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Autore: Little_Rock_Angel5    09/06/2017    5 recensioni
Dal testo:
§ Era proprio come nei libri che usava leggere sua madre: i segni che delimitavano l’area, tanta gente che assisteva alla scena, un velo bianco sporco di fango e sangue rappreso che copriva il corpo.
'Non può essere lui, non può essere proprio lui pensò' Leila, l'angoscia che le serrava la gola. §
Storia partecipante al contest Angeli&Demoni di Nirvana_04 e al contest Stelle D'Oriente di Dollarbaby, sul forum di EFP.
Genere: Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo, Violenza
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Poche bugie bastano all’Inferno


Soltanto i deboli commettono crimini.
Chi è potente e chi è felice non ne ha bisogno.
- Voltaire


L’odore acre pareva voler abbracciare ogni cosa. Si nuotava nelle nuvole di fumo, le pozze di fango sembravano sabbie mobili, capaci di risucchiare qualunque cosa fosse a loro portata, come le bocche dei Peccatori di Gola.
L’Ira aveva lasciato il suo segno, un drappo ornato da nastri rossi con il Pianeta Marte era stato abbandonato sul terreno, accanto al corpo, in modo frettoloso ma in bella vista.
- Questo era per lei. – lo disse ridendo, nella sua completa pazzia.
Poi scappò, facendo perdere le sue tracce nel fiume dell’Accidia. La Caccia era conclusa.

§

- Non starai piuttosto esagerando, Marco? – sbuffò Leila, con gli occhi rivolti al cielo.
Semmai glielo avreste chiesto, il suo sguardo sarebbe riuscito a raggiungere un punto ancora più alto.
- Esagerando? –
Nella sua voce non c’era mai calma, compostezza, di fatto solo fastidiosa Ira.
Dopotutto, non si dice anche che quando un Irato impara a mantenere la propria rabbia iniziano i guai? Per il momento, era tutto sotto controllo.
Leila stava giocando distrattamente con delle margheritine gialle, appoggiata alla cinta muraria di marmo bianco che circondava l’Accademia, ed erano proprio quei fiori la causa scatenante della discussione.
- Te lo richiedo: chi diamine era quel ragazzo? – borbottò a denti stretti, afferrandola per un braccio.
- Solo Jules. – rispose lei, liberandosi dalla sua stretta, che sembrava angosciarle anima e corpo.
Doveva essere forte e non lasciarsi andare alla paura.
Doveva essere superiore.
- Non c’è nessun Jules al tuo corso e anche se ci fosse, non avrebbe il diritto di farti dei regali. –
- Perché, adesso qualcuno deve avere un diritto per essere gentile o semplicemente civile con le persone? Fottiti, Iracondo del cazzo. – Stava già inoltrandosi per la strada che portava a casa dei suoi genitori, ma nuovamente la mano di Marco la raggiunse, stringendo delicatamente il polso.
È questo, il guaio: un Peccatore di Ira non dovrebbe essere delicato.
Leila si girò di scatto, i capelli color rame che fluttuavano in morbidi boccoli e gli occhi marrone scuro che sembravano perforare l’anima di ogni persona su cui si posavano; cercò di soffermarsi su qualsiasi dettaglio, come il Pianeta Marte ricamato sul polsino di lui, perché non avrebbe dovuto incrociare il suo sguardo, o ne sarebbe rimasta catturata.
- Mi dispiace. – sussurrò lui, e allora fece l’errore di alzare il capo.
- Va bene. – sospirò Leila, rassegnandosi alla sua sorte.
Marco l’abbracciò, senza preavviso, nello stesso modo in cui potrebbe abbracciarti un serpente: subdolo, con il fine unico di rinchiuderti e divorarti.
- Torniamo a casa. – ordinò lui, cambiando direzione.
Lo seguì, ma scossa: cosa le stava succedendo?

§

- Non credi che ti porterà nulla se non guai, quell’Iracondo? – disse una donna ridacchiando.
- Certamente. Tuttavia, non riesco a fare a meno di lui. –
La risposta di Leila era incerta, con una mano copriva furtivamente dei lividi.

