Storie originali > Avventura
Segui la storia  |       
Autore: Cest97    12/06/2017    0 recensioni
Un giovane investigatore inglese privo di denaro e dalla dimora non fissa viene assunto da un uomo benestante perchè indaghi sulla sua stessa morte; condotto in terra straniera, in una misteriosa cittadina europea nel bel mezzo delle montagne, viene a contatto con una società rimasta isolata dal resto del mondo che ancora porta avanti lo stile di vita ottocentesco. Tra una famelica e crudele nobiltà e una pericolosa classe povera talvolta pronta a sfoderare armi da fuoco per attaccare o difendersi, Brynmor tenterà assieme alla figlia del defunto di scoprire il passato di un uomo imperscrutabile, amante di indovinelli, e afflitto da una curiosa fissazione per il tempo.
Seguite la storia anche su Wattpad: https://www.wattpad.com/user/CestaroEnrico
Genere: Avventura, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
- Piove. E ti pareva -
La pioggia batteva pesantemente sul vetro del taxi nero. Le nubi scure coprivano per intero il cielo, e l’assenza di un’illuminazione stradale funzionante rendeva l’innocente stradina di campagna un incubo di ombre e specchi d’acqua dalla profondità altalenante da tre centimetri a un metro; ad ogni buca la macchina sobbalzava, producendo contemporaneamente il suono metallico di un ammortizzatore rotto e il tonfo che farebbe un sasso gettato in un lago poco prima di andare a fondo, e il rugginoso trabiccolo su cui montavano i due avventurieri sembrava suggerire loro di non aspettarsi troppo da parte sua, nemmeno di portarli vivi a destinazione.
All’interno il rivestimento del tetto penzolava oscenamente in più punti, scollatosi in seguito al gioco a più riprese  del caldo estivo, in combutta col freddo di più e più inverni che si erano dati il cambio in un ciclo costante di disfacimento durato decadi.
I vecchi sedili scuri erano stati rattoppati innumerevoli volte, finita la stoffa dello stesso tipo (probabilmente andata fuori produzione in quanto terribile sia alla vista che al tatto) il proprietario era passato a tessuti meno costosi ma più comodi, e totalmente fuori scala cromatica. Stoffe più chiare si erano alternate negli anni passando dal perla al panna, arrivando ad un grigio cenere spento e, come ultimo colpo di grazia, a delle strisce rosso bordò cucite in maniera tale da nascondere il groviglio di ricami a filo doppio fatti nella speranza di rendere l’insieme di stracci il più solido possibile.
Seduto sopra l’umile e terribile scacchiera, Bryn osservava il vuoto al di là del finestrino.
La cravatta stretta attorno al collo gli toglieva l’ossigeno, la camicia bianca di una taglia superiore alla sua gli ricadeva sui fianchi in maniera ridicola, e l’effetto ‘bambino che indossa i vestiti del padre’ che sembrava comunicare a tutti coloro che incrociavano la sua strada veniva attenuato solo dalla tetra giacca grigia comprata il giorno prima in un misterioso e sospetto negozio di abiti da uomo, trovato quasi per caso nel corso del suo viaggio; costruito esattamente di fianco ad un’agenzia funebre. L’ombrello bagnato schiacciato contro la gamba gli inzuppava i pantaloni economici comprati la mattina stessa in un negozietto di fortuna trovato a qualche ora di strada dal confine, e sebbene fossero in viaggio dalle due del pomeriggio l’umidità nell’aria pareva tentare il tutto per tutto per evitare che si asciugassero.
Gli era stato consigliato di portarsi un cappello scuro ed elegante e, trattandosi di una persona perfettamente in grado di capire quando ascoltare il consiglio di un venditore ambulante e quando ignorarlo, aveva deciso di acquistare un paio di calzini scuri e lunghi di lana, sperando che gli tenessero al caldo i piedi.
Ad ogni curva l’acqua nelle sue scarpe si spostava a destra e a sinistra trasportata dalla forza centrifuga.
