qualcosa di più immenso: l’amore.
“Fammi mancare l’aria, io sono Marte tu la Terra
Fammi la guerra…
Dammi un’alternativa, niente parole solo suono, io so chi sono…”
Quando arrivarono nel paesino di Karakura era passato da un pezzo il mezzogiorno, le strade erano piene di gente in fermento e si respirava un’aria autunnale frizzante e piacevole. L’odore di manicaretti fatti in casa fuggiva dai balconi e dalle finestre impregnando l’intera cittadina con aromi intensi e caldi e si mescolava all’odore della terra bagnata dalla prima pioggia. Il sole era piacevolmente caldo eppure il vento faceva presagire l’arrivo di un inverno rigido, irreprensibile.
  • Ma è fantastico Ichimaru-kun! – aveva esclamato Matsumoto appena scesa dall’auto, gli occhi che le brillavano come quelli di una bimba davanti ad un gigantesco pasticcino. Un’espressione impagabile, così rara da vedere sul suo volto. Ichimaru riuscì a sentirsi un po’ fiero di sé. – Non dirmi che avete organizzato una festa a sorpresa per me voi birichini! – aggiunse poi con il suo solito tono civettuolo.
  • Non ti si può proprio nascondere nulla, eh Sherlock? Tuttavia, stavolta hai fatto un buco nell’acqua temo… andiamo, c’è un mucchio di gente che attende sua maestà! – scherzò Gin abbozzando un inchino e offrendole nuovamente il braccio.
Passeggiarono con calma verso la collina, quasi senza parlare, lanciandosi sguardi furtivi, curiosi, tentando di scrutare l’uno nei pensieri dell’altro. Un gioco piacevole, senza malizia, che li riportava indietro nel tempo…
Rangiku si sentiva coccolata. Si stringeva ad Ichimaru forse un po’ troppo caldamente, poggiando la testa sulla sua spalla, ridacchiando sommessamente alle sue sporadiche battute. Lui sembrava apprezzare la sua reazione, era come… compiaciuto(?), ma Rangiku non si lasciava illudere da quell’atteggiamento che fungeva da specchietto per le allodole, c’era qualcosa sotto. Si domandò se non si trattasse di un incantevole commiato, uno spettacolo d’addio che chiudesse la recita che avevano portato avanti negli ultimi anni. Si disse che le sarebbe stato bene così, un giorno perfetto da portarsi dentro per sempre…
  • Rangiku-saaaan! – la voce di Inoue fu la prima a raggiungerli mentre arrivavano in cima alla collina.
Nello spiazzo ai piedi del tempio era stata allestita una sorta di fiera e un manipolo di suoi amici sembrava impegnato a gestire una bancarella. Rangiku vide decorazioni di ogni genere brillare al sole del pomeriggio, la musica e le voci dei bambini riempivano l’aria in una melodia sgangherata, tutti sembravano allegri per qualche misterioso motivo.
  • Benvenuta al Momijigari di Karakura, Principessa! – le sussurrò al’orecchio Ichimaru. La stava prendendo in giro, eppure lei si sentiva profondamente felice, quasi commossa: il calore del paese, l’allegria degli amici, il suo uomo al suo fianco… a stento avrebbe immaginato di meglio.
Ichimaru ricordava il giorno in cui avevano deciso la data del compleanno di Matsumoto. Erano piccoli e senza genitori, si erano incontrati nelle periferie di una città fantasma, entrambi senza passato, lei non ricordava molto della propria vita se non una continua fuga verso il nulla. Quando Gin le aveva chiesto quando fosse il suo compleanno, lei aveva risposto che non lo sapeva e che aveva ricominciato a dare senso ai giorni solo dal momento in cui si erano incontrati. Ichimaru era un bambino solerte, sempre con la risposta pronta. - D’accordo! – le aveva detto. – Allora sarà quello il giorno del tuo compleanno, quello in cui ci siamo conosciuti, quello in cui è cominciata la nostra vita…
Adesso, dopo tanti anni, Ichimaru rivedeva sul volto di Rangiku l’espressione che aveva avuto quel giorno, un’espressione confusa, forse addirittura sbigottita, eppure felice…
  • Ehi, si può sapere cosa succede qui? – chiese Rangiku vedendo tutti indaffarati dentro e fuori la bancarella.
