Film > Pirati dei caraibi
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Autore: Minga Donquixote    08/06/2017    6 recensioni
«Sei incredibile!» Si lamentò lei, tornando a sedersi sul pavimento e afferrandogli una mano. «Vuoi pure che ti racconti una fiaba per bambini?»
Cutler la guardò minaccioso e strinse forte la mano, facendola gemere di dolore. «Sei insopportabile.» le sibilò.
«Faccio del mio meglio.» ribattè lei, testarda.
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Era sicuramente un incubo il posto in cui era capitata la giovane Eris Gallese. Parrucche incipriate, lotte di pirati, dannati corsetti e no docce saponate.
Quando non si studia la storia, ci si trova impreparati.
Genere: Avventura, Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James Norrington, Lord Cutler Beckett, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 9. Anime affini


La mattina del sesto giorno non assomigliò per nulla a quella del giorno prima.
Eris era piegata oltre il parapetto della nave, a testa in giù così che i capelli fluenti sventolassero senza legami.
Ripensò a poche ore prima.
Quando si era svegliata, aveva capito chiaramente di non trovarsi nella sua stanza. Il corpo premuto contro il suo non faceva una mossa se non respirare contro il suo collo e i brividi le avevano sfiorato la spina dorsale più volte.
Stanca, si era decisa a filarsela.
Aveva spostato abilmente le mani da sotto l’uomo ed era sgusciata via, quasi rischiando di cadere dal letto.
Girandosi intorno aveva trovato il suo pugnale e...la sua chiave.
L’aveva guardata intensamente prima di prenderla in fretta e furia, a causa del rumore inconfondibile di un pre-risveglio, e scappare via dalla porta.
Era entrata nella sua stanza, si era rinfrescata nell’acqua che aveva preparato il giorno prima e cambiata con il vestito del primo giorno di lezione di galateo. Non avrebbe indossato il suo adorato vestito grigio/verde per qualche odiosa lezione.
Si avvicinò allo specchio, si accucciò sulla poltroncina senza schienale e si pettinò i capelli bagnati.
«Che state facendo esattamente?»
James Norrington la guardava con un’espressione confusa e terrorizzata allo stesso tempo.
«Lascio asciugare i capelli.» gli rispose lei, senza muovere un muscolo dalla posizione.
«Beh, non vi sporgete troppo. Non vorremmo interrompere la navigazione per potervi ripescare.» e se ne andò lasciandola da sola.
«Il sarcasmo è eccessivamente troppo su questa nave, maledizione!» sbuffò, vedendolo allontanarsi con la coda dell’occhio.
Dopo qualche minuto sentì una scarpa col tacco allentarsi e scivolare sul piede a causa della posizione scomoda e del sudore e tentò di togliersela facendo leva con l’altro piede.
Quando quella finalmente venì fuori, lo scatto finale la fece sobbalzare in avanti e un gomito scivolò fuori dal parapetto.
Tirò un urletto spaventato ma riuscì comunque ad ancorarsi bene con le gambe così che non cadesse fuori.
Seppur fosse stato un lieve colpo di voce, un tenente che era di passaggio crebbe di averla vista in difficoltà.
Eris si sentì sollevare per la vita, nel giro di pochi attimi, e allontanata con fatica, a causa del suo artigliare il legno, dal parapetto.
«MA CHE DIAVOLO FAI?!» Si agitò contro chiunque la stesse trattenendo per i fianchi, muovendo braccia e gambe come un bambino che voleva sfuggire ad un abbraccio opprimente.
«Va tutto bene, Miss. Siete in salvo!»
La giovane si girò a metà verso il ragazzo e lo fulminò con lo sguardo.
«Ero già in salvo, salame!» Gli ringhiò, dando un ultimo colpo di reni per uscire finalmente dalla stretta del marinaio.
L’uomo parve lievemente scioccato da quella rivelazione e, con fare imbarazzato, si sistemò il cappello a tricorno sulla testa.
«Scusatemi. Ho interpretato male il vostro grido di paura.»
Vedendolo in leggera difficoltà Eris alzò gli occhi al cielo e si postò la chioma, che le era finita davanti al viso, indietro.
«Fa nulla. Non dovevo urlare così. Colpa mia.» sbuffò, sistemandosi alla meglio i capelli ormai quasi asciutti e lievemente mossi. «Grazie lo stesso. Mi fa piacere vedere che sono al sicuro con Tenenti attenti come voi.»
Il Tenente si chinò appena in avanti, un sorriso rassicurato sulle labbra, e dopo aver chiesto il permesso, si dileguò.
La ventiduenne vago ancora un po’ al sole, vaporizzando i capelli in modo che rimanessero mossi e non mezzi lisci, finché lo stomaco non le brontolò vergognosamente.
«Gesù, sono soltanto le 12.»
Eh si, aveva saltato anche la colazione a causa del cagnolino. Forse non era una cattiva idea lasciarlo ai servi a Port Royal. Era un dannato sacco di pulci ingrato. Non faceva altro che abbaiare per uscire, per mangiare e altro.
Era dovuta scendere nelle cucine e frugare senza che nessuno se ne accorgesse. Aveva avuto il tempo di agguantare solo una mela per sé stessa e un ammasso di resti per la bestiola.
Senza un perché, vagò ancora e semplicemente si fermò vicino al timone. Il marinaio aveva lo sguardo fisso sul mare.
«È divertente stare qui tutto il giorno?»
«Non se non è dotata di pazienza, Miss.» le rispose prontamente quello.
Credeva che ci avesse fatto le radici lì, infatti si stupì della sua reattività.
«Del resto, però, ogni tanto qualche mozzo capita. Una buona compagnia fa sempre bene alla pazienza.»
Eris annuì, seppur senza convinzione, e si fece cullare dal rumore del timone che ruotava, dalle onde che s'infrangevano contro la nave come ogni volta e i gabbiani che si agitavano in cielo con il loro richiamo.
Alzò gli occhi e intravide qualche grosso uccello bianco roteare vicino a l’albero maestro, per poi volarsene via.
«Non dovrebbe mancare molto al porto. Guardate.»
L’uomo al timone gli tese un cannocchiale in ferro e oro che agguantò prontamente e portò ad un occhio.
Ed era vero, seppur ancora molto distante, forse da impiegare almeno altre 24 h per raggiungerla, un pezzo di terra poggiava sul mare.
Gli occhi le si illuminarono di gioia.
«Inghilterra. Dio salvi la regina.» ridacchiò, restituendo il pezzo al suo proprietario.
«Dio salvi il re...volevate dire.»