§

- Anche i ragazzi di strada come me sanno essere gentili. –
- Perché non hai il Pianeta del tuo peccato ricamato sul taschino come tutti gli altri, Jules? –
- Come dire, Leila…mi considero un essere vivente speciale. –

§

Le lezioni di Controllo della Magia stavano per finire e Leila non vedeva l’ora di uscire.
Era la più brava dell'Accademia, cosa che si addice a una Superba. Tuttavia, come non sentiva il bisogno di studiare così tanto, non sentiva nemmeno quello di frequentare tutti quei corsi o sprecare le sue ore ascoltando qualcuno che diceva cose che già paradossalmente sapeva.
A Sünde era già pensata come la futura Prima Cacciatrice dell’Ordine, ma Leila non aveva un interesse particolare in quella professione, nonostante sapesse quanto in quel momento una protezione forte fosse importante per la città: ai piani alti avevano problemi.

§

Leila correva. Era notte fonda, distingueva a malapena qualunque cosa ci fosse più avanti del suo naso, ma era consapevole che doveva sbrigarsi.
- Si dice che questo sia un altro modo per peccare. – esclamò, col fiatone, arrivata alla sua meta: un ragazzo l’aspettava pazientemente, appoggiato ai pilastri del Grande Ponte, che permetteva l’attraversamento sopra il Trägheit, il fiume dell’Accidia.
- Sto molto bene con te Jules, ma… ecco, non ti aspetterai mica che io pecchi sotto un ponte? Non sarebbe per nulla giusto. –
Una risata sottile giunse alle sue orecchie. L’altro le si avvicinò, con un bouquet di margherite gialle in una mano e un barattolo di vetro vuoto nell’altra.
- Non oserei mai. – le rispose, porgendole i fiori. Poi continuò, alludendo a quelli: - mi hai chiesto dove li prendessi: eccoti qui il loro piccolo paradiso. Ce ne sono davvero parecchie, di margherite e… lucciole. – concluse, aprendo le braccia come se fosse una guida turistica, di quelle simpatiche che evitano di dirti milioni di fatti storici che interessano poco e si soffermano sulle cose belle del presente.
Leila allora afferrò il perché del barattolo e trasalì.
- Vorresti davvero catturare delle povere creature alate e luccicanti? – chiese, con un sopracciglio alzato.
Allora Jules le si avvicinò ancora di più, appoggiando l’oggetto a terra e abbracciandola, circondandola col suo corpo possente.
Era più alto di Leila di una decina di centimetri, la differenza si sentiva; nonostante i bicipiti e addominali scolpiti, non dava l’aria di qualcuno di minaccioso; Marco era cento volte più spaventoso, nonostante il suo fisico non fosse niente di che.
Erano gli occhi, erano sempre loro il grosso del problema. Freddi come il ghiaccio.
Gli occhi di Jules, invece, erano rilassanti come il mare, di un verde brillante, sapevano però di gioventù negata, era come se appartenessero a qualcuno più vecchio.
Leila, nell’abbraccio, non poté fare a meno di controllarli il taschino della maglietta che stava indossando: ancora nessuno stemma, nessun pianeta a contrassegnare il suo peccato.
Nonostante i suoi lancinanti dubbi, evitò di fare domande a quel merito: le altre poche volte che aveva cercato di affrontare l’argomento, Jules era stato così vago che le era sembrato inutile.
- Allora, vuoi prenderle sì o no, queste lucciole? – le domandò, dando un colpetto col piede al barattolo.
- Al diavolo tu e i tuoi insetti. – ribatté, alzandosi sulle punte e baciandolo.
Lui la prese in braccio, e ben presto si scordarono di qualsiasi altra forma vivente che non fossero loro stessi.

