Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Himenoshirotsuki    10/06/2017    5 recensioni
[Seguito di "Fuoco nelle Tenebre"] [La stori è un pausa un mesetto, ma non sospesa. Finisco Fighting Fire e riprendo ad aggiornare!]
Dopo gli ultimi eventi, il destino di Esperya sembra ancora più incerto. Lyssandra muove i fili da dietro le quinte, Mirya e i bambini sono rintanati ad Alabastria, mentre Ledah è stato catturato. Sembra che il ritorno di Aesir e della sua era dell'oscurità sia inevitabile, ma c'è ancora qualcuno che si oppone, qualcuno che ha pagato un prezzo di sangue per diventare ciò che è. Con un nuovo corpo e un solo anno a disposizione, Airis dovrà adempiere al suo compito di Guardiano affinchè i drow e il dio dell'oscurità non facciano di nuovo piombare Esperya in un caos di morte e distruzione.
Battaglia dopo battaglia, incontro dopo incontro, in un lungo viaggio attraverso lande desolate e città e regni meravigliosi, Airis scoprirà così i dettagli di una macchinazione destinata a cambiare le sorti del mondo, ma, soprattutto, la verità sul suo passato, una verità che potrebbe distruggerla.
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Guardiani'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Fuoco 2

11

Auspici

La città era avvolta da una nebbia così densa che la regina Eliria, nonostante fosse ormai abituata a quella presenza invadente, ne rimase comunque stupita. Osservò Alabastria, la sua Alabastria, da dietro la finestra del Castello di Ferro, la lunga tunica di lino e pizzo a cingerle il corpo e i capelli rossi sciolti sulla schiena.
Quel candido vello bianco conferiva alla città un'aura quasi onirica, le riportava alla mente le storie sulle fate e i folletti che la sua balia le raccontava quando era bambina. Prima di andare a dormire, quando lei e le sue sorelle erano le uniche ancora sveglie, Gwill rimboccava loro le coperte, prendeva il “vecchio libro rosso” – così lo chiamavano per via del colore della copertina e perché non aveva un titolo – e cominciava a leggere le gesta di Oberon e dalla sua amata Titania contro i figli di Aesir e la loro tragica storia d'amore. Ora la sua voce era quella stentorea del principe che risollevava il morale delle truppe prima della battaglia, ora si abbassava e, sibilando, evocava il viso della strega Mangiaossa quando persuadeva la fata ad accettare la mela avvelenata; poi ancora declinava dolcemente in un'inflessione delicata da soprano mentre recitava le ultime parole di Titania prima di cadere nel suo sonno eterno. Era la parte che Eliria amava e odiava di più: doveva sempre reprimere le lacrime, nonostante la descrizione della bellissima città di Asiria, che la vecchia Gwill tratteggiava con una precisione tale che più volte Eliria e le sue sorelle si domandarono se non l'avesse vista davvero, perché tutte quelle informazioni nel libro non c'erano.
Ecco, in quel momento Alabastria somigliava più che mai alla città fatata: abbracciata da un lenzuolo di nebbia che sfocava i contorni delle cose, sembrava il prodotto della fantasia di un bardo in estasi compositiva, con la neve che si era depositata sui bassi tetti e sui rami degli alberi disegnando arabeschi contorti e candidi, simili alla tempera che si usava per ritoccare i dettagli più insignificanti dei quadri.
Eliria sospirò e poggiò i polpastrelli contro il vetro freddo della finestra. Il tempo sembrava impazzito nelle ultime settimane: un giorno spirava il profumato vento primaverile e quello successivo l'inverno ghermiva la terra nella sua gelido abbraccio. Di quel passo, avrebbe fatto impazzire non solo i contadini, ma anche la sua servitù, che ogni volta doveva cambiarle i vestiti del guardaroba. Non che fosse un disturbo, dato che molte delle domestiche amavano poterla abbigliare come una bambola.
Intrecciò le braccia sul petto e si strinse nelle spalle quando percepì delle mani calde e ruvide adagiarsi sui suoi fianchi.
- Cosa ti turba, geba? Se hai freddo, dico a Merara e Raessa di portarti altre coperte. -
- No, sto bene, ho solo fatto un brutto sogno. Nulla di che. -
- A me non sembra, stai tremando. -
Quelle stesse mani la girarono con delicatezza e gli occhi azzurri di Eliria incontrarono quelli carbone di Balor. Le trecce, quelle che lei aveva insistito per fargli, ricadevano disordinate sul petto nudo, setosi nastri neri che si sfilacciavano in ciocche sempre più piccole e sottili. Amava infilarci le dita quando facevano l'amore, tirarle e stringerle nei momenti in cui il piacere raggiungeva il culmine e poi abbandonarcisi sopra, affinché il profumo di suo marito l'accompagnasse anche nel sonno. Quello, assieme al suo calore, riusciva a calmarla e permettevano a Uborh di traghettarla attraverso le acque impetuose dei sogni fino al mattino seguente, quando l'alba allungava le sue rosee dita sul mondo. Quella notte, tuttavia, non era stato sufficiente a conciliarle il riposo.
