Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: Rossini    10/06/2017    0 recensioni
Prosegue la saga de "Le cronache dei draghi e dei re", cominciata con "L'apprendista di fuoco". Il sistema è ormai sovvertito: la pace che per secoli era perdurata, adesso è stata interrotta da una serie di trame, guerre e rivolgimenti che hanno persino portato al ritorno di un'antichissima dinastia. Ma i fratelli del re appena deposto sono ancora tutti in circolazione, per quanto sparsi su tre continenti. Spetta dunque al nuovo sovrano Targaryen gestire questa complessa situazione, che diviene ancora più ingarbugliata pensando alle misteriose e oscure energie che all'est e all'ovest risorgono sotto forma di vita e fiamme. Esiste forse qualcosa che i Sette maghi del passato più ancestrale, col tempo decaduti e divenuti schiavi, nascondono a tutti i partecipanti - nessuno escluso - di questo ennesimo e disastroso gioco del trono?
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Altri
Note: Lime, Otherverse | Avvertimenti: Non-con, Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo 7
DUE ABILI POLITICANTI
 
 
 
                Quel mattino di buon’ora, il Lord Maestro dei Sussurri Alexis Braff si alzò dal letto con tutta la determinazione di chi vuole concludere la partita da vincitore. Da troppo tempo stava deludendo il suo re e padrone, e questo naturalmente gli causava tutte le prevedibili conseguenze – dalle urla forsennate di Gabryaerys al sorrisetto compiaciuto di Tararus, il Primo Cavaliere in grado di usare la forza di un cielo in tempesta – ma stava deludendo soprattutto se stesso, e questo sì era davvero inaccettabile: questione da non farlo perfino dormire la notte.
                Inutile negare che le cose fin ad allora non erano andate come prospettato: il signore della Valle, Petyr Baelish trentottesimo, aveva declinato l’offerta del re di sedere nel suo nuovo Concilio quale Maestro del Conio, cosa a dir poco preoccupante. Da secoli ormai il dominio della Valle coincideva con l’Incollatura, e i nobili signori che risiedevano nella palude tra il nord e il sud del continente erano legati a un filo troppo doppio con Baelish: in primo luogo per ben radicate e quasi incrollabili motivazioni di natura economica. D’altro canto, Baelish era notoriamente il Lord più ricco dell’occidente, di sicuro molto più di un sovrano Targaryen appena insediato, e probabilmente solo di poco meno dell’intera istituzione monarchica e della città che ne era la Capitale. Il Lord di Baelinstratth aveva addotto come ragione del suo rifiuto una semplice volontà di tornare al suo territorio di riferimento al fine di accudire tutto un nutrito gruppetto di figlioli e nipotastri – la metà dei quali di nome Petyr – da cui a suo dire per troppo tempo era stato lontano. Ma uno che di politica del Westeros un pochino ne sapeva avrebbe serenamente concluso che queste altre non erano che stronzate, e che un Lord il quale anziché farsi vicino al nuovo re va a rintanarsi nella tana dove è più sicuro, desta il neanche troppo celato sospetto che sente puzza di guerra, o comunque di affari sospetti, e dunque si prepara a ben altro.
                Il sostituto era stato quasi fin da subito trovato in Senus Willoughby, il quale avrebbe garantito perlomeno la vicinanza dei potenti Worchester del Nord, e che infine avrebbe lasciato il solo demone degli elementi ad occuparsi dell’esercito, con la promessa di mantenere per sé almeno una funzione di ausilio e controllo. Ma Gabryaerys – come d’altro canto Braff diversamente non si sarebbe mai aspettato – era comunque andato in escandescenze, percependo anche lui che un Baelish lontano dalla Capitale fosse un Baelish pericoloso. Lord Braff non seppe che dirgli, in effetti in questo caso il re – al di là dei toni – tutti i torti non li aveva, e dunque si prese il rimprovero e rimase in silenzio a rimuginare tra sé.
                Con il Gran Maestro Irwin le cose sarebbero senza dubbio andate diversamente: Irwin non deteneva un potere territoriale e non aveva una roccaforte nella quale rinchiudersi, fatti salvi i suoi appartamenti a Roccia del Re. E oltretutto Irwin non aveva un esercito. In teoria non c’erano davvero ragioni per cui il colto giovine avrebbe dovuto rifiutare una sua riconferma da parte del nuovo re; ma dato che con Baelish Braff aveva prospettato una cosa e poi era andata in maniera decisamente differente, adesso il Maestro dei Sussurri si guardava bene dal sentirsi in tasca vittorie che tecnicamente non aveva: magari anche Irwin avrebbe accampato una scusa per defilarsi dalla responsabilità di un’amicizia ingombrante come quella con Gabryaerys Naharis, anche se al momento Braff non riusciva a immaginarne le eventuali ragioni.
                Quel mattino di buon’ora, Braff si alzò dal letto con tutta l’intenzione di non permettere al Gran Maestro di dirgli di no. Scelse la sua migliore cappa e preparò il più sfavillante dei suoi sorrisi. E così armato, bussò alfine alla porta del Gran Maestro. Sapeva bene che quest’ultimo, così come d’altronde anche Baelish, era dal canto suo un buon politico, e infatti anche il Gran Maestro lo accolse con un gran sorriso che lo stesso Lord Alexis avrebbe giudicato perfino più sincero del suo. Come con Baelish, sarebbe di sicuro stato un duello non poco interessante.