Eris ghignò apertamente, senza freni, e agitò una mano per aria come era solito fare Beckett.
«Miss Gallese!»
La donna si sporse oltre la balaustra, da dove aveva sentito chiamare, e trovò Gillette vicino al portone che conduceva alla sala da pranzo.
«Ci stiamo riunendo in sala. Volete venire?»
Lei annuì al tenente che l’aspettò al piano di sotto e salutò frettolosamente il timoniere.
«Ma sono ancora le 12:15. Perché vi riunite così in fretta? Il pranzo è tra un’ora.» chiese al giovane marinaio, una volta raggiunto alla fine delle scale.
«Beh, per lo più brindiamo al viaggio quasi terminato.» fece spallucce lui, sistemandosi bene la spada al fianco con fare orgoglioso.
Eris arcuò un sopracciglio e rise. «Esatto, quasi terminato.»
Non ci mise molto a vuotare il sacco, e cioè che quello era solo un abituale incontro prima di pranzo. Ovviamente l’avevano fatto ogni volta e si sentiva appena a disagio in quel momento ad essere stata invitata solo da Andrew.
«E Beckett lo sa?»
«Siamo Tenenti. Non ci serve il permesso di Lord Beckett per brindare insieme.» era quasi mefistofelico, quel tono. Forse non andava tanto a genio nemmeno a loro.
Beh, dopotutto aveva ordinato l’arresto di James...comprensibile.
Aprirono le ante della stanza e trovarono già tutti i presenti tranquillamente disposti alle estremità del tavolo, che sorseggiavano e parlucchiavano tra loro.
Pettegole…” pensò lei, lasciando che Gillette coprisse la sua figura il più possibile.
Rapidamente però la sua attenzione fu distorta da una cosa. Mancava James. Perché mancava James?
«Miss Gallese! Venga a sedersi!» chiamò uno del gruppo di cui non sapeva il nome.
«Stavamo solo aspettando lei!» Disse un altro.
«Me? Per cosa?» domandò, curiosa.
5 minuti dopo:
«Allora, avete capito?» la mora sondò tutti i presenti, ora disposti tutti con le sedie intorno al tavolo.
Intravide una mano alzarsi a fatica e indicò uno degli ammiragli.
«Si?»
«Ma...mettere in posta il bacio è svantaggioso. C’è soltanto una possibilità su dieci che punti ad una donna. Inoltre qui ci sono uomini sposati...»
Eris ci pensò su. «Hai ragione. Va bene, chi è contro il bacio?»
9 mani si alzarono in aria.
Codardi.” sbuffò mentalmente.
«D’accordo. Via il bacio. Procediamo.»
Si piegò sulla bottiglia e fece per girarla quando una mano si posò sulla sua.
«Non bisogna sorteggiare il primo che ruoterà la bottiglia, secondo le vostre regole?» chiese un altro tenente.
La mora scosse il capo, scocciata. «Mi avete chiesto un intrattenimento. Allora mio gioco, mie nuove regole. Dato che sono l’unica donna giro io!»
Senza farsi attendere afferrò la bottiglia e la girò talmente forte che quella si mosse di lato.
«Schiaffo!»
La bottiglia ruotò su se stessa per quasi un’eternità.
Quando si fermò indicò un giovane tenente sconosciuto.
«Il tuo nome, caro?» sogghignò, scaldandosi le mani l'una con l’altra e avvicinandosi a lui.
«John.»
«Scusa, John.»
E gli tirò una sberla talmente forte da fargli voltare la testa da un lato a causa dell’impatto.
«Non vi siete risparmiata…» brontolò, passandosi una mano sulla guancia ferita.
Tese la mano verso la bottiglia e chiese quali erano le altre cose poste in gioco.
«Pugno, carezza, schiaffo, bacio-» iniziò ad elencare lei.
«Niente bacio!» dichiararono in coro facendola sospirare di desiderio incompreso.
«Okok. Carro armato, insalata e lettera.» concluse.
«Le ultime non le avete spiegate, però.» Si intromise Groves, deluso.
«Sono facili da capire.» Si giustificò lei.
Il Tenente in difficoltà guardò il resto del gruppo e sospirò. «Bene. Lettera.»
E le reazioni, nello scoprire cosa fosse in realtà la lettera, furono esilaranti.

Cutler aveva sentito un baccano provenire dalla sala già da parecchi minuti ma aveva deliberatamente deciso di ignorare e continuare a concludere le ultime carte per lo sbarco.
Quella mattina, quando si era svegliato, Eris non c’era più. Non aveva avuto una brutta reazione, vista la chiave sul comodino, altrimenti l’avrebbe decisamente ricordato sulla sua pelle...o sui suoi effetti.
Aveva il timore, prima di riaddormentarsi, che la giovane gli avrebbe tagliato a pezzi la parrucca o distrutto mezza camera una volta sveglia e accortasi che la chiave l’aveva presa lui.
E invece nulla. Era semplicemente sparita e la stanza era intatta.
Non sapeva se esserne sollevato o disturbato, poiché qualcosa gli diceva che il loro dibattito non si era risolto ancora.
A colazione non l’aveva vista e Mercer stava completando un ordine di affari a James Norrington, che aveva la massima priorità su tutto.
L’aveva scorta di sfuggita mentre correva fuori dalle cucine ma non lo aveva minimamente notato.
Finita la colazione si era chiuso nel suo studio e aveva ordinato del thè, che ormai consumava a razioni industriali, per calmare i nervi e le tensioni del ballo imminente.
Quando un colpo più violento degli altri arrivò alle sue orecchie decise di constatare lui stesso che diavolo stesse succedendo.
Varcò la soglia del suo ufficio, attraversò il lungo corridoio e si avvicinò alla porta laterale della sala da pranzo.
Aspettò che la situazione si aggravasse di nuovo dato che in quel momento vigeva un completo silenzio. Quasi pieno di suspense.
«AH-AH!»
Cutler sgranò gli occhi. Quello era senza dubbio il suo urlo da gallina.
«Perdonami, Gillette…»
«No! Quello no! No!»
Ci fu un rumore simile ad un tavolo rovesciato e poi uno scoppio di risate.
«Non puoi sottrarti al gioco!»
Beckett ringhiò, stufo di tutto quel movimento, e aprì di scatto la porta.
A terra, con la testa di Andrew Gillette sotto il proprio braccio, c’era Eris che aveva interrotto il suo operato sulla parrucca scombinata del tenente.
I loro occhi si incontrarono nel giro di un secondo e liberò l’uomo istantaneamente.