Eliria afferrò una ciocca e cominciò a giocherellarci, prendendo tempo. Balor la trasse a sé fino a ridurre lo spazio che separava il suo petto da quello di lei di solo qualche pollice. La regina sapeva che non le avrebbe fatto pressione per parlare, aveva imparato a conoscere e a rispettare i suoi silenzi. Egli avrebbe atteso finché non fosse stata lei ad aprirsi, anche se questo significava aspettare ore e, a volte, giorni. Almeno, così era di solito: adesso, nella stretta sui fianchi e nella tensione delle braccia, Eliria percepiva tutta l'apprensione che provava. Perché, ne era certa, Balor l'aveva sentita svegliarsi di soprassalto, l'aveva vista alzarsi dal letto madida di sudore e trascinarsi, tremante e scossa dai singhiozzi, fino alla finestra. Come tutte le volte che aveva un incubo, non era intervenuto, proprio come lei gli aveva fatto promettere, in attesa che si calmasse.
Appoggiò il viso sul suo torace e risalì sul suo collo per assaporare il profumo di mirra e lavanda ancora una volta, come se dovesse addormentarsi tra le sue braccia in quel momento. Le mani di Balor scivolarono sulle sue costole e l'avvicinarono ancora di più, per poi appoggiarsi sul pancione che sporgeva da sotto la camicia da notte, quasi volesse reclamare anche lui delle carezze.
- È la piccola peste che non ti fa dormire? - chiese e alzò la tunica il necessario per poter toccare il suo ventre, i baffi che celavano appena il sorriso sulle labbra, - Mia madre diceva che più scalciano, più saranno forti quando nasceranno. Non vedo l'ora di tenerlo in braccio e mostrargli quale madre meravigliosa ha fatto così tanto penare. Si pentirà di averti fatto passare tutte queste notti insonni, parola mia. -
Eliria si coprì la bocca per soffocare una risata e si lasciò condurre verso il letto, dove si sedette. Balor si inginocchiò ai suoi piedi e le baciò la pancia, proprio all'altezza dell'ombelico, dove la regina sentiva la testa del bambino, che scalciò di rimando.
- Vedi? Smania per venire al mondo. - mormorò l'uomo sorridendo.
- Sì... è già un guerriero. -
- Un guerriero indisciplinato, però. Appena sarà abbastanza grande, mi occuperò personalmente di metterlo in riga. Sconterà ogni singolo giorno che ti ha fatto dannare o ti ha portato via il sonno. -
La regina assentì piano e abbassò lo sguardo quando Balor si accomodò al suo fianco. Quella era la prima gravidanza che Gwynasiae le permetteva di portare avanti. Nei mesi precedenti, aveva sognato spesso di perdere il bambino, com'era successo per i precedenti. La sua più grande paura era sempre quella di svegliarsi con la sensazione vischiosa del sangue tra le cosce, la vita di suo figlio che si spandeva dolorosamente in rivoli rossi sulle lenzuola bianche. Ma il sogno che aveva fatto quella notte era diverso e metteva a nudo un'altra sua paura, ancora più recondita e radicata nel suo animo.
- Domani è necessario che tu vada al tempio? - bisbigliò, così piano che Balor dovette sforzarsi per capire.
- Il popolo deve vedere il suo sovrano, soprattutto ora che ho preso questa decisione. - rispose mesto, le mise una mano sulla spalla e le stampò un bacio sulla tempia, - Inoltre, domani devo discutere di alcune faccende importanti con mio fratello e Rekkr, non posso rimandare. -
- Ne sono consapevole, ma... ti prego, falli venire qui. Ho sognato uno stormo di corvi che volteggiava sul tempio e in lontananza ho udito il latrato dei cani. So che non credi in queste cose, ma se non lo vuoi fare per te stesso, fallo per me: questo è un presagio funesto, non mi sentirei tranquilla a saperti lì fuori. -
- Non sarò da solo, geba. Avrò una scorta armata a seguirmi. Non mi posso di certo far spaventare da quattro uccellacci, non ora che Wecilia Mallus ha preso il posto di Voren. Quella non aspetta altro che un passo falso per screditarmi. -
- La fama si può riguadagnare, la reputazione riabilitare, ma la vita no. Quando è perduta, lo resta per sempre. -
- Ho spie sparse in tutta la città e nessuna di loro mi ha mai riportato la voce di una possibile congiura ai miei danni. I Neriroccia e i Fiammaforgia non sono mai contenti, ma imporre ulteriori dazi sulle loro importazioni di ferro è stata una scelta obbligata. Per ora se ne stanno in silenzio quando sono presente e si limitano a borbottare solo tra di loro. La cosa importante è che non appoggiano nemmeno loro la nuova regina. Se anche fossero così intelligenti da non farsi scoprire dagli agenti di Hannarr, credi davvero che attenterebbero alla mia vita in un luogo sacro? Wecilia sarà anche una donna senza scrupoli, ma dubito si spingerebbe a tanto. -
Eliria annuì, eppure in cuor suo non si sentiva ancora tranquilla.
