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Autore: FatSalad    09/06/2017    5 recensioni
Spartaco è giovane, bello, spiritoso, laureato, con un contratto a tempo indeterminato e con un “superpotere”: quello di far cadere ai suoi piedi qualsiasi donna senza fare assolutamente niente.
Il rovescio della medaglia di una capacità del genere, però, è che Spartaco è incapace di costruire rapporti di amicizia con le ragazze e, soprattutto, quando si scoprirà completamente e perdutamente innamorato si renderà conto di una cosa: non ha assolutamente idea di come si conquista una donna.
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dall'altra parte dello schermo'
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Quel locale le piaceva, faceva apertitivi con buffet abbondanti e la musica non era assordante, così si potevano scambiare due chiacchiere senza problemi. Cosa che al momento Irene avrebbe voluto evitare.
Aveva accettato volentieri l'invito per quella sera perché le faceva piacere rivedere Giorgia, l'amica delle superiori, una della poche che le erano rimaste dopo che aveva trascorso più tempo all'estero che in Italia. Però Giorgia l'aveva abbandonata per flirtare senza ritegno con un ragazzo, lasciandola con un tipo logorroioco, abrasivo e dalla scarsa estensione di vocabolario. Irene giurò che al prossimo “cioè, capisci?” del ragazzo che le si era incollato addosso avrebbe alzato le chiappe per andare altrove.
Com'era possibile che gli uomini non capissero affatto certi segnali che mandavano le donne? Lo stava lasciando parlare da diversi minuti e non aveva mai accennato interesse per ciò che stava dicendo, non si era nemmeno sforzata di reprimere uno sbadiglio, eppure quello continuava imperterrito come se lei avesse scritto “prendimi” sulla fronte, ma al prossimo “cioè, capisci?” se ne sarebbe andata, a tutti i costi.
«Cioè...»
“Ci siamo” pensò Irene.
«...mi spiego?»
A quel punto la ragazza non riuscì a trattenere una risatina fredda, che lasciò perplesso Antonio, o Alessio, non ricordava il suo nome. Cioècapisci, da inguaribile ottimista, la prese come una buona reazione e si unì alla risata.
«Scusa, devo andare.» disse Irene senza neanche salutarlo o cercare una scusa plausibile, prima di alzarsi dal posto.
«Se ti va potremmo...?» iniziò quello.
Era tenace, il ragazzo, peccato non fosse altrettanto perspicace.
«No.» lo troncò lei, secca.
Si voltò di scatto per fuggire dal damerino ed andò inavvertitamente a sbattere contro una figura.
«Sempre di buon umore, eh?»
Non era possibile, non poteva essere lui... quella voce e quel sorriso sornione erano una persecuzione!
«'Sera.» borbottò la ragazza riacquistando una distanza di sicurezza.
Se lo conosceva abbastanza adesso il collega non si sarebbe limitato a salutare e andare per la sua strada, quello era il tipo di persona che vuole avere sempre l'ultima parola e in quel momento più che mai ebbe paura di ciò che avrebbe potuto dire. La stava squadrando dalla testa ai piedi, le pareva che la stesse scannerizzando e per un attimo sul volto gli si dipinse un'espressione che iniziava con la “d”, ma non era sicura se si trattasse di disgusto, disturbo o desiderio. Magari in quei due occhi verdi c'era spazio per tutte quelle sensazioni insieme, ma nella mente di Irene ci fu solo il tempo per una “d”: la dannazione eterna per Giorgia che l'aveva convinta ad uscire quella sera.
«Grazie per averle tenuto compagnia.» disse Spartaco rivolto a Cioècapisci con un cenno disinvolto e le posò una mano sulla schiena, come se fossero abituati a quella familiarità del tutto fittizia.
“Come da copione... sempre a fare l'eroe, Spartaco non delude mai!” pensò Irene sbuffando.
Dopo tutto l'aveva inquadrato bene. Il suo collega era il tipico ragazzo-superuomo che si crede padrone del mondo solo perché gli basta un sorriso e qualche moina per ottenere ciò che vuole. A volte aveva sospettato che anche il posto nella loro compagnia non fosse stato ottenuto grazie alle sue capacità. Doveva avere qualche conoscenza giusta, perché aveva notato che a lavoro tutti si sforzavano di rendere noto quanto ritenessero Spartaco “un tipo simpatico e in gamba”.