«Che diavolo sta succedendo qui?!» tuonò, facendo tremare vetri e vetrinette.
Il Tenente preso di mira si alzò a fatica, inciampando su se stesso per sistemarsi al meglio la parrucca, per poi coprirla con il cappello.
Eris girò i pollici, agitata, e si rialzò lentamente da terra. La stanza si era ammutolita di colpo.
«Qualcuno si degna di rispondermi?» ringhiò ancora, facendo scorrere lo sguardo tra i presenti.
«Ehm…» azzardò John, la schiena dritta seppur tremendamente teso. «Signore, stavamo soltanto facendo una piacevole conversazione con Miss Eris.»
Cutler alzò gli occhi al cielo. «Una piacevole conversazione che implica un’azzuffata sul pavimento della stanza?» lo scimmiottò, severo. «Scusa scadente, Tenente Lington.»
Prima che l’uomo potesse aggredire altri membri della Royal Navy, Eris fece qualche passo avanti, le mani strette sul vestito.
«È stata colpa mia.» intervenne anche se la voce le si incrinò appena.
«Colpa tua?» L’attenzione del Lord tornò su di lei e la scrutò, riflettendo intensamente.
La giovane si portò una mano alla testa e ridacchiò stupidamente. «Si, come al solito esagero con le mie idee strampalate.»
«Miss Eris…»cominciò Theodore.
Prima che Groves potesse intervenire nel discorso, la donna alzò una mano in aria, intimandogli di tacere.
Beckett sospirò giocosamente. «Non avevo dubbi.» Disse con un tono falsamente severo.
La mora si morse forte un labbro per non aggredirlo. Tirò dal naso quanta più aria possibile e rilassò i muscoli.
Una volta calmata si avvicinò al braccio di Gillette e lo afferrò.
«Possiamo anche sederci a questo punto, è quasi ora di pranzo.» ma quando puntò di nuovo lo sguardo verso la porta scorrevole, Beckett se n’era già andato.
Ed effettivamente non partecipò nemmeno al pranzo. Eris provò a chiedere spiegazioni a Mercer, ma quello le rispose che non aveva visto il Signore dalla mattina e l’unica cosa che aveva detto riguardo la sua assenza era perché aveva molto da fare.

Quel pomeriggio, come di consueto durante quei giorni, la ragazza camminò nell’ufficio del Lord e si aspettò di vederlo piegato sulle solite scartoffie, come sempre, ma quando aprì la porta e alzò lo sguardo lo trovò ad attenderla in piedi vicino ad un Ian Mercer, dotato di violino.
Eris, colpita, si avvicinò all’assassino e alzò un sopracciglio. «C’è qualcosa che non sai fare, tu?» gli domandò, ricevendo in cambio un sorrisetto di scherno.
Cutler guardò i due e richiese l’attenzione su di lui con un semplice colpo di tosse. «Ballare senza musica sarebbe uno dei primi passi ma Londra è vicina ormai e non c’è tempo.»
L’uomo si sistemò la giacca perfetta con un gesto rigoroso e rivolse il suo sguardo color del ghiaccio verso la ragazza che aprì la bocca in una muta domanda.
Non aspettò nemmeno che avesse il tempo di rifiutare che prese la sua mano sinistra, stesa lungo il fianco e la trascinò in mezzo alla stanza.
Il tavolo strapieno di soldatini e navi in miniatura era stato spostato verso gli angoli della stanza, in modo da lasciare abbastanza spazio ai due per muoversi.
Il lord fece scorrere la propria mano sul basso della schiena della giovane e la sospinse così che potesse assumere una postura più eretta.
Nonostante il suo essere ancora stordita, un leggero rossore involontario andò a colorarle le guancie e distolse velocemente lo sguardo alla propria sinistra quando quello di Beckett cercò il suo.
Con i tacchi era ancor più, se possibile, alta di lui e questo lo innervosiva. Avrebbe dovuto rimediare delle scarpe più basse alla giovane.
Si distanziò nuovamente dal suo corpo e le prese la mano sinistra nella sua destra.
Si sistemò al fianco di lei così che formassero una semplice linea retta e volse il viso verso di lei.
«I primi passi sono i più semplici, avanzate di tre passi e poi girate verso l’esterno alla vostra sinistra» così dicendo fece tre passi avanti e le lasciò la mano, così mentre lui girava a destra, lei girava a sinistra.
In sottofondo Mercer cominciò a suonare un’allegra sinfonia che la ragazza parve di riconoscere per un istante ma gli passò subito di mente.
Dopo due passettini si ritrovarono nuovamente faccia a faccia, ad un paio centimetri di distanza, e ripeterono il passo per altre due volte.
Quando si spostarono diagonalmente  e ripeterono gli stessi passi Eris capì.
«Aspetta un momento!» lo bloccò per un braccio e se lo tirò vicino al corpo, evitando che sfuggisse via per un nuovo passo. «Stiamo ballando un minuetto?»
«Si,è esatto» le rispose quello, alzando il mento così che potesse guardarla negli occhi. Non capiva quell’improvviso blocco.
«Io so ballare il minuetto.» sbuffò contrariata e Mercer bloccò il suo assolo, guardandola stupito. «Che poi…seri? Ancora ballate il minuetto?» continuò poi, rivolgendosi al più basso.
«E’ uno dei balli più in voga in questi ultimi anni» la contraddì lui, sistemandosi di nuovo le braccia lungo i fianchi.
«Beh, è noioso!» sbuffò lei, stanca. «Proviamo qualcosa di nuovo.»
Girò su se stessa e si avvicinò pericolosamente all’assassino, che trasalì un istante per tornare rapidamente duro come la roccia.
Gli posò le mani sulle spalle e lo guardò negli occhi, un lampo eccitato in quei pozzi senza fondo.
«Prova a suonare qualcosa di lentissimo.» gli sussurrò, quasi fosse un segreto. «Qualcosa come il vento che smuove leggermente le piante facendole frusciare dolcemente, sai cosa intendo?»
Molto spesso lei usava l’immaginazione per creare una propria musica e anche se usciva qualcosa di obbrobrio sapeva di averlo affibbiato ad un suono naturale.
Il che l’eccitava oltre ogni immaginazione.
«Non credo di aver inteso bene, Miss Gallese. Vento?» domandò quello, chiaramente confuso.
«Si…vento! Provaci!»
Abbandonato uno, si avvicinò frettolosamente all’altro e gli prese velocemente la mano sinistra nella sua destra, obbligandolo a poggiarla sul suo avambraccio destro.