  • Urahara-kun ha deciso di partecipare al Momijigari quest’anno, e noi abbiamo deciso di aiutarlo Rangiku-san! – rispose un’eccitatissima Inoue che indossava un elegantissimo kimono stampato con una fantasia di foglie e fiori autunnali, in mano aveva un cesto di dolcetti fragranti.
  • Già, come se avessimo avuto scelta… - disse Rukia facendo capolino da dietro l’amica con indosso un costume da… kaki(?)
  • Ma come ti hanno conciato Rukia-chan! – cinguettò Matsumoto senza poter trattenere una risata. Bassina, con quel costume rotondo e arancione Rukia era la perfetta mascotte per quel circo ambulante.
  • Non una parola su questo. – rispose lei tetra.
  • Rukia-san fa il lavoro più importante Rangiku-san, pubblicizza il nostro chiosco! - disse solenne Inoue.
  • Ah quindi è un chiosco, non un teatrino comico? – li schernì senza cattiveria Gin.
  • Rangiku-san in occasione del tuo compleanno ho ideato una ricetta speciale… kaki-cupcake!
  • Immagino siano deliziosi Inoue-san! - disse maternamente Matsumoto, incapace di ignorare la spontanea propensione che aveva per coccolare quella ragazzina.
  • Purtroppo, non mi occupo io della preparazione…
  • E chi se ne occupa? – chiese Gin intervenendo.
Per tutta risposta, dal cucinino dietro il chiosco arrivò un fracasso infernale, seguito da un’esplosione di urla.
  • SI PUO’ SAPERE CHE ACCIDENTI TI RITROVI IN QUELLA TESTA DI MERDA AL POSTO DEL CERVELLO? – gridò una voce decisamente familiare.
  • NON E’ COLPA MIA SE TI MUOVI COME UNA SCIMMIA SPASTICA CON IL PEPE NEL CULO IN UNO SPAZIO COSI’ RIDOTTO, ANANAS CON I PIEDI!
  • ALMENO IO MI MUOVO A DIFFERENZA TUA CHE DORMI DA DUE ORE! SEI UTILE QUANTO UN PALO NEL DIDIETRO!
  • E TU TE NE INTENDI NON E’ VERO!
  • Ragazzi, direi che è meglio se vi date una calmata e ritornate quando avrete SMESSO DI COMPORTARVI DA MARMOCCHI! – concluse una terza voce, calda e un po’ burbera mentre due ragazzini venivano spediti a propulsione fuori dal cucinino.
  • Kurosaki-kun, Renji-kun, avevate promesso che non avreste litigato per oggi! – disse Inoue quasi in lacrime.
  • Non sono stato io a cominciare. – brontolò Ichigo ripulendosi i pantaloni da quella che sembrava una miscela per dolci finita male.
  • Oh ti prego, cercherò di ignorarti… - si lamento Renji.
Gin e Rangiku si scambiarono uno sguardo che valeva più di mille parole, scoppiarono in una risatina intima che lasciò tutti un po’ turbati.
  • Ci vediamo dopo ragazzi! – si accomiatò Matsumoto facendo l’occhiolino a quei due fenomeni da baraccone, poi si lasciò guidare nuovamente da Ichimaru. Quando avevano percorso appena un paio di metri si voltò indietro scossa da un pensiero.
  • Ragazzi, avete per caso visto Toshiro-chan? – chiese. Inoue sobbalzò, visibilmente colta alla sprovvista.
  • No Ranjiku-san, non si è fatto vivo! – intervenne Ichigo circondando Orihime affettuosamente con un braccio e sfoggiando un’espressione esageratamente disinvolta. Rangiku era ancora una volta perplessa, ma lasciò correre.
