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Autore: SheDark    10/06/2017    0 recensioni
Tratto dal testo:
"Luke e Calum, divenuti miei amici per buffe coincide, erano diversi come il giorno e la notte e, proprio come il giorno e la notte che non potevano esistere se non senza l'altro, la mia vita mi era parsa vuota e non potevo più immaginare di poter stare in assenza della loro amicizia.
Volevo bene ad entrambi ma sapevo che avrei dovuto fare una scelta: Luke, il biondo che mi era piaciuto dalla prima volta che l'avevo visto e la cui misteriosità mi intrigava, o Calum, il moro capace di farmi ridere come nessun altro e che si era catapultato nella mia vita rendendola più spensierata?
Sarebbe stato estremamente difficile scegliere... buio o luce?"
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Seconda storia della serie 5 Stuff Of Season (5SOS)
Genere: Comico, Generale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Calum Hood, Luke Hemmings, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie '5 Stuff Of Season (5SOS)'
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Mi stiracchiai sbadigliando portandomi successivamente una mano sulla fronte massaggiandomela mentre un fastidioso mal di testa mi tamburellava le tempie, i ricordi della sera prima erano confusi e non riuscivo a ricordare quando e come fossi tornata a casa dalla festa. A quanto pareva l'alcool faceva dei brutti scherzi, e diedi la colpa al fatto che avessi esagerato non essendo nemmeno abituata a bere.
Sollevai la testa dolorante e con gli occhi ancora appannati dal sonno mi guardai intorno rendendomi subito conto che effettivamente non ero in casa mia.
Cercai di non andare nel panico e, dopo essermi stropicciata le palpebre con il dorso delle mani,  mi sforzai di rimettere a posto le idee: ricordavo di essermi addormentata sullo sdraio in giardino eppure mi ero svegliata su un comodo letto in una camera che non avevo idea di chi fosse. Ma allora come diavolo ci ero finita li?
In quel momento un ragazzo della mia età si affacciò sulla porta, aveva una faccia conosciuta a cui però non riuscivo ad associare nessun nome. Il viso dalla carnagione olivastra era squadrato, gli occhi avevano una forma allungata e i capelli neri ricadevano sulla fronte poco sopra le sopracciglia spesse, sulle labbra carnose si formò un sorriso.
«Buongiorno principessa! Credevo non ti svegliassi più.» disse con voce  leggermente nasale.
Non ero pienamente sicura di conoscerlo e inoltre non avevo idea di dove fossi, così presi la prima cosa che mi trovai vicino e mi alzai per affrontarlo coraggiosamente.
«Non so se ridere di più per la tua faccia o per quella.» disse indicando la mia mano.
La sua risata era inebriante, ma io rimasi seria indispettendomi: come si permetteva di ridermi così in faccia?
Seguii comunque il suo sguardo e mi scappò mezza imprecazione dato che gli stavo puntando contro una ciabatta rosa in peluche: di certo non era un'ottima arma.
Le guance mi si accesero di rabbia e imbarazzo, «Ti avverto: ho una ciabatta e non ho paura di usarla!» Ok, ammetto che detta così non era tanto convincente. Mi resi conto che ora non era l'unico a ridacchiare, la situazione stava diventando davvero imbarazzante e non sapevo come tirarmene fuori.
Gli ordinai di smettere di ridere e quando non diede segni di finirla gli tirai addosso la pantofola, o almeno quello era il mio intento, ma non avevo mai avuto una buona mira e quindi volò fuori dalla porta senza nemmeno sfiorarlo.
«Credo che tu mi abbia mancato.» mi fece notare reprimendo un'altra risata, io alzai gli occhi al cielo infastidita dalla sua spiritosaggine. «Comunque quella ciabatta non è mia, ma di mia sorella... anzi la dovresti ringraziare.»
«Cosa, la ciabatta?»
«Ma no. Credevo che avessi solo i postumi di una sbornia, non che avessi pure sbattuto la testa.» scherzò ricevendo una mia occhiataccia in risposta, «Intendevo mia sorella Mali-koa: ti ha lasciato dormire nella sua stanza.»