§

Era proprio come nei libri che usava leggere sua madre: i segni che delimitavano l’area, tanta gente che assisteva alla scena, un velo bianco sporco di fango e sangue rappreso che copriva il corpo.
Il fiume Trägheit era una scena del crimine raccapricciante, tanti uomini vestiti tutti di bianco e con delle ali del medesimo colore facevano avanti indietro, da essa verso la folla e dalla folla di nuovo verso il cadavere, o i loro ‘strumenti di indagine’: per scomodare i piani alti per un omicidio doveva per forza esserci qualcosa di sbagliato.
Leila era a conoscenza del fatto che gli Angeli fossero nei guai e trovassero difficoltoso confinare, ormai, i Demoni negli Inferi; tuttavia, in quel momento i suoi pensieri erano dominati da una semplice frase, un’affermazione disperata e patetica, che continuava a ripetersi all’infinito.
Non può essere lui, non può essere proprio lui.
- È stata una vera benedizione. Chi lo avrebbe mai detto che un Iracondo, per una volta, combinasse qualcosa di buono. – esclamò qualcuno ridacchiando, dalla folla.
Il suo pensiero, da un disco rotto e cantilenante, divenne silente. Venne interrotto bruscamente da una voce annacquata, piena di una sicurezza che non poteva permettersi, non vicino a un Superbo.
- Una benedizione? –
La voce di Leila era irriconoscibile, persino a lei stessa, compromessa dal dolore e dalle lacrime.
- Da quando in qua la morte è una benedizione? –
- Sei nuova qui, ragazzina? Quello lì era un mostro! –
Il signore che aveva parlato era basso e grassoccio, si teneva la pancia con una mano, nell’altra un sigaro da cui emanava un fumo giallastro, le sua labbra sottili non sembravano poter farne a meno.
Gli occhi neri e piccoli erano mezzi nascosti da una zazzera di capelli color paglia, che sembravano il coronamento di quell’essere, insieme al doppio mento e una barba poco curata.
Sul completo costoso che indossava troneggiava Giove, il pianeta della Gola.
La Gola, considerato il peccato più disgustoso dei sette da molti, non aveva tuttavia solo sfaccettature superficiali. Eppure, quel peccatore rappresentava il rango più basso e triste del suo Peccato: lui sapeva davvero solo riempirsi di cibo e veleno.
- Da che pulpito viene la predica. – rispose Leila.
Non importava quanto fosse scossa, la sua Superbia e arroganza aveva la meglio.
Dopotutto, gli uomini sono pieni di difetti, ma il tuo Peccato è uno ed è la tua disgrazia, se non sai come farlo funzionare a tuo vantaggio.
- Non credere che quella spilla a forma di Sole che hai appuntata sul colletto possa conferirti così tanto potere, ragazzina. Lascia che ti apra gli occhi: il vero mostro è lui, ed è stato assassinato, esattamente come si uccidono i serpenti: tagliandoli la testa! –
Serpenti.
Leila fece un passo indietro, poi due, poi tre, ma non sembravano mai abbastanza.
Fuggì via, lontano da tutto e da tutti.

§

- E questo tatuaggio? – chiese Leila, uno scintillio curioso negli occhi.
Jules si passò le mani sul serpente a sonagli, segno indelebile sul suo collo, e imprecò mentalmente: non avrebbe dovuto vederlo, non avrebbe dovuto saperlo.
- Non capisco perché tu ti ostini a portare quella stupida sciarpa, con un tatuaggio così bello. – aggiunse, mettendo il broncio difronte al silenzio del ragazzo.
Erano ancora al ponte, l’ennesima volta, ed era finita come tutte le altre, anche se Jules era stato previdente e in quell’occasione aveva portato una tenda, così ampia che peccare non era nemmeno stato scomodo.
Tradire Marco era così liberatorio, per lei, e provava la sua netta superiorità nei suoi confronti, il che la faceva sentire gratificata.
Tuttavia, aveva così paura di lui che non riusciva a lasciarlo: sapeva di essere vittima di abusi.
Sapeva che il comportamento del suo ragazzo era sbagliato. Sapeva che intimidirla e metterla a tacere non poteva essere una cosa concepibile, eppure lei non poteva che rispondere al Peccato con un altro.
Funzionava così, coi Superbi, ma più in generale a Sünde: tutte le altre città sapevano come lì, la gente, si vantasse dei propri sbagli e abbracciasse la filosofia del Peccato come se fosse legge, non lasciando il posto a nient’altro.
Alla fin fine, essere riconosciuti dal proprio Peccato conferiva anche poteri immensi, l’enorme fortuna di un avaro, l’eccellenza di un superbo, l’attrazione di un lussurioso; tutti questi pregi erano scaturiti da fatture, incantesimi, le enormi abilità non erano mai completamente dovute alle capacità del singolo.
- Non… non è nulla. – disse alla fine Jules, raccogliendo la sua sciarpa dal mucchio di vestiti ammassati.
Facevano colazione, semplicemente in intimo, all’interno della tenda da campeggio.
Per la sua natura, Jules avrebbe vivere così per sempre, senza rimpiangere nulla. Di fatto, l’unica cosa che rimpiangeva era quella di non poter raccontare alla ragazza che amava tutta la verità; ma alla fine, era meglio così.
Semmai fosse diventata una Cacciatrice, data la sua Superbia, e avesse scoperto il suo segreto… tutto sarebbe andato a rotoli.
- Mhm. –
Leila sembrava dubbiosa, dubbiosa e distratta, e questo gli faceva male. Tuttavia, non poteva certo biasimarla.
- Facciamo una passeggiata, ti va? – chiese lui, con la speranza di fermare i suoi pensieri, per evitare che avesse dei ripensamenti sulla loro storia.
Leila annuì, il sorriso con le labbra che però sembrava poco sincero.
Jules, comunque, sospirò per il sollievo.
Uscirono, e due occhi rossi presero a fissarli con un’ansia e ossessione demoniaca.