L'incoronazione della nuova regina era stata una delle feste più grandiose a cui avessero mai partecipato. Non avevano badato a spese e il banchetto si era protratto fino a sera inoltrata. Tutti gli invitati sembravano felici della loro nuova regnante e loro si erano ben guardati dal fare rimostranze, anche quando la regina era ben lontana, però Eliria aveva avvertito per tutta la sera un profondo senso di disagio. Gli occhi di Wecilia, sebbene finemente truccati, le facevano paura, le ricordavano quelli di un serpente, bellissimi e al tempo stesso mortali; sembravano seguirla ovunque e l'impressione di essere sempre osservata l'aveva angosciata per tutta la serata, insieme ad una terribile sensazione di estraneità. Quella era davvero la reggia di Voren che aveva visitato appena cinque anni prima, quando era convolata a nozze con Balor? Se lo era, allora perché non c'erano i visi noti e le persone amiche con le quali aveva legato durante il suo soggiorno? Se era vero ciò che diceva Rekkr, che la regina aveva fatto sostituire quasi tutte le guardie e la servitù del castello e che il nuovo Cavaliere dell'Aquila si era occupato personalmente di far sparire tutta la famiglia dell'amante del vecchio re, Eliria non era sicura di cosa Wecilia fosse capace, soprattutto ora che Balor le aveva negato il sostegno militare nella campagna contro gli elfi di Sheelwood.
- Se non vuoi sfilare con me domani, va bene. Nessuno te ne farà una colpa e il popolo capirà, ma io non posso esimermi. Sono il re, è mio dovere mostrarmi forte e impavido sia in pace che in guerra. -
Balor le accarezzò i riccioli ribelli e le alzò il mento, in modo da poterla guardare negli occhi. Dapprima Eliria oppose una leggera resistenza, poi il bisogno di essere rassicurata ebbe la meglio. Anche Balor era turbato, le rughe sulla fronte e agli angoli della bocca non facevano che sottolineare il suo stato d'animo, ma la regina sapeva che non l'avrebbe mai ammesso.
- Non c'è proprio possibilità di farti cambiare idea...? -
- No, non darò a quella serpe un pretesto per infangare la mia reputazione. Il mio bisnonno era ossessionato dall'idea di essere tradito e credeva a tutti i sogni che i suoi oracoli e maghi gli riferivano. A causa di questa paura, ha trascorso la sua intera esistenza barricato nel castello, delegando il compito di incontrare gli ambasciatori stranieri alla moglie e al suo consigliere. Senza nulla togliere a te e a Rekkr, ma non è questa la vita che io desidero. -
- Allora domani sarò con te. In quanto tua legittima consorte, non posso farti sfigurare di fronte al popolo. -
- Geba, davvero, se non te la senti Rekkr troverà una scusa convincente. Sei incinta di sette mesi, non è strano che... -
Eliria gli pose l'indice sulle labbra per zittirlo.
- Ho passato tutta la vita a nascondermi, prima dietro le gonne di mia madre, poi dietro la spada di mio padre e infine dietro il tuo scudo. È ora che anche mi dimostri una degna signora del Castello di Ferro. -
Balor rimase interdetto un momento. Quindi sorrise e l'abbracciò, facendola distendere sul materasso. Le ombre delle fiamme si proiettavano sul suo petto, diventando anch'esse parte del mosaico di tatuaggi sulle braccia, fino all'ombelico. Ognuno di essi era il ricordo di una battaglia, di un nemico abbattuto. Tutti tranne uno, una piccola luna circoscritta in un cerchio di stelle che richiamava il nome della sua amata, Eliria, “signora degli astri”.
- Dormi, domani sarà una lunga giornata. - le sussurrò, mordicchiandole l'orecchio.
- Mi prometti che farai attenzione? -
- Te lo prometto solo se anche tu mi prometti una cosa. -
- Che cosa? -
- Che se stanotte avrai un altro incubo, mi permetterai di abbracciarti. Non c'è niente di male a farsi consolare, tanto più se a farlo è il proprio marito. -
- Anche se si è la regina del Castello di Ferro? -
Balor le pizzicò la guancia e le sorrise complice: - Soprattutto se sei la regina del Castello di Ferro. Anzi, dovresti farlo più spesso, visto il nano che dorme nel tuo letto. -
Eliria non riuscì a trattenere una risata. L'inquietudine non aveva ancora abbandonato il suo cuore quando posò la testa sul cuscino, ma il calore di suo marito e la vicinanza del suo corpo seppellì ogni insicurezza sotto il velo dell'incoscienza.
