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Autore: Elison95    11/06/2017    1 recensioni
‘ 𝓅𝑒𝓇 𝓅𝓊𝓃𝒾𝓇𝑒 𝑔𝓁𝒾 𝓊𝑜𝓂𝒾𝓃𝒾 𝒹𝑒𝒾 𝓁𝑜𝓇𝑜 𝓅𝑒𝒸𝒸𝒶𝓉𝒾 𝒾𝓃𝒻𝒾𝓃𝒾𝓉𝒾
𝒹𝒾𝑜 𝓂𝒾 𝒽𝒶 𝒹𝒶𝓉𝑜 𝓆𝓊𝑒𝓈𝓉𝒶 𝓅𝑒𝓁𝓁𝑒 𝒸𝒽𝒾𝒶𝓇𝒶,
𝓆𝓊𝑒𝓈𝓉𝒾 𝓁𝓊𝓃𝑔𝒽𝒾 𝒸𝒶𝓅𝑒𝓁𝓁𝒾 𝓇𝒶𝓇𝒾
𝒸𝒽𝑒 𝑒𝓈𝓈𝑒𝓇𝑒 𝓊𝓂𝒶𝓃𝑜 𝓅𝑜𝓉𝓇𝑒𝒷𝒷𝑒 𝓅𝓊𝓃𝒾𝓇𝓂𝒾?
𝓂𝑒𝓏𝓏𝑜 𝓋𝑒𝓈𝓉𝒾𝓉𝒶 𝒹𝒾 𝓆𝓊𝑒𝓈𝓉𝒾 𝒸𝒶𝓅𝑒𝓁𝓁𝒾
𝒹𝒶𝓁 𝒸𝑜𝓁𝑜𝓇𝑒 𝓇𝑜𝓈𝓈𝑜 𝓅𝒶𝓁𝓁𝒾𝒹𝑜,
𝒹𝒶𝓁 𝓉𝑒𝓉𝓉𝑜 𝒹𝑒𝓁𝓁𝒶 𝓅𝒶𝑔𝑜𝒹𝒶 𝓋𝑒𝒹𝑜 𝒾 𝓅𝑒𝓉𝒶𝓁𝒾 𝒹𝑒𝒾 𝒸𝒾𝓁𝒾𝑒𝑔𝒾,
𝒸𝒶𝒹𝑜𝓃𝑜 𝓃𝑒𝓁 𝓋𝑒𝓃𝓉𝑜 𝒹𝒾 𝓅𝓇𝒾𝓂𝒶𝓋𝑒𝓇𝒶.
𝓈𝒸𝓇𝒾𝓋𝑒𝓇𝑜' 𝓁𝒶 𝓂𝒾𝒶 𝒸𝒶𝓃𝓏𝑜𝓃𝑒 𝓈𝓊𝓁𝓁𝑒 𝓁𝑜𝓇𝑜 𝒶𝓁𝒾.
𝒾𝓃𝑔𝒶𝓃𝓃𝑒𝓇𝑜' 𝒾 𝓋𝒾𝓋𝒾 𝑒 𝒹𝑒𝓈𝓉𝑒𝓇𝑜' 𝓈𝒸𝑜𝓂𝓅𝒾𝑔𝓁𝒾𝑜 𝓉𝓇𝒶 𝒾 𝓂𝑜𝓇𝓉𝒾.
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Scolastico, Sovrannaturale
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Act III ; Fox ears.

   «Di questo passo non arriveremo mai.» Sbottò Uriel guardando subito l’altro ragazzo, si lanciarono l’ennesimo sguardo d’intesa.
   «Cosa possiamo fare?» Domandai intontita. Nessuno dei due mi rispose, ma Marek mi si parò davanti e si inginocchiò quel tanto che bastava, voltandosi poi per fissarmi con espressione indecifrata.
   «Sali.» Sentenziò con un tono che non ammetteva repliche. Voleva portarmi in spalla, ma per quale motivo? Non obbiettai comunque e salii sentendo le mani fredde che mi reggevano le gambe. Avvinghiai le braccia al suo collo e distolsi il viso lievemente imbarazzata per la piega che aveva preso tutta la situazione in sé.