                «Lord Maestro dei Sussurri» salutò Irwin.
                «Mylord Gran Maestro…»
                «Desideri che faccia portare qualcosa?»
                «No grazie, ho già fatto colazione… ehm… tu immaginerai già perché sono qui»
                «Ma certo: la riconferma»
                «Sì, è così»
                «Ammettiamolo, Braff: questo nuovo re non ha molti amici. E un re senza amici… non rimane re a lungo. Non lo dico per minacciare, beninteso. Lo dico per ammonire»
                «Beh, pensi davvero che io avessi bisogno di tale monito?»
                «No, ma certo»
                «E tu, Gran Maestro? Pensi che potrai essere un amico di questo nuovo re?»
                «Io non ho ragioni per lasciare le mie mansioni. Tuttavia mi pare ovvio che quando si conclude un accordo, è il caso di fornire l’un l’altro delle garanzie… io garantisco che sarò fedele a Gabryaerys, e così le scuole e gli ospitali del Regno»
                «Però?»
                «Però… mi sento in dovere di pressare il Concilio di cui farò parte, e con esso il re che servirò, in merito a una questione di pubblico interesse che da un paio di settimane suscita le mie preoccupazioni, come anche spero… le tue, Maestro dei Sussurri»
                «Di che si tratta?»
                «Le tue spie… immagino ti abbiano già informato in merito a un certo sommovimento di carattere spirituale che sta sconvolgendo i sudditi di questa città, no?»
                «Ti riferisci al nuovo predicatore i cui miracoli stanno facendo scalpitare la plebaglia?»
                «Esattamente»
                «Va bene, ma io tendo a non credere a magie che non ho avuto modo di osservare coi miei occhi»
                «Questo non ha alcuna importanza. Quell’uomo sta cercando di sovvertire un sistema secolare in un momento della vita di questa città che… beh, spiacerà saperlo al nostro buon nuovo re, ma bisogna ammetterlo: in questo momento Roccia del Re assomiglia a una polveriera»
                «Ancora… non capisco dove vuoi arrivare…» fece Braff, ma invece proprio in quel momento stava finalmente capendo tutto. Per una qualche ragione sulla quale non era stato in grado di venire esattamente a capo, esisteva una sorta di rapporto preferenziale tra il giovane e fresco Gran Maestro della città e l’uomo che in quel momento ricopriva la più alta carica religiosa del regno, l’Alto Septon dei Sette Dèi. Era una cosa… molto oscura, di cui si parlava pochissimo e su cui Braff aveva avuto non poche difficoltà a trovare validi sussurri veramente chiarificatori, eppure adesso il dato era sicuro: il Gran Maestro proteggeva l’Alto Septon, e l’Alto Septon proteggeva il Gran Maestro.
                Fu lo stesso Irwin a proclamare con una certa innocenza: «Il mio amico, l’Alto Septon, è molto preoccupato. Ogni giorno vede sempre meno fedeli assistere alle sue messe, e suoi collaboratori lo informano che il popolo di Roccia del Re è confuso e pieno di dubbi. Inoltre, quattro egregi suoi confratelli, più un giovane novizio, parrebbero scomparsi nel nulla da quando egli decise di inviarli a parlamentare con questo nuovo sedicente profeta. Quest’ultimo episodio ha naturalmente sconvolto il religioso, il quale domanda più certezze: vuole che i suoi fedeli ritornino ai Sette, e soprattutto vuole sapere cosa ne sia stato dei suoi confratelli e del novizio»
                «E naturalmente non possiede la forza di scoprirlo da solo, certo»
                «Mylord, oltre che ovviamente scoprire tutto ciò… l’Alto Septon non sgradirebbe un intervento… come dire… incisivo della Corona in merito alla questione. Questo losco figuro di nome Yashua parrebbe aggirarsi nei quartieri più pericolosi della città, e non sarebbe difficile pensarlo come a un… ben protetto criminale»
                «Ah, allora è questo che vuole l’Alto Septon» “e con lui anche tu”, pensò il Mestro dei Sussurri, «Vuole che la Corona gli presti la mano armata di cui lui non dispone»
                «Signore, è pur sempre di un uomo di fede che stiamo parlando… non richiederebbe simili servigi, se la cosa non riguardasse profondamente la lotta per la salvezza dell’anima di questa città»
                «Certo» confermò Braff, non trattenendosi però dal mostrare una certa ironia, «Solleverò la questione personalmente al re, il quale – da me consigliato – non credo opporrà resistenze di genere. Tuttavia, Gran Maestro… prima di andare, non posso esimermi dal porti un’ultima domanda…»
                «E io non mi esimerò dal risponderti, se posso»
                «Hai detto che tu e l’Alto Septon siete amici» Braff sapeva che probabilmente su quella questione non avrebbe ottenuto chissà quale chiarezza da Irwin, ma pensò che in fondo non ci fossero ragioni per non tentare, e comunque non riuscì a resistere, «Mi ragguaglieresti un po’ meglio in merito? Egli è un uomo non anziano come il tuo predecessore – il Gran Maestro Septimus – ma certo nemmeno nel fiore degli anni, mentre tu sei il più giovane Gran Mestro della storia di Roccia del Re. Egli ha fatto una carriera diversa dalla tua: lui è un uomo di fede e tu uno di scienza. Per cui… mi sfugge questo legame»
                «Scienza e fede non sono nemiche, Lord Braff» rispose quello, nella maniera più furba e odiosa che il Maestro dei Sussurri mai si sarebbe aspettato, «Anzi, dirò di più: per tutto un periodo della storia degli uomini, esse hanno collaborato talmente strettamente da quasi combaciare. Poiché che cos’è infine la fede, se non un tentativo di conoscere cose su cui ancora non sia stato bene approntato un più sicuro metodo analitico?»
