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Autore: Kia_1981    11/06/2017    1 recensioni
Seguito di "Un Invito Inaspettato".
Cosa è successo durante il pranzo di Natale a cui Julian è stato invitato? E Megan andrà con lui a pattinare o cambierà idea all'ultimo momento?
Dal testo:
Jane squadrò indispettita la cugina, poi esibì un sorriso calcolatore.
«Visto che sei tanto stanca, immagino non andrai all’appuntamento che avevi in programma con Julian, vero?» Domandò con voce suadente.
«Non ho un appuntamento con Lord», fu la secca precisazione in cui risuonava l’eco minacciosa di una rabbia tenuta faticosamente a freno. «E non uscirò. Ho intenzione di rimanere a casa a studiare.»
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Gabriel Stuart, Julian Lord, Megan Linnet, Nuovo personaggio, Sophia Blackmore
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'We're Simply Meant To Be'
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«Come preferite, Milady», concesse il ragazzo tranquillamente, prima di tornare a sedersi al posto che aveva occupato appena partiti. Nella carrozza cadde un pesante silenzio.
In principio Megan ne fu felice e decise di fingere di addormentarsi per evitare che Lord decidesse di rimettersi a parlare. Mentre si congratulava con se stessa per quello stratagemma, però, cominciò ad avvertire la sgradevole sensazione di essere osservata. Aprì un occhio ed ebbe immediatamente la conferma del suo sospetto: un paio di caldi occhi scuri la stavano studiando con attenzione. Le venne una gran voglia di insultarlo.
 
«Maledizione, Lord!», sbottò irritata. «Hai una vaga idea di quanto sia fastidioso essere fissati in quel modo mentre si dorme?»
 
Il giovane si passò una mano sul volto con un’espressione forzatamente seria; in realtà si capiva benissimo che stava facendo di tutto per non ridere.
«Mi dispiace, Milady», riuscì a dire dopo aver ripreso il controllo, «Non ne avevo idea. Non mi pare mi sia mai capitato di essere fissato mentre dormo.»
 
Quello che avrebbe voluto dirle era che, se fosse stata lei a fissarlo, sarebbe stato felicissimo di svegliarsi trovandosi davanti quegli occhi meravigliosi. L’avevano colpito fin dalla prima volta in cui aveva visto Megan: la notte di Ognissanti del suo primo anno, quando lui, Jordan e Sophia si erano visti rifilare una punizione esemplare per aver violato il coprifuoco imposto alle matricole, mettendo sé stessi in grave pericolo. Gli avevano sempre dato dell’illuso, eppure ora era lì, con lei, e non poteva fare a meno di pensare che, forse, la sua situazione era meno disperata di quanto potesse apparire. Certo, qualcuno avrebbe potuto obiettare che Megan non sembrava poi così felice di quella scampagnata, ma a Julian non importava.
 
«Siete proprio sicura di sentirvi bene? Perché altrimenti…»
 
«Un’alta parola, Lord», lo interruppe minacciosa «E, te lo giuro, sarai tu quello che non si sentirà bene. Io sto benissimo»
 
Inaspettatamente Julian si spostò accanto a lei. Megan si ritrasse, sentendosi in trappola.
 
«Ho l’impressione che non sia del tutto vero», insistette con gentilezza.
 
«Tieni le distanze, Lord», gli intimò seccamente.
 
Obbedendo senza protestare, il ragazzo tornò al suo posto. Si voltò verso il finestrino, fingendo di guardare il paesaggio mentre, in realtà, poteva spiare le reazioni di Megan nel riflesso del vetro.
 
«La mia intenzione era di regalarvi una giornata di svago. Qualche ora di libertà dagli impegni dello studio, del lavoro… e dalla vostra famiglia. Avete bisogno di riposarvi, non negatelo».
Ripensò a come era crollata addormentata appoggiandosi alla sua spalla durante la Messa di Natale. Sospirò.
 