§

- Lasciala in pace. Sono l’unico che potrà mai averla. –
- Non saresti un po’ troppo sicuro di te? –
- Sta bene attento, Serpente dei miei stivali. –

§

- Non capisco: perché aspettare? Sai dov’è quel verme strisciante, hai già l’arma per farlo fuori… cos’altro vuoi? –
Gabriel era sconcertato, picchiava impaziente e nervoso con piede sul pavimento, tirando talvolta qualche calcio distratto alle pietre, gettandole nel cratere per vederle ribollire e fondere.
Il vulcano Ärger era uno dei punti da cui i Demoni passavano per arrivare sulla Terra, uno dei pochi non ancora scoperti dai Cacciatori e dunque non sorvegliato.
Di fatto, Gabriel credeva che nemmeno gli Angeli fossero a conoscenza dell’esistenza di quel passaggio, il loro hobby preferito sembrava rinchiuderli nelle proprie Pene.
- Non credi come siano sciocchi, gli esseri umani? – rispose l’altro, con una mano sotto il mento come se stesso riflettendo; che buffo, lui non rifletteva mai.
- Dovrei forse ricordarti che tu… -
- Shh. – lo interruppe bruscamente l’altro, con un movimento veloce della mano e uno sguardo di ghiaccio.
- So bene ciò che vuoi dirmi, ma ti prego non ricordarmelo: non mi sarei mai abbassato a un livello così basso se non per la mia libertà.–
- Sì, ma la richiesta di quell’umano è a dir poco eccentrica. –
- Si vede che non sa a cosa va incontro. –
Con una risata agghiacciante, l’essere concluse il dialogo, e prese a incamminarsi giù per il vulcano, lasciando il demone Gabriel in cima a quello, impietrito dalla sua stessa paura.

§

Marco era a casa, era notte fonda, ed era solo: Leila non c’era.
- Quella sporca puttana sta combinando qualcosa… - sussurrò, già intento nel vestirsi per andare a cercarla.
Era chino a legarsi gli scarponcini, quando udì un rumore dall’altra parte della camera da letto.
- Sì, puoi ben dirlo. –
Marco si girò di scatto e si ritrovò di fronte un uomo dall’aspetto virile ma la voce graffiante e acuta, vestito completamente di nero.
I suoi occhi rosso sangue riflettevano la luce della lampada sul comodino, e nelle sue iridi sembrava come se ci fosse fuoco danzante.
Marco cercò qualsiasi arma a sua disposizione, ma tutto era sparito: il coltello nel cassetto, il fucile sotto il letto…
- Non troverai un nemico in me, davvero… puoi fidarti. Io sono Jorge, demone della rivolta. E so quanto la tua sia una rivolta legittima… dettata da gelosia e collera. – sussurrò, incatenandolo con lo sguardo, lo sguardo degli Inferi.
- Come fai a conoscermi? I demoni non possono stare sulla terra… -
Marco, da irruento ben presto divenne docile e servizievole. Sapeva che a quell’essere non era permesso camminare sul suo stesso suolo, ma non riusciva a essere lucido nelle sue riflessioni: l’Ira l’aveva accecato.
I demoni, esseri spregevoli che vivevano nelle gole infuocate del sottosuolo, non avrebbero mai potuto restare sulla terra, a meno che un umano o qualsiasi altra creatura avesse in sé abbastanza Male da richiamarlo; da quel momento in poi, il Demone aveva pieno possesso della persona, si cibava di tutto ciò che rappresentava la sua oscura natura, e non si fermava finché la vittima delle sue attenzioni avesse ancora un briciolo di anima.
Angeli, purificatori di queste; i Demoni, nient’altro che fagocitanti.
- È proprio vero – sussurrò Jorge, sogghignando - soltanto i deboli commettono crimini. Chi è potente e chi è felice non ne ha bisogno. -
Marco aveva teso la mano come un burattino, il mostro l’aveva stretta.
Il patto era saldato, si dava inizio alla Caccia.