«Grazie. Senti, ma tu chi sei?» mi dispiaceva chiederglielo ma non riuscivo proprio a ricordare il suo nome.
«Continuo a pensare che tu abbia preso una botta in testa.» rise porgendomi la mano «Piacere, di nuovo, Calum Hood.»
«Ah già.» Gli strinsi la mano mentre i ricordi frammentati della sera prima iniziavano a riaffiorare nella mente.
«Hai il sonno pesante eh, ... e russi anche un po’, lo sai?»
«Io non russo!» Battei i piedi a terra alterata, subito dopo mi massaggiai una tempia lamentandomi del dolore martellante che non voleva attenuarsi.
«Tutto bene?» si preoccupò.
«No, ho un mal di testa terribile. Mi sento come se un tir mi fosse passato sopra.» mi lamentai. Dopo quella serata avrei ripudiato l'alcool fino alla fine dei miei giorni.
«Aspetta qui.» uscì dalla stanza. Si ripresentò pochi minuti dopo con un bicchiere e un'aspirina, «Ecco, tieni.» disse porgendomeli.
«Grazie.»
Lo sguardo del ragazzo si accigliò quando guardò l'ora sul display del cellulare che aveva in mano. «Si sta facendo tardi: io devo andare, tu fa pure come se fossi a casa tua. Se hai fame in cucina ci dovrebbero essere dei biscotti, cercali, e nel frigo del latte. Ti lascio dei soldi per il taxi sul tavolino dell'entrata così puoi tornare a casa.» Fece per andarsene e poi tornò a guardami con i grandi occhi scuri, «Ah, hai ricevuto un po' di chiamate: ti conviene poi controllare di chi erano,» indicò la mia borsa posata ai piedi del letto, «e magari prima di uscire lavati la faccia.» disse sorridendo facendomi l'occhiolino, «Buona giornata, e arrivederci Principessa!»
Appena sentii la porta d'entrata chiudersi recuperai il telefonino dalla mia borsetta e accesi lo schermo per esaminarlo: ventitré chiamate senza risposta, non mi era mai capitato!  Inoltre non ero mai stata fuori casa tanto a lungo senza neanche avvisare: questa volta l’avevo fatta davvero grossa e sapevo che non me la sarei cavata solo con una semplice ramanzina, mi avrebbero messo in castigo per un'eternità. Feci per comporre il numero di casa, ma lo schermo si spense: il cellulare mi aveva abbandonato. Ovvio, ogni volta che ne avevo bisogno quello aveva la batteria scarica.
Recuperai le scarpe alte che avevo indossato alla festa, e che mi erano state tolte quando mi avevano messo a letto,  riponendole nella borsa ringraziando di essermi portata in più le mie comode Sneakers. Dato che ormai ero in estremo ritardo decisi di andare in cerca del bagno, appena mi guardai allo specchio capii cosa intendeva Calum: quando mi ero sfregata gli occhi avevo sparso il trucco per tutto la faccia, in quelle condizioni potevo fare concorrenza ad un panda. Mi rinfrescai il viso con acqua tiepida e con molta pazienza iniziai a struccarmi.
Quando ebbi finito scesi le scale notando che il piano inferiore, sebbene fosse stato ripulito dai bicchieri di plastica ed altri rifiuti, era ancora reduce della festa della sera prima. Ascoltando il mio stomaco che aveva iniziato a lamentarsi mi recai in cucina: il lavello era stracolmo di stoviglie sporche e sul tavolo trovai un bicchiere quasi vuoto di spremuta e una grossa tazza posati sopra ad una lurida tovaglietta di plastica macchiata da quello che sembrava caffellatte; inutile dire che mi passò la fame all’istante.
Controllai di non aver dimenticato nulla e mi diressi all'entrata, proprio come aveva detto, Calum mi aveva lasciato dei soldi sul tavolino accanto la porta. Non avevo bisogno di prendere un taxi potendo tranquillamente andare a casa a piedi, durante quei venti minuti di tragitto avrei potuto anche pensare ad una scusa credibile da recitare ai miei genitori. 
Presi il quadernino che mi portavo sempre appresso (non era propriamente un diario, ci riportavo solo i miei pensieri) e sull'ultima pagina vuota scrissi velocemente dei ringraziamenti per l'ospitalità, lo strappai malamente posandolo accanto ai soldi. Uscii dalla casa preparandomi mentalmente all'imminente sfuriata di mio padre.
 