«Se preferite, poco più avanti, c’è una locanda: potete passare la giornata lì»
 
Megan era più che sorpresa, era sicura di avere frainteso. Fece quasi fatica a formulare la domanda che aveva in mente.
 
«Non credo di aver capito. Stai dicendo che mi lasceresti lì da sola?»
 
«Dubito che vorreste la mia compagnia», le rispose girandosi per guardarla sfacciatamente negli occhi. «Tornerei a prendervi all’ora che preferite».
 
«E tu? Cosa farai?» Non che le importasse, ma la domanda le uscì spontanea occhieggiando la sacca in cui erano riposte due paia di pattini.
 
Julian scrollò le spalle
 
«Andrò a pattinare da solo, immagino»
 
Lo sbuffo sonoro di Megan espresse con chiarezza il suo scetticismo: di sicuro quel ragazzo aveva un piano di riserva, nel caso lei avesse deciso di non seguirlo. Era più che certa che non avrebbe passato la giornata “da solo”…
 
«Milady, vorrei solo vedervi più tranquilla e rilassata. Se questo significa, per me, dover rinunciare alla vostra compagnia, non ha importanza», ammise parlando con trasporto. Più di quanto avesse voluto, sicuramente più di quanto fosse opportuno.
Megan si sentì a disagio per quel tono. Per un istante si rese conto che il fatto il giovane fosse sempre meno presente, la destabilizzava. Lo vedeva raramente intrufolarsi alle sue lezioni, e ancor più raramente lo trovava ad aspettarla fuori dall’ospedale alla fine dei suoi turni. Chissà cosa stava combinando.
 
«Verrò a pattinare con te ma, ti prego, risparmiami questi atteggiamenti da martire».
 
«Ma  certo, vedo che preferite essere voi ad interpretare quel ruolo», le disse amaramente.
Julian chiuse gli occhi: non era riuscito ad impedirsi di pronunciare quelle parole e se ne era pentito prima ancora di finire di parlare. Era stato uno stupido a farle capire che voleva solo farla stare bene, ed era stato ancora più stupido a rovinare tutto con la sua ultima, infelice uscita. Aveva firmato la propria condanna, senza dubbio. Si sentiva perfino peggio di quando l’aveva quasi baciata.
 
Megan era impallidita quindi era diventata paonazza per la rabbia. Aveva inspirato a fondo più volte per cercare di calmarsi: come si era permesso di essere tanto irrispettoso? Come aveva potuto farle un’osservazione del genere? Il suo affronto era di una gravità inaudita. La cosa che più le dava fastidio, però, era il dover ammettere con se stessa che Julian, in fondo, non aveva avuto tutti i torti nel rivolgerle quel rimprovero.
 
«Per il vostro bene, Onorabile Julian», gli comunicò con freddezza, «fingerò che non abbiate mai pronunciato quell’insulto che vi è appena rotolato fuori di bocca»
 
«Vi ringrazio, Milady e vi chiedo umilmente perdono», era sinceramente dispiaciuto e si augurava che Megan se ne rendesse conto. Non gli era sfuggito il distacco con cui gli si era rivolta, reso ancora più evidente dai termini formali che aveva scelto per esprimersi.
 
«Non sarò altrettanto indulgente una seconda volta. Tenetelo a mente», Megan accompagnò il monito con un’occhiata assassina a cui Julian rispose con un cenno di assenso.
La giovane distolse lo sguardo, fissandolo sul paesaggio che scorreva fuori dai vetri, più che decisa ad ignorare il Cavaliere per il resto del viaggio.
Anche il ragazzo cominciò a guardare fuori, la mente persa in chissà quali pensieri.
Poco dopo si arrischiò a sbirciare la sua compagna di viaggio: la vide intenta a giocherellare con il ciondolo che portava al collo, il fiocco di neve che lui stesso le aveva donato.
Finse di non aver notato quel gesto distratto e abituale, sorrise tra sé, e tornò a concentrarsi sul paesaggio.
 
