VIII
Il terrore
si dipinse sul volto di Brandbury che scattò verso il
fratello, allungò spasmodicamente un braccio, mentre sentiva
le gambe cedere e
il corpo scivolare sulla neve; le sue dita si chiusero e per un attimo
temette
di stringervi solo aria.
Invece,
afferrò qualcosa di
solido e morbido: Ivory penzolava sul precipizio, appeso per il polso
alla mano
di Brandbury, sotto di lui l’Amas scorreva impetuoso, spinto
dalla forza della
cascata, le pareti di roccia crollavano a precipizio e si scheggiavano
in
spuntoni simili a punte di lancia e ugualmente letali; se non
l’avesse
afferrato in tempo sarebbe rimasto infilzato come un maiale sullo
spiedo.
Il ragazzo
deglutì, si puntò
con i piedi nel manto nevoso, e pregando tutti gli dei che conosceva,
iniziò a
strisciare nella neve, trascinando con sé l’altro.
Si muoveva lentamente,
stando attendo a non far franare il terreno e stringendo convulsamente
il polso
del fratello, senza preoccuparsi di fargli male; aveva tutti i sensi
all’erta,
attenti a percepire ogni più piccolo movimento sotto di lui
e a fare il passo
successivo di conseguenza: aveva paura che il terreno riservasse
qualche altra
brutta sorpresa, che non reggesse e facesse cadere entrambi nel
precipizio. Le
lacrime gli ostruivano la vista e aveva la mano sudata, il suo cuore
batteva a
mille e uno spiacevole ronzio gli invadeva le orecchie, non riusciva a
respirare e aveva il terrore che qualsiasi movimento superfluo o
avventato,
anche il più insignificante, avrebbe condannato entrambi a
morte.
A fatica,
Brand indietreggiò
fino a quando il braccio e la testa di Ivory non spuntarono oltre
l’orlo
scheggiato del burrone; l’elfo si issò sulla
sponda con l’altro braccio e
facendo leva su di esso, spinse il resto del suo corpo oltre
l’orlo. Lo slancio
non fu sufficiente e ricadde, Brandbury sentì uno strattone
e si vide
trascinare verso il burrone, la paura gli svuotò mente e
polmoni, disperato
afferrò anche con l’altra mano quella di Ivory e
si inchiodò al manto nevoso
con la punta degli stivali; sotto lo strato di neve la pietra sbeccata
offrì un
pertugio dove andò ad incastrarsi il piede del ragazzo,
frenando la caduta di
entrambi. L’erborista si cocesse un secondo per riprendere
fiato, poi,
nuovamente, strisciò sulle ginocchia, trainando
l’altro, e nuovamente la testa
bianca di Ivory fece capolino oltre l’orlo. Ancora, l'elfo
appoggiò l’altro
braccio sulla neve e puntellandosi alla parete si diede la spinta:
questa volta
fu troppo impetuoso e lo slancio lo proiettò contro
Branbury, travolgendolo.
Il ragazzo
si ritrovò
schiacciato dal corpo dell’altro, a breve distanza dal suo
viso: Ivory sorrise
e un lampo di gratitudine ne incendiò lo sguardo dorato.
«È
l’ultima volta che ti salvo
la vita» ansimò, togliendosi di dosso il peso del
fratello. «La prossima volta
che avrai un’altra di queste idee geniali ti
lascerò al tuo destino!»
L’elfo,
per tutta risposta,
scoppiò a ridere. Brandbury si rialzò e gli
gettò una breve occhiata,
domandandosi cosa avesse tanto da ridere: aveva rischiato la morte e
rideva
sguaiatamente, sdraiato sulla neve e tenendosi la pancia.
«Io,
a volte, non ti capisco
proprio» mormorò, spazzolandosi i vestiti. Aveva
il viso cinereo per la
preoccupazione e chiazzato di rosso per il freddo e lo sforzo, gli
occhi
traballavano e le iridi chiare annegavano nelle lacrime, ma non avrebbe
dato ad
Ivory la soddisfazione di vederlo piangere.
L’altro
si ricompose e si mise
a sedere, qualche lucciola di ilarità indugiava ancora nei
suoi occhi.