 
*
 
Nella foresta di Noumenasse faceva freddo, molto più freddo di quanto Felther ricordasse. Chiuse la mano a pugno e sollevò la testa, incontrando uno stretto groviglio di rami, visione ormai divenuta familiare. Erano un intreccio fitto che schermava la luce della luna e degli astri, la respingeva come un ospite sgradito, preservando l'oscurità e la nebbia soffocante. Un tempo, gli aveva raccontato Saradreza, quel pezzo di terra era la dimora di folletti, silfidi e ninfe, ma poi la resistenza elfica aveva ceduto e gli umani erano riusciti a penetrare fin nel cuore della foresta e a uccidere il Padre. Era accaduto agli albori della guerra, uno dei tanti episodi che avevano inasprito i rapporti già tesi tra umani ed elfi.
Un batuffolo bianco, della consistenza del cotone, si infilò in una fessura tra i rami e si depositò sulla sua mano. Felther rientrò nella tenda e lo osservò mentre si scioglieva lentamente sul palmo, freddo quasi più dell'atmosfera che lo circondava. Kvothe gli aveva detto che era normale, per mantenere una temperatura costante avrebbe dovuto concentrarsi e far defluire il sangue dagli organi interni fino alla superficie più esterna della pelle, ma Felther non ci riusciva ancora. Per quel giorno non sarebbe stato necessario sembrare umano, però si ripromise comunque di impegnarsi di più per non rischiare di destare sospetti, come aveva raccomandato la regina.
- Generale, i preparativi sono ultimati. - disse Feliar entrando nella tenda e si mise in posizione marziale in attesa di ordini.
Indossava un'armatura elfica di un verde-giada traslucido, con gli spallacci, il pettorale, la panciera e la scarsella che si articolavano tra di loro con giunture argentate, quasi a costituire un'unica struttura, avvolgendo il guerriero come i petali di un fiore. Se il Cavaliere del Drago non avesse visto con i suoi stessi occhi quanto fosse resistente e flessibile, avrebbe bollato quell'armatura di cuoio come una gabbia da suicidio.
- Inreeniace quante pozioni ha prodotto? -
- Duemila, come avete ordinato. -
- Dille di farne almeno un altro centinaio. L'alba è ancora lontana, dovrebbe stare nei tempi. Poi manda a chiamare Saradreza e riferiscile che devo parlare urgentemente con lei. -
Il soldato annuì e uscì subito a passo di marcia. A Felther faceva uno strano effetto essere attorniato da tutti quei Drow. Era abituato a vederli nelle case dei nobili, servi e schiavi impiegati nei lavori più umili, con il collare che impediva loro di usare la magia bene in vista. Coloro che erano stati richiamati per la missione erano liberi, invece, guerrieri pronti a combattere e a morire per lui. Con sua grande sorpresa, aveva scoperto che essere a capo di quel piccolo contingente non era poi così diverso dal comandare un'ala dell'esercito umano. Quegli elfi dalla pelle nera come l'ebano e gli occhi più scuri della notte erano avvezzi a obbedire, disciplinati, si piegavano ai suoi ordini senza esitazione e combattevano con una ferocia gelida e controllata.
“Se avessero contato tra i nostri ranghi degli elementi così ligi al dovere, gli umani avrebbero già vinto la guerra da un pezzo.”
Ripensare a quando era umano gli faceva ancora male e quel dolore dell'anima risvegliava il bruciore della ferita sul petto. Quando si tolse la tunica, il suo sguardo venne calamitato dalla cicatrice che campeggiava poco sotto la clavicola. Lysandra gli aveva detto che la freccia che lo aveva trapassato gli aveva sfiorato il cuore, mezzo pollice più a sinistra e sarebbe morto sul colpo, senza possibilità di resurrezione.
Anche Airis ne aveva una simile, ma la sua cicatrice era stata lasciata da una lama. Si era domandato spesso come se la fosse procurata, da quando aveva scoperto che era come lui. Più cose apprendeva sul suo conto, più la curiosità cresceva, pretendendo altre informazioni, altra conoscenza che Felther non poteva fornirle: Airis era morta, portandosi nella tomba tutti i suoi segreti.
Sbatté le palpebre per scacciare il suo viso e i ricordi che, inevitabilmente, portava con sé. Memorie felici, vivide, passate, e proprio per questo troppo dolorose da sopportare. Ingoiò il groppo in gola e strinse le cinghie del pettorale, come se fosse sufficiente quel pezzo d'acciaio a proteggerlo dai demoni che portava nel cuore. O forse sperava che li contenesse, in modo che questi potessero pascersi delle sue carni senza che gli altri fossero spettatori di quell'agghiacciante banchetto.