                «Peccato»
                «Peccato per cosa?»
                «Avevo sperato in un’apertura, un piccolo passo che tentasse di instaurare tra noi un’amicizia, è per questo che ho voluto farti una domanda personale, una domanda alla quale certamente non eri tenuto a rispondere. Tu però non ti sei aperto, Gran Maestro Irwin. Hai voluto usare con me il vecchio trucco delle belle parole che tra abili politicanti sappiamo bene adoperare. Questo significa che tra noi due, per il momento, continuerà ad esserci esclusivamente un rapporto da collaboratori, colleghi nell’infausto compito del governo di una città che… qualcuno mi dice, di recente sia sempre più simile a una polveriera. È un peccato, ma va bene così» detto ciò, Lord Braff porse la mano al “collega”, lieto di vedere finalmente una – seppur trattenuta – espressione di perplessità sul suo viso. Era convinto che quell’Adlai Irwin, date le impressionanti condizioni di partenza, sarebbe stato un ottimo partecipante a quel “gioco del trono”, ma purtroppo la sua esperienza non era neanche minimamente comparabile a quella di Lord Braff. Lui a quel gioco ci giocava da un’era.
 
 
 
                Daniel di Cowain era di nuovo un uomo libero. Beh non esattamente libero, ma visto che nella vita aveva perfino sperimentato la condizione della totale immobilità, della impossibilità di parlare, di esprimersi in qualsiasi modo, perfino di sentire i suoi stessi polmoni contrarsi e poi dilatarsi nell’atto del respirare, o la sua stessa pelle nell’atto di entrare in contatto con qualsiasi altra cosa al mondo, quando si è sperimentato tutto ciò… il semplice tornare a muoversi, camminare e parlare gli pareva già da solo assumere il più pieno significato di “libertà”.
                Certo, era ancora in ceppi: due grosse ganasce di ferro gli stringevano le caviglie, connettendole tra loro con una catena. E certo, era ancora costantemente sorvegliato: il tempo passato da guerriero Piromante gli era stato sufficiente per far di lui uno che si accorgeva di quando qualcuno lo osservava e da quando Worchester aveva permesso il suo rilascio, c’era sempre stata una guardia per lui, con l’aria feroce e l’orso rampante inciso da qualche parte sugli indumenti. Oltretutto la Pietra di Luna non aveva mai realmente lasciato il suo corpo. Sostanzialmente era stata spaccata fino a lasciarne grossomodo una biglia; poi la biglia era stata trascinata fino alla gamba e lì incastonata e serrata insieme con il ceppo che bloccava la sua caviglia destra. Ciò aveva permesso che lui tornasse a muoversi e parlare, eppure continuava ad impedirgli di produrre le sue magie di fuoco: Daniel non ci aveva provato esattamente subito, appena finita l’operazione quel giorno tra le nevi del campo antistante il castello di Biancavilla, però non appena si era reso conto di quello che era successo, aveva provato e… la magia semplicemente non era venuta. Anche questo erano stati in grado di fare quei dannati libri della biblioteca di Amergoth, scrupolosamente custoditi dall’orrendo Lord dei Worchester.
                Uryon era come sparito. Prima, quando Daniel era sostanzialmente un vegetale, lo andava a trovare quasi ogni notte, inscenando per lui interessanti teatrini che si sostanziavano in dissertazioni di carattere generale sulle materie più variegate: la politica innanzitutto (Uryon era chiaramente un politico raffinatissimo), ma anche il diritto, la storia, la filosofia, la religione, l’astronomia; l’enorme uomo dall’aspetto d’un orco era pure in possesso di qualche nozione di botanica e di zoologia. Praticamente poteva dirsi che pure in quello l’orso del nord fosse “un mostro”. Eppure, da dopo l’operazione di riduzione della Pietra di Luna, egli si era come volatilizzato dal castello. Non solo non era più andato a trovare Daniel, ma neanche il principe Piromante aveva avuto modo di intravederlo in giro per la magione, e Lord Worchester non era certo il tipo che passava inosservato…
                Era pur vero che Daniel era sempre un prigioniero e come tale veniva trattato, anche se un prigioniero di riguardo: non è che poteva andarsene in giro per tutto il castello; c’era un’aria selezionata che andava dalla camera da letto alla latrina, da una sala dove normalmente gli veniva servito il desco a uno stretto giardino che conduceva al parco degli dèi, con un imponente albero-diga al centro. Quel tipo di strutture avevano perso la loro funzione teologica da lungo tempo ormai: persino gli uomini del nord adesso veneravano il dio dai sette volti. Dunque quei luoghi non erano altro per Daniel oltre che un posto nel quale passeggiare e prendere un po’ d’aria fresca. Nei confronti degli stessi Sette Dèi d’altro canto il principe di Cowain nutriva non pochi dubbi.
