Eccoci giunti alla fine di
questa travagliata storia... Mi scuso per gli aggiornamenti irregolari,
ma l'unversità mi ha tolto anche il tempo per respirare xD
Con questo capitolo si ritorna con il POV di Angelica: spero
apprezerete questa scelta ;)
Ho notato un calo nelle recensioni e vorrei capire se è
stato causato in u calo nella qualità della storia, dello
stile, o altro... vorrei solo saperlo ^^ le critiche sono ben accette
purchè costruttive :)
Spero che questa storia sia
piaciuta e che abbia fatto provare le stesse emozioni dei personaggi...
Detto questo,buona lettura ;)
EPILOGO
Il
vociare di Gerusalemme era ormai lieve
con il giungere del crepuscolo. Ero rimasta in Terra Santa
perché non avevo
alcuna possibilità di ritornare nella mia città
natale: con un bambino e senza
una fede al dito sarei stata l’argomento principale di
qualsiasi pettegolezzo.
Almeno
mi sarei potuta fingere una giovane Vedova.
Sì,
perché per me lui era morto.
Non
lo pensavo con dolore, ma con rassegnazione
e fermezza.
Aveva
deciso di abbandonarmi e lo avevo
accettato. La mia vita non era vuota e infelice come me la ero
immaginata: mio
figlio era la gioia di ogni giorno.
Guardai
il mio piccolino che dormiva
beato avvolto in calde coperte candide e non potei non notare la sempre
più
ovvia somiglianza con il padre. Gli accarezzai dolcemente una guancia
paffuta e
le immagini di quei giorni terribili tornarono a tormentarmi, vivide
come se stessero
ancora accadendo.
Qualche
giorno dopo la mia fuga si era
sparsa la voce della morte di De Sable e la prima volta nella mia vita
fui
felice per la morte di un uomo, se quel templare possa esser definito
tale.
Mi
sdraiai sul letto a fianco di quello
più minuto su cui dormiva Arad,
il
mio piccolo angelo. Ero davvero stanca: la donna cieca che mi aveva
accolto con
sé, Amani, mi faceva lavorare nel suo orto modesto in cui
coltivavamo ortaggi,
sia per noi che per il piccolo banchetto che ogni giorno occupavamo al
mercato.
La
pace era finalmente giunta con un accordo stipulato tra Re Riccardo e
il
Saladino.
Chiusi
gli occhi e neanche mi resi conto
di essermi addormentata, ma lo scricchiolio di una trave del pavimento
mi fece
destare e aprendo gli occhi potei scorgere una figura scura, troppo, troppo vicina a mio figlio.
Ormai
completamente sveglia, impugnai lo
stiletto che tenevo sempre sotto il cuscino e con una forza non mia, mi
abbattei sull'intruso: mi sedetti sul suo addome, con le ginocchia gli
bloccai
le braccia e gli appoggiai decisa la lama del coltello sulla gola,
immobilizzandolo.
Sentii
i suoi muscoli contrarsi e il
respiro accelerare lievemente, ma non quanto mi sarei aspettata.
Strano.
“Che
cosa vuoi!? Chi sei!?”
sibilai acida.
L'intruso
non rispose, ma il suo respiro
tornò regolare. Corrugai la fronte: pensava forse che una
donna non possa uccidere?
“Sono
io”.
Il
mio cuore perse un battito e per poco
non persi la presa sul pugnale. Lui tentò di sbloccare il
braccio destro dal
peso del mio ginocchio, ma aumentai la pressione della lama sul suo
collo e
sentii la sua pelle lacerarsi lievemente in una piccola linea rossa,
mentre
inspirò con forza.
Doveva
rimanere al suo posto.
“Sei…
diversa”.
Oh,
davvero?
“Un
vaso rotto e poi riparato non sarà
mai bello e spendente come in origine” ribattei cinerea.
Lui
rimase in silenzio, forse ripensando
a quanto avessi detto.
Mi
aveva spezzata.
“Allora?
Perché sei qui?” lo incalzai.
“Voglio
vivere… con voi. Ho
portato a termine il mio compito”.
Una
risata isterica sfuggì dalle mie
labbra fino a spegnersi in un lamento indistinto e agghiacciante.
“Hai
anche il coraggio di pensarlo?”.
In
un unico e fluido movimento mi
ritrovai in un battito di ciglia sotto di lui, con la lama ora rivolta
contro
la pelle delicata del mio collo.
Il
mio respiro era un singulto: mai aveva
usato le sue abilità per sovrastarmi.
“Credimi,
Angelica, se ti dico che avrei preferito morire piuttosto che
abbandonarvi… “.
Una
goccia calda e salata cadde sulle mie
labbra e mi resi conto che una sua lacrima era sfuggita dal suo
autocontrollo
di ferro.
Lentamente
allontanò la lama dalla mia
gola e con la stessa lentezza avvicinò il suo volto al mio.
Sapevo cosa sarebbe
successo dopo quei momenti il cui unico rumore erano i nostri respiri,
ma non
feci nulla per impedirlo.
Una
parte di me non voleva rispondere a
quel bacio, non voleva farsi sfuggire quei sospiri di piacere e non
voleva che toccassi
quel corpo che tanto mi era mancato.
Interruppi
quel bacio che sapeva di scuse
e dispiaceri e mi avvicinai a lui, più di quanto non lo
fossi già.
“Domani
mattina sarai ancora qui?”.
Sentii
le sue labbra sfiorarmi la fronte
“Sì… e sarà così
per molto, molto
tempo”.
Sorrisi
al suo petto accogliente e con il
cuore palpitante compresi che eravamo appena diventati una famiglia.
“Bentornato
a casa, amore mio”.