§

- Vi ho visti, sai? Lì, sotto il ponte, tutte quelle sere… non credevo che un essere viscido come te potesse far godere una donna così. – incalzò spavaldo, le mani dietro la nuca, il tono tagliente.
Jules avrebbe potuto dirgli di tutto le parole li morirono strozzate in gola.
L’atmosfera si stava facendo terribilmente fredda, per stare faccia a faccia con una presenza infernale.
- La voglio, e sarà mia. –
- Non sono io che devi combattere, sai? Lei mi ha scelto nonostante tutto. –
- Oh no… non proprio tutto. –
Una risata eccentrica echeggiò, mentre Jules non riusciva più a combattere la sua natura.
Un rumore monotono e ammaliatore di sonagli dominò il vicolo.
Vide sulla faccia del suo nemico un ghigno. Aveva perso.

§

- Leila? Leila, sto parlando con te. –
Marco era arrabbiato: la sua donna non lo ascoltava, sembrava fregarsene, con quel suo solito tono altezzoso da chi ha la puzza sotto il naso.
Non era già abbastanza sopportare la gravidanza, il non poterla avere ogni notte per via di una bambina che nemmeno voleva?
Non era già abbastanza sentire come fosse felice quando la bimba scalciava, triste quando si vedeva cambiata in peggio, stanca di giorno e insonne la notte?
Sbatté il pugno sul tavolo della cucina, talmente forte da far sobbalzare la donna seduta compostamente su una sedia, che nel mentre sfogliava un libro con assoluta calma.
- Questa Ira ti ucciderà, lo sai. – rispose semplicemente, non alzando nemmeno gli occhi dal volume.
Sapeva di starlo aizzando, ma non lo sopportava più. Che si aizzasse e se ne andasse al diavolo, piuttosto.
- Smettila di fare la psicologa con me e rispondi alle mie domande. – ringhiò lui, trattenendo a stento la voglia di avvicinarsi e mettere a tacere la sua Superbia.
- Lo sai che gli psicologi hanno come peccato l’Invidia, non dovrei certo essere io a ricordatelo. – ribatté lei, sempre composta, sempre misurata.
Era così: gli psicologi erano i coltivatori dell’Invidia delle persone, in quanto queste, scontente della propria vita e dei propri problemi, avevano la proiezione di una vita perfetta che tutti gli altri vivevano, e se ne lamentavano, non capendo che quella era appunto nient’altro che una proiezione.
‘L’Invidia è un peccato così inutile’ pensò Leila sospirando, continuando ad ignorare la voce rimbombante del suo compagno, che arrivava come ovattata, le parole indistinte.
Non le importava di nulla e di niente, finché quella brutta sensazione non l’avesse abbandonata, lei non avrebbe dato conto a nessuno.
E, ritenendo Marco meno di nessuno, non l’avrebbe neanche guardato.
- No, Marco. Te lo ripeto: questa bambina non è tua. -
Allora, lui prese il vaso di fiori che faceva da centro tavola, lo scagliò contro il muro e al suono del vetro infrangersi e dell’acqua rovesciarsi, solo allora sembrò calmarsi.
Così, uscì sbattendosi la porta alle spalle.
Leila si alzò, tenendosi con una mano il grembo come se quella piccola creatura potesse scapparle via, e prese a raccogliere i poveri fiori vittima di quell’attacco d’Ira.
Dopo aver preso le margheritine gialle e averle riposte in un vaso nuovo, identico al precedente, identico a tutti quelli che erano già stati rotti, lo riposò sul tavolo al medesimo posto e si risedette.
Pulire no, pulire toccava a lui.
L’Accidia che la prendeva, dall’inizio della gravidanza, la preoccupava così tanto che in un certo senso incolpava la futura nascitura di questa disgrazia.
Un Superbo non avrebbe mai e poi mai farsi dovuto prendere dall’Accidia, non era assolutamente una cosa concepibile, e non era neanche naturale, non si ha più di un Peccato.
A tuo vantaggio. A tuo vantaggio girano le giostre, a tuo svantaggio invece cambiano giro, le tue cinture di sicurezza si slacciano e cominci a cadere, a cadere giù, finché il tuo corpo non si spiaccica al suolo, privo di vita.
C’è mai qualcosa di peggio di questo? Certamente: la sensazione della caduta senza fine, come in un pozzo senza fondo, come i vuoti enormi che i peccatori di Gola cercano di riempire con tutto tranne che le emozioni di cui mancano.
Ed era così che Leila si sentiva: lei stava cadendo, giù in un buco nero, e non sarebbe mai più riuscita a risalire.
Leila ancora non sapeva che finalmente le violenze sarebbero finite, che Marco sarebbe stato soffocato dal suo stesso patto fatto col Demonio e non sarebbe più tornato a casa, dopo quella sera, e che l’unica sua consolazione sarebbe stata il cappio di una corda ben tesa.
Leila non sapeva, e sospirava incerta nell’ignoto; non c’è mai qualcosa di giusto in una relazione in cui ognuno riesce inevitabilmente a far soffrire l’altro, assillandolo con le proprie manie o lasciandolo andare troppo facilmente.
Cosa c’era di giusto, nell’amore, dopotutto?
Quella creatura in grembo era l’ultimo ricordo di Jules e più ci pensava, più le doleva la testa. L’unico suono presente nella stanza era quello di un temporale, che sciacquava via la polvere dai tetti, le menzogne dalla mente.