***
 
La vettura si fermò, interrompendo le cupe considerazioni di Megan che non era ancora riuscita a decidere se sarebbe stato peggio passare la giornata con la propria famiglia o se fosse peggio passarla in compagnia di Lord.
La giovane fece scivolare il ciondolo nella scollatura e si accinse a scendere, ignorando ostentatamente Julian che, fuori dalla carrozza, le porgeva la mano per aiutarla. Megan si lasciò cadere dal predellino atterrando sul-la neve soffice; a fatica si trattenne dall’impulso infantile di mettersi a ridere e giocare per l’euforia che le procurava il paesaggio imbiancato. Si guardò intorno a bocca aperta: davanti a loro si stendeva un lago, più grande di quanto immaginasse, sulla cui superficie completamente indurita si potevano scorgere, in alcuni punti, i segni lasciati dalle lame di molti pattini; vicino alla riva alcuni rami spogli di un salice piangente erano rimasti intrappolati nella gelida morsa del ghiaccio. Il pallido sole invernale faceva risplendere alcune gocce cristallizzate sui quei rami come piccole gemme luminose creando qua e là sulla neve minuscoli arcobaleni evanescenti. Intorno al lago si estendeva un bosco di abeti molto alti, anch’essi carichi di neve che di tanto in tanto cadeva producendo un tonfo ovattato.
Tutto quel bianco faceva quasi male agli occhi, ma a Megan non importava: le piaceva quel paesaggio freddo, morbido e silenzioso. C’era solo una cosa di cui avrebbe fatto volentieri a meno.
 
«Non è bello quanto Aldenor, ma ci si avvicina abbastanza».
 
La voce quasi trasognata di Julian la convinse che quell’unica cosa a cui avrebbe rinunciato con gioia era, senza ombra di dubbio, proprio il suo accompagnatore. Lo osservò mentre si guardava in giro e respirava l’aria gelida a pieni polmoni e un’espressione di pura gioia gli si disegnava sul volto. Era già pronta a respingere qualunque suo tentativo di attaccare discorso, ma il ragazzo le passò accanto fischiettando, la sacca con i pattini buttata su una spalla, in cerca di un posto comodo dove sedersi per indossarli.
Strano che non le avesse chiesto niente, ancora più strano che non le avesse offerto il braccio. Non che avesse intenzione di accettare alcunché da lui, ma l’improvviso disinteresse di Julian nei suoi confronti la infastidiva abbastanza. D’altra parte, cosa ci si poteva aspettare da un maschio? Erano tutti inutili idioti.
 
«Lady Linnett!», il richiamo la distolse dalle sue riflessioni. Alzò lo sguardo individuando Julian che aveva trovato un tronco abbattuto che poteva essere usato come panca. Stava già togliendo i pattini dalla sacca e Megan lanciò un’occhiata diffidente alle lame affilate fissate sotto gli stivaletti. Si avvicinò, nascondendo la titubanza dietro un cipiglio seccato, le braccia conserte e il passo rigido.
Julian la guardava divertito.
 
«Siete pronta a cominciare?», le domandò provocatorio. «In caso contrario, potete ancora tirarvi indietro»
 
«Non ho intenzione di tirarmi indietro», affermò la dottoressa scandendo le parole con fermezza. Lord stava mettendo a dura prova la sua pazienza, facendole venire voglia di punzecchiarlo a sua volta.
«Sai cosa penso?», gli domandò con voce carezzevole, sedendosi e allungando un piede verso di lui, un chiaro invito a rendersi utile che il giovane fu pronto a cogliere inginocchiandosi davanti a lei e cominciando a scioglierle i lacci degli stivali.
 
«Cosa Milady?», le chiese cercando di non pensare a quello che lei gli stava lasciando fare.
 
«Penso che continui a farmi questa domanda perché non hai nessuna voglia di insegnarmi, o forse non ti senti all’altezza della situazione, e speri di farmi cambiare idea»
Il Cavaliere si bloccò, punto sul vivo. Finì di allacciare i pattini a Megan brontolando qualcosa di incomprensibile, suscitando in lei non poca soddisfazione nel vederlo così contrariato.
 
