Fanfic su artisti musicali > Take That
Segui la storia  |       
Autore: FairLady    10/06/2017    0 recensioni
Una persona può cambiare totalmente per un'altra? Può annullarsi per un'altra?
Questa è la storia di Mark e Marta, gentilmente concessomi da Ohra_W, e del percorso che, in qualche anno, li porterà a capire cosa realmente vogliono e di cosa hanno veramente bisogno.
Dal primo capitolo:
"E, a un tratto, quella donna si era trasformata nella sua ossessione personale. Era possibile che fossero stati sufficienti cinque minuti, in cui, per altro, non era successo assolutamente nulla di anche solo lontanamente rilevante, per farlo impazzire? "
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mark Owen, Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Erano passate alcune ore da quando Mark aveva lasciato il suo appartamento.
Non si era fermato molto, giusto il tempo di sfogarsi – con un tè, qualche coccola – di tutti i giorni passati a litigare con Emma.
Marta aveva percepito spesso, fra le sue parole, una vaga confusione. Sì, lui le aveva detto che voleva risolvere la questione, voleva separarsi e, un giorno – sperava non troppo lontano – poter vivere la loro storia d’amore alla luce del sole, fino in fondo. Allora perché continuava a sentire nello stomaco quel nodo, quel peso, come un’incudine che non sarebbe mai riuscita a levarsi veramente di dosso?
Continuava a ripetersi, come una vecchia poesia imparata alle elementari, le ultime parole che Mark aveva pronunciato prima di chiudersi la porta alle spalle e tornare a casa sua.
“Sapere che tu ci sarai è il salvagente che mi tiene a galla. Sapere che mi ami, nonostante quello che ti ho fatto in questi anni, l’ancora che mi salverà.”
Le aveva parlato senza sfiorarla, era già sulla porta pronto ad andarsene; lei lo aveva fissato come un cieco che vede il blu dell’oceano per la prima volta. E lui aveva annullato nuovamente la distanza tra loro, per stringerla in un abbraccio che sentì arrivarle dritto nelle ossa.
“Non lo so, proprio non me lo spiego, come fai a guardarmi con quello sguardo innamorato dopo averti fatto a pezzi il cuore in modi che nemmeno credevo possibili. Non ti merito, e lo sappiamo entrambi, ma spero comunque che continuerai a desiderarmi, per sempre, con le mie mille, umane imperfezioni.”
E lei sapeva che sarebbe stato proprio così perché, nonostante quelle imperfezioni, quei continui tira e molla, le debolezze, le violenze psicologiche che si erano inferti in passato, lei avrebbe continuato a volerlo per il resto dei suoi giorni. Se anche, per qualche inspiegabile motivo, fosse mai riuscita ad andare avanti senza di lui, la sua vita sarebbe stata come un’enorme imbarcazione perennemente alla deriva. Non avrebbe mai trovato terra e sarebbe morta senza mai vivere davvero. 
 
Marta si ritrovò a letto, ormai a tarda notte, senza riuscire a ricordare nemmeno come ci fosse arrivata. Sapeva di aver mangiato qualcosa, perché in bocca aveva un retrogusto di spezie piccanti – forse aveva riscaldato le ali di pollo del giorno prima; si era sicuramente fatta la doccia, perché i suoi capelli profumavano di shampoo – quello stesso shampoo che anche Mark adorava.
Era chiusa in una bolla, fluttuava nell’incoscienza di ciò che sarebbe stato. Il suo cervello aveva così tanto a lungo bollito, afflitto da mille ansie e paure moltiplicate per altre mille che ormai aveva dato forfait. Non ce la faceva più, e quell’intorpidimento arrivava più come un sollievo che come una tortura.
Decise che qualsiasi cosa fosse successa, l’avrebbe lasciata al domani. E crollò in un sonno senza sogni, per la prima volta dopo tanto tempo.
 