E la testa continuava a venirgli inzuppata dalle perdite del tetto.
“Quanto manca esattamente?”
“Una mezzora circa, Signor Brynmor”
“Mi chiami Bryn, la prego”
“Nessun problema, Signor Bryn”
“Veramente … non importa”
La sagoma delle montagne veniva ricalcata dagli ultimi raggi di sole che sparivano al di là dell’orizzonte, delineando la loro stazza e l’altezza vertiginosa delle torri metalliche costruite sulla loro cima, metà delle quali ancora funzionavano mentre la metà rimanente non consisteva in nient’altro che un ammasso di metallo che giorno dopo giorno si avvicinava sempre più al suolo, incurvato e piegato dalle intemperie.
“Le torri …”
“Si, Signor Bryn?”
“Ho sentito delle storie sulla loro costruzione. Sono tutte vere?”
“Alcune, la maggior parte sono solo invenzioni dei turisti”
“Perché, questa città ha turisti?”
“A dire il vero credo che lei sia il primo dopo … beh, parecchio tempo. Per lo più trasporto da dentro a fuori alcuni tra i cittadini più facoltosi, ma dall’esterno non arriva quasi nessuno.
Molti si spingono fino in cima alle montagne anche solo per vederla da lontano, ma non osano provare a raggiungerla”
“E dire che basterebbe prendere un taxi”
- Un taxi scassato che a malapena riesce ad accendersi –
“Non è così semplice Signor Bryn. La mia Mary è una delle poche capaci di portare le persone fin quassù”
- Questo catorcio? - “Questa macchina d’epoca? Com’è possibile?”
“Nessuno lo sa, ma sembra che le auto più moderne non riescano a superare il confine senza spegnersi. Quasi sempre si tratta della centralina: è come se andasse in tilt”
“E quest’auto non ce l’ha una centralina?”
La grossa risata del conducente non fu di conforto al giovane, e non gli parve rappresentare una risposta esaustiva.
“Quindi …” riprese Brynmor, tentando di tornare al discorso di partenza; “ … le torri?”
L’uomo cambiò istantaneamente tono di voce, e divenne improvvisamente serio e solenne; non era chiaro se l’argomento lo disturbasse o se semplicemente fosse stufo di doverne parlare con chiunque gli ponesse la stessa domanda, ma si trasformò repentinamente in un narratore impassibile e dalla faccia di bronzo.
“Furono costruite ai tempi della seconda guerra mondiale: facevano parte di un progetto segreto sviluppato dalla Gran Bretagna. Un certo scienziato inglese sosteneva di poter abbattere le forze tedesche con un semplice segnale che rendesse le loro vetture inutilizzabili, così da permettere ai buoni di correre addosso ai cattivi e dar loro il colpo di grazia. Ma, guarda un po’ che sfortuna, la guerra finì prima del previsto, il progetto fu abbandonato e le torri vennero convertite ad uno scopo non bellico, e utilizzate come snodo elettrico per alimentare l’intera regione; nessuno si prese la briga di controllare se il sistema fosse stato isolato, e gira voce che tuttora venga rifornirlo di energia e che eserciti il suo misterioso potere su tutta la valle”
Bryn rimase ammutolito, fissava gli occhi di ghiaccio del conducente riflettersi nello specchietto, due gocce di vetro che non trasmettevano assolutamente nulla a chi le guardasse.
Alla fine il buonsenso ebbe la meglio, e si azzardò a parlare.
“… sul serio?”
Dopo un grugnito più equino che umano l’uomo scoppiò in una risata incontrollabile, e tornò ad essere l’improbabile e sarcastico guidatore che aveva conosciuto qualche giorno prima via telefono.
“Diavolo, no! È solo la leggenda più comune, e quella che preferisco raccontare: ha quel non so che di credibile che la rende verosimile agli occhi di tutti. Insomma, non sarebbe una novità! Inoltre quando si parla di nazisti ai turisti quasi sempre gli si illuminano gli occhi come lampadine, diventano sempre vogliosi di sapere di più; gli americani in particolare.
