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Autore: Asia Dreamcatcher    09/06/2017    3 recensioni
Johann Schmidt è tornato e con esso le ceneri dell'oscura Hydra, pronta a risorgere.
Ma Teschio Rosso non è solo e Steve Rogers e gli Avengers dovranno vedersela con nuovi nemici. James Barnes sarà costretto, ancora una volta, a lottare contro i propri fantasmi, sperando di non soccombere.
Mentre gli echi di una nuovo guerra risuonano, Captain America e Vedova Nera si ritroveranno ad affrontare una sfida inaspettata, che potrebbe cambiare tutto per sempre.
Terza parte di "Se il passato è alle tue costole, ti volti e lo affronti"
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James 'Bucky' Barnes, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Nuovo personaggio, Steve Rogers/Captain America, Un po' tutti
Note: Cross-over, Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Se il passato è alle tue costole, ti volti e lo affronti'
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13 Buon pomeriggio a tutti voi miei cari lettori! 
Sono davvero dispiaciuta per tutti gli inconvenienti successi, ho passato un periodo difficile per quanto riguarda la scrittura, ho avuto qualche blocco: non riuscivo più a scrivere ed ogni cosa che scrivevo non mi soddisfava, mi pareva tutto così inutile. A questo si sono aggiunte un po' di magagne, come ad esempio le placche in gola... alla "veneranda" età di 25 anni mi sono venute le placche che mi hanno costretto a letto e stordito parecchio.
Riuscire a pubblicare oggi è per me una grande soddisfazione, spero che il capitolo vi piaccia e vi ringrazio tantissimo per la pazienza!
Buona Lettura!




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Capitolo Tredici: Falling into pieces

You just do it. You force yourself to get up.

You force yourself to put one foot before the other,

and God damn it, you refuse to let it get to you.

You fight. You cry. You curse.

Then you go about the busisness of living. That's how I've done it.

There's no other way.”

~ Elizabeth Taylor



A Sharon pareva di essere immersa nel buio da un'eternità. Camminava senza sosta, i piedi nudi le dolevano e avvertiva una sostanza viscosa sotto di essi, sangue, il suo.

Improvvisamente la luce. Talmente accecante da far apparire bianco ed immacolato tutto attorno a lei. Mosse qualche passo, incerta da quel cambio repentino.

«Sharon...»;

il cuore dell'agente 13 mancò un battito e percepì il proprio stomaco stringersi in una dolce morsa.

Si voltò di scatto, mulinando i lunghi capelli biondo miele; lui era lì a pochi metri da lei, identico all'ultima volta che l'aveva visto... Bellissimo e malinconico.

I suoi piedi si mossero da soli, completamente dimentica del dolore provato fino ad un attimo prima, corse verso di lui mentre la sua vista andava appannandosi a causa delle lacrime.

Lui allargò le braccia e la accolse indulgente. Sharon lo strinse a sé con tutta la forza di cui disponeva, il cuore impazzito dall'emozione.

«James!» singhiozzò disperata.

Lui le sorrise dolcemente, dio com'era bello, quanto le era mancato.

Si baciarono con passione e sofferenza, le mani di Sharon vagavano tremanti sul corpo di James, voleva sentirlo sotto i suoi palmi.

Un lieve rumore metallico alla sue spalle, la costrinse a voltarsi. Ciò che vide le gelò il sangue.

Davanti a lei si stagliava il Soldato d'Inverno, colui che non ricordava di essere James Barnes, uno dei più spietati e pericolosi assassini del secolo, l'uomo di punta dell'HYDRA.

L'espressione dei due James era mortalmente seria. Si fronteggiavano in silenzio, mentre Sharon fra loro fremeva terrorizzata.

Con una sincronia da brividi sollevarono entrambi la pistola, puntandola l'uno contro l'altro.

L'agente 13 spalancò le braccia ponendosi sulla linea di tiro senza esitare, proteggendo James.

«Ti prego...» supplicò.

«Non puoi uccidermi» dichiarò il Soldato d'Inverno inespressivo, rivolgendosi a se stesso.

A quelle parole James sorrise tristemente, cambiò traiettoria e si puntò l'arma alla tempia;

«Invece posso».

Sharon si sentì morire, fece per sporsi verso di lui ma non fece in tempo... e lo sparo risuonò violentemente.