Adesso però il ragazzo non stava cercando di fare colpo come suo solito, non stava aggiungendo nessun commento, continuava a camminare, pensieroso, mentre uscivano insieme dal locale.
«Dove stiamo andando?»
La domanda più che lecita parve sorprenderlo sinceramente.
«Oh, io... scusa, hai ragione, ero sovrappensiero. Io sto andando a casa, ho la macchina parcheggiata qua fuori. Tu... in effetti puoi andare dove vuoi.»
“Ah! Bella roba!” stava per dire Irene.
«Allora per quale motivio mi hai trascinato via?» chiese invece.
«Non ti ho trascinato, mi sembrava che te ne stessi andando anche tu.»
Niente da obiettare, in proposito.
«Hai bisogno di un passaggio?» le domandò allora il ragazzo dopo qualche attimo di silenzio.
«Pensi che non abbia la patente?»


Dio, quella ragazza doveva essere proprio una di quelle femministe intrattabili che prendevano ogni parola come un insulto personale o rivolto al gentil sesso in generale e lui era troppo stanco per prendersela. Si limitò a sospirare.
«Volevo solo essere gentile e ho notato che a lavoro vieni sempre in autobus.»
«Scusa, sono solo nervosa – ammise lei, abbassando il tono - e ti sarei molto grata se tu mi dessi un passaggio.»
“E ci voleva tanto?!” pensò Spartaco, senza azzardarsi a dirlo ad alta voce.
La guardò, arcuando un angolo della bocca. Quella doveva essere proprio una serata speciale a giudicare dal suo vestito corto ma non volgare e le scarpe col tacco che aggiungevano parecchio slancio alla sua figura, che in quel modo difettava solo di una manciata di centimetri per raggiungerlo.
Poco prima aveva stentanto a riconoscere la collega in quella mise, si era truccata in modo vistoso, molto diverso dal solito e non portava gli occhiali, avrebbe davvero potuto sembrare un'altra persona, se solo avesse sorriso per togliersi quella sua consueta aria sostenuta. Eppure aveva l'impressione che stesse abbassando un po' le difese, e... ehi! Gli aveva chiesto scusa? Miracolo!
Forse era così che l'avevano vista i suoi amici quando l'avevano incontrata? Magari avevano un'immaginazione più vivace della sua, che li aveva fatti andare oltre quel muro freddo che era l'espressione della collega, o magari avevano delle fantasie sconce sulle maestrine severe con gli occhiali.
«Sali!» le disse con un sorriso, cercando di scacciare in fretta l'ultimo pensiero inopportuno e sgradevole mentre apriva la macchina.
«Grazie.» mormorò Irene guardandosi le scarpe prima di salire a bordo della Mini Cooper azzurra.
«Niente.» fece lui con un'alzata di spalle.


Irene controllò smaniosamente l'orario sul cellulare per l'ennesima volta, sgranchì il collo, si strinse le braccia più vicine al corpo e controllò il tachimetro. Non sapeva più cosa fare per tenersi occupata.
«Come mai prima mi hai portato fuori dal locale?»
Dopo aver dato al collega le indicazioni per casa sua e aver avvertito Giorgia della propria partenza con un messaggio, nell'abitacolo in cui aleggiava una piacevole fragranza maschile era regnato il silenzio assoluto. Irene, che solitamente non amava le chiacchiere, si era ritrovata a sperare che il ragazzo accendesse almeno la radio per alleggerire la tensione, ma quello sembrava perfettamente a suo agio, o meglio, con la testa da un'altra parte. Dunque era toccato a lei fare uno sforzo e rivolgergli la parola per prima, se non altro perché le stava facendo un piacere.
«Volevi rimanere con il tipo che parlava a mitraglietta?» chiese Spartaco.
«Non proprio.»
Seguì un altro lungo silenzio e Irene si morse l'interno della guancia. Quella sera il collega era troppo serio rispetto al solito, la stava mettendo a disagio.
«Istinto, immagino.» mormorò infine il ragazzo.
«Cosa?»
«Come mai ti ho portato fuori: per istinto - ripetè - Ho una sorella minore, non so se lo sapevi, fatto sta che quando andavamo a scuola ho sviluppato questa specie di mania di protezione nei suoi confronti. Avevo sempre paura che qualcuno le potesse fare male, che qualche ragazzo le desse fastidio, che non ce la potesse fare senza di me... - sbuffò, sorridendo a certi ricordi lontani - In qualche modo mi hai ricordato mia sorella, prima, anche se ho notato che te la saresti cavata benissimo da sola.»