Quando la mattina dopo aprì gli occhi si sentì stranamente rilassata – non era abituata a riposare bene – e quella sensazione non l’abbandonò per tutto il giorno.
Era uscita di casa molto presto per andare a fare colazione da Gale, ché solo per raggiungere il quartiere in cui abitava ci volevano tre quarti d’ora. Da quando Mark era ricomparso nella sua vita anche loro due si vedevano sempre più spesso, forse perché avevano vissuto insieme quel prima con Mark, che – un po’ per la novità, un po’ per l’emozione di un amore appena nato, pieno di speranze e illusioni – l’aveva fatta sentire così felice.
E così disperata.
«Ciao tesoro», Marta sfiorò una guancia di Gale con la propria, non appena quest’ultima le ebbe aperto la porta, e le piazzò in mano un sacchetto di Starbucks. «Ecco la parola d’ordine – sentenziò lasciandosi cadere paciosamente sul divano – Carboidrati!»
Era un sacchetto esageratamente grande per contenere solo una colazione per due, ma sapeva che Gale aveva smesso di farsi domande da un bel po’ quando si trattava di lei.
«Hai deciso di lasciarti uccidere dai grassi saturi o è una delle nuove diete delle star che trovi su People Magazine?»
Marta le sorrise e si rese conto che, finalmente, non si trattava più di un sorriso finto o di circostanza. La cosa non sfuggì alla sua amica, come certamente non era passato inosservato il modo rilassato in cui sedeva. Si sentiva morbida, riscaldata da un sentimento familiare ma senza nome. Era tantissimo tempo che non si sentiva così, e quella mattina finalmente qualcosa si era smosso.
«Marta, sei sicura di stare bene?», Gale la fissava con uno sguardo strano, tra il seriamente preoccupato e la presa in giro. «Ho come l’impressione che tu abbia iniziato ad assumere sostanze poco ortodosse, non è vero?»
Si avvicinò a Marta e finse di analizzarle le pupille. «Marijuana? Oppiacei? Benzodiazepine?»
Gale rise e con un veloce gesto di polso le spinse la testa indietro; Marta si lasciò cadere sul divano, sdraiandosi.
«Niente di illegale, mi sono sbranata un muffin ai mirtilli nel tragitto da Starbucks a qui. Anzi, perché tu lo sappia, purtroppo ce n’era solo uno e sono stata così egoista da mangiarlo da sola.»
«Ok, dai, a parte gli scherzi, cosa c’è? Le tue occhiaie sono quasi scomparse e hai sorriso già tre volte nell’arco di dieci minuti. Profumi di bagnoschiuma, segno che ti sei lavata da meno di dodici ore, e hai mangiato un muffin intero, senza contare l’enorme quantità di cibo che c’è in quel sacchetto. A proposito – le chiese, dubbiosa - hai organizzato un breakfast party a casa mia?»
Marta si alzò dal divano, raggiunse il tavolo dove Gale aveva poggiato il sacchetto, ed estrasse un mini–donut ricoperto di glassa rosa e granelle di zucchero; lo mangiò in un boccone, finendo poi per leccarsi le dita una a una. Sorrise ancora, prima di impiastricciare la faccia dell’amica con le dita umide e appiccicaticce.
«Dai, smettila, schifosa, e raccontami che diavolo è successo di così importante da essere quasi riuscita a tornare in un qualche stato di grazia ultraterrena.»
«Ieri sera Mark è stato da me.»
«Eh – Gale la fissò per qualche istante, prima di inarcare pericolosamente il suo sopracciglio potente, meglio conosciuto come dov’è la fregatura o io te l’avevo detto - quindi? Mi farai morire nell’attesa o ti decidi a raccontarmi qualcosa di più?»
 
Marta raccontò all’amica tutto ciò che era successo, senza quasi mai prendere respiro, con un trasporto e una passione che persino lei stessa non avrebbe creduto di poter provare ancora. Rivivere ad alta voce ciò che si erano detti, raccontare quell’ologramma di futuro che sperava di poter finalmente veder materializzato presto, le confermò – come se ce ne fosse stato bisogno – che amava Mark più di qualunque altra cosa al mondo. Non importava quanto ancora ci sarebbe voluto, fosse anche successo da anziani, rattrappiti e gobbi, avrebbe aspettato.
Lo avrebbe aspettato sempre.
 