Si svegliò urlando. La luce l'accecò momentaneamente e Sharon sentì mani gentili ma ferme fare pressione sulle sue spalle, scosse da tremiti.

«Shh. Va tutto bene, va tutto bene...» mormorò Natasha, abbracciandola delicatamente. La bionda crollò fra le sue braccia piangendo disperatamente, una mano premuta contro la gola dolorante, fasciata con delle morbide bende.

«A-a-anco-ra! S-sì è-è u-ccis-o!» singhiozzò mentre la russa le accarezzava piano la schiena senza dire una parola, accogliendo silenziosamente il suo dolore.

Erano passati cinque giorni da quando James se n'era andato. Nessun contatto, nessun indizio, dissolto come fumo; lasciando dietro sé cuori spezzati, confusione e disperazione.

Da quel momento Sharon era precipitata nello sconforto: non dormiva più di due ore per notte, la gola sembrava non volerne sapere di guarire e si rifiutava di mangiare.

Per Natasha era stato naturale prendersi cura di lei. Solo quando l'aveva vista così... spezzata... si era resa conto di quanto le fosse legata.

La russa non aveva mai avvertito un senso di vicinanza con un'altra donna, probabilmente anche a causa di ciò che aveva vissuto nella Red Room; ma con Sharon era stato diverso, quello che avevano affrontato in Russia aveva gettato le basi per qualcosa di più profondo, della semplice conoscenza e rispetto reciproco ai tempi dello S.H.I.E.L.D.

Il loro avvicinamento era stato spontaneo, pacato, senza che nulla fosse forzato. Si erano ritrovate a condividere diversi momenti e Natasha aveva compreso di poter contare su di lei nelle situazioni difficili; ne apprezzava la forza d'animo e la generosità disinteressata. Per lei era sempre stato complicato concedere la propria fiducia, non quando si viveva in un mondo di spie e di assassini; non aveva mai affidato la propria vita a nessun altro prima di Steve ed ancora meno tollerava dover affidare la vita di lui a qualcun altro che non fosse se stessa, ma Sharon era fra quelle persone a cui, da tempo ormai, aveva concesso la sua fiducia incondizionata.

Vederla ora, in quello stato di profonda prostrazione la feriva e la infastidiva al tempo stesso: non poteva accettare che una ragazza risoluta come Sharon Carter fosse ridotta ad essere l'ombra di se stessa. Le accarezzò dolcemente il capo, mentre la bionda si calmava lentamente; malgrado tutta la forza che possedevano, davanti ad un amore così totalizzante anche l'essere umano più intrepido si scopriva fragile e privo di difese.

Sharon prese un profondo respiro, poi con stizza si asciugò le lacrime, strofinò il dorso della mano sul volto senza alcuna grazia, ma con rabbia.

Natasha con presa salda le tolse le mani dal viso; l'agente 13 sollevò i suoi lucidi occhi scuri e li puntò in quelli verdi e cristallini dell'altra, nessuna delle due disse nulla. La russa si stava dimostrando la sua ancora; in quei momenti quando sentiva il seme della follia serpeggiare in lei e gli incubi tormentarla, Natasha con la sua figura silenziosa le era immediatamente accanto. Non le aveva chiesto niente, si era limitata ad ascoltare le sue parole incredule e sofferenti, accoglieva il suo dolore ogni volta che questo minacciava di sopraffarla, condividendo con lei quel tormento.

«Sharon-»;

la bionda strinse i denti;

«Perché l'ha fatto?» mormorò persa «Perché se ne è andato?» guardò l'amica «Natasha io...» si portò una mano al volto.

La russa aveva una risposta, ma non era quella che Sharon avrebbe voluto sentire, perciò si limitò a stringerla un'ultima volta prima di passarle la pillola che l'avrebbe aiutata a calmarsi e dormire. Non che le facesse piacere costringerla ad assumere dei farmaci, ma senza quelli l'agente non sarebbe stata in grado di andare avanti.

«Sharon so che è difficile, ma resisti. Non perdere la fiducia...» replicò con tono carezzevole, senza perdere il contatto visivo con lei.

«Mi dispiace Nat- hai già molto a cui pensare... Mi sento così inutile-» l'ennesima fragile lacrima abbandonò i suoi occhi, tracciando i contorni sofferenti del suo viso.