Irene rimase un po' in silenzio, come a voler riflettere parola per parola su ciò che gli aveva raccontato il collega, poi, tanto per mantenere l'atmosfera distesa che si era creata dopo il silenzio troppo prolungato, chiese:
«Tua sorella ti somiglia?»
Gli occhi del ragazzo brillarono al solo pensiero e sul volto tornò la sua solita espressione scherzosa.
«Lei ha un carattere decisamente migliore! Fisicamente, invece, dicono di sì, ma io non so. Per me io sono un maschio e lei una femmina, non so se mi spiego.»
Non si dissero molto altro per il resto del viaggio, ma per qualche motivo Irene non si sentiva più così a disagio e si sentì libera di rimanere in silenzio con i propri pensieri finché l'auto non si fermò davanti al palazzo in cui abitava.
«Grazie per il passaggio.» disse Irene mentre slacciava la cintura di sicurezza.
«Mh.» si limitò a mugolare Spartaco mentre alzava le sopracciglia con un mezzo sorriso.
«Non c'è bisogno che aspetti che io sia entrata.»
Spartaco la scrutò per un attimo, prima che scendesse dall'auto.
«Ma certo, potrei essere uno stalker o un maniaco pericoloso, anche se non ho provato a farti nulla durante tutto il viaggio, hai ragione!» disse piccato, alzando le mani in segno di resa. Irene lo squadrò, interdetta, poi fece schioccare la lingua e inasprì il tono.
«Dicevo per te: mi hai già fatto un favore ad accompagnarmi... - disse contenendo a stento uno sbuffo - A domani!»
Spartaco udì il suono secco della portiera che veniva sbattuta con decisione e portò una mano a massaggiarsi gli angoli interni degli occhi. Decisamente la stanchezza gli metteva il malumore. Si voltò verso la collega che si stava dirigendo con passi piccoli e rapidi verso un portone e mentre si soffermava a studiare quella camminata che non le aveva mai visto si ricordò della promessa fatta a Giovanni di rimediargli un appuntamento con lei.
«Ehi, Irene!»
La ragazza girò il viso verso la sua auto, il finestrino era abbassato per parlarle.
«Mh?»
«Scusa per prima, sono intrattabile stasera.»
«Mh.» fece lei con l'espressione acida che sembrava dire “L'ho notato”.
Spartaco finse di ignorare quel piccolo particolare e si fece forza, pensando che ciò che stava facendo era per il bene, (a seconda dei punti di vista), di Giovanni.
«Senti... sei libera?»
«A volte.» rispose la ragazza con un'alzata di spalle e a Spartaco sembrò di scorgere una specie di sorrisetto malizioso solcarle il viso prima che tornasse a dirigersi verso il portone di casa, ma forse era solo un gioco di ombre e luci della città notturna.
«Forse dovrei considerare l'ipotesi di cambiare metodo di approccio...» borbottò il ragazzo tra sé e sé mentre ingranava la marcia e ripartiva verso casa.


Spartaco giocherellava distrattamente con le chiavi di casa nell'attesa che l'ascensore concludesse la sua salita verso il piano in cui abitava.
Da quando aveva parlato con sua sorella si sentiva triste, di malumore, provava un sottile e sordo disagio. Un suo vecchio compagno di scuola avrebbe definito quello stato emotivo con uno strascicato “C'ho il male di vivere!”, ma Spartaco non aveva mai capito quel suo modo di dire. Il vivere, l'atto di esistere, secondo lui non avrebbe dovuto fare male, eppure in quel momento non avrebbe trovato espressione più calzante di quella.
Non c'era più solo la situazione della sorellina, ormai a tormentarlo erano sopraggiunti una schiera di pensieri negativi, come richiamati dal primo che aveva funto da avanguardia. Così pensava al rapporto rovinato con Camilla, al poco tempo che aveva a disposizione per vedere il suo migliore amico, a quanto quel lavoro per cui tanti avrebbero pregato in ginocchio lo facesse tornare a casa ogni sera più insoddisfatto e annoiato.
Tutto, in quel momento, gli sembrava sbagliato.
