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Autore: Ayr    09/06/2017    3 recensioni
"Ivory, a quanto pare sei riuscito a distinguerti per abilità, coraggio ed un pizzico di fortuna in mezzo a quella turba di guerrieri grandi il doppio di te, e sei anche riuscito a prevalere su di loro. Ciò significa che sei il migliore tra questi e che sei colui che è destinato a compiere la missione» il tono della sovrana si era fatto improvvisamente grave e serio, facendo preoccupare l'elfo, «Ciò che sto per chiederti è molto pericoloso e potrebbe anche essere considerato tradimento, se prima di questo non ne fosse già stato compiuto un altro: mia sorella, dopo l'ultima visita, mi ha sottratto una cosa a me molto cara, nella speranza che non mi accorgessi della sua assenza... Si tratta di uno specchio"
Quando Ivory sentì quelle parole uscire dalle labbra della Regina Rossa, pensò ad uno scherzo di cattivo gusto: come poteva uno specchio essere oggetto di una tale contesa?
Ma nulla è come sembra, e anche lo specchio non è una semplice superficie riflettente, bensì un oggetto pericoloso e affascinante, che ammalia e promette di realizzare i più profondi desideri di un uomo...a caro prezzo
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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VIII

Il terrore si dipinse sul volto di Brandbury che scattò verso il fratello, allungò spasmodicamente un braccio, mentre sentiva le gambe cedere e il corpo scivolare sulla neve; le sue dita si chiusero e per un attimo temette di stringervi solo aria.

