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Autore: QueenOfEvil    10/06/2017    0 recensioni
(Dal capitolo sette):
"Sì, aveva aspettato quel giorno per anni, nella polvere, nell’ombra di qualcun altro, di Ahadi, di Mufasa e adesso che correva il rischio di venire oscurato anche da Simba, da quello scricciolo che altro non era che un prolungamento del fratello tanto odiato, gli era stata finalmente data l’opportunità di scuotersi di dosso tutti: sarebbe diventato ciò che era stato predestinato ad essere fin dall’infanzia, fin dalla nascita. Il sovrano che nessuno mai aveva visto in lui."
La storia di un re considerato tale solo da se stesso. E, chissà, forse, in fondo, neanche quello.
Genere: Dark, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Scar
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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4. Taka. It is not nor it cannot come to good

Taka era senza dubbio felice, malgrado non sapesse bene come sentirsi mentre seguiva, ancora una volta, il fratello verso la loro destinazione: era al corrente del fatto che un cimitero di elefanti fosse un posto pericoloso da esplorare, non ci voleva certo un genio per giungere a quella conclusione, e che quindi sarebbe stato senza dubbio meglio voltare le spalle al gruppo e tornare a casa, per poter raccontare ai genitori quanto Mufasa avesse in programma ed evitare a tutti una valanga di guai. Ma non appena apriva bocca, pronto ad esprimere la sua opinione, lo sguardo gli cadeva sul cucciolo che procedeva vicino a lui, sicuro e con lo sguardo luccicante per la prossima avventura che l’avrebbe aspettato, e si riempiva di una smisurata ammirazione per il fratello, che riusciva a non spaventarsi mai: coraggioso, ripeteva una voce dentro la sua testa, più coraggioso di quanto tu potrai mai essere. Sconsiderato, sussurrava un’altra, e un giorno questo gli costerà caro.

Ma a determinare la sua decisione di rimanere in silenzio e aspettare lo svilupparsi degli eventi furono soprattutto le occhiate che le due leonesse rivolgevano al suo compagno: così ammirate, così… fiduciose che era certo si sarebbero buttate da una cascata se lui glielo avesse detto. Era l’effetto che Mufasa faceva a chiunque: era talmente sicuro di sé, talmente ricolmo di energia che sembrava avere tutto sotto controllo anche quando non era vero. Taka aveva l’esatto problema, tendeva a ragionare troppo e ad appellarsi alla ragione altrui, che spesso non era disposta ad ascoltare e questo lo portava ad apparire più insicuro di quanto in realtà non fosse: sperava che seguendo e, perché no?, in qualche maniera emulando il fratello, sarebbe riuscito anche lui a conquistarsi la stima della gente attorno. Perso nei suoi ragionamenti, non si accorse che gli altri si erano fermati fino a che non andò letteralmente addosso a Sarabi, che lo guardò scocciata. Non fece in tempo a borbottare delle scuse che il cucciolo al suo fianco aprì bocca, presentando loro la destinazione finalmente raggiunta:

“Ecco a voi, ragazzi” Davanti al gruppo si estendeva un enorme ossario, completamente appartenente a elefanti di cui in qualche caso si riusciva ancora a distinguere la forma: metteva i brividi e allo stesso tempo era piuttosto invitante. Ognuno di loro si sentì percorrere da un brivido di eccitazione che scompigliò la loro pelliccia… beh, ognuno tranne Taka, la quale eccitazione era stata sostituita dalla improvvisa certezza che lì non ci fosse nulla di buono pronto ad aspettarli.

Al diavolo il coraggio e tutte quelle stupidaggini! Qui si trattava di avere buonsenso e in quello era sicuramente più provvisto degli altri: se il suo istinto gli suggeriva di correre, scappare e non voltarsi indietro era quello che avrebbe fatto e fosse stata l’ultima cosa in vita sua avrebbe fatto retrocedere anche suo fratello.