Cutler sobbalzò quando la mano destra della giovane andò a stringerlo sulla scapola sinistra ma tenne comunque salda la sua presa, toccando con esitazione il muscolo nudo di lei.
Mercer cominciò a suonare e Eris riconobbe la sinfonia all’istante.
Bach, Air on the G string. Un violino.
Era ancora molto veloce per i suoi gusti ma poteva farla andar bene.
Serpentina, afferrò la mano libera del Lord nella propria e se lo spinse nuovamente contro così che i due petti fossero a contatto tra loro.
Il viso di lei si inclinò lievemente verso il basso, così che potesse guardarsi i piedi, e Beckett si trovò a fissare quei profondi occhi scuri, la bocca lievemente aperta e il suo respiro alla menta che gli solleticava il volto.
Perché sapeva di menta, lui non ne aveva la più pallida idea, ma la situazione stava peggiorando di secondo in secondo.
Sentì una scarpa separargli i piedi strettamente incollati l’uno all’altro come fosse uno di quei soldatini sulla carta nautica e si costrinse a deglutire a causa della gola secca.
«Che state facendo?» chiese con voce che raspava, guardandola negli occhi.
«Valzer Viennese, è divertente» gli sorrise, civettuola e sistemò meglio la propria posizione, posando lo sguardo verso Mercer che continuava a suonare. «Mi dispiace per farti fare la parte della donna, ma non sai guidare.»
Cutler arcuò un sopracciglio e le strinse la mano come ad attirare la sua attenzione su di lui ma quando quella abbassò nuovamente gli occhi si sentì in tremendo imbarazzo.
La posizione, oltre che scomoda e antipatica, era tremendamente maligna. A causa del corsetto, il petto della giovane era ancor più evidente e poggiava sul suo, garantendogli anche una vista non proprio celata al massimo.
Eris dal canto suo invece era completamente dedicata a correggere tutte le posizioni, così che potesse rendere la cosa divertente per tutti.
Forse era stata eccessivamente fredda con l’uomo per troppo tempo ma non poteva certo aspettarsi scuse da Lord Cutler Beckett, no?
Cioè, la sera prima valeva come una sorta di rimedio…o forse era solo la sua immaginazione?
«Ora avanzerò con il piede destro e tu dovrai arretrare col sinistro, poi girerò a sinistra col piede sinistro e tu dovrai soltanto seguirmi in avanti. Ti è chiaro?»
Cutler fece per ribattere ma la ragazza aveva già fatto la sua mossa e fu costretto a tirare indietro il piede prima che quello di lei lo pestasse.
Quando la Gallese si trasferì di lato si sentì volteggiare e il movimento dei suoi piedi fu quasi spontaneo.
Si trovarono nuovamente faccia a faccia ed Eris sfoggiava un sorriso raggiante.
«Visto? Non è poi così difficile»
Vedendola apparentemente così tranquilla nonostante il cuore di lui galoppasse a mille, Beckett strinse la mascella e si tirò bruscamente fuori dalla stretta, lasciandola sbigottita.
Con un sospiro si sistemò il completo e intimò al servitore di ammutolire la musica in quel preciso istante.
«E’ senza dubbio la cosa più ridicola e indecente che abbia mai visto» ribatté, arrabbiato, guardandola con astio.
Eris, che era rimasta per qualche secondo con la bocca aperta, la chiuse all’istante e scosse la testa, un sorrisetto deluso sulle labbra rosee.
Il lupo perde il pelo ma non il vizio.
«Già, probabilmente avete ragione.» si strinse il petto, calmando l’emozione di quel ballo e sospirò stancamente. «Colpa mia.»
Mercer, che aveva poggiato il violino contro un piede del tavolino in un angolo, fece per dire qualcosa al suo signore, ma Eris intervenne per prima.
«Beh, in ogni caso so già ballare il minuetto, quindi non dovrete preoccuparvi di perdere altro tempo con me.»
Senza aspettare il permesso per uscire, cosa che aveva fatto sempre durante quei giorni, alzò la gonna e andò via.
Cutler puntò gli occhi sui suoi stivali e quasi sentiva il tocco delicato che li spingevano da parte.
«Riuscirete mai a mettere fine a questa guerra, mio signore?»
Il lord disattento si voltò verso Mercer e lo scrutò con attenzione.
«Che intendi dire?»
L’assassino scosse solamente la testa, come poco prima aveva fatto la donzella in fuga, e passò a sistemare nuovamente la stanza, posizionando correttamente tutti i mobili al loro posto.
Cutler, nonostante non avesse ricevuto risposta, lasciò correre e i suoi occhi tornarono contro la porta, ora chiusa, quasi come aspettandosi che la giovane tornasse strisciando indietro.
Mercer prese di peso un piccolo tavolo e proprio mentre lo sollevava, il cassetto si aprì e scivolò a terra, spargendone il contenuto ovunque.
L’ometto sussultò e guardò il servitore, tremendamente irritato, finchè lo sguardo non gli finì in mezzo a dei fogli a terra.
«Sono tremendamente dispiaciuto, Lord Beckett. Pensavo che il cassetto fosse vuoto.» si piegò sul vario ciarpame distribuito a terra e lo alzò al viso.
Erano tutti fogli scarabocchiati o con cuoricini disegnati sopra, come per noia. In più varie penne, non ripulite e piene di inchiostro, avevano rovinato il fondo del cassetto e impiastricciato tutti i fogli bianchi che erano scappati alla degenere mentalità della ragazza. Perché era chiaro che avesse combinato lei quel casino.
«Discuterò con Miss Gallese di questo più tardi, mio signore» mormorò contrariato l’assassino quando trovò quello che sembrava il disegno di sue omini con la corda al collo. Inizialmente pensò si riferisse a dei pirati ma invece, in alto alle loro teste rotonde prive di naso bocca e occhi, a lettere cubitali, c’era scritto il suo nome e quello di Lord Beckett.
Cutler, che si era avvicinato incuriosito dall’oggetto luccicante in mezzo alle pagine macchiate, si era piegato al fianco del fidato compagno e aveva scartato quello che lo nascondeva.
Lì, a terra, lucente e trasparente come il vetro, c’era un pezzo della scacchiera. O meglio, IL pezzo della scacchiera.
L’uomo credeva di averlo perso dopo l’ultima sconfitta subita a bordo della nave il primo giorno di viaggio con Eris. La ragazza lo aveva battuto l’ennesima volta e quando lui si era allontanato dal gioco per completare alcune firme, lei si era messa a giocherellare con il pedone proprio su quel piccolo tavolino quadrato.