   «Ci vediamo tra… due minuti.» Sogghignò Uriel guardandoci, improvvisamente non lo vidi più. Sparì dai nostri occhi cominciando a correre talmente veloce che sembrava quasi volasse. Rimasi sbigottita e con le labbra socchiuse per la sorpresa.
   «Reggiti.» Fece Marek prima di partire. Non appena cominciò a muoversi mi resi conto di quanto anche la sua velocità fosse incredibilmente sorprendente, strinsi le braccia attorno a lui e nascosi il viso tra la nuca e la spalla, un po’ perché non riuscivo a sopportare tutto il vento che provocava spostarsi in quel modo ed un po’ perché ero troppo in imbarazzo. Il profumo di quel ragazzo in quel momento era ancora più palpabile ed inebriante. Qualcosa di unico e mai sentito, probabilmente non si trattava di colonia né di altre fragranze artificiali.
Le guance mi si colorarono di un consueto rosato che probabilmente faceva spiccare ancor più le lentiggini che odiavo, non ero in imbarazzo ma forse solo a disagio. Marek era freddo e sotto la sua pelle sembrava non pulsare nessun sangue, non riuscii a sentire nessun battito. Non aveva cuore? O forse la situazione mi giocava brutti scherzi? …Non appena mi mise giù tornai alla realtà, piegandomi momentaneamente su me stessa per l’improvviso conato che mi disgustava lo stomaco – era uno degli effetti collaterali dello spostarsi così velocemente, ma in modo ovvio loro ci erano abituati. Uriel era già lì che ci aspettava.
   «Sei lento come al solito, farfallina.» Fece riferendosi a Marek e rise appena. Io non ero in vena di ridere, mi accorsi solo qualche istante più tardi del buio che ci circondava in quel posto. Mi rizzai subito guardandomi attorno abbastanza spaventata, d’istinto mi avvicinai ai due trattenendo la manica della giacca di Uriel; ne scaturì un occhiata torva da entrambi i ragazzi. Le mie dita andarono a strattonarne il tessuto stringendolo appena.
   «L’avete sentito?» Domandai allarmata quando uno strano fruscio si levò tra i cespugli inquietanti di qualche passo più avanti a noi. Loro se ne accorsero qualche secondo più tardi e si pararono dinanzi a me facendo sì che potessi nascondermi dietro le loro schiene. «Dovremmo consegnare in fretta questa cosa ed andarcene all’istante…»
«Non vorrei allarmarti, ma hai mai sentito parlare di spettri?» Marek parlò a bassa voce, modulandone il tono in maniera tale forse da non farmi venire un infarto in quel momento. Uriel sospirò come seccato, anche se le loro espressioni rimanevano terribilmente serie, mi trascinarono con loro alla ricerca di quello stramaledetto guardiano che sembrava giocare a nascondino con noi. Fu proprio in quel momento che lo vedemmo, indietreggiai di qualche passo nonostante Marek mi tenesse il polso, ed era proprio impossibile liberarmici. Il mio viso era sconvolto, gli occhi pieni di terrore parlavano chiaro. Avevo paura.
«Cosa… cosa è quell’essere…?»
La figura completamente nera si fece spazio tre le erbacce secche, avanzava verso di noi e fu proprio allora che tutti e tre potemmo capire cosa ci stava davanti. Sembrava un essere umano, ma era chiaro che non lo fosse; aveva due bocche dai denti aguzzi e larghi tra di loro, i capelli sembravano le spire di un serpente. Non era molto alto, eppure bastò l’umidiccio attorno a quelle bocche larghe ad incutermi il giusto timore.
«Voi dovreste essere gli studenti di cui mi hanno parlato gli spiriti del bosco.» Parlò. Aveva una voce che sembrava non uscire dal suo corpo deforme, per un attimo infatti pensai che a parlare fosse stato qualcuno proprio dietro di me, ad un centimetro di distanza… ma voltandomi di scatto per lo spavento, constatai che non c’era proprio nessuno alle mie spalle. Dando un occhiata ai miei compagni mi accorsi che i loro denti si erano allungati e gli occhi di entrambi adesso fiammeggiavano in un rosso vivo; stranamente di loro non mi spaventai. Marek consegnò il pacco allo spettro del bosco ed indietreggiò poco dopo ritornando al fianco di Uriel.