«Non credo di avere capito, Lord», richiamò provocatoriamente la sua attenzione. «Ti spiacerebbe ripetere a voce più alta?»
 
Stavolta fu il turno di Julian di provocarla.
«Dicevo, Milady», esordì con un sorriso malizioso, «che se mi starete molto vicina, potrei insegnarvi davvero molte cose».
La dottoressa gli rivolse uno sguardo freddo, poi si spinse gli occhiali sul naso e, mormorando insulti e maledizioni come se stesse dicendo un rosario, cercò di mettersi in equilibrio per raggiungere il ghiaccio.
Aveva mosso solo un paio di passi incerti e già le era venuta voglia di lasciar perdere tutto: era difficile stare in piedi con addosso quei maledetti pattini, usarli per scivolare sul ghiaccio era impensabile, almeno per lei. Per fortuna, una piccola ma solida staccionata che costeggiava la riva, le fornì un appiglio; vi si aggrappò e, con molta cautela, raggiunse lo specchio d’acqua. Julian la stava già aspettando (era stato veloce lui o lei aveva impiegato un’eternità per coprire quei pochi metri che separavano il tronco su cui si era seduta dal lago?); il fatto che avesse la decenza di non fare commenti, non riusciva comunque a mitigare il fastidio provocato in lei dalla sua espressione ilare.
Ancora saldamente aggrappata al suo appiglio, e decisa a rimanere così il più a lungo possibile, si sentì prendere per mano, mentre un braccio le circondava la vita.
 
«Andiamo. Non è più difficile che imparare a danzare»
Quel gesto irritò Megan che, con un movimento brusco, tentò di liberarsi riuscendo soltanto a ritrovarsi ancora più avvinghiata a Julian per evitare una rovinosa caduta.
 
«Dannazione, Lord!», imprecò.
Il giovane si staccò con cautela da lei, lasciandola libera di muoversi. La dottoressa non aveva idea di cosa fare o di come muoversi: quei dannati pattini le facevano venire i sudori freddi con le loro lame taglienti, ed era sicura che sarebbe caduta, facendosi molto male.
Julian stava cercando di trattenere le risate e lei lo fulminò con un’occhiataccia. Nel farlo, però, doveva essersi mossa in modo sbagliato, perché perse l’ equilibrio; fortunatamente si sentì afferrare poco prima di cadere rovinosamente. Quel salvataggio fu accompagnato da una risata sommessa.
«Cominciamo bene», borbottò Megan, ancora meno convinta di voler fare quell’esperienza.
 
***
 
«Forse sarebbe meglio fare una pausa».
 
Pattinando all’indietro, Julian si affiancò alla dottoressa.
 
«E poi vi ho detto che dovete guardare davanti a voi, non in basso».
 
Megan sbuffò, frustrata: era tesa, stanca morta - ma non lo avrebbe mai ammesso - le facevano male le gambe – e il fondoschiena, dal momento che aveva imposto al suo giovane insegnante di non aiutarla, cambiando idea dopo un paio di dolorose cadute -  e aveva talmente tanta fame che avrebbe mangiato qualunque cosa le avessero presentato su un piatto.
 
«Sei seccante, lo sai?», ringhiò stizzita al suo indirizzo. «Continui a girarmi intorno, pavoneggiandoti nel mostrarmi quanto sei bravo, mi dai fastidio e io non riesco ad imparare niente!»
Il tono di voce della ragazza si era alzato sempre di più, inducendo alcune persone che pattinavano poco lontano, ad occhieggiare incuriositi verso di loro.
 
«Non mi pavoneggio!», protestò Julian incrociando le braccia con disappunto.
 
«E poi non è vero che non riuscite ad imparare: considerando che è la vostra prima volta, state andando piuttosto bene», aggiunse incoraggiante.
Megan lo guardò, poco convinta. Le sembrava di essere arrivata al limite delle forze, mentre il ragazzo di fronte a lei appariva tranquillo e rilassato, come se non avesse passato la mattina a ripeterle decine e decine di volte istruzioni che le aveva già dato; lei era ben consapevole di quanto fosse impegnativo non spazientirsi in casi del genere, dal momento che con gli idioti che le venivano affidati in ospedale faticava a mantenere la calma.
 