Sempre pronti  a sparlare dei nazi, gli yankee”
Mentre il comico si asciugava le lacrime dagli occhi, il giovane passeggero se ne rimaneva immobile con l’espressione di chi ha perso completamente fiducia nell’umanità.
“Ma la realtà qual è?”
“La realtà? C’è un sacco di vento e non riescono a scavare tunnel in quelle montagne, troppo instabili e troppo alte, almeno così dicono. Quelle torri sono l’unico modo per far arrivare la corrente fino in città, ma la manodopera è scarsa e talvolta una tempesta o due si abbattono sulla zona; ogni tanto ne cade una, e anno dopo anno hanno continuato a ricostruirle senza smantellare quelle precedenti”
“C’è chi lo definirebbe un gran spreco di denaro”
“Non io!” Bryn ebbe la certezza che i denti gialli dell’autista fossero appena stati sfoderati nel ghigno famelico di soldi di un ormai esperto uomo d’affari; “Non ha Davvero idea di quante persone paghino per sentirsi raccontare certe idiozie. E poi, ammettiamolo: hanno il loro fascino”
Continuando a guardare verso la titanica recinzione d’acciaio che li separava dal resto del mondo, il giovane sentiva di non aver trovato risposta a nessuna delle domande che lo assillavano.
Sul posto del guidatore il panciuto autista dalla dubbia igiene ma dall’umorismo incontrollabile fumava indifferente un aspro sigaro al rhum, che impestava la macchina con un pesante aroma di vecchio e nostalgico; aveva tenuto aperto il finestrino del proprio lato per la maggior parte del tempo, per ‘educazione’, ma in seguito alle suppliche dello stesso Bryn dovette chiuderlo onde evitare il completo riempimento d’acqua da parte della vettura, sempre più simile ad una vasca da bagno semovente.
Un vestito semplice e povero ricopriva le sue grosse membra, un giubbotto verde scuro luccicante umidità gli copriva le spalle quel tanto che bastava da evitargli di bagnarsi la schiena e di mischiare la pioggia al sudore, e sulla sua testa un cappello completamente fuori tema, nero ed elegante, lo proteggeva dal gocciolio costante del tettuccio metallico, nascondendo alla vista la chioma bionda attaccata dalla calvizie.
“Bel cappello” esclamò Bryn con poco entusiasmo ma estremo interesse.
“Questo? L’ho preso da un venditore ambulante quando ci siamo fermati a … come si chiamava quella città … beh, circa questo pomeriggio”
“Lei non mi sembra il tipo di persona che si fa fregare da un venditore porta a porta che le bussa sul parabrezza dell’auto mentre se ne resta in area di sosta”
“No”
“Deduco quindi che lei sia una di quelle persone perfettamente in grado di capire quando ascoltare il consiglio di un venditore ambulante e quando ignorarlo”
“Deduco lo sia anche lei, giusto Signor Bryn?”
“No” Bryn si osservò le scarpe bagnate e i piedi zuppi; “Decisamente no”
Il tassista si tolse il cappello e lo svuotò indifferentemente sul sedile del passeggero, liberandosi dell’acqua accumulatasi sulla sua cima e sferzando l’aria come se stesse reggendo una frusta, mettendo in mostra la rosea ma asciutta pelata sopra menzionata.
- Assolutamente no -
“Non credo di averle ancora chiesto come si chiama, un comportamento assolutamente deplorevole da parte mia”
“Immagino di si. Inglese giusto?” l’ennesima e poco gradita grassa risata proruppe dalle labbra al rhum dell’uomo; “Mi chiamo Naevius, per gli amici Naev”
“Piacere di conoscerla Mr. Naves”
“Veramente … non importa. Insomma, Mr. Bryn, cosa la porta qui?”