   «Adesso possiamo andare?» Quest’ultimo sembrò controllare il suo solito tono irascibile, lo spettro storse i lineamenti già sfocati in un guizzo cattivo; “andate, ed attenti alla notte”, fu tutto ciò che disse prima di sparire nella coltre della sera.
I miei compagni rientrarono i canini e a me qualche brivido percorse la schiena; cercai di ignorarlo.
   «Mi rendo conto del perché la gente qui non ami le punizioni, siamo solo ai piedi della foresta, ma lì dentro…»
   «Uriel, torniamo.» Marek lo ammonì guardandolo di traverso, Uriel dal canto suo stette qualche secondo a soppesarlo, poi mi fece segno con la testa di seguirli per il ritorno in accademia.
Il ragazzo dagli occhi pece e la venatura dorata, mi prese in spalla proprio come all’andata, e circa un minuto dopo l’improvvisa luce ci stordì tutti e tre, ea qualcosa di incredibile, il tempo sembrava andare al contrario… se andando verso la foresta sembrava accelerare il processo notturno, tornando all’accademia gli ingranaggi partivano al rovescio inondando la radura di nuova luce. L’ultimo balzo di Marek ci portò a dieci metri dai cancelli d’ingresso, mi poggiò a terra facendomi segno di avanzare – Uriel intanto già si era incamminato qualche passo davanti a noi.
   «Almeno fino ai cancelli fingiamo di aver camminato.»
Borbottò la chioma corvina, proseguendo per conto suo.
 
Quella notte non riuscii proprio a dormire, continuavo a ripensare alle cose successe negli ultimi giorni, allo spettro agghiacciante che avevamo visto ai piedi della Caed Dhu e poi… non ero ancora riuscita a scoprire di che razza erano Marek ed Uriel; ormai avevo imparato che la parola “vampiro” non bastava a descrivere uno studente.
Sbuffai per l’ennesima volta, Dorothèe dormiva dall’altro lato della stanza con un sereno sorriso in volto ed i raggi del sole ormai oltrepassavano il tessuto delle tende lillà che la mia compagna aveva messo davanti la finestra, sorrisi di rimando mentre scendendo dal letto quasi non scivolai su un foglio abbandonato sul pavimento, raccogliendolo mi resi conto fossero le regole scolastiche che ancora non avevo preso la briga di leggere.
 
“Regolamento scolastico:
1: non rivelare la propria identità (né mostrare i propri poteri) agli umani.
2: Non oltrepassare i confini dell'accademia.
3: E' vietato l'uso delle proprie capacità all'interno dell'accademia, se non durante dimostrazioni e/o lezioni inerenti.
4: Non saltare le lezioni, a meno che non siano giustificate dal preside.
5: Rispettare il coprifuoco notturno. ( Si ricorda agli studenti che il controllo nelle camerate è prefisso per le 22:00 ).
6: Sono vietate le relazioni amorose tra gli studenti. 7: Qualsiasi creatura che abbia bisogno di sangue, o altro nutrimento derivato da esseri umani, dovrà procurarselo alla mensa.
8: E' previsto una volta al mese un campeggio che si terrà nella Caed Dhu - a rotazione per ogni classe, nessuno studente può sottrarsi senza ricevere penalità.
9: E' ASSOLUTAMENTE vietato introdursi nella Caed Dhu nei giorni comuni e senza permesso.
10: E' vietato disturbare le lezioni ed arrivare in ritardo ad ognuna di esse.
11: E' severamente proibito girovagare nell'ala est dell'accademia.
12: E' vietato agli studenti di sesso maschile girovagare nei dormitori femminili, e viceversa.”
 
Recitava così il foglio attaccato quasi in ogni angolo dell’accademia. Roteai gli occhi al cielo e lo abbandonai sul letto alzandomi di lì; chiamai Dorothèe per avvertirla ch’era ora di alzarsi mentre mi apprestavo ad indossare la divisa. Quell’azione che ormai ripetevo spesso mi faceva render conto d’essere diventata a tutti gli effetti un allieva della Saint Bàra. Eppure nonostante fossi parte integrante di quel mondo, mi sentivo sempre come il pezzo di un puzzle che non riusciva ad incastrarsi col disegno che lo circondava, ma che per disgrazia anzi aveva perso i pezzi perfetti per lui, per me.