- Generale, mi avete mandata a chiamare? -
- Sì, Saradreza, entra pure. -
La Drow fece il suo ingresso e si richiuse la tenda alle spalle. La lunga tunica le disegnava i fianchi, per poi riversarsi a terra in un tripudio di rune e simboli rossi, il cui significato Felther ignorava. I capelli, più rossi dei suoi occhi, erano raccolti in una treccia sulla nuca che ricadeva sul seno appena accennato, in un'acconciatura perfetta e ordinata come si confaceva alle maghe più potenti e rispettate di Seshamath.
- Hai novità? -
- Sono riuscita ad addomesticarne altri tre, come mi avevate richiesto. -
- E ora siamo a quota venti, correggimi se sbaglio. -
- È giusto, Generale. -
Felther saldò i bracciali e si assicurò che le cinghie delle manopole fossero ben salde. Avrebbe preferito avere anche le dita coperte, ma la finzione doveva essere perfetta.
- Per quello che riguarda la mia pozione? -
Saradreza sorrise e posò una piccola fiala sul tavolo. Felther ripose gli schinieri sul manichino e se la rigirò tra le mani. Il liquido all'interno era denso, simile all'olio.
“Diventerò il nemico che ho combattuto per anni.”
Quella considerazione aveva uno strano retrogusto e portava con sé una sensazione di estraneità che non sapeva come interpretare. Prima che potesse anche solo soffermarcisi però, l'apatia, quella stessa gelida apatia che lo investiva ogni volta che si interrogava sul perché di quella tattica, si impadronì di lui e della sua coscienza.
“ Non è mio compito farmi domande.”
- Con questa sembrerete un elfo a tutti gli effetti, nessuno vi potrà associare al famoso e irreprensibile Cavaliere del Drago. - ghignò Saradreza e si sedette sulla branda, gli occhi grandi accesi da una luce maliziosa, - Se mi permettete, però, le orecchie a punta e i capelli lunghi non vi donano. -
- È il tuo disprezzo a parlare. -
- Anche, ma solo un cieco potrebbe dire il contrario. A me piacete molto così come siete. - gli accarezzò la guancia, incatenando i loro sguardi mentre indugiava sul profilo delle sue labbra, - Dopo questa vittoria, spero abbiate un po' di tempo da dedicare alla vostra umile servitrice che tanto si prodiga per essere sempre bella e piacente ai vostri occhi. -
Il Cavaliere la lasciò fare, si concesse di perdersi in quelle iridi scarlatte e nella promessa taciuta della sua bocca, che tanto spesso aveva potuto assaporare. Saradreza era bella, come quasi tutte le Drow che aveva incontrato, ma era l'unica che avesse i capelli di un rosso naturale, una caratteristica più unica che rara che destava sempre stupore e invidia in tutte le sue sorelle. Ma agli occhi di Felther quella chioma fulva richiamava l'immagine di lei e la sua mente le sovrapponeva, modellando Saradreza fino a farla coincidere con Airis. C'erano notti in cui riusciva a distinguerle e a lasciare il suo ricordo fuori dalle lenzuola, altre in cui il bisogno di rivederla affogava nel fango ogni suo proposito di onestà e correttezza.
Si massaggiò la fronte con indice e medio, prima di allungare il braccio per riprendere gli schinieri.
- Non lo so, ultimamente la regina mi affida degli incarichi di vitale importanza e non posso permettermi distrazioni. Inoltre, non appena avremo terminato qui, dovrò recarmi di nuovo alla capitale per far visita a mia moglie e alla mia famiglia. -
Saradreza storse le labbra in una smorfia risentita. Si alzò, lisciandosi le invisibili pieghe della tunica, e si prodigò in un inchino ridicolmente plateale.
- Se mi è concesso, Generale, andrei a ultimare i preparativi. - proferì algida, il capo chino che non dissimulava l'irritazione nella voce.
Felther la congedò con un gesto della mano, senza distogliere la sua attenzione da quello che stava facendo. Saradreza era intelligente, la sua mente affascinante e da quando era tornato in vita gli era sempre stata accanto, ma non era lei, non lo capiva e mai avrebbe capito quanto fosse pesante il fardello che si portava sulle spalle. Ma adesso non importava, il dovere lo chiamava: era un Cavaliere del Drago, la sua fedeltà e l'onore di Sershet e della sua sovrana venivano prima di ogni altra cosa.
“I traditori meritano un solo destino.”
Si infilò l'elmo, prese la fiala dal tavolo e trasse un profondo respiro.
- Lunga vita alla regina. -
La stappò e ne bevve il contenuto, mentre nella sua mente si levava sempre più forte la voce che recitava il motto del suo ordine: obbedienza, potere, gloria.