§

- Darai a me anima e corpo. Io per te compirò il tuo desiderio. Vedrà la morte, quel Serpente. –
- Darò a te anima e corpo – rispose Marco, cantilenante, gli occhi velati come se fosse cieco – vedrà la morte, quel Serpente. –
Il demone rise e la stanza piombò di nuovo nel buio.
Marco si svestì e si rimise a letto, la crescente sensazione che la sua Ira li stesse rosicchiando i polmoni, privandolo della capacità di respirare.
Nulla sarebbe più stato come prima.

§

Un grande trambusto in città, gli Angeli e tutto l’Ordine dei Cacciatori che si mostravano in pubblico assieme, nella piazza centrale, per comunicare importanti notizie.
La morte di un mostro spregevole pensò Leila, gli occhi lucidi e attenti, l’armatura da Cacciatrice nuova di zecca.
Era appena entrata, presentando tutti gli esami col massimo dei voti, in esattamente 10 giorni, gli stessi che la separavano da Jules.
Si era imposta di non cadere, di non rompersi e nemmeno piegarsi; aveva in mente l’odio per la verità che le era stata tenuta nascosta, era un Mutaforma e andava esiliato da Sünde come andava esiliato dal suo cuore.
Tuttavia, non riusciva proprio a dimenticare: lui era stato tutto ciò che pensava non potesse esistere, non a Sünde, non fra tutti quei peccatori.
Di fatto, Jules non lo era mai stato, aveva solo rifiutato la sua natura. Eppure, come diceva sempre sua madre, mai voltare le spalle a ciò che sei o questo ti si rivolterà contro.
- Dobbiamo dare la caccia a un Iracondo. –
Il sergente Ethan, dell’Ordine, aveva la voce ferma e possente, un po’ più scura di quella Jules ma entrambi utilizzavano lo stesso tono deciso.
Dalla folla, che si era radunata come era stato comandato, arrivarono mormorii e bisbigli, qualunque Peccatore d’Ira che fosse a tiro veniva indicato, spinto avanti: tutti avevano timore di Ethan, che era un po’ il capo di qualsiasi situazione, nonostante fosse un Lussurioso; la Lussuria e la Superbia erano in continua lotta per il podio, per il posto di riconoscimento più alto nella società, anche lo stesso Venere aveva continua intenzione di far sfigurare il Sole, il Sole, la stella più brillante.
Leila lo conosceva a malapena, un po’ come conosceva a malapena tutti gli altri dell’Ordine, non le faceva né caldo né freddo.
- Ti ho già spiegato, Ethan, come la teoria dell’Iracondo sia sbagliata: il posto puzza di Demone. – ribatté un Angelo, facendosi avanti.
Lo splendore candido delle sue ali si abbatté sulla folla scura come la brezza marina si abbatte sugli steli di grano, tutti sembravano sentirsi meglio; tutti tranne Leila, che era tesa come una corda.
Quell’Angelo sembrava intenzionato farle rivivere emozioni, ricordi, che lei avrebbe dovuto cancellare.
Tutti i baci, tutti quei fottuti baci e quelle fottute parole… Sii superiore.
- Allora terremo le forze divise, e chissà che non avremo fortuna anche così. A tutti gli abitanti di Sünde è severamente vietato uscire di casa, soprattutto in nottata. Ordini, la Caccia è aperta! –
E con un discorso in modo stupefacente conciso e misurato, le forze si mossero, i ranghi si sciolsero, le folle si dispersero.