Invece, afferrò qualcosa di solido e morbido: Ivory penzolava sul precipizio, appeso per il polso alla mano di Brandbury, sotto di lui l’Amas scorreva impetuoso, spinto dalla forza della cascata, le pareti di roccia crollavano a precipizio e si scheggiavano in spuntoni simili a punte di lancia e ugualmente letali; se non l’avesse afferrato in tempo sarebbe rimasto infilzato come un maiale sullo spiedo.
Il ragazzo deglutì, si puntò con i piedi nel manto nevoso, e pregando tutti gli dei che conosceva, iniziò a strisciare nella neve, trascinando con sé l’altro. Si muoveva lentamente, stando attendo a non far franare il terreno e stringendo convulsamente il polso del fratello, senza preoccuparsi di fargli male; aveva tutti i sensi all’erta, attenti a percepire ogni più piccolo movimento sotto di lui e a fare il passo successivo di conseguenza: aveva paura che il terreno riservasse qualche altra brutta sorpresa, che non reggesse e facesse cadere entrambi nel precipizio. Le lacrime gli ostruivano la vista e aveva la mano sudata, il suo cuore batteva a mille e uno spiacevole ronzio gli invadeva le orecchie, non riusciva a respirare e aveva il terrore che qualsiasi movimento superfluo o avventato, anche il più insignificante, avrebbe condannato entrambi a morte.
A fatica, Brand indietreggiò fino a quando il braccio e la testa di Ivory non spuntarono oltre l’orlo scheggiato del burrone; l’elfo si issò sulla sponda con l’altro braccio e facendo leva su di esso, spinse il resto del suo corpo oltre l’orlo. Lo slancio non fu sufficiente e ricadde, Brandbury sentì uno strattone e si vide trascinare verso il burrone, la paura gli svuotò mente e polmoni, disperato afferrò anche con l’altra mano quella di Ivory e si inchiodò al manto nevoso con la punta degli stivali; sotto lo strato di neve la pietra sbeccata offrì un pertugio dove andò ad incastrarsi il piede del ragazzo, frenando la caduta di entrambi. L’erborista si cocesse un secondo per riprendere fiato, poi, nuovamente, strisciò sulle ginocchia, trainando l’altro, e nuovamente la testa bianca di Ivory fece capolino oltre l’orlo. Ancora, l'elfo appoggiò l’altro braccio sulla neve e puntellandosi alla parete si diede la spinta: questa volta fu troppo impetuoso e lo slancio lo proiettò contro Branbury, travolgendolo.
Il ragazzo si ritrovò schiacciato dal corpo dell’altro, a breve distanza dal suo viso: Ivory sorrise e un lampo di gratitudine ne incendiò lo sguardo dorato.
«È l’ultima volta che ti salvo la vita» ansimò, togliendosi di dosso il peso del fratello. «La prossima volta che avrai un’altra di queste idee geniali ti lascerò al tuo destino!»
L’elfo, per tutta risposta, scoppiò a ridere. Brandbury si rialzò e gli gettò una breve occhiata, domandandosi cosa avesse tanto da ridere: aveva rischiato la morte e rideva sguaiatamente, sdraiato sulla neve e tenendosi la pancia.
«Io, a volte, non ti capisco proprio» mormorò, spazzolandosi i vestiti. Aveva il viso cinereo per la preoccupazione e chiazzato di rosso per il freddo e lo sforzo, gli occhi traballavano e le iridi chiare annegavano nelle lacrime, ma non avrebbe dato ad Ivory la soddisfazione di vederlo piangere.
L’altro si ricompose e si mise a sedere, qualche lucciola di ilarità indugiava ancora nei suoi occhi.
«Rido, perché nemmeno oggi sono morto» rispose «Sebbene, per un momento, abbia creduto che fosse davvero arrivata la fine...E una fine piuttosto biasimevole per un prode guerriero.»
«Che ti sia di lezione!» lo rimbeccò l’altro, trasformando la sua apprensione in rabbia. «Non sei morto oggi, ma continuando a comportarti così succederà molto presto.»
Brandbury era arrivato al limite: la fatica e la stanchezza del viaggio, l’ansia e la preoccupazione per lo stesso e per il fratello l’avevano logorato a tal punto che bastava un nonnulla per farlo scattare; ma la possibilità così reale e concreta di perdere il fratello l'aveva scosso nel profondo, lasciandolo spezzato e tremante, e il fatto che fosse causa della sua stupida presunzione rendeva il tutto più insopportabile. Si sentiva vuoto e spento, senza più forze né impulsi, si sentiva condotto e sostenuto dalla sola inerzia.
Dopo aver raccattato lo zaino, il giovane riprese la marcia verso il palazzo, senza aggiungere né una parola né uno sguardo all'altro e lasciando l'elfo spiazzato: si aspettava una sfuriata, una di quelle tipiche paternali noiosissime, in cui ripeteva quando fosse sconsiderato e incosciente, di come si prendesse gioco della morte, di come questa avrebbe reclamato il suo pagamento una volta che avesse smesso di divertirsi con lui… insomma le stesse identiche filippiche che gli ripeteva da almeno cinque anni; e invece, dopo quel breve e lapidario commento, Brandbury aveva innalzato un muro di silenzio tra i due e vi si era barricato, volgendogli le spalle e riprendendo a camminare. La sua furia di Brand ridusse anche Ivory al silenzio: lo seguì remissivo, il volto basso e lo sguardo concentrato sugli stivali ricoperti di neve.