Arrivarono in cima alla collina dove, a ridosso del tempio era stato allestito un padiglione in bamboo e carta di riso. Due donne piccole e pittoresche avanzarono verso Matsumoto.
  • Che succede? – chiese stranita.
  • Temo che dovrai seguirle… - disse Ichimaru sfoggiando il suo più sgargiante ghigno spavaldo.
Matsumoto si prestò al gioco, le due donnine la aiutarono ad indossare un kimono tradizionale, riccamente decorato con fantasie autunnali, le acconciarono i capelli e la truccarono. Matsumoto ADORAVA quel genere di cose, la facevano sentire indescrivibilmente sofisticata e coccolata, avrebbe potuto trascorrere ore a pendersi cura del suo aspetto. Non perché fosse una donna superficiale ma… ognuno ha i propri vizi, no?
Quando ritornò nel padiglione si era riempito di altra gente vestita a festa, donne e uomini di tutte le età si affollavano trepidanti per l’eccitazione. Ichimaru la raggiunse alle spalle, le sfiorò il collo con le labbra e un brivido la fece trasalire.
  • Di che si tratta? – sospirò incuriosita.
  • Lo vedrai…
Dopo un paio di minuti una musica lieve inziò a diffondersi nella sala, tutti i presenti iniziarono una danza ripetitiva e leggiadra seguendo il ritmo aggraziato della musica.
  • Non conosco questa danza. – disse Matsumoto con una nota di panico nella voce.
  • Segui me… - sussurrò mellifluo Ichimaru iniziando a guidarla con mani esperte.
Inizialmente si sentì goffa. Poi le note si fecero familiari, pian piano comprese la logica dei movimenti ed infine si sentì cullata in un’armonia di gesti e suoni, tutto ciò che aspettava era di poter sfiorare Gin, di essere sfiorata a sua volta, nel fruscio delle vesti, nel vorticare dei corpi, alla luce incantata del sole del pomeriggio, Matsumoto fu definitivamente certa di trovarsi in un sogno.
La musica finì. I danzatori si snodarono in una processione che attraversò il tempio e li porto ai piedi di un maestoso acero rosso le cui foglie screziate brillavano come rame liquido sotto il sole del tramonto più magico che Rangiku ricordasse di aver mai visto. Ai piedi dell’acero, gli abitanti di karakura si immedesimarono in interpretazioni teatrali grottesche e improbabili haiku, anche i loro amici li avevano raggiunti per assistere allo spettacolo. Ranjiku a stento si rese conto di ciò che le accadeva intorno, se ne stava al fianco di Ichimaru, la mano spasmodicamente intrecciata con la sua, lo sguardo fisso sul suo viso, che aveva l’espressione di sempre, distante e impassibile, impegnata nella contemplazione dell’ignoto.
Per Ichimaru, non iniziare a tremare fu un’impresa, continuare a respirare ogni volta che i loro sguardi si incrociavano fu un’impresa, resistere alla tentazione di gridare, lì in mezzo a tutti che era innamorato di lei fu un’impresa. Ma l’impresa più ingiusta fu dover sopportare il suo sguardo indagatore, languido, ostinato scrutarlo con tanta perplessità e non poterla confortare, non poterla rassicurare, convivere con la certezza che in quella testolina scaltra i pensieri più controversi si stavano facendo strada tramando contro di lui.
 
 “Tutte le paure adesso sembrano distanti,
ma non si può trattare un gran finale con i guanti,
io vado fuori solo per una fine facile
e ricomincia sempre tutto da te…”
Quando la folla si diradò Ichimaru condusse Ranjiku sul fianco opposto della collina, verso la riva del fiume, mentre il sole iniziava a tuffarsi oltre l’orizzonte e si accendevano le stelle.
  • È stato magnifico. – mormorò Matsumoto spezzando quel silenzio un po’ freddo.
  • Sono felice che ti sia piaciuto, lo speravo davvero tanto… - rispose Gin senza guardarla, accarezzandole compulsivamente il dorso della mano, provando a convincersi che il battito del suo cuore non fosse udibile al di fuori del suo torace, come invece credeva.