Allungò una mano e lo prese.
L’aveva cercato ovunque, quel pezzo mancante, senza trovarlo.
Guardandolo e girandoselo tra le dita si chiese perché mai avesse preso proprio quel pezzo ma poi una frase gli tornò alla testa. Una frase che era sfuggita dalla giovane sere prima proprio durante la partita.
“Anche l’uomo più forte del mondo ha bisogno di avere una donna al suo fianco, perché quando la sua vita è un casino, proprio come in una partita a scacchi, la regina protegge il re.”
E poi aveva mormorato parole insensate a proposito di un qualcosa chiamato Tumblr e che trovava belle frasi al suo interno.
Doveva essere un libro, aveva pensato il signore.
Chiuse gli occhi, inspirò ed espirò profondamente, abbandonando quei pensieri, e quando li riaprì i suoi occhi andarono a sondare la stanza fino a fermarsi in un punto preciso.
Un punto in cui giaceva la bellissima scacchiera di cristallo e su di essa tutti i vari pezzi, ma il più lucente di tutti si ergeva esattamente al centro di essa, circondato dietro e avanti da fila di pedoni, come se fosse stato posizionato lì tempo prima e nessuno l’avesse più toccato.
Il Re.
Ian, osservando il Lord completamente perso nei meandri della propria mente, si permise un lieve colpo di tosse e parlò senza aspettare che l’uomo si voltasse a guardarlo, sperando che stesse prestando anche solo poca attenzione.
«Sa, signore, la stiva più essere davvero molto interessante alle dieci di sera.» e quando osservò il suo “padrone” annuire con il capo un sorriso sadico gli delineò le labbra. Quella mocciosa avrebbe pagato per quel disegnino insulso…lui era molto più avvenente di così!

Quella sera, la ragazza arrivò come al solito in anticipo nel livello quasi più basso della nave e afferrò la spada, agitandola davanti a se e tentando di mantenere più equilibrio possibile con i piedi.
La giornata era stata sfiancante e una rabbia incredibile le era montata dentro dopo essere uscita da quell’ufficio. Sapeva di essere una ragazza piuttosto istintiva e incredibilmente orgogliosa, per cui sembrava proprio che il rimorso di non avergliene dette quattro a quel pollastro la stava consumando dall’interno.
E lei era stata anche pronta a ingoiare quel groppo in gola e perdonarlo senza troppe cerimonie. Ma no. Doveva essere il solito sfrontato egoista.
Con un colpo di reni si spostò di lato, come se venisse aggredita da qualcuno, e con un movimento forzuto del braccio scoccò una forte sciabolata ad un palo reggente della nave, che fu gravemente danneggiato.
«Ho già maledetti pirati che tentano di assalire e distruggere questa nave,»
La testa di Eris si girò di scatto alle sue spalle e due inconfondibili occhi grigi brillarono nella semi oscurità della stanza.
«Non vogliamo che anche la ciurma contribuisca.» concluse, scivolando vicino ad una torcia e sistemandosi il cappello sulla testa in un gesto istintivo.
«Io non sono la ciurma.» ribatté lei, guardando Beckett puntare lo sguardo sulla spada nelle sue mani. «Che fai, adesso mi segui pure?» continuò quando capì che l’uomo non avrebbe detto o fatto nulla.
Cutler accennò un sorrisetto invidioso e poggiò le spalle al muro di legno della stiva, le braccia incrociate e strette al petto.
«Quindi è dovuto a questo la vostra disattenzione alle lezioni» si concentrò sul suo viso. «Appuntamento clandestino.»
Eris spalancò la bocca ed era indecisa se scoppiargli a ridere in faccia o andarsene e lasciarlo lì. Optò per la seconda.
«Che idiota…» mormorò quando passò vicino l’uomo e virò per le scale.
Ma prima che potesse mettere un piede sul primo scalino, la lama di un’altra spada le bloccò il passaggio, sfiorandole il tessuto leggero e scuro della casacca.
Seguì il suo contorno fino al braccio che la protendeva contro di lei e lo sfidò con gli occhi.
«Stai facendo sul serio?» domandò, ostinata, vedendo disegnarsi sulle labbra del nobile un sorriso furbo e scaltro.
Quello spostò la lama verso il basso e si allontanò dal muro così da trovarsi esattamente al centro della stanza.
«Fatemi vedere.» la sfidò lui a sua volta, alzando la lama lucente e di classe davanti al viso, la schiena dritta e le gambe unite.
La ragazza prese in seria considerazione di voltargli le spalle e salirsene in coperta ma la provocazione negli occhi dell’uomo l’aveva aizzata fin troppo e ormai aveva mandato a puttane tutto il controllo.
E in secondo luogo non era poi tanto sicura che il bastardo non l’avrebbe attaccata alle spalle.
Fece qualche passo esitante in avanti e protese anch’essa, nella stessa maniera, la spada di fronte al viso.
Le differenze tra i due erano palesi.
Lui non aveva un capello fuori posto, era il sinonimo dell’eleganza e della finezza, negli occhi ancora uno sguardo tentatore. Lei invece era piegata in avanti come un leone pronto a balzare sulla preda, gambe aperte, incredibilmente aggressiva e gli occhi che lanciavano bagliori minacciosi.
Nonostante le possibili conseguenze di allungare eccessivamente a mano morbida la spada davanti a se, lo fece, come a stuzzicarlo e l’uomo rispose alla tentazione, facendo sfiorare la propria lama con quella della giovane quasi fosse una carezza.
Eris sbarrò gli occhi e riconobbe esattamente quel gesto. Ero lo stesso che Jack aveva fatto a Will la prima volta che si erano sfidati.
Cutler doveva averlo preso senz’altro da Sparrow.
«Toglietemi il cappello e avrete le mie scuse.» propose lui, subito dopo il momento di trance.
La mora storse la bocca. «Spero ti piaccia baciare le scarpe!»
Senza aspettare che l’uomo tornasse sulla difensiva, lo attaccò con un fendente profondo che spostò di poco la lama dal suo corpo, lasciandolo scoperto.
Si mosse due passi avanti, pronta a colpirlo di nuovo, ma quello scivolò alla sua destra, mandando a vuoto il suo affondo.
Con il vuoto davanti a se, rischiò di inciampare sui suoi stessi piedi e avvertì due tocchi al suo fondoschiena quando riuscì ad inchiodare.
«Completamente scoordinata.»
Imbarazzata e furiosa si girò di nuovo e le due lame cozzarono producendo un gran rumore metallico. Entrambi avevano forzato i propri affondi.