                Accadde però che un giorno freddissimo – ma particolarmente caldo visti i precedenti che si erano susseguiti tra le mura di quel maledetto castello in quello stramaledettissimo nord – infine il Lord degli orsi decise di tornare a visitare il suo pregiatissimo prigioniero. «Spero vivamente» fece Lord Uryon, cordiale ma diretto, entrando nella sua camera dopo che Daniel gli aveva dato il permesso di farlo, «che considererete di dire sul mio conto ciò che vorrete – ma che di sicuro io sia un uomo di parola – quando sarete di nuovo libero». Uryon pronunciava male le “s” e anche le “r”, Daniel ormai aveva imparato a conoscerli quei difetti del suo carceriere. Il Lord degli orsi continuò: «Avevo promesso che mi sarei adoperato per farvi uscire da quella condizione larvale… abbiamo letto i libri che c’erano da leggere, abbiamo studiato quello che c’era da studiare… e ora… siete ancora un prigioniero, ma un po’ più libero»
                «E quando lo sarò del tutto» rispose Daniel con tono orgoglioso: lui era pur sempre un principe della casa reale, che Worchester intendesse riconoscerlo o meno, «un uomo libero?»
                «Questo non posso saperlo, mi dispiace. Abbiamo già avuto modo di parlare di politica, voi ed io. Vi ho detto che forse è l’arte più complessa fra tutte perché nel momento in cui ne si svelano gli arcani… la si indebolisce. È una scienza che si connatura di menzogne, la politica. Se non è menzognera, non è politica. O perlomeno non buona»
                «E quante menzogne avete detto voi a me da quando sono vostro prigioniero, Lord Worchester?»
                «Quelle necessarie, Daniel di Cowain, che fu principe della casa reale»
                «Non si cessa mai di essere membri di una casa reale, lo si è per diritto divino»
                «Già così raccontano le ballate, non è vero? Eppure Gabryaerys adesso è il re, un re che vanta nientemeno il sangue di un’antica dinastia la cui legittimità si fonda laddove si annienta la vostra. E dunque chi è il vero re? Vi avverto: non vi conviene sfidarmi per quanto concerne la storia dei Sette Regni, ho passato rinchiuso in una biblioteca metà della mia vita»
                «Dunque che ne farete di me?»
                «Intanto mi assicurerò che non andiate in giro per il mio regno ad abbrustolire cose o persone, eheheh». Era più forte di lui: quando Uryon rideva, Daniel provava orrore. Sapeva che non era garbato, che non stava bene, ma quell’uomo aveva i detti aguzzi, come gli animali predatori. Proprio come quegli orsi che si trovavano suoi stendardi e i suoi vessilli. Solo che per la prima volta, al suo orrore corrispose un’espressione sul suo volto; e per la prima volta Lord Worchester ebbe moto di notarlo. Non la prese bene, ma non reagì con rabbia, anzi… chinò il capo e apparentemente ferito disse: «Io vi spavento, mylord… Diamine, ho avuto la noncuranza di dimenticare che oggi per la prima volta voi potete reagire alla mia presenza. Eppure, fin tanto che parlavamo, la cosa non mi aveva neanche sfiorato la mente… con il vostro sguardo invece… avete detto più di mille parole». Daniel era in imbarazzo. Ma davvero si trovava in una circostanza per cui stava per provare pietà nei confronti dell’uomo che lo teneva prigioniero, distante dalla sua famiglia e i suoi affetti, e inoltre da una posizione di dichiarato nemico della sua casata? Non intendeva farlo: rimase in silenzio, e attese che fosse Uryon a riprendere: «Voglio che vediate una cosa, seguitemi, per piacere». Così concluse e uscì dalla camera del suo prigioniero Lannister, lasciando tuttavia la porta aperta.
                Uryon era sempre gentile nei modi di fare, ma quello che gli aveva dato chiaramente non era stato un interrogativo, bensì un comando. Vero che il principe Lannister non avrebbe mai detto di preferire un carceriere più “esplicito” ai modi attutiti e ruffiani dell’orso del nord… ma arrivando a quel punto, tutti quei convenevoli stavano cominciando a dargli la nausea. Era grato che non fosse capitato nelle mani di un sanguinario tiranno dalla frusta facile, ma l’ideale sarebbe stato non dover neanche sorbirsi tutte quelle sceneggiate da avanspettacolo. Checché il gigante ne pensasse, Uryon un comando gli aveva dato. E, vestendosi pesante e andandogli dietro, fu un comando che Daniel eseguì.