“Molto bene, ci hai fatto vedere… tutto questo” inarcò un sopracciglio “Ma ora è meglio tornare: la strada è lunga e il tramonto non poi così distante; non vorrete rimanere bloccati qui di notte, mi auguro”

Quello che a lui era sembrato un ragionamento assolutamente logico, venne accolto con delle risate da parte di Sarafina: “Uhhh, a quanto pare hai paura”

“Non si tratta di avere paura o meno, si tratta di avventurarsi da qualche parte senza avere la minima idea di…”

“Ci stai rovinando il divertimento ancora una volta, Taka” Lo sguardo che Sarabi gli rivolse valeva più di mille parole: non dovevamo portarti con noi. Era sempre quello il problema alla fine, sempre quello lo scoglio che trovava insuperabile: far ammettere loro che anche lui sarebbe potuto essere divertente, una piacevole compagnia esattamente e anche più di Mufasa e non solo il patetico fratellino minore che lui si portava sempre dietro. Lo desiderava, sì, desiderava il riconoscimento degli amici del compagno più di qualsiasi altra cosa al mondo, ma ora non era importante: doveva seguire il suo cervello, non la massa, doveva dimostrarsi responsabile. D’altronde, anche se era il più piccolo, aveva spesso tirato lui stesso l’altro fuori dai guai.

Decise dunque di cambiare tattica: assunse un’aria indifferente e lanciò uno sguardo sprezzante davanti a sé: “Non vedo cosa ci troviate di tanto eccitante qui dentro: è solo un vecchio mucchio d’ossa, putride e mezze decomposte. Si trovano cose molto più divertenti appena fuori dalla nostra grotta: ci annoieremmo e basta a passarci il pomeriggio”

“Lo dici solo per darti un tono: la verità è che stai morendo di paura” Sarabi lo stava nuovamente fissando, ma in modo diverso da prima: c’era un dubbio nelle sue iridi castane, castane come quelle del fratello e del padre, un dubbio labile, sì, ma c’era. Taka non aveva bisogno di sentirlo uscire dalla sua bocca per saperlo: possibile che lui forse non sia così codardo come sembra?

Stava quasi per darsi una metaforica pacca sulla spalla, congratulandosi con se stesso per essere riuscito a convincere gli altri, quando ovviamente il futuro erede al trono si sentì in dovere di rovinare tutto.

“Se davvero sei così coraggioso, ti sfido ad entrare nel cimitero degli elefanti. Da solo” Le parole pronunciate da Mufasa ebbero l’effetto di scariche elettrice sulla pelliccia di Taka, che si girò verso il fratello sforzandosi di mantenere la calma.

“Non si tratta di coraggio, come ti ho detto: non vedo solo quale possa essere il divertimento nel fare una cosa…” 

“Appunto per questo non dovresti avere alcun problema a provarcelo: scendi là sotto, rimani un paio di minuti e torna indietro. Capiremo che ci stai davvero dicendo la verità e ti asseconderemo”

“Io non devo dimostrare niente a nessuno” rispose, sulla difensiva: possibile che davvero il compagno non sapesse intuire quando era il momento di smettere?

“Non devi, o non vuoi?” Sarabi, apparentemente riguadagnata la sua sicurezza, si era nuovamente schierata in favore del cucciolo dal manto color miele e Sarafina, propensa a seguire il gregge com’era, avrebbe sicuramente fatto la stessa cosa: ora Taka aveva due scelte. La prima era non dare loro ascolto, lasciarli lì e tornare alla Rupe, con la certezza di aver per sempre certificato la sua fama di codardo, mentre la secondo era accettare la sfida, entrare in quel posto così inquietante e pericoloso da solo, provando invece il coraggio necessario a un compagno di giochi, un amico fidati e, chissà, magari anche a un ottimo sovrano. Malgrado la sua coscienza lo stesse tirando per i pochi ciuffetti di pelo che costituivano la sua criniera invitandolo ad essere ragionevole, il suo istinto e competizione ebbero la meglio e, maledicendosi per quello che stava per fare, fece segno a Mufasa di spostarsi, dirigendosi, con una calma solo apparente, verso il basso e ignorando le occhiate stupite e anche un po’ ammirate che gli venivano rivolte dalle leonesse. I suoi compagni sparirono quasi subito dalla sua vista e, mentre scendeva e faceva attenzione a non cadere sopra le ossa scivolose che coprivano completamente il terreno, si trovò a reprimere un ringhio di frustrazione al pensiero dell’assurda situazione in cui si era infilato, anzi, in cui Mufasa l’aveva praticamente spinto a forza. Certe volte lo odiava proprio.