La spia scossa il capo;

«Shhh. Non dire così. Riposa ora, ce la faremo. Ce la farai Sharon» le assicurò, restando con lei finché non riuscì ad addormentarsi.

Si alzò piano e lasciò la stanza con passo felpato, prima di raggiungere la sua meta si diresse verso un'altra stanza poco distante dalla sua. Aprì lentamente la porta ed il suo sguardo s'intenerì un poco.

Jace era preda di un sonno agitato, la sua mano stringeva però saldamente quella di Alexandra, addormentata sul materasso steso accanto al letto del ragazzo.

Come fosse un'ombra fluttuante la russa si avvicinò ai due giovani, li fissò intensamente poi una mano corse a scostare con dolcezza i capelli dal viso di Alexandra, che si tese appena percependo quel tocco e poi sospirò sollevata. Quando invece, Natasha sfiorò la fronte di Jace la trovò ancora bollente, segno che la febbre che l'aveva colto qualche giorno prima non si era attenuata.

Il ragazzo aveva subito un duro colpo, una parte della sua famiglia era andata in pezzi ancora una volta sotto i suoi occhi, che già troppo dolore avevano vissuto; non aveva voluto tornare a scuola ed era rimasto accanto a Sharon per tutto il tempo. Nessuno degli adulti se l'era sentita di costringerlo a fare diversamente.

Alexandra si era dimostrata ancora una volta una ragazzina estremamente combattiva per la sua età. Era lei che più di tutti si era occupata dell'amico: lo faceva mangiare, lo obbligava a studiare e a riposarsi... Cercava di fargli riprendere un contatto con la realtà, di farlo reagire, anche dopo un violento scoppio di rabbia lei l'aveva schiaffeggiato indignata, urlandogli di pensare a Sharon subito prima di scoppiare a piangere dispiaciuta. Alla vista di quelle lacrime Jace si era immediatamente calmato e l'aveva consolata; era come se attraverso il suo pianto, lui avesse compreso qualcosa di importante. Nulla però aveva impedito alla febbre di coglierlo e costringerlo a letto.

Ragazzini testardi e coraggiosi” pensò Natasha con un lieve sorriso, mentre imbeveva una pezza nell'acqua ghiacciata e la poneva delicatamente sulla fronte del giovane, la cui espressione si alleviò.

Restò qualche altro minuto a vegliare sui suoi protetti, finché l'orologio non segnò le quattro del mattino con un sospiro Natasha lasciò la stanza.


Il sacco finì brutalmente contro il muro della palestra, per quella che era la decima volta. Ormai inutilizzabile, Steve ne afferrò malamente un altro e lo fissò al gancio riprendendo ad accanirsi su di esso.

«Steve ora basta».

La voce seria e secca di Natasha lo immobilizzò per qualche istante, come se avesse ricevuto una scossa.

Il supersoldato si voltò verso la compagna, il cui sguardo era severo ma stranamente lucido e lui si sentì immediatamente in colpa.

«Dovresti essere a letto a riposare» le fece notare lui con tono morbido;

lei inarcò un sopracciglio perfetto;

«E tu con me» frecciò accigliata.

Il silenzio si era fatto teso, i loro corpi distanti, ma Steve fu il primo a distogliere lo sguardo.

Natasha gli si avvicinò cautamente come se si stesse avvicinando ad un animale irrequieto. Gli circondò un braccio lucido di sudore e poggiò la fronte sulla spalla.

«Cosa speri di ottenere?» gli domandò, il tono lievemente meno severo.

Il capitano sospirò e chiuse gli occhi;

«Non lo so» ammise dolorosamente. Pur restando il soldato tutto d'un pezzo a cui il mondo si affidava, il suo sguardo trasmetteva una fragilità che rare volte Natasha gli aveva scorto. La sua mano gli afferrò dolcemente il volto e lasciò che le loro labbra si unissero. Il bacio si trasformò in un abbraccio; Steve la tenne stretta a sé, nascondendo il capo nella sua spalla, amareggiato, confuso, privo di un importante frammento di se stesso.

«Non poteva restare...» mormorò Natasha intuendo i tormenti del compagno; sentiva di essere l'unica a comprendere veramente la scelta di James, non che questo le avrebbe impedito di prenderlo brutalmente a calci prima o poi per aver gettato la persona che amava in un tale sconforto.