                Il principe di Cowain pensò di esser quasi divenuto un uomo del nord, quando uscendo ed entrando in contatto con quell’aria fresca, non poté non concludere quello che già aveva ipotizzato da dentro la camera: la temperatura si era lievemente innalzata. Qualunque uomo del sud, dinanzi a quell’infinita distesa di neve e a quel cielo grigio e nebuloso, si sarebbe lamentato del gelo e in preda al battere dei denti avrebbe stretto la pelliccia e strofinato il corpo con le braccia. Ma non lui: lui si trovava al nord da un tempo che ormai non se la sentiva più di contare…
                Alla fine, dopo un tragitto non esattamente complesso ma che Daniel non avrebbe saputo benissimo replicare da solo, il signore di Biancavilla lo condusse fino alla Torre-biblioteca di Amergoth. Essa era immensa, mille e mille volte di più di come Daniel se la fosse immaginata, nelle sue memorie di quando da giovane a Roccia del Re leggeva libri e il suo tutore Lord Braff lo informava in merito a tutte le curiosità di questo mondo. Solo un’altra biblioteca – a quanto Braff diceva – era esistita e tradizionalmente veniva considerata più grande, quella della città perduta di Cair Dedalos. Ma si trattava di storie talmente ancestrali, da poter benissimo essere considerate leggende. Cair Dedalos era la città dei draghi, quando molti più draghi popolavano le terre conosciute, e quando le stesse terre conosciute in realtà non avevano ancora la forma dei due continenti che adesso gli uomini di Roccia del Re, e di tutte le altre città del Westeros, conoscevano. Amergoth invece era lì, davanti ai suoi occhi… una specie di quartiere cittadino, composto solo di scaffalature in legno e carta di libri. C’era anche tutto un movimento di persone che andavano da una parte o dall’altra dell’immensa struttura a pianta quasi perfettamente circolare: impossibile pensare vuoto un posto di quelle dimensioni; di sicuro Worchester pagava persone perfino per dormirci, là dentro.
                Daniel avrebbe voluto trattenersi, ma non ci riuscì: gli occhi gli si sgranarono, la bocca gli si aprì. Chiunque sarebbe rimasto impressionato da quello spettacolo, anche uno che non sapeva leggere. Uryon rispose con ironia a cotanto entusiasmo: «Un’espressione decisamente differente da quella che avete fatto quando avete osservato il mio viso, principe Daniel…»
                «Io… sì…» fu costretto ad ammettere Daniel, colto di sorpresa, «Mi dispiace…»
                «Questa è la biblioteca che ha permesso di fare di me uno degli uomini più ricchi, potenti e – permettetemi di dire – colti, che in questo momento abitano il nostro continente. Ed è… la biblioteca della nostra amicizia, figliolo. I libri in essa contenuti, mi hanno permesso di trovarvi e catturarvi prima e… rendervi libero poi. E mi hanno permesso di consigliare a Henrich Bolton la giusta strategia… per rimettere vostro nipote sul trono»
                «Che cosa? Voi… voi siete alleato dei Willoughby, dei… del re Targaryen»
                «Solo gli sciocchi non cambiano di posizione, una volta tanto. E, detto tra noi, questa volta non dovrò neanche sporcarmi le mani. Se tutto andrà come previsto, solo due uomini verseranno sangue: niente eserciti, niente accampamenti né piani di battaglia»
                «E cosa otterrete in cambio?»
                «Bolton si farà pacificamente da parte. E giurerà fedeltà a due re: a Napoleon quale re del sud… e a me quale re del nord»
                «E perché dovrebbe farlo?»
                «I miei informatori mi dicono che la ragione primaria per la devozione che il Lord di Forte Terrore ha nei confronti del neonato risieda in Lady Abigail della Casa Baratheon. A quanto pare Bolton è animato come da una cieca follia per quella donna, ed è questo che al momento spiega ogni suo gesto. Ivi incluso mettere da parte il suo stesso onore, e quello della sua casa, pur di mettere sul trono il di lei figlio. Ma, al di là di qualsiasi pettegolezzo su cui non mi voglio incartocciare, va da sé che un re così giovane necessiterà di una buona mente politica – che Abigail, a quanto mi dicono le mie fonti, potrebbe saper essere – e di un robusto braccio armato… quella carica Bolton se la starebbe ritagliando per sé»
                «I Bolton al sud… e a voi tutto il nord… sarebbe questo il piano?»
                «L’idea è questa, sì»
                «E in che modo… Lord Bolton riuscirebbe a cacciare il re Targaryen dal Trono di Spade, senza l’ausilio di esercito alcuno?»
                «Beh, la questione richiederebbe un approfondimento politico e storico che in questo momento non abbiamo il tempo di affrontare, amico mio»
                «E perché no?»
                «Non abbiamo finito il giro di quella che, se vorrete, sarà la vostra nuova prigione o – come mi piace pensare – la vostra nuova casa»
                «Amergoth?»
                «Sì. Volete risiedere qui nei giorni del vostro soggiorno, principe?»
                «Sono ancora vostro prigioniero, mylord?»
                «Sentite: non me la sento ancora di lasciarvi libero finché i tempi non saranno maturi, perciò se volete mantenervi ostile e considerarvi un prigioniero, beh: fatelo. Ma… solo idealmente… potreste considerare di farmi l’onore di pensare a voi stesso quale mio ospite
                «Un ospite in ceppi, con una pietra costantemente appoggiata alla caviglia che ne inibisce… le piene potenzialità?»