Rimasero a lame incrociate per un paio di secondi, osservandosi a vicenda e Cutler capì una cosa.
Negli occhi profondi della ragazza la rabbia divampava tranquilla e senza forze restrittive. Tutte le emozioni le stava buttando lì e questo era un terribile errore da parte sua.
«La rabbia non aiuterà affatto.» la rimproverò, accigliato, separando le due spade le une dalle altre ma mantenendo un’alta difesa.
«Non mi serve che me lo dica tu!»
Tirò un fendente tutto nuovo che cercava di colpirlo al ventre ma Beckett fu abile anche per eludere quello con un semplice movimento del polso e l’aiuto fidato della sciabola splendente.
Quello che non aveva previsto era che la ragazza tentasse già così rapidamente un altro colpo e, infatti, fu costretto a fare qualche passo indietro per evitare il colpo violento.
Di quel passo avrebbe anche rischiato di rovinare la sua spada. I suoi colpi erano troppo aggressivi, persino la sua lama che fendeva il vuoto sembrava danneggiata.
E dopo un paio di affondi che portavano le tue braccia a fermare una spada a mezz’aria già era stanca.
Eris sospirò e strusciò la punta a terra prima di posizionarla nuovamente davanti al viso.
«Devi sempre essere così stronzo, non è vero?»
Cutler, che non stava minimamente mirando a colpirla poiché se l’avesse voluto si sarebbe già trovata a terra riversa nel suo stesso sangue, arcuò le labbra in un sorrisetto divertito alla volgarità espressa.
«Smettila di essere così perfetto. Non freghi nessuno.» ansimò, guardandolo con dolore e rabbia. «Credi che facendo il bastardo con tutti perché alcuni lo sono stati con te ti faccia sentire meglio?!» posò la punta della lama sul pavimento della nave e si poggiò sull’elsa con tutto il suo peso.
Era distrutta. Da tutto.
«Beh, sono tutte stronzate!» gridò infine.
Improvvisamente la lama che la sorreggeva scattò di lato quando incontrò l’imprevista lama nemica e la ragazza non poté far altro che scivolare a terra, confusa.
Cutler, che l’aveva vista così ormai abbandonata che l’offendeva senza limiti, non riuscì al trattenersi dal lasciarla cadere a terra.
L’odio che la giovane gli stava lanciando contro veniva abilmente restituito in quell’istante.
«Io lo so…ci ho provato…» mormorò lei sotto il proprio respiro.
«Tu non sai niente.» nonostante avesse aspettato tanto perché lui le desse del tu, la sua voce risultò essere fredda e tagliente proprio come la lama che le aveva accostato ad una guancia, costringendola a guardarlo. Imponente e crudele come non lo era stato da tempo con lei. «E come potresti? Sei solo una ragazzina presuntuosa.»
Eris strinse i denti, ormai nera, e, con uno scatto che gli costò tutte le forze, si alzò in piedi, cogliendo di sorpresa il Lord. Lo afferrò per il braccio armato e gli morse la mano così forte che fu costretto a mollare la presa con un gemito di dolore. Poi, con tutto il peso del corpo, lo trascinò a terra sotto di sé, facendogli battere la testa parruccata.
Il cappello rotolò via e quando riaprì gli occhi, che aveva chiuso inavvertitamente durante e dopo l’impatto, si ritrovò la donna a cavallo dei fianchi, un braccio sollevato in aria mentre l’altro lo costringeva a terra per una spalla.
Stordito per il forte colpo seguì il braccio teso in aria, proprio come prima aveva fatto lei con la sua spada, e, con terrore, constatò che tra le dita stringeva il minaccioso coltello che teneva alla coscia la notte prima.
Senza pensare a bloccarle il braccio che scendeva velocemente verso di lui, si coprì il viso con il proprio avambraccio, pronto all’impatto doloroso…ma questo non arrivò. Invece sentì un forte tonfo al lato dell’orecchio destro.
Con indecisione si scostò il braccio e guardò alla sua destra. Il coltello assassino era piantato saldamente sulla cima del suo cappello a tricorno e la ragazza lo fissava con uno sguardo risoluto ma stanco.
«Ora fammi queste cazzo di scuse!» gli ringhiò contro, mettendosi le mani sui fianchi come una mamma che rimprovera il figlio scorretto.
«Stai-State facendo sul serio?» fu il suo turno di essere modestamente colpito.
«Sono serissima.» asserì lei con un tono fra l’imbarazzato e l’indignato.
Cutler la guardò un attimo incredulo…poi scoppiò a ridere. Rise di gusto a quel buffo personaggio che torreggiava su di lui e che gli aveva regalato nuovamente un momento di ilarità pura.
Il fatto che l’avesse ignorato per un’intera settimana, che avesse passato tanto tempo in compagnia di James Norrington (per di più a vuoto data la sua scarsa dimestichezza con la spada), che lo avesse appena insultato, buttato a terra ed avergli vandalizzato il cappello era passato tutto in secondo piano.
Era solamente concentrato sulla totale stranezza di quel momento.
«Bene…ho fatto impazzire Cutler Beckett. Maledettamente fantastico!» si lamentò lei, scuotendolo così che finisse di ridere e le concedesse un attimo di attenzione.
«Voi…siete incredibile…» diceva tra le risatine che tentava di trattenere. «Completamente imprevedibile.»
Eris alzò gli occhi al cielo e si piegò su di lui così che si trovasse a pochi centimetri dalla sua faccia sghignazzante.
«Bene, i complimenti non mi servono. Voglio delle scuse!»
Cutler scosse il capo, senza capire, il sorriso ancora impresso sul suo viso.
«Perché delle semplici scuse vi dovrebbero bastare?» chiese quando fu sicuro che anche lei avesse la completa attenzione focalizzata su di lui.
«Perché ammettere di aver sbagliato è il primo passo e il più difficile per non cadere di nuovo nello stesso errore.»
Beckett alzò nuovamente lo sguardo così che si trovassero ognuno negli occhi dell’altra ed Eris scorse una fragilità in quelle barriere di ghiaccio.
«Soprattutto per un tipo orgogliosetto come te.» e gli pizzicò il naso con un risolino, tornando dritta, a cavalcioni.
Cutler scostò la sua mano dal suo viso ma la tenne tra le sue.
«E’ una delle frasi prese in quel libro dal nome completamente senza senso?» domandò sfiorandole il dorso con un pollice.