«Avrebbe potuto aspettare, mettercene a parte-» replicò lui risentito non verso di lei, ma verso se stesso, verso Bucky.

La russa lo scostò gentilmente dal suo corpo, per osservarlo in volto;

«Non posso darti torto, ma se ha fatto ciò che ha fatto forse un motivo c'è. Lui sapeva...»

«Che cosa?»

«Che restando ci avrebbe messo in pericolo» rispose sicura. Era certa che James non si sarebbe mai allontanato da loro, che non avrebbe mai lasciato Sharon e Jace a meno che la situazione non fosse così grave da costringerlo, e la cosa nel profondo la inquietava.

«E ora lui è lì fuori da solo! Cosa gli fa pensare di poter stare meglio? O di non essere più in balia di quella donna!?» ribatté serio, il suo tono basso si era fatto leggermente più concitato.

Tutti loro, insieme alla squadra di Coulson avevano visto James camminare nei corridoi insieme a quella che tutti conoscevano come Erica Holstein e poi sparire all'occhio delle telecamere.

Natasha rimase in silenzio, osservando ammirata il profilo nobile del compagno illuminato da un sottile raggio di luna.

«Non lo possiamo sapere. Ha ferito Sharon e questo ci fa chiaramente capire che non era in lui, ma non l'ha uccisa e avrebbe potuto a quel punto, quindi significa che non ha perso la ragione... Non del tutto almeno»

«Perché non ci ha detto cosa aveva intenzione di fare-?» la guardò in volto e ne rimase incantato, ma il suo sguardo era parecchio eloquente.

«Perché non vuole farsi trovare» sospirò con un amaro sorriso «Nessuno è meglio di lui nel far perdere le proprie tracce. Che diavolo gli sarà saltato in mente?».

Natasha si strinse nelle spalle e gli si avvicinò;

«Spero per lui che sappia quel che fa-» d'improvviso la voce le venne meno e avvertì le gambe deboli. Steve, dimostrando riflessi inumani, le strinse delicatamente ma saldamente le mani intorno alla vita per sostenerla.

«Perché ti costa tanto darmi retta, ogni tanto?» le sussurrò preoccupato mentre la sua mano scivolava premurosa sul suo grembo gonfio. Era alle soglie del quinto mese, la rotondità del ventre si stava facendo sempre più evidente.

Natasha non rispose, troppo orgogliosa per confessare la verità. Guardò la mano di Steve e si intristì; ancora non percepiva nessun movimento da parte del bambino; la dottoressa Montgomery – la dottoressa che aveva momentaneamente preso il posto di Helen Cho e da lei caldamente consigliata – le aveva assicurato che era normale dopotutto lo stress a cui stava venendo sottoposta. Ma lei non riusciva a non inquietarsi, perché si sentiva così sbagliata?

«Steve ascolta, se non vuole farsi trovare un motivo ci sarà, ma non dev'essere per forza per la motivazione peggiore...»

«Lo so ma-»

«Non riesci ad accettare la situazione» finì lei per lui.

Steve strinse le labbra in un'espressione grave. Era così, non riusciva ad accettarlo. Il fatto che Bucky se ne fosse andato lo stava logorando, lo angosciava il pensiero di averlo perso per l'ennesima volta, nel silenzio e nella confusione più totale. Come aveva potuto ferire Sharon in quel modo? Nemmeno per un istante aveva creduto che fosse dipeso dalla sua volontà... No, era stato chiaramente manipolato. Il fatto che l'HYDRA fosse riuscita ad infiltrarsi così a fondo tra di loro gli rodeva il fegato, che fossero stati così vicini a Natasha e al loro bambino lo faceva fremere di rabbia ed ansia.

James non doveva andarsene, avrebbero potuto risolvere la situazione insieme... Sempre che fosse risolvibile quella situazione. Che cosa nascondeva nel suo cuore Bucky?

Sospirò e scrollò le spalle, riportando lo sguardo sulla propria compagna;

«So che non vorresti sentirtelo dire, ma non puoi. Non puoi mollare моя жизнь [vita mia]» gli disse abbandonando il capo sul suo petto, nessuno di loro due poteva.