                «Sì. Ma che risiede in uno dei luoghi più belli del mondo» Uryon sorrise, e questa volta i denti aguzzi nella sua bocca suscitarono in Daniel un fastidio solo superficiale: pochi istanti, e riuscì a superare il disagio. E questa volta, il Lord degli orsi parve perfino neanche accorgersi del suo orrore: forse davvero qualcosa di simile a un rapporto pacato con quello strano uomo immenso si poteva anche tentare di costruire. Ma era presto per parlarne,e d’altro canto la mente di Daniel venne – mentre ancora con Uryion visitava i meandri più interessanti della torre – distratta da un piccolo, ma curioso evento. Una fanciulla, giovane, magra, dalla carnagione chiara e con un caschetto di capelli corvini, inciampò verso un’estremità della biblioteca, richiamando per un breve istante l’attenzione del giovane principe: stava trasportando una massa di tomi decisamente troppo pesante per una ragazzina dalle ossa secche, quale lei era. Era una normale ragazza del nord: bella sì, ma non particolarmente appariscente eppure… a Daniel parve Anylice. Era umana, vero che la carnagione era chiara, ma non più di quella della metà degli uomini del nord lì presenti, Uryon Worchester compreso. Ma allora perché le sembrò così tanto la ragazza di ghiaccio? Saranno forse stati gli occhi azzurri? Che poi anche gli occhi… erano azzurri certo, ma non di quell’azzurro disumano che aveva caratterizzato gli occhi della Criomante che il principe Daniel aveva incontrato mesi e mesi prima…
                Durò pochissimo: un inserviente più alto di grado, prese la ragazza per un braccio, la sgridò con virulenza e poi la spintonò fuori dalla linea visiva del principe Piromante. L’acustica della sala, e il discreto numero di gente che c’era dentro, non permise a Daniel di percepire il suo nome… ma soprattutto, quasi da subito egli tese ad attribuire il significato della cosa alla suggestione che quella ragazza di tanto tempo fa era riuscita a creare dentro il suo cuore e la sua anima. Forse lui avrebbe anche voluto rivedere Anylice, la ragazza di ghiaccio, ma quella non era lei…
                Quando Uryon fece per congedarsi, lasciando Daniel alla sua nuova “casa” e ai suoi libri, dopo avergli spiegato naturalmente tutti i dettagli sulla sua nuova sistemazione, sulle persone cui rivolgersi in caso di bisogno, e sulle strette regole della biblioteca (la possibilità di prendere determinati volumi, l’obbligo di riconsegnarli entro un certo termine), a un certo punto il signore del nord si congedò seriamente, ma fu Daniel stesso a fermarlo: «Mio signore» gli disse «Voi però non avete voluto essere preciso con me sulle cose più importanti! E come possiamo essere amici se non mi dite ciò che più conta?»
                «Ovvero?» rispose l’orso del nord «Che cos’altro volete sapere, Daniel?»
                «Ho conosciuto Lord Bolton: è un uomo tutto d’un pezzo. Pensare che davvero sia disposto a cedere la roccaforte della sua antica famiglia per l’infatuazione nei confronti di una donna… francamente non sta in piedi. E… anche se fosse… non mi avete spiegato in pratica come farebbe a vincere Gabryaerys senza una guerra?»
                «Beh, per quanto riguarda quest’ultima questione vi suggerisco di scegliere Storie recenti delle più antiche casate del maestro Vayne fra le vostre prime letture: ripassare la vicenda di come re Tyresyah Lannister ricondusse di nuovo il nord tra i Sette Regni – il quale è lo stesso nord che da allora non si è più distaccato, grazie alla profonda amicizia tra Bolton e Lannister – penso che lo troverete oltremodo illuminante»
                «E per quanto concerne quell’altra questione?»
                «Per quella vi chiedo di non domandarmi oltre: sarei costretto a riferire dicerie di cui non ci sono le prove, e che francamente mi disgustano»
                «Forza, Uryion: sputate il rospo!»
                «Beh… diciamo che tra i bassifondi di Roccia del Re, e… tra i più sinistri corridoi della più abietta politica, c’è chi sussurra che… in effetti… non sia solo un’infatuazione quella tra Lord Henrich e Abigail… c’è chi dice che il rapporto sia sostanzialmente stato consumato, più volte…»
                «State… state forse dicendo che Napoleon… non è il figlio di mio fratello?»
                «Non io: quegli osceni sussurri della Capitale»
                «Beh, è questo che insinuano?»
                «Ebbene… sì. Ed è pur vero che questo spiegherebbe un po’ meglio il perché Bolton intenda spendersi così ostinatamente. Ma… Daniel… se, gli dèi ce ne scampino, le voci fossero vere… questo farebbe di voi il legittimo re degli Andali e dei Primi Uomini».
 
 
 
                La pesante giornata di Lord Braff non era ancora finita. La delusione subita dal rifiuto di Baelish di entrare nel nuovo Concilio Ristretto del re Naharis non poteva essere risollevata dalla riconferma di Irwin: uno, perché il Gran Maestro aveva molte più ragioni di restare. E due: perché quel biondino dal sorriso più fasullo del suo aveva perfino preteso qualcosa in cambio, ovvero che la Corona si occupasse della questione del nuovo prete fanatico della città, questione che per il momento agli occhi del Maestro dei Sussurri non andava annoverata nemmeno tra i “fastidi” dal punto di vista del governo del re.
                Al tardo pomeriggio, invece, Lord Alexis aveva fatto quello che pensava un capolavoro. Era riuscito a convincere di passare dalla parte del re niente meno quella che probabilmente era stata la sua più acerrima nemica nel corso degli ultimi anni di politica alla Capitale, la regina uscente Abigail Baratheon. Beh… non acerrima nemica in termini di reale concorrenza, visto che Braff si reputava un politicante ben superiore rispetto alla sua rivale, però per quanto riguardava i potenziali fastidi che Abigail era stata in grado di procurargli, in primis perché armata di un discreto apparato di fedeli spie, e in secondo luogo perché chiaramente accanita nei suoi riguardi, da questo punto di vista Braff non poteva che ammettere: Abigail era stata una vera e propria spina nel fianco.