Il cielo si era scurito e il suo colore era virato verso un macabro color sangue, il disco rosso del sole mostrava solo le ultime propaggini della sua fronte e bucava con i suoi raggi i batuffoli di nubi che si rincorrevano nell'aria crepuscolare, avrebbero avuto ancora un paio di ore di luce e Brand non era intenzionato a passare la notte su quella lingua di terra cedevole: avrebbero potuto tornare indietro, ma sarebbe stato inutile aver proseguito, oppure avrebbero potuto superare i Guardiani e riposare oltre le loro gambe di pietra, dove la strada ritornava larga e spaziosa, abbastanza da non farli rasentare l’orlo del dirupo.
Si appiattirono contro la parete di roccia e strisciarono dall'altra parte, passando tra questa e la gamba del troll. Brandbury continuava ad ignorarlo e si limitava ad indicargli i punti meno scivolosi con un laconico cenno del capo, senza aggiungere altro.
Questa volta, il guerriero temette di averla combinata grossa: lo spavento per il giovane doveva essere stato davvero enorme e sconvolgente, Ivory stesso aveva temuto di morire. Solo in quel momento si era reso conto di quanto avesse rischiato e di come fosse stata fondamentale la presenza dell'altro, se non ci fosse stato Brand a quest'ora sarebbe stato un ammasso di carne e pellicce smembrata nell'Amas: Brandbury gli aveva salvato la vita. E lui non l'aveva nemmeno ringraziato.
Quella consapevolezza lo colpì come un pungo allo stomaco e lo fece vergognare profondamente di sé: da quanto era diventato così insensibile e meschino da non ringraziare nemmeno chi gli aveva appena salvato la pelle? Si morse le labbra mortificato e arrabbiato con se stesso, Brandbury aveva tutte le ragioni per avercela con lui.
«Grazie» mormorò, ma gli rispose solo l'ululato del vento che scivolava attraverso le fenditure della roccia.
Con l'approssimarsi della notte, questo si era alzato e ora spazzava la piana superiore sollevando mulinelli di neve e detriti, ma i due erano protetti dalla gola e ne ricevevano una misera bava.
Brandbury sgusciò con un piccolo salto fuori dallo scomodo passaggio, si sedette nella neve, nel punto più lontano dal precipizio, appoggiò la schiena alla scarpata ed estrasse un tozzo di pane dallo zaino.
Ivory lo imitò e si lasciò cadere accanto a lui, umile e contrito.
«Ho capito» mormorò dopo un po'. Il silenzio gli era diventato insopportabile e voleva che Brand gli tornasse a parlare, anche solo per insultarlo e rimproverarlo: quel mutismo gelido e acre gli faceva male più di un colpo di spada o di freccia, scivolava dentro di lui e lo raggelava, lento e straziante, terribile.
«Che cosa?» domandò l'altro con voce atona. Non aveva più voglia di discutere con Ivory, le sue parole erano rimaste inascoltate e inutili, non aveva più le forze per tentare di inculcagli una briciola di buon senso, era stanco di essere considerato meno di niente, di essere dato per scontato, di non contare nulla se non nella misura in cui serviva al fratello. Lui lo amava incondizionatamente e avrebbe dato tutto se stesso, si preoccupava e soffriva per lui, cercava in tutti i modi di proteggerlo e di sostenerlo, stando attendo a non soffocarlo troppo, ma trovava avvilente vedere ricambiato in quel modo il suo affetto e il suo impegno: sembrava quasi che all'altro non importasse nulla di lui, che lo considerasse solo un fastidioso impedimento quando non appoggiava le sue idee, e un utile compagno di viaggio quando cedeva e lo seguiva docilmente.
Non metteva in dubbio l'affetto di Ivory, sapeva che gli voleva bene, ma il suo atteggiamento egoista e menefreghista lo faceva infuriare; gli sarebbe bastato un piccolo gesto, che lo ascoltasse anche solo una volta, mettendo in pratica quello che gli diceva e allora si sarebbe ritenuto soddisfatto...Non chiedeva tanto.
«Ho capito di aver sbagliato» continuò Ivory, «E che tu, come sempre avevi ragione.»
«Allora perché non mi hai dato retta?» non c'era rabbia nella sua voce, quella era sbollita un momento dopo essersi accesa, ma solo una profonda ed incommensurabile delusione, quasi avesse perso ogni speranza.
Ivory non rispose subito, in realtà non sapeva che cosa dire, si prese qualche momento per riflettere e dentro di sé trovò la risposta: l’aveva fatto per dimostrare che aveva ragione, che non era più uno sbarbatello e che era diventato un uomo, capace di cavarsela da solo e non più bisognoso dell’aiuto del fratello, voleva fargli capire come quelle scelte fatte, che lui disapprovava tanto, gli avessero permesso di crescere…Ma come al solito, aveva solo dato prova della sua avventatezza e della sua arroganza.
«Mi dispiace» balbettò Ivory, e gli dispiaceva davvero, per tutte le preoccupazioni che dava al fratello, per tutte le volte che aveva cercato di riscattarsi ma era caduto nello stesso errore, per tutte le volte che aveva voluto mostrargli che si sbagliava ma aveva fallito miseramente.
«Io non contesto la tua scelta di essere diventato un soldato e non disprezzo nemmeno tutte le tue idee, ammiro il tuo coraggio e il tuo ardore, ma vorrei che ogni tanto mettessi da parte il tuo orgoglio e mi ascoltassi… Io non dico le cose per impedirtele di farle, perché voglio ostacolarti, ma le dico solo per proteggerti, perché sei l’unica cosa che mi è rimasta e che mi sarebbe troppo doloroso perdere.»
Ivory sollevò lo sguardo e incrociò quello adamantino del fratello, ogni traccia di rabbia e delusione era svanita ed era tornato il solito sguardo luminoso e sorridente di sempre.

 

   
 
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