 
*
 
La mattina seguente fu una lama di luce grigia a svegliare re Balor. Il nano aprì gli occhi, se li stropicciò e, prima che la voglia di girarsi dall'altra parte e godersi le grazie di sua moglie avesse il sopravvento, si alzò. Eliria dormiva ancora, con i riccioli rossi sparsi sul cuscino in una matassa ribelle. Rimase a osservarla inebetito finché la ragione non scacciò definitivamente il torpore del sonno.
Si avvicinò all'armadio e cominciò a rovistare in cerca degli indumenti che avrebbe dovuto indossare quel giorno. Avrebbe potuto chiamare la servitù, ma non voleva svegliare Eliria troppo presto e soprattutto desiderava rimanere da solo, senza nessun altro intorno se non l'ingombrante presenza di se stesso.
Le parole di sua moglie l'avevano turbato e, per quanto avesse provato a rasserenarla, lui era il primo a non sentirsi tranquillo. I cattivi auspici erano molti, si assommavano e gli pesavano sulla coscienza, senza che la ragione riuscisse a districarsi in quel guazzabuglio di segni o presunti tali. Tutto era cominciato quando aveva deciso di togliere il supporto militare alla regina e aveva ordinato di far ritirare le truppe, nonostante la chiara disapprovazione della sovrana e dei suoi sostenitori, che vedevano una fonte di guadagno nel perpetrare la guerra. Per quel che lo riguardava, Balor non ne voleva più sapere. Alabastria e il suo popolo erano stanchi di tutta quella devastazione, i mercanti avevano perso troppo per continuare a impegnare i loro fondi. Suo padre, Baltazar VI, non lo aveva capito e per questo nessuno lo aveva compianto quando era passato a miglior vita, ma lui non aveva intenzione di fare la sua stessa fine. Non c'era disonore più grande per un re che morire disprezzato dai propri sudditi e Balor desiderava essere ricordato per la sua indulgenza e capacità di discernimento, non solo per la sua forza e il suo coraggio.
Eppure, nonostante tutti i buoni propositi, non riusciva a rilassarsi. La sera in cui aveva dettato a Rekkr la missiva da consegnare alla regina, era apparsa nel cielo una cometa. La sua luce aveva illuminato la volta celeste per poco più di qualche istante, ma tutti gli uomini presenti alla riunione, tra cui il suo consigliere, suo cognato e i capi delle famiglie più influenti, avevano avuto tempo il vederla prima che il suo lucore si spegnesse al di là dell'orizzonte. Una settimana dopo, un corvo grosso quanto un falco si era posato sul davanzale della finestra e lo aveva fissato a lungo, incurante delle sue occhiatacce e dei tentativi di scacciarlo. Soltanto quando aveva sfoderato la spada l'uccello si era deciso a levare le tende, lasciandolo con l'impressione che quella bestiaccia maledetta fosse venuta lì con l'intento di spaventarlo, il suo sguardo era troppo intelligente per appartenere a un semplice animale. Anche in quel caso, si era sforzato di riderne, dandosi più volte del paranoico e del superstizioso, ma dentro di sé sentiva la viscere contrarsi.
Si morse le labbra e scosse la testa: non poteva lasciarsi condizionare da sciocchezze senza fondamento proprio in quel momento, doveva mostrarsi forte, sia per il suo popolo che per sua moglie.
- Geba, è ora. - la chiamò, accostandosi al letto, - Mando a chiamare le ancelle. -
- Sì... sì, ti ringrazio. - sbadigliò Eliria, mettendosi seduta.
Balor non riuscì a trattenere un sorriso: gli veniva spontaneo, lei aveva il potere di rischiarare anche le mattine più nere. Fece come aveva detto e andò ad aprire la porta della camera. Senonché, trovò Laecla e Mererka, vestite di tutto punto, proprio lì dietro, che non aspettavano altro che il risveglio dei sovrani. Si inchinarono rispettosamente e oltrepassarono la soglia, cominciando subito a lavorare. Il re le guardò colpito e si compiacque di tanta solerzia.
Prima che Eliria fosse completamente nuda, Balor uscì e si diresse direttamente in giardino. L'aria fredda del mattino gli sferzò le guance, fece turbinare le foglie ai suoi piedi e le spazzò via. Il nano ne seguì le acrobazie finché non scomparvero alla vista, poi intraprese una passeggiata priva di meta. Aveva bisogno di camminare e non pensare, come faceva quando doveva prendere una decisione difficile. Ad un tratto rammentò che avrebbe dovuto chiamare i suoi di attendenti per aiutarlo a mettersi l'armatura sotto i vestiti e farsi acconciare i capelli in modo rendersi presentabile, ma un altro soffio di vento portò via tutto, assieme alle foglie secche. Sospirò e osservò la sua dimora con espressione assorta, pur avendo la mente sgombra.