                Se si fosse trattato di rapporti personali, di sicuro Lady Barstheon non avrebbe accettato la proposta di Braff: ma qui si trattava di circostanze particolari. Al re serviva di ripulire la propria immagine dinanzi a una cittadinanza per la quale fino a quel momento non era stato altro che un conquistatore straniero. Più vecchi volti Gabryaerys aveva al fianco nelle manifestazioni pubbliche – e magari meno mostri – e più il popolo di Roccia del Re avrebbe cominciato a considerarlo come il suo nuovo effettivo sovrano. Abigail, dal canto suo, si trovava ancora confinata in prigionia: un’aurea prigionia, visto che si trovava nelle sue camere, con il piccolo Napoleon costantemente al suo fianco ma… certo questa sistemazione non avrebbe mai potuto reggere alcun paragone con la libertà quasi totale che Braff le aveva offerto (alla regina semplicemente sarebbe stato vietato di lasciare la città). Fu così che l’accordo venne fatto, e Abigail firmò la carta di nomina ad Altissimo Segretario del Re quella sera stessa; lo fece con uno strano ghigno, e un sinistro bagliore negli occhi, che Braff non poté fare a meno di notare e che per un momento lo inquietarono. Ma passò oltre: aveva ben altro da fare, e se quella dannata vipera velenosa che Lady Baratheon altro non era si fosse permessa di preparargli una qualche sorpresa, le sue ombre quanto prima gli avrebbero riferito il tutto, viaggiando in abiti da spia e in ali d’insetto.
                Quando ebbe concluso il colloquio con Abigail, il suo personale successo della giornata, il Maestro delle Spie di Roccia del Re passò all’ultimo incontro di quel giorno, colui cui andò a riferire delle nuove adesioni nella compagine di governo: il nuovo primo Cavaliere e demone delle energie, il cui antico nome risaliva all’era in cui anche Braff era un vero uomo, e insieme erano confratelli nel culto dei Cinque, ovvero Tararus, sostanzialmente la guardia personale di re Gabryaerys. Il re in quel momento era occupato nel primo incontro “ufficiale” – ovvero in pubblico – con quella che sarebbe stata la sua futura sposa, Lady Hana Lannister, sorella del defunto re Axelion e figlia del re ancora precedente Lionel. E Braff doveva partire immancabilmente: nell’ultima missiva, il suo amico Gino Barron aveva accentuato i toni allarmati nel momento in cui aveva visto con i propri occhi la situazione a Cowain. E seppure ormai tutti i demoni erano passati dalla parte in cui anche Gino, tramite Braff, e con lui Altogiardino, si erano schierati, il demone delle ombre non sapeva se quello delle fiamme, Corarus, fosse bene aggiornato sulla situazione. Di tutto il regno necessitava, meno del rogo di una intera innocente cittadina, con al suo interno un signore di altissimo rango, cosa dal quale sarebbero scaturite le peggiori storiacce riguardanti ipotetiche affiliazioni tra questi pericolosi diavoli dai poteri inumani e il re di recente acquisizione, di cui tutto si poteva dire in quel momento meno che fosse popolare.
                Dei suoi vecchi confratelli dell’origine, Tararus era forse quello con cui meno Braff aveva avuto rapporti, tanto che tendeva a provare un certo fastidio nel definirlo “fratello”. Oh, certo anche con lui – come con gli altri sei, ivi incluso il defunto demone degli spiriti Meredjuxor – Lord Braff condivideva l’amara sorte di essere servo di quel dannato sigillo al momento nelle mani di Gabryaerys, però era inutile negare che con alcuni di loro, quand’era ancora in vita, il maestro delle ombre aveva intrattenuto un qualche genere di rapporto. Con Corarus, Tararus e Xenorus niente: troppo distanti i loro modi di pensare, troppo diversi gli stili di vita che avevano scelto di condurre. In mezzo ad allievi devoti Braff; in mezzo ai draghi quale loro principale servitore Tararus. L’uno attratto dalla conoscenza, l’altro dal potere. L’uno più simile a un uomo, l’altro più simile… a un mostro.
                Col tempo, Braff sperimentò che di tutti gli ex “manti”, lui era probabilmente l’unico che conservava ancora una memoria vivida dei tempi andati; il che ovviamente era più una tortura che altro. Aveva provato spesso a rievocare le vecchie storie con Meredjuxor o con Helmon e per certi versi loro ricordavano ma… per altri proprio no. Quanto al migliore dei suoi amici, il maestro delle fonti Mawldor, lui si era volatilizzato, lasciandolo sostanzialmente da solo a cercare di far ragionare un padrone che chiaramente era ormai accecato dal proprio stesso potere. Quello che i draghi avevano teorizzato, non si era realizzato: avevano sperato che solo un uomo illuminato avesse mai potuto dominare un potere tale da controllare Cair Dedalos. Che stupidi: il male poteva raggiungere i medesimi livelli del bene, e questo nuovo padrone ne era la più lampante delle prove. Avevano condannato i loro figli e discepoli a una pena peggiore della morte: a quella del dolore e della guerra, prima del dolce arrivo della fine di tutto.