***
 
Mentre Marta riversava su Gale ogni sua più piccola speranza, ogni suo più minuscolo desiderio, dall’altra parte della città Mark era ancora alle prese con una Emma furibonda.
Lo aveva beccato e ormai a lui non restavano armi per difendersi – in realtà, non ne aveva mai avute, perché stronzo lo era stato, eccome.
Erano arrivati al punto in cui lui taceva e lei urlava, accompagnandosi con il lancio furioso di qualsiasi oggetto le capitasse a tiro. Fortunatamente per Mark, non aveva mai avuto un’ottima mira.
Dopo l’ennesimo piatto rotto e la millesima frase di ricatto del tipo “Quando potrai rivedere di nuovo i tuoi figli forse si saranno già laureati”, Mark non si sentiva più il corpo, non percepiva quasi nemmeno più il battito del suo cuore.
C’era poco che potesse dire o fare, sentiva nel petto la stessa sensazione che si prova quando si sogna di precipitare. Stava precipitando, solo che non era un sogno. Era tutto vero. Ormai aveva toccato il fondo e da lì poteva solo risalire.
C’era un unico posto in cui, in quel momento, sarebbe potuto andare. In verità, ce n’erano due, ma non poteva certo correre ancora da Marta. Non in quello stato: l’avrebbe fatta soffrire, si sarebbe sentita in colpa per una cosa di cui non ne aveva mai avuta nessuna. Per cui, a capo chino e senza dire altro, uscì di nuovo da quella casa lasciando Emma ancora una volta sola.
Non appena ebbe raggiunto il cancello e l’ebbe chiuso, sentì nel profondo che quella sarebbe stata l’ultima.
 
***
 
Gary stava riposando nella sua camera d’albergo a Londra. Stava ricaricando le energie per il successivo show all’O2, con della musica rilassante nelle orecchie. Stava quasi per addormentarsi quando all’improvviso sentì dei colpi alla porta, vigorosi, urgenti. Gli prese quasi il panico: chi poteva bussare a quel modo? Cos’era successo?
Non gli servirono risposte quando aprì la porta. Mark, capelli scarmigliati, occhi gonfi di chi non conosce riposo, di chi non sa cosa voglia dire serenità.
«Cosa diavolo è successo, Mark?»
Come una furia, l’amico iniziò a farfugliare, agitarsi, pronunciare frasi monche senza senso.
«Mi ha, lei mi ha visto. Lei sa… i bambini. È finita… non c’è soluzione. Il fondo, Gaz… sono arrivato…», lacrime e altre parole a caso.
Gary per la prima si sentì impotente.
Non aveva capito niente di quello che era capitato al suo amico, ma sicuramente il suo aspetto e la sua agitazione non facevano presagire nulla di buono.
Non era in grado di calmarlo, almeno non da solo.
Mark continuava a piangere e l’unica cosa che gli venne in mente di fare fu prendere il telefono e chiamare la persona che, in tutti quegli anni, era riuscito a capire Mark come nessun altro.
 
I've been waiting for the storm 
To surrender my soul 
Bathe me in your holy water and lay me down 
 
 
 

Note dell'Autrice

E niente, per chi ancora c'è, sono tornata dopo parecchio.
Mi dispiace di aver diradato tanto gli aggiornamenti e, soprattutto, di aver diradato tanto il tempo che dedico alla scrittura. 
Vorrei averne di più, o dedicargliene di più, ma attraverso spesso dei momenti in cui mi convinco di non essere più tanto capace, e questo mi toglie la voglia di farlo.
Qualcuno mi ha detto di scrivere, sempre e comunque, e che in questo modo la voglia e quindi la sparuta autostima che credevo di possedere tornerà con essa. 
Forse ci proverò, ma non prometto niente. :3
Spero che i pochi di voi ancora lì fuori, mi facciano sapere cosa pensando di questo capitolo.
Ringrazio la mia beta, Chara, che mi ha aiutato a controllare questo scatafascio di parole.
A presto,
Fair ♥


 

 
 
 
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Take That / Vai alla pagina dell'autore: FairLady