Vidi Marek entrare in aula poco dopo il mio arrivo, aveva le solite cuffie alle orecchie ma io non ci avevo messo molto a capire che non ascoltava proprio nessun tipo di musica; probabilmente le teneva su solo per non esser disturbato da nessuno. Poco dopo arrivò anche il professore, ma di Uriel nessuna traccia, Dorothèe mi aveva detto che lui saltava spesso le lezioni scolastiche per “questioni di salute” anche se non seppe dirmi nello specifico di cosa si trattasse.
   «MAREK KOWALSKI!» La voce dell’insegnante tuonò all’interno dell’aula, cercando disperatamente di richiamare il mio compagno che si era appisolato sul banco. Marek sollevò il viso allargando appena le narici in un’espressione dallo sguardo apatico. «Pensi di essere in camera tua? Questa è una lezione, non vedi?»
Il mio compagno sorrise mesto grattandosi il mento e togliendo una cuffia.
   «Me ne dispiace, non volevo addormentarmi ma Eireen mi ha detto che solitamente le sue lezioni sono inutili e che potevo tranquillamente occupare il tempo dormendo.»
Il panico dilagò sul mio viso, ed invano cercai di giustificarmi in qualche modo. Una volta sbattuti fuori dall’aula, lo guardai da qualche passo di distanza, infuriata e delusa da non so cosa.
   «Sei uno stupido, un imbecille!» Sbottai, gli diedi istintivamente un calcio sullo stinco dimezzando completamente la distanza tra noi.
«Vuoi lottare con me, piccola volpe?» ghignò in modo malvagio e sembrò che il mio colpo non gli aveva sortito nessun effetto. In meno di un nano secondo Marek si avventò su di me bloccandomi per le spalle e sbattendomi contro il muro. Il tonfo che si sentì fece piombare il silenzio lungo tutto il corridoio. Poggiò le labbra tra il muro e l’incavo del mio collo, allungando i canini il giusto necessario perché ne sentissi la consistenza sulla carne.
   «Quando decidi di lottare con qualcuno, assicurati di poterne uscire vincitrice.» Sussurrò maligno, ritirò poi i denti lasciandomi andare come se mi ripudiasse, io dal mio canto non riuscii a catalogare una solo singola emozione che sentivo in quel momento e fu proprio allora che la mia schiena scivolò contro il muro lasciando che mi rannicchiassi a terra. Non ero imbarazzata ma anzi, avrei potuto morire per la paura che quell’idiota mi aveva provocato. Magari era proprio come nei film e sarei diventata un vampir-volpe o qualcosa del genere, il solo pensiero mi fece raggelare, non volevo bere il sangue di nessuno.
Il corridoio era deserto e dall’aula sembravano non aver sentito nulla o forse lo ignoravano semplicemente. Marek aveva gli occhi rossi, evitò in tutti i modi di incrociare i miei e si poggiò contro il muro a pochi passi da me.
   «Sei brava a sferrare calci, dovresti farlo per professione.»
Lo fulminai con gli occhi, mi sollevai da lì e a grandi passi lo raggiunsi, misi le mani contro le sue spalle e gli conficcai le unghie nella giacca anche se non erano di certo affilate ed in grado di lacerargli il tessuto. A stento trattenevo la rabbia.
Lo guardavo negli occhi nuovamente neri, tentai di mantenere lo stesso sguardo duro con tutta la buona volontà ma mi scappò una lacrima proprio nel momento meno opportuno e chissà poi per quale assurdo e sconcertante motivo.
   «Andate tutti al diavolo.» Bofonchiai stizzita, allontanandomi da lì; punizione o meno non m’importava molto. Mi sentii afferrare però il polso poco dopo, le dita di Marek erano così fredde da incutermi tristezza immediata.
   «Per ora andiamo a mangiare, ho fame.» Disse dopo qualche secondo passato a soppesarci e dove il silenzio aveva regnato sovrano, mi trascinò con sé verso la mensa e ogni qualvolta cercassi di liberarmi da lui, mi stringeva di più – capii che era tutto inutile e quando mi calmai intrecciò le sue dita alle mie. Il cuore si spostò dal petto alla gola, non ne fui certa ma in quel preciso istante avvertii un lieve sorriso sul suo viso.