                Trovò il Primo Cavaliere già in attesa presso i giardini privati del re. Quel dannato idiota non aveva ascoltato i suoi consigli: se ne fregava altamente se un suo confratello gli diceva qualcosa, gli ordini per Tararus o arrivavano direttamente dal padrone o non arrivavano. Era vestito pressoché esattamente per come era arrivato alla Capitale: completo blu, mantellina e calzari gialli, piccola corona da principe, lucido e ghignante teschio nero orgogliosamente in mostra come se si trattasse di una cosa bella.
                «Demone degli uomini!» salutò dunque Tararus, posizionando quei suoi osceni denti d’osso alla maniera di un sorriso umano, «Di quali fallimenti mi aggiorni questa sera?»
                «Di nessuno» esclamò Braff con un certo orgoglio «Ho ottenuto la conferma del Gran Maestro e… ho fatto di Abigail Baratheon il principale degli assi nella manica di Gabryaerys»
                «A che cavolo serve l’ex regina nel Concilio?! Con magari diritto di voto anche?»
                «Sappiamo benissimo che il voto ormai sotto Gabryaerys si limiterà ad essere niente più che un atto formale. Ma risponderò lo stesso alla tua domanda: una presenza confortante e di bell’aspetto, in mezzo a un’orda di mostri di cui la gente non può che essere spaventata, ecco cosa rappresenterà Abigail. E d’altronde… ce n’è chiaramente il bisogno visto che tu per primo dici di voler aiutare il re ma non indossi la maschera di carne che lui ti ha riservato»
                «Quella maschera è più inquietante del mio teschio spoglio. E poi… questo problema della “gente” è sempre un cruccio che riguarda i governanti deboli, come te. A me di tutte queste manovre che fai non importa un fico secco, francamente le capisco a stento. Ai miei tempi gli uomini si governavano con la paura, e dubito che siano cambiati molto nell’arco dei millenni… Si tratta di animali, non molto diversi dagli altri. Li sfami, li impaurisci, li domini: è così che la penso io»
                «Mio caro Tararus a me pare che dimentichi un piccolo passaggio: anche tu sei stato un uomo, in passato». La cosa parve offendere il demone delle energie celesti. Finalmente la smise con quel suo sorriso terrificante.
                «Sai» riprese quest’ultimo «Dovesti smetterla con questo atteggiamento “demone degli uomini”»
                «Quale atteggiamento? E perché mi chiami in quel modo?» Braff era la prima volta che glielo sentiva utilizzare quel termine «Che razza di provocazione è? Non è mica offensivo…»
                «Certo. Per te no di sicuro. Ma per uno che ha raggiunto condizioni più elevate…»
                «Ma ti senti quando parli Tararus? No, perché pare che tu non comprenda il fatto che anche tu, come me, come Helmon e come gli altri… non siamo altro che schiavi»
                «È questo che ci differenzia, vecchio mio: la posizione che abbiamo assunto nei confronti di Cair Dedalos. Per me, un dono che mi rende simile a un dio. Per te, una catena che ha ridotto in schiavitù la tua condizione di umano. È per questo che ti chiamiamo a quel modo, sai? Io e Xenorus, il nostro confratello dei ghiacci e delle nevi»
                «Ah perché parla ora, Xenorus?»
                «Parla il giusto: come faccio io. La parola è una delle poche cose che ancora purtroppo ci rendono simili a quelli che eravamo un tempo»
                «Diamine, quanto sei pazzo… lo sei sempre stato, ma ora…»
                «Non chiamare pazzo uno che frequenta gli dèi e ne è il confidente. Chiama pazzo uno che si circonda di giovanetti per trarne stimolo e piacere»
                «Tu non stai servendo gli dèi in questo momento, Tararus. In questo momento stai servendo il diavolo»
                «Beh, sempre meglio essere il suo braccio destro che mettersi sul suo cammino»
                «Volentieri ti lascerei ai tuoi deliri, fratello: ma non è solo per dirti di riferire al re della nomina di Irwin e di Abigail che sono venuto»
                «E per cosa?»
                «Per darti una mansione»
                «Una mansione? Tu a me? Solo il re può farlo, mi spiace»
                «Senti: fa come vuoi. Ma per restare nel Concilio Irwin ha preteso che la Corona si occupasse di qualcosa di cui prima o poi deve occuparsi. C’è un fanatico che sta prendendo tutta la rabbia della massa e la sta condensando per utilizzarla lui stesso. Prima ce ne occupiamo e meglio è»
                «E perché lo vieni a dire a me? Questi non sono affari che riguardano la tua stretta competenza?»
                «Sì, è così. Ma io parto»
                «Parti? E perché? Per dove?»
                «Cowain»
                «E dove cazzo è Cowain?»
                «Al sud. Vado a recuperare Corarus, se tutto va bene»
                «E se tutto va male?»
                «Se tutto va male lui non ci sarà e io avrò passato un piacevole soggiorno in un luogo di mare. Ma non è così: è là lui. Arrivederci, fratello mio»
                «Ma… Braff, aspetta…».
                Decise di non dargli la soddisfazione di un ulteriore risposta. Lì, davanti a lui, fece quello cui Tararus tanto piaceva: si manifestò in tutta la sua essenza, espandendosi a uno stato fumoso ampio quasi quanto l’intero giardino. E in quella forma, spiccò il volo. Ma non poté non riflettere su quanto odiasse Tararus, e Gabryaerys e tutta quella situazione. E quanto rimproverasse a Mawldor di essere sostanzialmente sparito dalla circolazione, lasciando a lui da solo tutto questo.
   
 
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