Il Castello di Ferro era la tipica fortezza nanica, imponente e sgraziata. Nel corso dei secoli i vari re avevano cercato di abbellirla, dopo la guerra del centesimo solstizio. Era stato un lavoro nel quale Baltazar VI si era prodigato a lungo e che Balor non poteva dimenticare. Suo padre aveva convocato gli architetti più famosi, per lo più gnomi e umani provenienti da Sershet, per modificare, addolcire e rimaneggiare quell'austero fortilizio con armoniosi porticati e facciate eleganti, in modo da scacciare la severità intrinseca di una roccaforte militare e, soprattutto, ammodernarla per non sfigurare durante le visite di messaggeri e importanti ospiti stranieri.
Da che Balor ricordava, Baltazar VI aveva perseguito il suo intento fino alla morte, lasciando dietro di sé una corte indebitata fino al collo e uno stuolo di concubine e figli illegittimi. Sua madre, la regina Rissa, aveva preso il comando della città e, con l'aiuto di Rekkr, era riuscita sia a riassorbire il debito che a rimpinguare le casse reali. Sicché, quando il trono era passato a Balor, lui non aveva dovuto preoccuparsi di nulla. Dopo aver consolidato il proprio potere, Balor aveva sposato Ysylla, la secondogenita dei Barbanera, una prestigiosa e potente famiglia di mercanti di spezie. Era stato un matrimonio regale, un'unione necessaria per riportare in auge una corte ancora povera. Non c'era amore tra loro, nessuno dei due lo aveva desiderato o cercato. Pochi anni dopo erano nate due bellissime figlie e, successivamente, Ysylla aveva dato alla luce anche un maschio, che Balor non aveva visto crescere perché Sejrel lo richiamò ai suoi doveri. La lettera che il messaggero gli recapitò diceva che doveva recarsi a difendere Edon e Mera assieme all'esercito regolare, poiché c'erano stati degli scontri violenti con gli elfi, ma Balor aveva letto il messaggio non scritto tra le righe: la guerra stava arrivando, e per quanto Sejrel avesse fatto di tutto per evitarlo, ormai erano arrivati a un punto di rottura. Pochi mesi dopo, il giovane monarca morì, assassinato dal suo più fidato amico, il consigliere Xerxas Ascrocell, e Voren II, il suo successore, aveva dichiarato guerra agli elfi. Durante quello stesso autunno, Ysylla aveva perso la vita dando alla luce un figlio morto. Balor non aveva potuto fare altro che scrivere ai familiari dal fronte e non aveva potuto visitare la tomba della moglie. Soltanto allora era potuto tornare a casa. Era già passato un anno e lui, di sua moglie, non ricordava altro se non lo sguardo triste di quando l'aveva salutata. Poi la vita era andata avanti, incurante delle perdite e del sangue versato. Aveva combattuto difendendo il nord e attaccando il sud, richiamando le truppe quando necessario e piegandosi a eseguire ordini che non condivideva.
Era stato durante l'inverno di cinque anni prima che aveva conosciuto Eliria. Non l'aveva mai notata e, se la solitudine non avesse acuito la sua capacità d'osservazione, sarebbe passato oltre senza soffermarsi. Era la terzogenita degli Spezzalancia, una famiglia che non era nobile, ma che si era conquistata una certa fama grazie all'audacia dei suoi membri, che annoveravano tra i loro ranghi guerrieri di grande spessore. Il padre di Eliria aveva da subito intuito l'interesse del re per sua figlia e l'aveva incoraggiata a frequentare di più la corte del Castello di Ferro. Anche se sapeva che non l'aveva fatto per bontà di cuore, Balor doveva ringraziarlo. Grazie a lui aveva avuto modo di conoscere Eliria, di apprezzarla e di innamorarsene nel breve tempo che avevano trascorso insieme prima che la guerra lo reclamasse. La sua anima era rifiorita in sua compagnia, e con essa era rinato anche l'amore per le cose belle, per l'arte, per la musica e la poesia. Per lei aveva richiesto che nei giardini, da tempo abbandonati alle cure disattente di due pigri giardinieri, fossero piantati tulipani, petunie, ellebori e astilbe, perché desiderava che Eliria avesse un luogo dove potersi sedere a leggere e ad ammirare lo spettacolo della natura in fiore durante le stagioni più miti.
Si chinò per inspirare il profumo di un laurotino e ne accarezzò le delicate corolle. Abbracciò con lo sguardo il centro del giardino, dove si innalzava una fontana raffigurante le due dee dell'amore, Ivmera ed Ehena, le dita intrecciate sopra le teste e le labbra vicine come se si stessero per baciare. Balor si avvicinò per poter osservare da vicino le pieghe del peplo e i capelli, scolpiti in modo che le ciocche delle due sorelle avvolgessero i loro corpi. Stette lì per un tempo che non seppe calcolare, ammaliato dalle loro forme e dalla bellezza dei loro visi, della posa aggraziata, delle labbra schiuse a sussurrare segreti al vento. Poi i pensieri cupi tornarono ad assalirlo e la magia si dissolse.