Beh… odiare era forse una parola grossa, si trattava pur sempre di suo fratello: come avrebbe mai potuto provare un sentimento tanto negativo nei confronti di un membro della sua famiglia? Si sentiva male solo al pensiero. No, era più un senso di fastidio, molto fastidio, dettato dal fatto che qualsiasi cosa si decidesse di fare era sempre lui ad avere l’ultima parola e che tutti prendessero ciò che diceva come oro colato, quasi fosse già lui il Re delle Pride Lands, quando il padre non aveva ancora assolutamente scelto il suo successore. E chissà, magari avrebbe valutato maggiormente la sua intelligenza e il suo buon senso piuttosto che il coraggio e il buon cuore del fratello: sì, era vero, il primogenito era sempre disponibile ad aiutare chiunque si fosse trovato in difficoltà, ma se tutti avessero ascoltato di più i suoi suggerimenti e direttive era certo che non ci sarebbe stata nessuna crisi da affrontare e prevenire era molto meglio che curare, giusto? Taka alzò la testa e chiuse gli occhi, immaginando un mondo in cui lui fosse diventato la guida del branco e dove gli sguardi di ammirazione fossero solo per lui: sorrise, a metà fra la realtà e il sogno, prima che le sue fantasie venissero interrotte da uno scontro piuttosto violento contro la spina dorsale di un elefante. Aprì gli occhi di colpo, il naso dolorante per l’improvviso colpo subito, e ringraziò i Re Antenati che la struttura davanti a lui fosse ancora sufficientemente solida da non crollare, altrimenti sarebbe stato davvero in grossi guai. Si guardò attorno, rabbrividendo alla vista dello stato di impressionante desolazione del paesaggio attorno a sé, prima di decidere che era rimasto lì intorno anche troppo e quindi avrebbe certamente fatto meglio a tornare dai suoi amici. Aveva provato il suo valore, non serviva dare una conferma anche della sua infermità mentale.

Fece quindi inversione di marcia, girando intorno a quel grosso scheletro e… un momento. Era arrivato da destra o da sinistra? Il cucciolo si guardò intorno, disorientato: tutto preso com’era dai suoi pensieri, non aveva fatto caso a dove si fosse diretto e in quel momento non aveva la più pallida idea di quale strada dovesse fare per uscire di lì. Sentì la gola diventargli pesante al pensiero di essersi perso, ma si impose di mantenere la calma: non aveva camminato per molto tempo e, a rigor di logica perciò, anche la sua via di fuga non doveva essere lontana. Gli sarebbe bastato, si disse, fare pochi passi per rivedere il mantello del fratello e riempirlo di morsi per l’assurda situazione in cui si era cacciato.

Accennò quindi una svolta a sinistra, tenendo sempre presente la spina dorsale gigantesca come punto di riferimento provvisorio e avanzò per qualche secondo: quando alzò la testa, il paesaggio era ancora totalmente sconosciuto. Sempre più disorientato e spaventato, continuò a procedere, affrettando il passo fin quasi a correre, pensando anche che era colpa di Mufasa se si era perduto e colpa sua che gli aveva dato retta: da quando in qua gli importava così tanto dell’opinione altrui da mettersi volontariamente in pericolo? 

Quando vide che, dopo quelle che gli sembrarono ore, non era riuscito a venire a capo della faccenda, decise di tornare nel posto da cui era partito e che, fortunatamente, riusciva ancora a scorgere da lì; una volta arrivato, si mise a sedere in mezzo a quel marciume, con le zampe che tremavano e le lacrime agli occhi: tentò di fare chiarezza fra i suoi pensieri e arrivare ad una strategia da seguire. Non avrebbe avuto senso continuare a vagare senza meta, con il rischio di perdersi ancora di più e, anche se tutto quello che avrebbe voluto era semplicemente sdraiarsi e mettersi a piangere, il poco senso pratico che ancora era rimasto in lui gli diceva che arrendersi non era una soluzione. Improvvisamente, gli venne in mente che, se davvero si era allontanato poco quanto credeva e i suoi amici erano vicini, forse se avesse fatto rumore lo avrebbero visto e sentito e lui avrebbe potuto seguire le loro grida per raggiungerli: non aveva di meglio che fare un tentativo, tanto più che il luogo sembrava completamente deserto e inoffensivo. A parte i poveri pachidermi defunti, l’unica presenza che poteva sentire oltre alla propria era quella degli insetti.