§

Il terrore: l’unica emozione sul volto di Jules.
Il demone era insofferente, il suo coltello trapassava con estrema facilità la pelle diafana del collo.
Il sangue sprizzava, tutto si era spento negli occhi del Serpente. Ritornando alla sua forma animale, la sua forma originale, spirò, e mai avrebbe potuto odiare tanto un uomo, che aveva perso tutto solo per una donna.

§

Mesi dopo, Leila stava controllando il suo arco e le sue frecce.
Le dita esili passavano veloci su di esse, la maestria di chi sapeva cosa cercare era tangibile nel suo sguardo.
Era incinta, dell’ottavo mese. Si annoiava. La casa era grande per una persona sola, così stava dai suoi. Marco se ne era andato esattamente sette mesi fa.
Nonostante non fosse ancora la Prima Cacciatrice, persuase i suoi compagni dal cercare il mostro causa di quell’assassinio, lasciando il pieno controllo agli Angeli.
Non voleva far giustizia a qualcuno che era stato viscido con lei.
Secondo gli studi degli Angeli, che avevano trovato il suo corpo trucidato e deforme vicino al Vulcano Ärger, era come se qualcosa fosse cresciuta dentro di lui e per uscire gli avesse divorato le interiora.
Al solo pensiero rabbrividiva; poi, però, ricordava ogni abuso, e allora in un certo senso quel pensiero rappresentava non più qualcosa di abominevole, bensì una specie di consolazione.
È proprio vero ciò che le diceva il suo insegnante di Lotta contro Le Creature Oscure: spesso, i veri mostri sono gli esseri umani.

§

- Io sono Jorge, il Demone delle rivolte. Ma credevi davvero che stessi dando importanza alla tua? –
La vista del corpo di Marco agonizzante a terra era appagante. Adesso Jorge era libero, perché essendosene nutrito era fatto della stessa pasta degli uomini.
Adesso, poteva andare da quella donna, Leila, dirle di come la avesse ascoltata durante le notti insonni, mentre pensava ai lividi e alle percosse.
Dirle di come la cruda vendetta sia, quasi sempre, migliore di un mite perdono. E le dirà di come, inesorabilmente, lui la possederà per sempre, perché mai più aprirà la porta ad un nuovo uomo, e chi è solo e triste sceglie il Diavolo, spesso chiamandolo Dio.
Perché è vero che chi è potente e chi è felice non ha bisogno di commettere crimini, ma è vero anche che chi è debole ha bisogno di qualcuno che li commetta per proprio conto.

- Sei una donna forte – sussurrò il Demone, scrutando Leila dalla finestra.
Aveva una bimba in braccio, neonata, coi capelli azzurri e gli occhi che presto sarebbero diventati marroni, proprio come quelli della madre.
- Sfortunatamente, hai rinunciato al tuo potere di attrarmi ed io rinuncerò alla mia volontà di seguirti.* Gli esseri umani hanno un odio così poco controllato. - sbuffò, non sentendo più in lei la discordia che lo aveva risvegliato un tempo.
Prendendo la strada principale e nascondendosi fra le ombre, Jorge andò via alla ricerca di un Nuovo Odio da divorare.
E la Caccia era nuovamente aperta.

 

Citazione di Shakespeare*

Guida per i Pianeti:
Superbia --> abbinata al Sole
Pigrizia --> abbinata alla Luna
Invidia --> abbinata a Mercurio
Lussuria --> abbinata a Venere
Ira --> abbinata a Marte
Gola --> abbinata a Giove
Avarizia --> abbinata a Saturno

   
 
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