Non poteva permettersi di darla vinta ai dubbi. Quella guerra che tanto gli aveva portato via doveva finire. Se Wecilia e i suoi sostenitori volevano continuare, che chiedessero il sangue e il denaro degli altri alleati, perché da lui non avrebbero più visto nemmeno una moneta.
- Mio signore, mi dispiace disturbarvi, ma Rekkr mi ha mandato a ricordarvi che dovete indossare l'armatura prima di andare alla cerimonia. -
- Riferiscigli che sono adulto, non è necessario che mi faccia da balia. - rispose con un sorriso Balor al giovane nano che era venuto a cercarlo.
- Sì, mio signore. Mi manda inoltre a dirvi che il parrucchiere è nelle vostre stanze che vi attende. -
Il re levò gli occhi al cielo, esasperato. Quand'è che Rekkr avrebbe capito che i suoi novantadue anni non erano solo un numero da riportare nella sua biografia?
- Digli che arrivo. - rispose e si diresse verso la fortezza.
Il resto della mattinata procedette senza alcun intoppo, tra i preparativi per la sfilata verso il tempio. Balor si lasciò pettinare e abbigliare secondo i gusti del suo consigliere, che aveva scelto per l'occasione una tunica rossa, accompagnata dal pesante mantello foderato di pelliccia del precedente re, ricamato con fili d'oro e ornato di frange. Balor non lo apprezzava, lo trovava ingombrante ed eccessivo, ma l'annuncio che doveva fare richiedeva che si mostrasse vestito nel modo più maestoso possibile, quindi non obiettò. Anche a sua moglie era toccata una sorte simile, con la sola differenza che lei amava quegli abiti principeschi, sebbene le parve meno entusiasta del solito. Sebbene sorridesse, Balor la conosceva troppo bene per non intravedere l'angoscia celata dietro il trucco e la sua eterea bellezza.
Poco prima di avviarsi, mentre Rekkr e Hannarr davano disposizioni alla guardia armata, Balor avvertì l'impulso irrefrenabile di salutare ancora i suoi figli. Li fece scendere da cavallo e li abbracciò forte, sia le due ragazze, Soryan e Neall, che avevano ereditato i capelli neri di Ysylla, sia Thraed, che ormai lo superava di ben due pollici e splendeva nella sua armatura come Bofed, il campione del vecchio dio della guerra Gurhavat.
- Vi voglio bene, siete la cosa più importante per me. - sussurrò a tutti in un orecchio, in modo che solo loro potessero udirlo.
Dopo averli baciati incurante degli occhi indiscreti, sciolse l'abbraccio e montò sul suo stallone.
Il portone si aprì, ma nel momento in cui il sole sparì tra le nuvole, la terra tremò, facendo impennare i cavalli e innervosendo tutto il corteo. Rekkr gli lanciò l'ennesima occhiata di ammonimento, pregandolo tacitamente di seguire i suoi consigli e fare l'annuncio dalla fortezza, ma Balor scosse la testa e massaggiò la criniera dello stallone fino a quando non percepì più il peso dello sguardo dell'anziano consigliere sulla nuca.
“Non è niente, queste scosse non sono rare. E poi non posso più tornare indietro.”
- Mio signore.-
Eliria gli si accostò e gli sfiorò la mano con una carezza. Anche lei aveva paura, non serviva che parlasse perché anche lui condivideva i suoi stessi timori. Guardò la moglie, fiera e bellissima al suo fianco, che sembrava risplendere di luce propria nell'abito di porpora rossa e filigrana argentata che indossava. Lui non poteva essere da meno, non dopo il discorso della sera precedente.
- Avanziamo. - ordinò, impartendo il segnale.
Un tenue raggio di sole si insinuò in un varco tra le nuvole illuminando il loro passaggio. Balor si augurò che fosse di buon auspicio.

Angolo Autrice:

Hello folks!
Allora... ho messo il capitolo con due giorni d'anticipo visto che mi sentivo particolarmente magnanima... no, scherzo, mi è piaciuto moltissimo scriverlo, quindi non potevo non sottoporlo più presto del solito al vostro giudizio u.u Bon, non ho altro da dire se non, per chi non l'avesse vista, è uscita la OS su Melwen e Zefiro ( la trovate QUI) e... niente, spero che i feels siano tanti u.u QUI come al solito trovate la mia pagina per domande e imprecazioni XD Un bacione e grazie mille a tutti!
Hime

  
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Himenoshirotsuki