«Rido,
perché nemmeno oggi sono
morto» rispose «Sebbene, per un momento, abbia
creduto che fosse davvero
arrivata la fine...E una fine piuttosto biasimevole per un prode
guerriero.»
«Che
ti sia di lezione!» lo
rimbeccò l’altro, trasformando la sua apprensione
in rabbia. «Non sei morto
oggi, ma continuando a comportarti così succederà
molto presto.»
Brandbury
era arrivato al
limite: la fatica e la stanchezza del viaggio, l’ansia e la
preoccupazione per
lo stesso e per il fratello l’avevano logorato a tal punto
che bastava un
nonnulla per farlo scattare; ma la possibilità
così reale e concreta di perdere
il fratello l'aveva scosso nel profondo, lasciandolo spezzato e
tremante, e il
fatto che fosse causa della sua stupida presunzione rendeva il tutto
più
insopportabile. Si sentiva vuoto e spento, senza più forze
né impulsi, si
sentiva condotto e sostenuto dalla sola inerzia.
Dopo aver
raccattato lo zaino,
il giovane riprese la marcia verso il palazzo, senza aggiungere
né una parola
né uno sguardo all'altro e lasciando l'elfo spiazzato: si
aspettava una
sfuriata, una di quelle tipiche paternali noiosissime, in cui ripeteva
quando
fosse sconsiderato e incosciente, di come si prendesse gioco della
morte, di
come questa avrebbe reclamato il suo pagamento una volta che avesse
smesso di
divertirsi con lui… insomma le stesse identiche filippiche
che gli ripeteva da
almeno cinque anni; e invece, dopo quel breve e lapidario commento,
Brandbury
aveva innalzato un muro di silenzio tra i due e vi si era barricato,
volgendogli le spalle e riprendendo a camminare. La sua furia di Brand
ridusse
anche Ivory al silenzio: lo seguì remissivo, il volto basso
e lo sguardo
concentrato sugli stivali ricoperti di neve.
Il cielo
si era scurito e il
suo colore era virato verso un macabro color sangue, il disco rosso del
sole
mostrava solo le ultime propaggini della sua fronte e bucava con i suoi
raggi i
batuffoli di nubi che si rincorrevano nell'aria crepuscolare, avrebbero
avuto
ancora un paio di ore di luce e Brand non era intenzionato a passare la
notte
su quella lingua di terra cedevole: avrebbero potuto tornare indietro,
ma sarebbe
stato inutile aver
proseguito, oppure avrebbero potuto superare i Guardiani e riposare
oltre le
loro gambe di pietra, dove la strada ritornava larga e spaziosa,
abbastanza da
non farli rasentare l’orlo del dirupo.
Si
appiattirono contro la
parete di roccia e strisciarono dall'altra parte, passando tra questa e
la
gamba del troll. Brandbury continuava ad ignorarlo e si limitava ad
indicargli
i punti meno scivolosi con un laconico cenno del capo, senza aggiungere
altro.
Questa
volta, il guerriero
temette di averla combinata grossa: lo spavento per il giovane doveva
essere
stato davvero enorme e sconvolgente, Ivory stesso aveva temuto di
morire. Solo
in quel momento si era reso conto di quanto avesse rischiato e di come
fosse stata
fondamentale la presenza dell'altro, se non ci fosse stato Brand a
quest'ora
sarebbe stato un ammasso di carne e pellicce smembrata nell'Amas:
Brandbury gli
aveva salvato la vita. E lui non l'aveva nemmeno ringraziato.
Quella
consapevolezza lo colpì come
un pungo allo stomaco e lo fece vergognare profondamente di
sé: da quanto era
diventato così insensibile e meschino da non ringraziare
nemmeno chi gli aveva
appena salvato la pelle? Si morse le labbra mortificato e arrabbiato
con se
stesso, Brandbury aveva tutte le ragioni per avercela con lui.
«Grazie»
mormorò, ma gli
rispose solo l'ululato del vento che scivolava attraverso le fenditure
della
roccia.
Con
l'approssimarsi della
notte, questo si era alzato e ora spazzava la piana superiore
sollevando mulinelli
di neve e detriti, ma i due erano protetti dalla gola e ne ricevevano
una
misera bava.