“Ehi, ragazzi, mi sentite?” domandò quindi, la voce senza volerlo ridotta a un sussurro “Ragazzi?” chiese di nuovo, leggermente più forte.

“Mufasa! Dai andiamo non è divertente!” Il tono era aumentato e fu piacevolmente sorpreso quando avvertì un fruscio dietro la sua spalle destra, anche se sobbalzò lievemente udendolo: probabilmente quei tre erano scesi per seguirlo e ora si stavano facendo quattro risate alle sue spalle.

“Ah ah ah! Molto divertente gente, davvero, mi sto rotolando per terra, ma se ora volessimo andarcene da questo posto orrendo ve ne sarei…” Si interruppe quando il suo naso fiutò un odore assolutamente nuovo e per nulla piacevole: ebbe l’improvvisa consapevolezza che, dietro di lui, non ci fossero due leonesse e un giovane leone.

“Orrendo posto? Qualcuno qui deve imparare le buone maniere: non si scherza in casa altrui, non è vero Banzai?”

“D’accordissimo, Shenzi: forse dovremmo essere noi ad insegnargli a comportarsi in maniera appropriata”

Taka si girò lentamente, senza fare movimenti bruschi e cercando di dominare il terrore che si era impadronito di lui una volta per tutte, e quando fu faccia a faccia con gli sconosciuti… non poté fare a meno di essere quantomeno un po’ deluso. Davanti a lui, a qualche passo di distanza e con un’espressione più confusa che arrabbiata in viso, erano in piedi tre cuccioli di iena, all’incirca della sua età. Una era chiaramente una femmina, e quindi probabilmente era quella che rispondeva al nome di Shenzi, mentre il suo vicino, presumibilmente Banzai, era maschio, così come l’ultimo componente del terzetto, che però inquietava alquanto il leone: il modo in cui pendeva la lingua e teneva gli occhi costantemente sbarrati non era… normale.

Rincuorato dal non avere di fronte tre predatori adulti, ma comunque intimorito dall’idea di essere tre contro uno, si alzò su quattro zampe e li fissò dritti negli occhi, tentando di non mostrare debolezze: “È stato uno sbaglio che mi ha portato qui” disse quindi “Non ho intenzione di farvi del male o di disturbarvi, perciò se mi lasciate passare mi leverò dalla vostra vista in un attimo”

L’animale ancora senza nome si mise a ridere come un ossesso alle parole del piccolo, che aggrottò le sopracciglia, non capendo cosa avesse detto di tanto divertente, ma non essendo molto sicuro di volerlo sapere.

“Oh, e piantala Ed!” Shenzi diede un calcio al compagno, che rotolò per qualche metro e poi si azzittì, pur mantenendo quello strano sorriso che Taka era già passato dal trovare disturbante a tremendamente innervosente.

“Tornando a dove eravamo” la iena rivolse nuovamente lo sguardo verso di lui “Devi sapere che qui tu sei un estraneo e a noi, a tutto il nostro branco, in realtà, non piacciono gli estranei, specialmente se sono parte dei leoni: capisci per quale motivo la tua posizione è particolarmente scomoda?”

Il piccolo ragionò velocemente, cercando la risposta più appropriata possibile: sì, era a conoscenza del divieto di valico che quella razza aveva nei confronti delle sue terre, anche se non ne aveva mai compreso pienamente la ragione, e sapeva anche che, malgrado loro fossero molto giovani e gracili, non avrebbe avuto nessuna speranza di farcela se avessero deciso di allertare il branco.

E morire divorato dalle iene non era esattamente il modo in cui desiderava terminare la propria vita. 