Se fosse stata una di quelle sciocche che sospiravano al suo passaggio, si sarebbe già arresa e gli avrebbe chiesto di aiutarla a tornare indietro per andare a pranzo. Lui ne sarebbe stato felice, le avrebbe preso una mano e circondato la vita con un braccio, come era successo prima, poi l’avrebbe portata fino alla riva. L’avrebbe aiutata a sedersi e a togliere quei dannatissimi strumenti di tortura che aveva ai piedi, quindi sarebbero andati a rifocillarsi in una locanda nei paraggi, dove lui avrebbe sorriso - in quel modo apparentemente irresistibile - ad una cameriera che gli avrebbe sorriso a sua volta servendogli portate molto generose…
 
«Onorabile Megan?»
 
La voce di Julian la riscosse, richiamandola all’attenzione. Megan si passò una mano guantata sul viso: da dove le erano venuti quei pensieri di poco prima? Doveva essere davvero stanca.
 
«E va bene, Lord», si arrese «Forse è meglio interrompere e cercare un posto in cui pranzare».
 
«Fantastico!», approvò il ragazzo sorridendo. «Ho proprio una fame da lupi!»
 
«Ma non mi dire!», lo apostrofò ironicamente a bassa voce, provocando la reazione divertita di Julian.
«Andiamo!», la invitò ridendo. «Posso offrirvi il braccio? Solo se siete stanca, ovviamente»
 
«Ovviamente non sono stanca», gli rispose sbuffando con sufficienza e inchiodandolo con un’occhiataccia.
Non appena si voltò e si rese conto di quanto si fossero allontanati dal loro punto di partenza, cominciò a pensare di essere stata precipitosa nel rifiutare l’offerta del Cavaliere.
Inspirò a fondo.
Julian era accanto a lei e le stava porgendo il braccio con la sua abituale galanteria.
Senza nemmeno guardarlo gli rifilò una debole gomitata, rischiando di cadere per l’ennesima volta; quindi, soddisfatta per essere riuscita a mantenere l’equilibrio, cominciò ad avviarsi con cautela verso il salice piangente che segnalava la sua meta.
Cercò di ignorare la risata alle sue spalle e si concentrò per poter oltrepassare senza danni un gruppo piuttosto nutrito di pattinatori esperti: il pensiero di doversi avvicinare la innervosiva, dal momento che alcuni di loro sembravano estremamente disinvolti – per non dire spericolati.
Sperava ancora di poter tranquillamente passare inosservata, quando una ragazzina si staccò dal gruppo, sfrecciando rapida verso di lei e tagliandole la strada. Megan sarebbe certamente caduta se Julian non l’avesse afferrata da dietro tenendola saldamente. La giovane lasciò andare un sospiro di sollievo mentre si appoggiava al petto del ragazzo.
La ragazzina che l’aveva spaventata, nel frattempo, stava dimostrando una perizia che lasciò Megan a bocca aperta: la piccola si muoveva con grazia, i pattini che scavavano delicati arabeschi nel ghiaccio. All’improvviso si slanciò verso l’alto, piroettando in aria, per poi ricadere con fluida precisione, in una perfetta esibizione di equilibrio e controllo.
Alle sue spalle Julian fischiò, lanciando in aria il pugno in segno di approvazione. La ragazzina si voltò sorridendo e si esibì in un delizioso inchino.
 
«Bravissima!», esclamò entusiasta. «Bravissima come sempre, Elsie!»
 
Megan stava ancora cercando di capire come Julian potesse conoscere quella piccola sconsiderata, quando un richiamo irritato li raggiunse.
 
«Elsie!», tuonò una voce decisamente tesa e arrabbiata. «Quante volte ti ho detto che devi fare attenzione agli altri? Non ci sei solo tu, su questa pista!»
 