Brandbury
sgusciò con un
piccolo salto fuori dallo scomodo passaggio, si sedette nella neve, nel
punto
più lontano dal precipizio, appoggiò la schiena
alla scarpata ed estrasse un
tozzo di pane dallo zaino.
Ivory lo
imitò e si lasciò
cadere accanto a lui, umile e contrito.
«Ho
capito» mormorò dopo un
po'. Il silenzio gli era diventato insopportabile e voleva che Brand
gli
tornasse a parlare, anche solo per insultarlo e rimproverarlo: quel
mutismo
gelido e acre gli faceva male più di un colpo di spada o di
freccia, scivolava
dentro di lui e lo raggelava, lento e straziante, terribile.
«Che
cosa?» domandò l'altro con
voce atona. Non aveva più voglia di discutere con Ivory, le
sue parole erano
rimaste inascoltate e inutili, non aveva più le forze per
tentare di inculcagli
una briciola di buon senso, era stanco di essere considerato meno di
niente, di
essere dato per scontato, di non contare nulla se non nella misura in
cui
serviva al fratello. Lui lo amava incondizionatamente e avrebbe dato
tutto se
stesso, si preoccupava e soffriva per lui, cercava in tutti i modi di
proteggerlo e di sostenerlo, stando attendo a non soffocarlo troppo, ma
trovava
avvilente vedere ricambiato in quel modo il suo affetto e il suo
impegno:
sembrava quasi che all'altro non importasse nulla di lui, che lo
considerasse
solo un fastidioso impedimento quando non appoggiava le sue idee, e un
utile
compagno di viaggio quando cedeva e lo seguiva docilmente.
Non
metteva in dubbio l'affetto
di Ivory, sapeva che gli voleva bene, ma il suo atteggiamento egoista e
menefreghista lo faceva infuriare; gli sarebbe bastato un piccolo
gesto, che lo
ascoltasse anche solo una volta, mettendo in pratica quello che gli
diceva e
allora si sarebbe ritenuto soddisfatto...Non chiedeva tanto.
«Ho
capito di aver sbagliato»
continuò Ivory, «E che tu, come sempre avevi
ragione.»
«Allora
perché non mi hai dato
retta?» non c'era rabbia nella sua voce, quella era sbollita
un momento dopo
essersi accesa, ma solo una profonda ed incommensurabile delusione,
quasi
avesse perso ogni speranza.
Ivory non
rispose subito, in
realtà non sapeva che cosa dire, si prese qualche momento
per riflettere e
dentro di sé trovò la risposta: l’aveva
fatto per dimostrare che aveva ragione,
che non era più uno sbarbatello e che era diventato un uomo,
capace di
cavarsela da solo e non più bisognoso dell’aiuto
del fratello, voleva fargli
capire come quelle scelte fatte, che lui disapprovava tanto, gli
avessero
permesso di crescere…Ma come al solito, aveva solo dato
prova della sua
avventatezza e della sua arroganza.
«Mi
dispiace» balbettò Ivory, e
gli dispiaceva davvero, per tutte le preoccupazioni che dava al
fratello, per
tutte le volte che aveva cercato di riscattarsi ma era caduto nello
stesso
errore, per tutte le volte che aveva voluto mostrargli che si sbagliava
ma
aveva fallito miseramente.
«Io
non contesto la tua scelta
di essere diventato un soldato e non disprezzo nemmeno tutte le tue
idee, ammiro
il tuo coraggio e il tuo ardore, ma vorrei che ogni tanto mettessi da
parte il
tuo orgoglio e mi ascoltassi… Io non dico le cose per
impedirtele di farle,
perché voglio ostacolarti, ma le dico solo per proteggerti,
perché sei l’unica
cosa che mi è rimasta e che mi sarebbe troppo doloroso
perdere.»
Ivory sollevò lo sguardo e incrociò quello adamantino del fratello, ogni traccia di rabbia e delusione era svanita ed era tornato il solito sguardo luminoso e sorridente di sempre.
Ivory sollevò lo sguardo e incrociò quello adamantino del fratello, ogni traccia di rabbia e delusione era svanita ed era tornato il solito sguardo luminoso e sorridente di sempre.