Decise dunque di tentare con un’altra strategia che non prevedesse l’attacco diretto e frontale.

“Comprendo perfettamente” disse dunque “Ma spero che anche voi comprenderete che non vi conviene farmi del male, per il vostro stesso bene: non sono solo, altri tre leoni sono nei paraggi e non sarebbero per nulla felici se sapessero che mi avete minacciato, figuriamoci se mi attaccaste. Non vorrete pagare le conseguenze di un’azione tanto misera e priva di scopo, vero?” C’erano alcune lacune logiche nel suo discorso: tanto per cominciare, se davvero questi fantomatici aiuti erano tanto vicini, perché non l’avevano ancora soccorso? O ancora, perché si era ritrovato separato dagli altri se davvero aveva tutto questo controllo e protezione? A questo stesso ragionamento, Taka avrebbe potuto trovare almeno altre quattro obiezioni, ma era possibile che quegli animali davanti a lui non le notassero: non sembravano molto furbi dopotutto. Tirò quindi un sospiro di sollievo quando l’unica domanda che gli venne posta, da un Banzai leggermente più nervoso di prima, fu:

“E perché dovrebbero essere così in pensiero per un esserino minuscolo come te?”

“Perché io sono il Futuro Re delle Pride Lands” Bugia a metà, esattamente come la presenza dei tre leoni: aveva in fondo un buon cinquanta percento di possibilità che si realizzasse nell’immediato futuro “Avete davanti a voi il figlio di Ahadi, il Principe Taka”

Aveva sperato di incuriosirli, intimidirli, persino spaventarli con quella dichiarazione, ma ottenne esattamente l’effetto opposto: i tre compagni si misero a ridere fragorosamente, lasciandolo ancora una volta interdetto.

“Questa è proprio bella: un Principe di nome Taka. Certo che nella savana non scelgono nomi molto lusinghieri per i loro pargoli” Shenzi aveva le lacrime agli occhi e questo diede immensamente fastidio al suo interlocutore che, dimentico delle preoccupazioni provate fino ad un minuto prima, si ritrovò alquanto sulla difensiva:

“Che cosa c’è che non va con il mio nome?”

“Beh, è alquanto singolare: un reale, anzi, un futuro sovrano chiamato “spazzatura” non l’avevo ancora mai sentito. Cos’è: una nuova moda?” 

Il piccolo abbassò lievemente le orecchie, pensieroso: non era la prima volta che rifletteva sull’etimologia del suo nome, non esattamente lusinghiera, ma nessuno glielo aveva mai esplicitamente fatto notare, per cui era giunto alla conclusione che fosse assolutamente normale, un modo come un altro per identificare qualcuno. Ora che invece il problema veniva posto da altre bocche, appariva assai più grande: quante volte agli altri erano passate per la mente le stesse cose e non gliel’avevano mai dette?

“E poi” Banzai sembrava ancora più perplesso, e anche abbastanza incredulo “Io sapevo che il discendente di Ahadi fosse un altro… com’è che si chiamava? Muffosa… Muflasa…”

“Mufasa è mio fratello” lo corresse, non senza una punta, anzi, più che una punta, di fastidio perché il nome del primogenito era arrivato a quegli individui prima del suo.

“”Re” e “Rifiuto”? Non farò parte della tua famiglia, ragazzino, ma mi sembra piuttosto ovvio chi fra voi due sia il cocco di mamma eh?” Le parole di Shenzi lo fecero a dir poco inferocire: non c’erano preferenze fra lui e Mufasa, erano assolutamente uguali, tutti lo sapevano. Però… se tutti lo sapevano perché allora quei tre idioti conoscevano solo uno dei due? Sapeva di non aver avuto una presentazione “ufficiale” per via della sua nascita travagliata, ma credeva che la sua esistenza fosse almeno nota nel regno e al di fuori di esso… Era davvero così ignorato da tutti?

L’atmosfera si era rilassata, o almeno, nessuno dei tre sembrava più disposto a farlo fuori, così decise di approfondire la questione: “Davvero non sapevate chi ero?”