Il riflesso della luna baluginò sul pelo dell’acqua quando ancora una linea di luce infuocata si distendeva all’orizzonte, Ichimaru non poteva fare a meno di pensare che quella fosse la metafora della loro storia: due spiriti così diversi che si specchiano nella stessa realtà; lei così passionale, infuocata, lui freddo, quasi iridescente, il riflesso di sé stesso.
  • Non è assurdo? – disse con una nota di amarezza nella voce. – Il sole e la luna nello stesso cielo…
  • Sarà assurdo, ma sono così belli insieme.
Ichimaru sapeva che quello era il momento perfetto, aspettava solo un piccolissimo segno…
Qualcosa danzò nel buio, piccolo e fragile, quasi invisibile… un fiocco di neve. Era il segnale.
Quando il fiocco di neve sfiorò il suo viso Matsumoto riconobbe immediatamente la reiatsu di cui era impregnato. “Toshiro-kun” sospirò dentro di sé. Concentrandosi poteva quasi vederlo, seduto in alto sulla collina, impegnato con la sua Hyorinmaru, per creare quel momento…
  • Nevica- disse in un soffio.
  • Come il giorno in cui abbiamo deciso di crescere insieme. – rispose Ichimaru. Ranjiku lo ricordava bene, erano solo ragazzini e avevano deciso di entrare all’accademia degli shinigami, insieme. Per non doversi separare mai. Si chiese cosa volesse dire tutto quello…
  • È inutile che continui a cercare le parole giuste, tanto non penso di essere in grado di trovarle… – iniziò a dire Gin. - …però sento che se non te lo dico adesso potrei pentirmene per il resto dell’eternità…- Ichimaru non si sarebbe inginocchiato, la trovava un’idea sciocca e banale, le prese il viso tra le mani e la guardò dritta negli occhi. Il suo sguardo così profondo sembrava scandagliargli l’anima. – mi sono innamorato di una donna che non credo di aver mai avuto il diritto di avere accanto, ho cercato di essere per lei quello che lei è per me, di darle quello che lei mi dà, e non ho potuto fare a meno di pensare che forse lei meriterebbe di stare lontano da uno come me. Ma sono un codardo, e un egoista, e non posso lasciarla andare via, ho bisogno di lei. Allora ho pensato… chissà, magari anche lei vuole trascorrere il resto della sua esistenza con me…
Gli occhi di Rangiku non avevano tregua, combattevano contro le lacrime e l’incredulità, tremavano.   Gin non riusciva a sostenere quello sguardo. Pescò il cofanetto blu dal kimono, lo aprì mostrando l’anello a Matsumoto: un diadema di brillanti lucidi e tersi come le stelle al centro del quale spiccava un diamante rosa, solitario ed elegante.
  • Tra mille anime tutte uguali perse in un mare di oscurità tu… sei la mia nuova luce…- concluse Ichimaru sentendo di non aver più coraggio per dire una sola parola.
“… sei la mia nuova luce,
 sei tutto quello che ho…”
Ranjiku si sentiva una persona orribile. Aveva dubitato di lui tutto il tempo per poi sentirlo tessere le sue lodi. Tremava dentro, sperando di non apparire debole come si sentiva. Non aveva nemmeno mai osato immaginare quel momento, non credeva fosse mai stato contemplato nel progetto del suo destino.
Era… perfetto.
  • Si. - lo disse così piano che le sembrò un suo stesso pensiero. E non era il luccichio di quell’anello ad averla convinta, Ranjiku non lo aveva nemmeno guardato, due diamanti ben più rari brillavano di fronte a lei: gli occhi di Ichimaru, per una volta spalancati e splendidi, solo per lei.
  • Sì. – ripeté.
Poi lo baciò.
Ed ebbe voglia di piangere.
Ma trattenendo le lacrime…
…riuscì a sentire più intenso…
…il sapore della felicità.
   
 
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