A Megan sembrava anche una voce nota. Tenendosi istintivamente aggrappata a Julian si arrischiò a sbirciare dietro di loro: si trovò faccia a faccia con qualcuno che conosceva molto bene.
 
«Ciao Julian!», salutò la nuova arrivata che sembrava stupita di vedere il giovane. «Onorabile Megan! Che sorpresa!».
La dottoressa desiderò che il ghiaccio si aprisse sotto di lei, facendola inghiottire dalle gelide acque sottostanti: davanti a lei, Annabel Leigh le sorrideva amichevole, come faceva ogni giorno quando si incontravano in ospedale. Annabel si era laureata l’anno prima entrando ufficialmente in servizio alla Misericordia dove si occupava soprattutto dei bambini e i suoi piccoli pazienti la adoravano.
Quel giorno i suoi lunghi capelli castani erano raccolti in una treccia elaborata da cui era sfuggita qualche ciocca. Il volto pallido dai tratti delicati era arrossato sulla punta del naso e sulle guance a causa del freddo e del movimento; l’aria pungente aveva reso i suoi occhi lucidi e brillanti. Anche così in disordine, però, appariva bellissima, notò Megan con un lieve disappunto.
 
«Spero che mia sorella non ti abbia spaventata, a volte è un po’ irresponsabile. E imprudente».
 
Elsie si era avvicinata e le due sorelle avevano cominciato a scherzare e ridere. Julian si era unito a quel piccolo divertimento mentre lei si sentiva sempre peggio: Annabel l’aveva vista con Julian, quindi era molto probabile che, nel giro di pochi giorni, si sarebbero diffuse stupide chiacchiere e pettegolezzi in proposito. Non voleva pensarci.
Borbottò un saluto e si congedò rapidamente, poi con le gambe rese malferme dalla tensione, riprese a dirigersi vero la riva.
 
«Non dovresti lasciarla andare da sola: si vede che è inesperta, potrebbe essere pericoloso».
 
Il rimprovero pacato che Annabel rivolse a Julian raggiunse Megan, aggiungendo una certa dose di umiliazione al fastidio provocato dall’incontro imprevisto. E la colpa era solo di Lord e delle sue assurde idee: chissà perché finiva sempre con il dargli retta.
Doveva andarsene.
Cercò di mettere in pratica tutti i suggerimenti che il ragazzo le aveva dato durante la mattinata e smise di guardare in continuazione i suoi piedi, facendo più affidamento sull’istinto. Dopo qualche ultimo momento di incertezza che le servì per assestare l’equilibrio, si rese conto con sua estrema meraviglia e profondo orgoglio, di essere riuscita ad aumentare l’andatura.
 
***
 
«Mi sembra molto sicura. Hai fatto un buon lavoro, a quanto pare», si complimentò Annabel osservando Megan.
 
«Sta andando troppo veloce», realizzò Julian trattenendo il fiato con apprensione.
 
«Le hai insegnato come rallentare e fermarsi, vero?», si informò l’altra senza staccare gli occhi da Megan. Quando il suo sguardo si posò su Julian, notò la sua espressione tesa e le sfuggì un gemito disperato.
«Ti prego», lo implorò, «dimmi che le hai almeno insegnato la teoria».
 
Il Cavaliere scosse la testa.
 
«Come se fosse facile insegnarle qualcosa!», si concesse uno sfogo a denti stretti. «Non ascolta e non collabora. Non ho avuto modo di… Oh, dannazione! Vado da lei»
 
Si lanciò all’inseguimento di Megan, dandosi dell’idiota per non averle dato indicazioni indispensabili: ora lei aveva quasi raggiunto la riva, era troppo veloce, mentre lui era ancora decisamente troppo lontano.
La vide inciampare e allargare le braccia, roteandole nel disperato tentativo di mantenere un equilibrio irrimediabilmente perso.
Gridò il suo nome mentre la guardava cadere all’indietro senza poter fare niente per evitarlo.  
                
   
 
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