“Neanche la minima idea. Fossi in te, io chiederei ai tuoi genitori qualche spiegazione una volta tornato a casa” Shenzi sembrò ricordarsi solo ora che in teoria avrebbe dovuto presentarsi come una nemica “Sempre che tu riesca a tornarci…” Ma il tono era poco convinto, non era una minaccia, più una constatazione: Taka aveva l’impressione che nessuno dei presenti avesse mai ucciso né che fossero molto entusiasti all’idea di cominciare quel giorno. Erano strani, davvero strani, e anche molto magri da come le loro costole si vedevano sotto la pelle tirata: da quant’era che non mangiavano? Stava giusto per chiederlo, quando sentì una voce che sembrava chiamarlo: riconosciuto il tono, il fratello riusciva sempre ad avere una risonanza eccessiva in qualsiasi luogo si trovasse, e sollevato all’idea di non essere davvero più da solo, ma consapevole che era meglio che i suoi nuovi conoscenti non si scontrassero con gli altri tre, si affrettò a prendere commiato da quella comitiva.

“Mi stanno cercando: devo andare”

“Vai, vai, principino: di sicuro noi non ti tratteniamo” Banzai e Shenzi accennarono, quasi senza accorgersene, ad un cenno di saluto che l’altro ricambiò con riluttanza. Ed, da canto suo, non sembrava neanche essersi accorto che ci fosse qualcun altro con loro. Voltate loro le spalle e con la costante certezza di essere osservato, Taka si affrettò a raggiungere gli amici e non poté trattenere un sospiro di sollievo quando distinse i loro manti chiari intorno a tutto quel candore innaturale.

“Fratello!” Mufasa gli corse incontro, strofinando il muso contro la sua pelliccia in un atteggiamento che l’altro trovò estremamente eccessivo “Non ti trovavamo più: siamo scesi e ti abbiamo cercato a lungo! Dove diamine ti eri cacciato?”

“Sì, Taka: pensavamo ti fosse successo qualcosa!” la preoccupazione nell’intonazione di Sarabi fece inorgoglire ancora di più il cucciolo che, lanciato uno sguardo di sbieco dietro di sé e sollevato dal non vedere più le tre iene, rispose, evitando accuratamente di menzionare l’accaduto per uscire da lì il più in fretta possibile.

“Nulla di particolare: ho perso semplicemente la cognizione del tempo. Ve l’avevo detto che qui intorno era tutto uguale!”

“Avevi ragione, è assolutamente noioso: non c’è nulla a parte queste vecchie ossa… è stata solo una perdita di tempo.” Mufasa si voltò, seguito dalle altre due “Beh, dai, andiamo a casa”

Si incamminarono e, malgrado il leone dal manto scuro avesse tutte le ragioni per essere fiero di se stesso, le parole delle sue nuove conoscenze continuavano imperturbabili a vorticargli nel cervello.

                                                                  *******************

La serata trascorse in silenzio per Taka, anche troppo considerando quanto invece il fratello fosse eccitato per ciò che avevano fatto quel giorno: erano stati entrambi molto attenti a non dire nulla ai genitori, inventando una plausibilissima giornata passata a qualche passo di distanza dalla pozza d’acqua più vicina, ma nulla, neanche le occhiate complici che Mufasa continuava a rivolgergli, potevano distoglierlo da quello che l’avevano indotto a considerare le tre iene. Possibile che davvero Ahadi amasse il suo primogenito più di lui?

Fu la madre ad accorgersi per prima del comportamento insolito del figlio e ad avvicinarsi a lui, mentre già l’altro dormiva e il compagno era all’aperto, a guardare i Re del Passato e a riflettere sul destino del regno.

“C’è qualcosa che non va, Taka?” Al sentire il suo nome, il cucciolo avvertì un tremito in tutto il suo corpo: non riusciva a capire come non avesse potuto accorgersi prima di quanto male suonasse, di quanto sporco esso fosse. Come potevano averlo chiamato così pur volendogli bene?

Rimase qualche secondo in silenzio, non sapendo bene cosa fare o cosa dire, desiderando essere lasciato in pace e al contempo esigendo delle risposte: alla fine si decise a rispondere con un’altra domanda.