   «Non puoi fare sempre come pare a te!» Sbottai stizzita, la mensa a quell’ora era completamente vuota.
   «Dicono che da sazi il mondo si veda con occhi diversi, pensa a tutta la carne che hai desiderato sino ad ora e mangia.»
Avevo sempre desiderato carne di lepre o capriolo, ma mentre pensavo a quello Marek recuperò dalla mensa un bicchiere contenente liquido rosso e una cannuccia; non faticai a capire che quello non era vino, evitai di pensare all’assurdità invece della cannuccia. Presi tuttavia la mia porzione di carne al sangue ed occupai un tavolo a caso, alla Saint Bàra la mensa era sempre aperta. Incredibile.
   «Vuoi provarlo? Se ne ingurgiti una sorsata farò qualcosa che vuoi particolarmente. Tranne morire, non ne sono in grado.» Fece sedendosi di rimpetto a me.
   «Non ci penso proprio, puzza da morire. »
   «Ci sono vampiri che per questa puzza perderebbero ogni traccia d’umanità.» I suoi occhi s’incupirono, temporeggiai per qualche istante, poi decisi di ignorare quella sensazione angosciante.
   «Fai questo perché speri che ti offra un po’ del mio coniglio forse?» Storsi il naso accentuando quello spruzzo di lentiggini, cercavo di non toglierti gli occhi di dosso come se lo stessi sfidando e nel mentre rendevo più noto il fatto di star sgranocchiando ossa di coniglio facendo un sonoro rumore con la lingua e fastidiosi schiocchi di labbra. Marek inarcò un sopracciglio e si sporse contro il tavolo verso di me, chiudendo gli occhi e respirando profondamente.
  «Tu hai un sapore decisamente più buono di questo coniglio, eppure non ti ho mai mangiata… perché dovrei assaggiare questo?» Piantò gli occhi adesso violacei sul mio viso, mantenendo un tono basso mentre un lento sorriso gli curvava le labbra. In quel momento arrossii per la prima volta davanti a lui, sentivo qualcosa di strano sulla mia testa e quando lo vidi alzare lo sguardo su di essa con espressione quasi assorta, mi toccai il capo sentendo la morbidezza di due orecchie… da vera volpe. Che diavolo stava accadendo? Bastava che m’imbarazzassi e spuntavano quelle cose da mostro? …L’osso che fino a poco prima stava tra i miei denti cadde nel piatto, di scatto andai a rintanarmi sotto il tavolo coprendomi quelle cose orripilanti.
   «Se mi guardi ti ammazzo!» Dissi stringendo gli occhi, era la temperatura sotto quel tavolo ad essere tanto elevata? …Osservai le gambe di Marek che non si mossero di un millimetro, allungai titubante la mano verso la sinistra e gli strinsi appena la stoffa dei pantaloni. «Sei serio quando dici di volermi mangiare?»
Con un movimento repentino liberò la gamba dalla mia presa e si abbassò accucciandosi insieme a me sotto il tavolo, mi afferrò il polso prima che potessi sfuggirgli. Vidi i suoi denti scoprirsi in un ghigno divertito.
   «Tu che dici? Secondo te voglio mangiarti sul serio? Avrei potuto farlo quando mi sei venuta addosso la prima volta, poi la seconda ed infine anche prima in corridoio. Potrei farlo anche ora pensandoci.» Si sporse verso di me aprendo la bocca quasi come se si stesse preparando a mordermi, io sobbalzai appena e lui si fermò invece esattamente ad un centimetro dal mio viso, soffiandoci sopra il suo alito freddo, quasi glaciale. «Ho deciso che per oggi sarai mia. Scommettiamo che entro la fine del mese sarai tu quella a seguirmi spontaneamente?»
 
Il suo tono basso e roco mi fece immobilizzare, la mano libera di Marek carezzò il mio orecchio che come turbato da una scossa elettricità si mosse appena, arrossii di nuovo. Mi sentii nuda davanti a quegli occhi dal colore sempre diverso e travolgente quanto malinconico.
Mancavano ventisei giorni alla fine di quel mese, ventisei giorni in cui un finale già incerto sarebbe divenuto impossibile.
   
 
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