Aveva tanti pensieri ad appesantirgli la testa e fu per questo che mentre usciva dalla cabina dell'ascensore non si accorse subito della figura che si trovava appoggiata al portone di casa sua. Quando alzò lo sguardo quasi non la vide, ma il suo subconscio aveva registrato che c'era qualcosa fuori dalla norma, qualcosa di inconsueto, allora sollevò il capo una seconda volta e sgranò gli occhi.
Che ci faceva Barbara davanti alla sua porta?
«Dov'eri?» chiese secca, senza neanche salutarlo, precedendo qualsiasi domanda che avrebbe potuto rivolgerle lui.
«Ero con mia sorella, doveva parlarmi di una faccenda.» disse atono e circospetto, senza sbottonarsi troppo. Lo sguardo che Barbara gli rivolse era tutto fuorchè persuaso dalle sue parole.
«Mi fai entrare?»
Ecco, questo era esattamente ciò che Spartaco intendeva evitare, soprattutto in quella maledettissima sera. Era di malumore e la ragazza non avrebbe potuto scegliere momento peggiore per tentare quell'approccio.
«Dai, Barbie, è tardissimo... mi dispiace che tu abbia dovuto aspettare tanto, ti accompagno a casa.» disse, cercando di sviare la richiesta senza far arrabbiare troppo la ragazza.
«Oppure puoi farmi entrare.» ripetè lei testarda.
Passarono un mezzo minuto in un silenzio di tomba, teso e scomodo, mentre si fissavano negli occhi da un metro di distanza. A Spartaco mancava l'aria come se si fosse trovato ad un centimetro dal corpo di lei, ne sentiva la presenza opprimente, forse a causa del profumo dolciastro e persistente che impregnava l'aria attorno a lei.
«Se non hai niente da nascondermi ed è vero che eri con tua sorella, allora fammi entrare.»
Il modo in cui Barbara finalmente tornò a parlare era una sfida vera e propria e sarebbe sembrata tale anche se non avesse incrociato le braccia al petto e alzato il mento dopo quelle parole. Spartaco si innervosì.
«E questo cosa sarebbe? Un ricatto?»
«Allora mi hai davvero mentito...»
«Cazzo, Barbara! - sbottò a quel punto il ragazzo, fregandosene del fatto che avrebbe potuto disturbare qualche inquilino a quell'ora della notte - Non ti ho mentito, ma perché non ti puoi fidare un po' più di me? Perché non mi lasci libero di respirare almeno quando torno a casa?!»
Barbara strinse le labbra rosse e anche le sue pupille si restrinsero, riducendosi a due fessure.
«Se non mi fai entrare tra noi è finita.»
Aveva sempre avuto un paio di occhi capaci di perforare, di incenerire, di comunicare. Spartaco si ricordò che la prima volta che aveva incrociato il suo sguardo era sicuro che gli avesse detto “Mio” senza bisogno di schiudere le labbra. Così era stato, non avrebbe potuto sfuggire a quei due occhi e alla loro decisione neanche se avesse voluto, aveva ingaggiato un fiero corteggiamento a suon di occhiate al termine del quale era diventato suo. Stavolta però non aveva intenzione di sostenere il suo sguardo.
Spartaco distolse gli occhi da lei, stringendo la mascella. Era troppo provato e stanco, non voleva discutere e non voleva far esplodere ingiustamente tutta la rabbia repressa che aveva dentro. Fece un sospiro e percorse con pochi passi la distanza che lo separava dal portone, superando il corpo snello e immobile di Barbara. Quando aprì la bocca capì che aveva deciso da tempo.
«Allora ciao.» disse piano, meccanico e non la guardò in faccia mentre inseriva le chiavi nella toppa per aprire il portone di casa.
Barbara mantenne tutta la sua algida dignità e non fece il minimo rumore, o almeno, l'unico suono che Spartaco udì fu quello dei suoi tacchi a spillo mentre la ragazza si allontanava da lui e dal suo appartamento una volta per tutte.




5 marzo, ore 01:05
- Kilo, sei figlio unico?
- No, e tu?
- Nemmeno io




Il mio angolino:
Vi sembrava che Whatsapp Love si sviluppasse troppo lentamente? Falso Contatto sarà ancora più lento! (Ma solo perché i capitoli sono più corti... sorry!)
FatSalad
   
 
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