“Madre, tu e mio padre mi odiate per caso?” Lo shock negli occhi di Uru fu tale da fargli rimpiangere di aver anche solo aperto bocca e desiderò potersi rimangiare ciò che aveva appena detto, pur sentendosi in parte sollevato per essere riuscito ad esprimere quello che provava ad alta voce.

“Perché mai ti è venuta in mente una cosa simile?”

“Perché…” Era dannatamente difficile avere quella conversazione “Beh, per come avete chiamato me e mio fratello: “Rifiuto” e “Sovrano”. Ho forse fatto qualcosa da appena nato per meritarmi un’etimologia tanto misera?” Gli occhi della leonessa si riempirono di qualcosa che Taka non riusciva bene a comprendere, un misto di strana tristezza e rabbia che gli fece temere che ella si sarebbe adirata con lui; invece, davanti ai suoi occhi, fece un bel respiro e, dopo avergli dato una leccata, gli disse: 

“Credo che sia compito di tuo padre spiegarti la faccenda. Ora vado a chiamarlo, d’accordo?” Se c’era qualcuno per cui il piccolo provava assoluto rispetto e desiderio di emulazione, quello era Ahadi e l’idea che fosse lui a doverlo confrontare in quel momento lo rendeva alquanto nervoso: non avrebbe pensato che avesse davanti un debole, più di quanto sicuramente già credeva? Quando vide vicino a sé la figura severa del leone, il suo cuore mancò di un paio di battiti e le orecchie si abbassarono, aspettando quello che credeva sarebbe stato un castigo: rimase quindi sorpreso quando si sentì afferrare per la collottola delicatamente e poggiare sopra la schiena del genitore, che si sdraiò all’entrata della grotta.

“Sai, Taka” iniziò, con la sua voce profonda che aveva sempre fatto sentire i due fratelli protetti e al sicuro “quando sei nato io credevo che non saresti sopravvissuto. Nessuno lo credeva, tranne tua madre” Abbassò gli occhi, in un atteggiamento che, se il figlio non l’avesse conosciuto bene, avrebbe potuto dire quasi pieno di rimorso “Eri piccolo, indifeso, debole… così diverso da Mufasa: avevo paura di perderti da un momento all’altro e ho fatto uno sbaglio”

“Uno sbaglio? Tu?” credeva di averlo solo sussurrato, ma evidentemente non era stato così perché il padre sorrise e lo fissò negli occhi mentre si perdeva nella folta criniera nera che probabilmente anche lui avrebbe ereditato.

“Sì. Anche i re fanno errori, sai? Io ho commesso quello di tentare di non affezionarmi a te per timore di perderti: è per quello che ti ho assegnato il tuo nome, Taka, perché non volevo essere costretto a dire addio a qualcosa di prezioso quale eri tu” Strofinò leggermente il suo muso contro quello del piccolo “E quando ho finalmente capito che non saresti andato da nessuna parte, ormai era troppo tardi per rimediare. Ma di una cosa devi assolutamente essere certo e non dimenticarla mai: tua madre ed io ti amiamo, figlio mio, non dovrai mai, nella tua vita, pensare il contrario.”

Sentire quelle parole fu come sollevare un enorme macigno dal cuore del leoncino, che ringraziò il padre con un filo di voce e, non sapendo bene come comportarsi, non essendo mai stato bravo con le manifestazioni di affetto, rimase nella stessa posizione fino a quando il sonno non lo vinse: mai nella giornata come in quel momento, si sentì così lontano dalle parole di quelle tre iene.














Monologhi interiori dell'autrice: Questo, devo ammetterlo, è uno dei miei capitoli preferiti (al contrario del precedente, che mi convinceva abbastanza poco), perché mostra un momento su cui ho fantasticato a lungo: l'incontro fra Scar (ancora Taka) e le tre iene. Spero come al solito di aver reso giustizia ai personaggi e di non averli stereotipati troppo, per questo motivo, altrettanto come al solito, vi invito a lasciare un feedback positivo o negativo che sia, tanto per sapere.
Rinnovo anche la sfida a capire cosa abbiano in comune i titoli, sperando che adesso sia un po' più chiaro!
Ci si risente fra due settimane,
L_A_B_SH
   
 
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