* * *
 

Quando arrivai a casa non trovai nessuno, probabilmente i miei genitori erano già andati al lavoro e mi ritenni fortunata sperando che non si fossero accorti della mia assenza. Mi tolsi l'abito color blu notte che indossavo ancora e andai in bagno; il flusso di acqua calda che mi scivolava sulle spalle era un toccasana ed uscii dalla doccia sentendomi rinata, mi sciolsi i capelli che avevo fatto attenzione a non bagnare e li ravvivai. Ripensai alla festa: avevo passato una bella serata, mi ero divertita con i miei amici ed avevo conosciuto gente nuova, mi dispiaceva solo non essere riuscita a rimanere da sola con Hemmings, ma pensai che ci sarebbero state sicuramente altre occasioni.
Tornai in camera a controllare il cellulare che avevo messo precedentemente in carica, oltre alle varie chiamate dei miei genitori c'erano un paio anche da parte di Samantha. Chiamai la mia amica.
«Sophie! Fortunatamente stai bene, mi hai fatto prendere uno spavento:» rispose subito la ragazza, «ieri notte mi hanno chiamato i tuoi genitori chiedendomi perché non eri ancora tornata a casa, erano preoccupatissimi. Per tranquillizzarli gli ho detto che ti eri fermata a dormire da me dato che era tardi. Ma che fine avevi fatto?»
Tirai un sospiro di sollievo, «Grazie mille Sam.» fortunatamente mi aveva coperto, se i miei avessero saputo la verità non mi avrebbero più fatto andare a nessuna festa, «Mi sono addormentata e Hood mi ha ospitato da lui fino ad ora, sono arrivata a casa adesso.»
«E Luke, non doveva portarti a casa lui?»
«Già, ma credo non abbia voluto svegliarmi.»
«Adesso mi sente quel ragazzo.» commentò alterata Samantha.
«Non serve, tranquilla. Come sta invece Michael?» cambiai discorso.
«Più o meno, ha l'influenza. È per questo che è stato male, non aveva bevuto abbastanza per stare in quelle condizioni.»
«Povero, salutamelo e auguragli buona guarigione.»
«Sarò fatto. Ah Sophie, quando hai tempo per quelle foto da sviluppare?»
Ah già: il progetto di fotografia, me n'ero quasi dimenticata.
«Anche oggi, se ci sei.»
«Sì, certo. Grazie!»
Guardai l'ora notando che non era nemmeno mezzogiorno. «Figurati, ti aspetto per le due?»
«Va bene, a più tardi allora.»
«A più tardi.»
Chiusi la chiamata e notai che avevo ricevuto un messaggio da parte di un numero sconosciuto, accigliata lo aprii per leggerlo.

[ Ehi sono Luke.
 Scusami se ti ho lasciato da Calum, ma dormivi così bene che mi dispiaceva svegliarti,
spero solo di non averti messo nei casini con i tuoi genitori. ]

Mi sorpresi che Hemmings avesse il mio numero ma immaginai che glielo avesse dato Samantha, mi fece piacere che mi avesse scritto. Salvai il nuovo contatto e gli risposi, mentre un sorriso da ebete si disegnava sulla mia faccia.

[ Ehi Luke, tranquillo... anzi grazie per avermi invitato alla festa. ]

Pochi secondi dopo il cellulare suonò in risposta ad un altro messaggio ed il mio sorriso si allargò ancor di più.

[ Figurati, spero non ti sia annoiata troppo.
 Ma sei ancora da Calum? ]

[ Ma va, mi sono divertita un sacco!
No no, sono arrivata a casa mia adesso. ]

Io e Luke continuammo a scambiarci messaggi per un po', commentando la festa. Non potevo essere più felice di così: finalmente il ragazzo che mi piaceva sembrava iniziasse ad accorgersi di me, e senza che io avessi fatto qualcosa di particolare.
Luke mi salutò dicendo che doveva andare a mangiare e che ci saremmo sentiti più tardi, appena posai il telefono lo stomaco iniziò a brontolare ricordandomi che non avevo ancora mangiato nulla dalla sera prima. Scesi in cucina ma prima che decidessi con che cosa pranzare fui travolta dall'abbaiare di Snow e Peggy, anche loro affamati, riempii le ciotole ai cani e poi mi accinsi a preparare una frittata per me. 
 

