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Autore: Lettere sussurrate    10/06/2017    0 recensioni
Una modesta raccolta di piccole storie improntate sullo stile creepypasta.
Se dovete passare la notte in bianco per studiare ed i caffè non bastano a tenervi svegli, siete nel
posto giusto.
Ne aggiungerò una nuova ogni qualvolta che avrò voglia di dedicarmi a questa categoria.
Genere: Dark, Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Il signore e la signora Hood passano gran parte delle loro giornate standosene chiusi in casa a fare chissà cosa, probabilmente a guardare TV e svolgere le poche attività ricreative che l'età avanzata non gli ha ancora precluso. Una partita di carte, la lettura di un libro del dopoguerra...
insomma, i classici cliché che ci si aspetta da una coppia di pensionati.

Avendoli come vicini di casa ho la possibilità di vederli, affacciato alla finestra della mia camera, mentre vivono la ripetizione del loro quotidiano.
  Sono due adorabili vecchietti dall'aria gentile e il sorriso sempre disponibile, incorniciati da un alone di angelica innocenza senile.
Nonostante la longevità delle loro vite e gli impedimenti che il generale Tempo ha portato con sé, i due simpatici nonnini non sono mai crucciati o sgarbati: al contrario, i loro modi di fare suggeriscono la completa serenità dell'animo.
Se esistono persone dotate di una pazienza ed una bontà fuori dal comune, quelle sono certamente il signore e la signora Hood.
 Dubitare della loro trasparenza sembra quasi assurdo dopo una simile premessa, eppure ho motivo di farlo.
 Non ho intenzione di arrivare a conclusioni affrettate o fare congetture di natura abominevole sul come ed il perché di ciò che ho visto nella semioscurità della scorsa notte, voglio solo limitarmi a descrivere la realtà dei fatti con il freddo punto di vista di un osservatore che ha finito per guardare “quando non doveva.”
Come già detto, i signori Hood passano gran parte della giornata standosene entro i confini delle loro quattro mura, quasi restii a mettere il naso fuori.
 Non si allontanano mai oltre il curato giardino che anticipa l'ingresso della loro abitazione, se non per fare la spesa o svolgere questioni di ordinaria urgenza domestica.
Sembra assurdo che un ragazzo di diciannove anni faccia caso alle abitudini di una coppia di ultrasettantenni (per certi versi anche abbastanza fraintendibile) ma la mia attenzione nei loro riguardi è dovuta all'isolamento del quartiere di periferia in cui vivo: un luogo lontano dalla vita di città, scarsamente abitato, dimora del tedio più penetrante.

Il signor Hood si prende cura delle aiuole e i vivaci fiori di campo dalle quattro alle cinque del pomeriggio, con una frequenza tanto maniacale da avermi permesso di memorizzare la frazione oraria. Sua moglie canticchia Oh Pretty Woman mentre si dondola sulla seggiola sotto l'esiguo portico, un sorriso angelico le incornicia il volto rugoso mentre fissa suo marito con lo sguardo appassionato di una giovane sposa in luna di miele.
Di tanto in tanto, uno dei due coniugi rivolge un occhiata alla finestra della mia casa che affaccia al loro giardino.
« Ciao, Eddie! » mi fanno loro, agitando un braccio.
Ho sempre ricambiato con un sorriso di cortesia, lo feci anche quel pomeriggio.
Non era successo nulla che evadeva dal ciclico ordinario della coppia, tutto regolare come lo era sempre stato.
Scoccarono le cinque ed i due anziani rincasarono, come sempre.
Io mi dedicai all'enorme mole di studio a cui ero soggetto durante l'ultimo semestre di liceo, con la pazienza di un adolescente prossimo alle vacanze estive.
 Scoccarono le sei, il volume del televisore in casa Hood era altissimo come sempre.
Il resto della giornata trascorse con la caparbia serenità di un fiume: cenai e, giunta la mezzanotte, dopo aver terminato di vedere un paio di episodi della mia serie televisiva preferita, mi misi a letto.
 Anche le luci dei vicini erano spente da un pezzo.
Fuori regnava un silenzio assordante, interrotto saltuariamente dal passaggio di qualche automobile. Stanco dalla routine del giorno e cullato dal torpore del silenzio, mi addormentai quasi subito.