«Libro? Tumblr non è un libro…» ridacchiò lei, conscia della sua ignoranza. «Tumblr è un sito internet. Sai cos’è l’internet? E’ qualcosa che mi manca maledettamente tanto-»
Il Lord posò le labbra sul palmo della mano di lei e rimase qualche secondo a giovarsi nel calore di quella carezza autoprodotta, nonostante lei stesse continuando a blaterare a vanvera.
«…e di tutti quei video divertenti. Ah, che nostalgia di casa improvvisa!»
Quando si accorse che l’uomo si era improvvisamente ammutolito lo guardò bellamente poggiato sulla sua mano aperta.
Notando che anche le labbra sembravano essersi incollate alla sua mano, arrossì fino alla punta dei capelli e mosse le dita come a dirgli di lasciarla andare.
«E-Ehi! Non voglio che ti pomici la mia mano, voglio solo delle scuse!» si agitò e quando il suo sguardo si posò su di lei capì di essere in un mare di guai. E non i guai in cui si cacciava sempre.
No.
Magari fossero quelli.
«Siete arrossita»
E non fece che provocare una reazione peggiore, ovviamente.
«Ma quale arrossita! La botta deve averti davvero danneggiato il cervello» rise nervosamente, tentando di sfilare una volta per tutte la sua mano dalla presa di lui.
Beckett semplicemente si tirò a sedere e sorrise appena guardandole le gote ormai rosse.
«Lo siete eccome.» e le spazzolò via con delicatezza una ciocca di capelli dal viso.
Nonostante lei fosse a cavallo dei suoi fianchi e lui si fosse appena tirato su a sedere, c’era ancora una lieve differenza di altezza tra i due.
«Smettila.» disse risoluta lei. «Le scuse.»
«Queste erano le scuse» tentò ancora allungando una mano per toccarle il collo ma lei lo stroncò sul nascere dandogli una sonora sberla.
Arreso, si poggiò sulle mani e la guardò serio.
«Sono sinceramente dispiaciuto…per tutto.» sussurrò, quasi come se temesse che qualcun’altro sentisse. «Vi prego di perdonarmi.»
Eris alzò nuovamente gli occhi al cielo nel giro di dieci minuti. «Non ce la fai proprio a togliere il sarcasmo di mezzo, eh?»
«Sono serio, Eris.»
«Uhm…»
Lei, finalmente, lo liberò dalla costrizione e si alzarono entrambi in piedi, spolverandosi e ordinando alla meglio i vestiti.
«Bene, adesso devo andare in cucina a chiedere una super torta.»
Prima che la giovane potesse defilarsi, con quel sorriso sgargiante di chi ha appena ottenuto il giocattolo nuovo con cui aveva tartassato a morte i genitori, lui la bloccò posandole una mano sulla spalla.
«Volevo chiedervi qualcosa, prima» e le afferrò più duramente il braccio, temendo che potesse scappare da quella domanda. «Perché vi siete risentita così tanto su quell’argomento.»
E non ci fu bisogno di specificare a quale argomento il Lord si riferisse perché la ragazza, al solo cenno, si oscurò in volto.
«Io…è una cosa successa tanto tempo fa. Ora non ha più importanza.»
Cutler sospirò. Doveva aspettarselo. Dopotutto non erano poi così diversi.
«Stipuliamo un patto. Se mi permetterai di essere quel qualcuno per te, io ti consentirò di essere quel qualcuno per me.»
Eris ghignò alla sua serietà. «Sembra quasi una dichiarazione d’amore, la tua.»
Il più basso sbuffò e tornò a posare le spalle contro il legno della stiva, come aveva fatto poco tempo prima, mentre lei si poggiò a sedere su un barile coperto.
«E’ stato circa a quindici anni. Quando ti ho detto che ti capivo, sull’essere cattivi perché gli altri lo sono stati con te, non mentivo.» cominciò, distogliendo lo sguardo dalla sua figura attenta e andando a curiosare sulla lama ancora piantata all’interno del cappello a terra. «Dei miei compagni di classe mi prendevano di mira perché ero…strana…» si allontanò dal barile e si piegò sul coltello, afferrandolo e togliendolo dall’interno del cappello ormai rovinato.
«Anche voi vi chiudevate in aula a leggere?» chiese lui, improvvisamente incuriosito.
«No…non sono mai stata brava a scuola, comunque.» fece spallucce e si girò il cappello tra le mani, sistemandoselo poi sulla cima della testa. «Fatto sta che…loro mi presero in giro sul mio tenere continuamente legati i capelli e…beh, sul fatto che fingevo di avere seno con reggiseni imbottiti.»
L’uomo si posò una mano sulla bocca per evitare che notasse il suo sorriso divertito, con scarsi risultati, e lei lo guardò male.
«Fatto sta che ingrassai per avere effettivamente quello che mi serviva ma poi passarono a torturarmi sul mio fisico. Trovavo rifugio solo nel cibo.» e picchiettò la lama del coltello sul coperchio del barile.
«A farmi superare tutto questo furono due miei cari amici. Tornai a dimagrire e ora, per il trauma, non riesco più a tenere legati i miei capelli per più di mezza giornata. Cambiai drasticamente e decisi di fargliela pagare, nonostante fossero ormai passati 4 anni.»
Cutler si era fatto, se possibile, ancora più attento al nominare la vendetta e si accostò a lei, così che potesse godersi ogni sfumatura di rabbia che passava su quel viso sempre così innocente.
«E come vi vendicaste?»
Lei lo guardò e aprì le labbra in un sorriso dolce.
«Non lo feci. Si erano rovinate da sole. Perché non sempre sopravvive chi è cattivo. Semplicemente lasciai correre.»
Il Lord fece una smorfia delusa e distolse lo sguardo da lei. «Mi state dicendo di lasciar correre vent’anni di umiliazioni. No, ma che dico, trent’anni di umiliazioni solo perché…perché poi?!» non aveva nemmeno capito il senso di dover lasciar fare il suo corso al tempo. La sua famiglia…i pirati…non meritavano questo atto di carità da parte sua.
«No, ovviamente no. Ti sto dicendo di non lasciarti accecare dalla vendetta, Cutler.»
L’uomo distolse lo sguardo e tornò a concentrarsi sui suoi piedi.
«Ma non voglio obbligarti in nulla, so quanto sia difficile cambiare. E ovviamente non lo sto richiedendo a te.»
Con un sorriso benevolo, gli posò una mano sulla spalla, comprensiva, e poi lo superò diretta al piano superiore ancora una volta.
«Ero molto concentrato su quella parte di Virgilio»
Eris sbuffò sonoramente e si girò nuovamente verso di lui, sul viso un’espressione esausta. «Potresti possibilmente evitare di parlare proprio mentre me ne vado? Sembra di essere ad una soap opera spagnola.»