* * *
 

Samantha arrivò alle due e un quarto, si scusò del ritardo dicendo che aveva dovuto mettere a dormire i bambini, su due piedi la guardai stranita ricordando che aveva un solo fratellino più piccolo, e mi misi a ridere quando specificò che il secondo era Michael.  L'accompagnai nella camera oscura che mio padre aveva ricavato in un angolo del garage, Sam si era stupita che io avessi quelle apparecchiature e così le spiegai che mio padre aveva un negozio di fotografia ed a volte capitava che dovesse portarsi il lavoro a casa.
Lasciammo a riposare i negativi che avevamo appena sviluppato e salimmo in camera mia. Su richiesta di Samantha le mostrai il mo progetto che era quasi finito: su un cartellone bianco avevo applicato venti foto disposte a spirare e tra gli spazi vuoti avevo iniziato a scrivere alcune delle descrizioni, per queste ultime avevo deciso di utilizzare le frasi di alcune delle mie canzoni preferite per rendere il lavoro più originale.
Samantha passò in rassegna le fotografie: la maggior parte raffiguravano me insieme ai miei genitori o ad Adam, in altre i soggetti protagonisti erano i miei cani, mentre alcune ritraevano solo dei paesaggi che mi ricordavano qualcosa di speciale.
«Sophie sono davvero bellissime!» si complimentò la mia amica, poi ne indicò alcune in particolare: «Questa due sono stupende.»
«Sono le mie preferite.» ammisi con un sorriso.
Le fotografie in questione risalivano entrambe a circa sei anni prima ed erano state scattate in spiaggia al tramonto. Mi riportavano alla mente momenti felici con la mia famiglia.
«Chi le ha scattate?»
«Questa mio padre.» dissi indicando prima la foto dove io e mia cugina giocavamo a spingerci nell'acqua bassa, alle nostre spalle il sole calava sul mare piatto colorando il cielo con sfumature rossastre. Spostai poi il dito sull'altra in cui si vedeva un uomo di spalle con in mano una grossa macchina fotografica, nel primo piano della stessa foto c'erano, seduti sulle stuoie, mia madre e i miei zii intenti a chiacchierare; «Quest'altra invece l'ha fatta il fratello minore di mio padre.» lui era l'unico della famiglia che mancava nell'immagine, non gli era mia piaciuto comparire nelle foto.
Il timer che avevo impostato sul cellulare squillò richiamando la mia attenzione: i negativi delle foto di Samantha dovevano essere pronti. Scendemmo entrambe alla camera oscura in garage a controllare ed a finire il nostro operato.

 

* * *
 

La mia amica si fermò fino a poco prima di cena, mi ringraziò per il mio aiuto e ci demmo l'appuntamento a scuola per il lunedì. Appena chiusi la porta di casa il cellulare vibrò ad avviso di un messaggio così lo estrassi dalla tasca dei pantaloni e sorrisi quando lessi il nome del destinatario: Luke, proprio come promesso, mi aveva scritto, e io non potei che esserne immensamente felice.
La mia felicità durò poco poiché i miei genitori tornarono dal lavoro ed io ricordai solo in quel momento che con molta probabilità avrei dovuto subire una lunga tirata d'orecchi, feci un respiro profondo preparandomi e sperando di sbagliarmi.
Inutile dire che mio padre mi fece una bella sfuriata, mettendomi in punizione a seduta stante: per le due settimane successive non avrei potuto uscire né vedere i miei amici e tanto meno utilizzare il computer e il telefono, quest'ultimi me li confiscarono per essere più sicuri. Sapevo che avevano tutte le ragioni del mondo per essere arrabbiati, dopotutto li avevevo fatti stare in pensiero, ma avevo sperato che fossero più magnanimi. Proprio ora che Luke Hemmenigs aveva iniziato di sua spontanea volontà a scrivermi io non avrei più potuto rispondergli per due lunghe settimane: era davvero ingiusto!


 

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ANGOLO  AUTRICE

Ed ecco il quarto capitolo, mi piacerebbe sapere come state trovando la FF, fatemelo sapere con una recensioncina!
Al prossimo aggiornamento, che sarà il 30 Giugno (mi dispiace non poterlo fare prima, ma sono a corto di tempo... mi scuso immensamente).
Grazie di cuore a chi sta leggendo, a presto!

   
 
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