L'orrore cominciò due ore dopo, nel cuore della notte.
Inizialmente fui svegliato dal sussurro di una voce femminile che proveniva dall'esterno, risposta da un mormorio confuso, ovattato.
Poi mi resi conto del motivo ultimo che aveva interrotto i miei sogni, un fascio di luce bianca che spazzava via la tenebra e filtrava nella mia camera dal riverbero della finestra chiusa.
 Il bagliore lattiginoso squarciava ogni mio tentativo di ignorare la realtà esterna per tornare nella quiete della dimensione onirica. Era un monito... un richiamo ancestrale che mi pulsava nel cervello. Non potevo ignorarlo, non volevo ignorarlo.
 Mi sentii attirato come un moscerino che ronza alla luce di una lampada.
 Scivolai silenziosamente dal letto e spiai con circospezione alla finestra, per capire quale fosse la causa della mia veglia.
Fu quando allargai la fessura della tapparella, che credetti di trovarmi nella grottesca follia di un incubo ad occhi aperti.
Inginocchiati in un fascio di luce conica che proveniva dall'alto, il signore e la signora Hood sguazzavano in un mare di sangue e viscere. Le loro bocche rugose affondavano nel torace squarciato di un bambino ancora vivo. Gli occhi sbarrati della vittima erano pregni di terrore e dolore, mentre le sue urla soffocate cercavano di dipanarsi oltre il nastro adesivo che gli occultava le labbra.
I due gentili vecchietti emettevano un gorgoglio sommesso e bestiale, immersi nel crudo disgusto del loro pasto. Le mani scavavano e cercavano d soddisfare il cruento appetito con pezzi di carne più grossi dei precedenti, in un sottofondo di suoni viscerali che lasciava poco spazio all'immaginazione.
Potevo vedere solo la schiena dell'anziana, mentre l'altro coniuge... era diverso da ogni essere umano. I suoi occhi erano scuri e insondabili come l'abisso di un fondale, più grandi della norma. Anche la fronte spaziosa era irregolare. Sporgeva in un indescrivibile protuberanza conica, una sorta di corno di carne.
Non riuscii a guardare a lungo.
Assorbito dalla perversione e la pazzia della scena che si propinava dinanzi all'incredulità dei miei occhi, arretrai di pochi passi.
Mi mancava l'aria e sentivo le lacrime che mi pizzicavano agli occhi.
Ero sul punto di urlare in preda alla paura e l'angoscia, quando entrambi gli anziani si voltarono verso la finestra.
Si voltarono verso di me.
Anche il fascio che li illuminava si spostò con la stessa facilità di una torcia che punta a un insetto, spargendo la macabra luce argentata in ogni angolo della stanza.
Poi ricordo pochi dettagli.
Ricordo un suono profondo e indescrivibile che ruggì dal cielo ottenebrato, una sorta di corno ciclopico che echeggiava lungo oceani di tenebra senza padroni.
Fui assorbito da un buio fatto di luce e delirio.
E nulla più.


Come ho precedentemente detto, e ci tengo a ribadirlo una seconda volta, la seguente storia è solo una breve sintesi dell'esperienza notturna.
 Non ho intenzione di portarvi a credere che gli eventi che ho vissuto siano qualcosa di realmente accaduto, poiché non è difficile credere che può essersi trattato dell'incubo di una nottataccia partorito dalla mente suscettibile di un diciannovenne.
Ma da un po' a questa parte ho contratto un mal di testa che non stenta a lasciarmi in pace. Le visioni malate dei miei vicini che sguazzano fra le membra ed il sangue continuano a perseguitarmi, di giorno e di notte, come le sferzate di un eterno castigatore che vuole ridurmi a un ammasso di carne senza coscienza.
La mia mente è come un palloncino che si gonfia. Come se fosse diventato il grembo materno di una schifosa oscenità che cresce dentro di me. Sento grattare sulla superficie interna della mia fronte.
Forse sono io il folle, ma le pulsazioni alla testa e l'orrore dei ricordi non sono l'unica conseguenza a farmi credere che c'è qualcosa che non va.

Quando fisso mia madre...
...una fame insopportabile mi logora da dentro.

   
 
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