Steve annuì piano ma seccamente. Erano accerchiati e Bucky gli mancava come se gli avessero strappato un arto... Sentiva di avere la sindrome dell'arto fantasma: c'erano volte in cui gli sembrava che James fosse ancora al suo fianco, che lo stesse osservando attentamente ma poi si rendeva dolorosamente conto che quella sensazione avvolgente non era altro che una mera illusione.

Natasha aveva ragione, non poteva permettersi di crollare e crogiolarsi nello sconforto di una situazione incerta e pericolosa. Lui doveva andare avanti.


Sharon aprì lentamente gli occhi, percepiva le palpebre pesanti e stanche e le borse sotto di esse talmente marcate da dolerle fisicamente.

Il suo braccio reagì d'istinto, senza che lei ne avesse il controllo e sfiorò incerta il resto del letto dietro di sé, trovandolo vuoto e freddo. Come previsto il suo cuore venne stretto in una morsa dolorosa e i brividi le scossero il corpo provato.

Si levò a sedere come se ogni gesto le costasse una fatica immensa, con sguardo desolato si guardò attorno, le labbra leggermente tremanti, il mondo le apparve incredibilmente grigio. Col vuoto nel cuore si alzò e si diresse verso il bagno, con gesti lenti e meccanici si spogliò, lasciando che ogni singolo indumento le scivolasse, spettatore muto, addosso.

Il getto d'acqua freddo la colpì all'improvviso ma lei non mosse un muscolo. I suoi occhi fissavano vacuamente la superficie chiara e liscia lasciando che l'acqua le scorresse lungo il corpo candido e liscio, disegnando nuove forme. La sua mente le proiettava, in un orribile loop, ciò che era accaduto i giorni addietro. James al centro di tutto, la sua testa si riempì di lui: del suo volto; dei suoi sorrisi incerti ma pieni di dolcezza; dei suoi gesti; della sua voce; del suo profumo... Di lui, lui e basta. Sharon ne fu sopraffatta. Le spalle iniziarono a tremare in modo incontrollato e le lacrime salate e disperate si mischiarono alle gocce d'acqua che inutilmente avrebbero tentato di alleviare il suo tormento.

Il peso di tutto quel dolore fu troppo per lei, le sue ginocchia si piegarono dolcemente e crollò a terra, lasciando che il suo suono della sua angoscia fosse soffocato da quello della doccia.

Non aveva idea di quanto fosse rimasta sotto il getto d'acqua, ma quando uscì i suoi occhi scuri erano incredibilmente asciutti, forse perché aveva pianto tutte le lacrime che le erano state messe a disposizione. Passò una mano sullo specchio e la sua immagine comparve come per magia.

Sharon si prese qualche secondo per osservare il proprio volto, i lineamenti irrigiditi, le labbra tese e gli occhi talmente scuri da essere imperscrutabili; poi afferrò la spazzola ed iniziò a pettinarsi con cura inusuale i lunghi e lucenti capelli color miele.

Una volta terminato di sistemarsi i capelli in una morbida treccia, la giovane prese i trucchi ed iniziò a curarsi il viso. Il volto restò perfettamente immobile, come quello di una bella bambola e il tutto si svolse nel più totale silenzio. Tornò in stanza e si vestì, si guardò un'ultima volta allo specchio e con un gesto secco cancellò l'impalpabile scia bagnata che segnava la sua guancia.

Un passo dopo l'altro... Un passo dopo l'altro... Si ripeteva come un mantra.

Si diresse nella stanza di Jace, ancora immersa nel buio; osservò con un guizzo di tenerezza i due ragazzini addormentati, poi accarezzò con estrema dolcezza il volto del quindicenne ancora caldo di febbre. Gli rinfrescò la pezza di stoffa e gli sistemò con cura le coperte.

«Perdonami per non essermi presa cura di te in questi giorni» gli sussurrò «Ma ora sono qui Jace».

Una volta in soggiorno vi trovò solo Natasha e il capitano, entrambi furono sorpresi che fosse lì ma si premurarono subito di nascondere la loro costernazione.

«State uscendo?» domandò con voce leggermente roca, come chi non era più abituato a parlare a voce alta.

Vedova piegò leggermente il capo di lato, osservandola attentamente, poi sorrise appena:

«Sì, ho appuntamento con la dottoressa Montgomery. Mi piacerebbe se venissi anche tu».