Sulle prime l’espressione di Beckett rimase vacua, come se fosse tremendamente difficile per lui dire quel che voleva dire a quella ragazza. La scrutò lentamente da capo a piedi e infine si fermò sul suo viso stranito.
Dopo un momento di allibito silenzio, l’uomo deglutì più volte prima di riuscire a ritrovare la sua voce ferma e tagliente.
«Ero rimasto in aula subito dopo la lezione, invece di uscire a giocare, a concludere il capitolo assegnato dal mio tutore.»
La Gallese capì subito a cosa parasse e si fece avanti, seppur titubante. «Non sei obbligato a parlarne…io so già-»
«Si, si lo so.»
Era evidente nel suo sguardo che non volesse essere interrotto di nuovo o costretto a bloccare definitivamente la sua spiegazione.
Per un momento non lo riconobbe affatto, tutto quello che restava della sua fierezza e del suo orgoglio era trapassato e per la prima volta vedeva uno sguardo vuoto. Quel suo sguardo vuoto.
«Pensavo a quanto sarebbe stato bello raggiungere un livello di cui mio padre sarebbe stato fiero. Centro del mio impegno era soltanto raggiungere un buon titolo. Ma per arrivarci dovevo prendere una strada solitaria poiché Jonathan e Bartholomew occupavano già il posto all’interno della compagnia di famiglia.»
Eris scivolò a sedere silenziosamente sulle scale mentre l’altro sondava con sguardo perso il cappello nelle sue mani, come se vedesse oltre.
«Ero talmente distratto da questi pensieri anche uscendo che non li notai affatto.»
La ragazza non dovette nemmeno chiedergli da chi fosse stato attaccato. Nella sua testa l’immagine furiosa di tre ragazzini, figli di personaggi famosi della società, che spingevano Beckett a terra e lo costringevano a rimarci, regnava sovrana.
«Mi spinsero a terra e cominciarono a darmi calci poi non ricordo più nulla. Mi trovai con un naso sanguinante e diversi dolori, a terra, con il mio maestro che mi chiamava.» poggiò il cappello sulla spada sistemata accanto al barile e rivolse finalmente il suo sguardo freddo, nuovamente vivo, verso di lei. «Non ricordo che fine avessero fatto i miei coetanei, né del perché il maestro mi stesse chiedendo il motivo del mio non controbattere. Mi sembrava soltanto di essere da qualche altra parte. Lontano dal dolore e dalle parole.»
«Cadevi in una sorta di trance.» gli rispose Eris, gli occhi umidi di emozione. «Ti succede spesso quando sei in crisi.» e inevitabilmente la forma del Lord in mezzo alle fiamme e detriti dell’Endeavour gli precipitò davanti agli occhi.
Inevitabilmente, mentre passavano quei momenti in un silenzio mortale, la mora non poté far altro che pensare alle voci viziate dei bambini che lo torturavano psicologicamente.
Seppia, lo chiamavano.
C’era un motivo per la sua instabilità mentale e la non distinzione tra il bene e il male.
«Quel giorno, dopo aver pregato il mio maestro di non dire a mio padre dell’accaduto, lui mi regalò un libro di un pirata sui tesori. Voleva consegnarmelo al mio compleanno, ma preferì quella giornata. Il primo e ultimo atto di gentilezza nei miei confronti.» aveva un sorriso amaro sulle labbra e gli occhi erano tornati nuovamente a guardare il cappello, come a proteggersi dallo sguardo profondo della ragazza che lo ascoltava.
Bensì lei non riuscì a resistere. Si avvicinò a lui a grandi passi e, dopo averlo girato verso di sé con una spinta vigorosa, se lo strinse contro.
«Sei troppo tenero.» sbiascicò con voce impastata di emozioni contrastanti.
Il Lord, contrariato, prese a divincolarsi da quella stretta ma non provocò che il risultato contrario. Le braccia della ragazza si strinsero ancora di più dietro di lui, impedendogli la fuga, e una delle due mani andò persino e spingergli il capo sulla spalla nuda.
«E’ passato tanto anche dall’ultimo abbraccio, vero?» gli mormorò in un orecchio, facendolo rabbrividire.
Servì la dichiarazione di Eris per fargli realizzare che quella stretta era solo che un puro e semplice abbraccio. Era vero, erano passati poco più di vent’anni ormai.
«Tua sorella, giusto?»
«Smettetela di leggermi nel pensiero, siete inquietante.»
La donna ridacchiò, lasciando che la mano che gli sfiorava il codino bianco si insinuasse al di sotto, massaggiando la base del collo.
E prima di abbandonarsi a quel calore, Eris non poté risparmiarsi.
«Le tue scuse disperate comunque sono state accettate.»
«Siete così…»
«Sincera, dolce, generosa?»
«Odiosa.»
Sorrise, serafica. «Non mi ameresti altrimenti.»
«Terribilmente odiosa.» fu quello che parve brontolare l’ometto, prima di nascondere la testa tra il collo e la spalla di lei.






Angolo dell'Autrice
SCUUUUUUUSATE IL RITARDO. Imperdonabile. Ma ho avuto molto da fare e Lunedì devo dare un'esame (vorrei quel cervellone di Cutler da mandare al posto mio, ma ahimè) quindi ho avuto poche idee, poco tempo e ansia perenne. Molti di voi forse capiranno.
Comunque questo è finalmente l'ending...della loro battaglia! Uzzàh! Uzzàh!
Da oggi in poi sarà solo un bel viaggio in discesa...o forse no? (MUAHAHAHAHAHAH)
Prevedo che al prossimo capitolo ci sia lo sbarco nella bellissima Inghilterra ma non ne sono sicura (ormai i capitoli li cambio e scrivo come mi vengono a momenti).
Scrivere di un Cutler Beckett ammaliante e malizioso come nell'ultima parte è sempre un divertimento. Non faccio che vederlo perennemente con quel sorrisetto incantatore *-*
Inoltre finalmente si è fatto luce su un piccolo scorcio di passato di Beckett e sul motivo dell'irritazione della ragazza (che fondamentalmente voleva soltanto le scuse dell'uomo). Ovviamente verrà scoperto altro ma intanto ho trovato il PDF online del libro di cui vi dicevo: The Price of Freedom.
Chiunque sia interessato o sia giunto a leggere fino a qui può richiedermi in privato e glielo passerò.
Con questo vi saluto. 
Ci sentiamo presto (...spero)
  
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