Sharon dischiuse le labbra ed annuì grata. Si avvicinò alla donna;

«Mi manca. In ogni momento mi manca. Non va ad ondate: è un dolore continuo» ammise con un filo di voce ma senza guardarla in volto. Natasha le afferrò gentilmente il polso facendo scivolare la mano verso la sua;

«Tutto quello che senti va bene, Sharon» la rassicurò mentre la bionda faceva scontrare i suoi occhi scuri e tristi con quelli di lei, verdi e cristallini. Annuì. Comprendendo ciò che la spia voleva dirle.

Steve si rasserenò un poco nell'osservare le due donne così vicine.

«Andiamo?» disse avvicinandosi a loro e poggiando delicatamente la mano sulla schiena di Natasha.


Erano quasi all'uscita dell'Avengers Tower quando i tre scorsero una figura alta che camminava nervosamente avanti ed indietro, borbottando qualcosa all'esterno dell'edificio, proprio davanti l'ingresso.

Steve fece cenno a loro di fermarsi, mentre con cautela si dirigeva verso l'accesso.

«J.A.R.V.I.S. che succede?»

«Questo ragazzo vuole entrare Capitano Rogers. Afferma di conoscere lei e la signorina Romanoff. Ma non possiede un'autorizzazione e non è presente nel database.» rispose compitamente l'AI.

«D'accordo J.A.R.V.I.S ci penso io-» ma il supersoldato si bloccò, il suo sguardo aveva finalmente colto il volto del ragazzo spazientito... e lui lo conosceva.

«Holden?».


*


«Vuoi davvero andare fino in fondo?» berciò non molto convinto l'uomo, facendo schizzare un sopracciglio verso l'alto.

L'altro gli scoccò un'occhiata stizzita, non voleva più tornare sull'argomento. Quella al momento era l'unica cosa utile che poteva fare.

«Non mi pare abbia altre alternative ora come ora» rispose lugubre.

L'omone si strinse nelle spalle arrendendosi. Che facesse un po' come gli pareva;

«Beh spero che allora tu abbia più fortuna dell'ultima volta James».

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Eccoci qui, allora come potete notare in questo capitolo non abbiamo moltissimi "elementi", se non verso la fine questo capitolo non ci riserva grandi sorprese e si concentra sulla reazione di Steve e Sharon oltre che Natasha e il piccolo Jace, che in questo momento è in una versione tutta sua di "mamma-infermiera". Questo è ovviamente voluto... La "mancanza di Jamesn" non è una  questione che si può certamente risolvere in un capitolo. Volevo un momento dedicato a coloro che più di tutti amavano James e spero di aver mostrato in modo giusto il loro dolore, su cui avrò comunque modo di tornare.
Spero anche che vi sia piaciuto il rapporto tra Natasha e Sharon, che è qualcosa a cui io tengo molto... Nei film abbiamo grandi esempi di "bromance": Steve e Bucky, io direi anche Bruce e Tony o Tony e Rhodes mi piacciono molto, ma un'amicizia al femminile non l'abbiamo ancora vista (o mi è sfuggito qualcosa?) quindi questa relazione che si sta instaurando fra due grandi donne come Romanoff e Carter per me è fondamentale.
Poi c'è un piccolo assaggio di Bucky che è impegnato a fare qualcosa... per sapere cosa dovrete attendere ancora un bel po', vi posso solo dire che non riesce a stare fermo di sicuro!
Passiamo poi a Holden... chi se lo ricorda?? Se avete dubbi vi consiglio di fare un salto indietro a due storie fa XD

Bene, per il momento è tutto! Spero che il capitolo non vi abbia deluso... Io ringrazio tutti voi per la pazienza e il sostegno! Sia i miei fantastici recensori che i miei nuovi lettori a cui faccio un saluto speciale!
Ci rivediamo fra DUE SETTIMANE (e spero di non avere più tutte queste difficoltà!) VENERDI' 23 GIUGNO! Per qualsiasi avviso vi consiglio di visitare (e mettere mi piace ;)) alla mia pagine autore su FB "Asia Dreamcatcher".

ps. La risposta alle recensioni del capitolo 12 arriveranno entro DOMENICA SERA!

   
 
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