“Un funerale”
***
Bryn scese dal taxi reggendo l’ombrello sopra la propria testa con estrema incertezza, scoprendo (una volta apertolo) che questo si era riempito d’acqua durante il viaggio, ritrovandosi così ulteriormente bagnato e infreddolito, sebbene le temperature sfiorassero i venti gradi.
L’aria calda unita all’umidità produceva una densa nebbia che serpeggiando per le strade rendeva il paesaggio un’incognita e un mistero che solo la più fervida immaginazione avrebbe potuto risolvere.
Le ultime parole scambiate con Mr. Naves lo portarono a concludere un “ottimo affare”, e con quello che calcolò corrispondere a dieci sterline inglesi riuscì infatti a ricomprare il cappello (leggermente sudaticcio all’altezza della fronte), trovando così un fedele compagno di viaggio per la sua permanenza in città.
Recuperata la ventiquattrore dal bagagliaio e infilatosi il fedora in testa decise che con poche parole e un saluto amichevole si sarebbe potuto liberare in fretta del buon tassista, che fin troppo desideroso di chiacchierare lo stava trattenendo sotto la pioggia esageratamente a lungo.
Mr. Naves lo informò del malfunzionamento dei telefoni cellulari in zona, completamente inutilizzabili, e gli consegnò un biglietto da visita con su scritto ‘Agenzia di Trasporti’ e nient’altro, escluso un numero sul retro scritto a mano, suggerendogli di chiamare via telefono fisso in caso avesse avuto necessità di andarsene entro breve tempo.
Bryn lo ringraziò e in risposta gli consegnò un piccolo blocchetto anch’esso composto di biglietti da visita, chiedendo al tassista se gentilmente avesse potuto consegnarli ai suoi passeggeri una volta portati a destinazione.
“Che lavoro potrebbe mai  venire a fare un gentiluomo inglese in un luogo simile?”
“Sono un uomo che ama viaggiare. Inoltre tutto ciò che deve sapere è scritto nel biglietto”
Bryn si incamminò nella direzione che riteneva essere quella esatta, correggendosi poi in seguito al suggerimento dell’autista.
Naevius rimase ad osservare lo spaesato giovane mentre si inerpicava su per una ripida stradina di ciottoli, ritrovandosi poi a fissare senza capire i biglietti da visita appena consegnatigli.
‘Agenzia Investigativa e altro’.
Con un numero scritto a mano sul retro di ognuno di essi.
“Sembra che anche in Inghilterra ci sia un costo aggiuntivo per la stampa fronte retro”
***
Bussando alla porta con la mano sinistra e reggendo l’ombrello con la destra, la valigetta stretta tra le gambe, Bryn si trovò ad analizzare l’ingresso della casa dove era stato mandato ad alloggiare, non esattamente un hotel a cinque stelle, né a quattro, tre o due. Non esattamente un hotel. Né un ostello.
Era la porta di un’abitazione piccola, sterile (o, più gentilmente, sobria), con giusto un paio di piante finte appoggiate ai lati dell’entrata nel fallito tentativo di renderla meno triste (o, più gentilmente, seriosa).
Le motivazioni che lo portarono a ‘scegliere’ come pernottamento l’insolita casupola in legno, che sempre più sembrava soffrire l’altissima umidità della zona, erano due: non trattandosi di una cittadina turistica il massimo che fosse possibile trovare come alloggio era un arrangiato letto di fortuna rimediato grazie all’ospitalità di una residente in zona che, da quel che si diceva in giro, era perfettamente in grado di cucinare una fish and chips decente.
Bryn detestava la fish and chips oltre ogni cosa, ma fonti attendibili gli avevano consigliato caldamente di far conoscere in giro le proprie origini britanniche, quasi come si trattassero di una chiave universale capace di aprire ogni porta. Così aveva fatto sapere alla padrona di casa, una certa Mrs. Blaskov (il Mrs. l’aveva generosamente aggiunto lui di propria mano nella lettera inviatale alcuni giorni prima) che non gli sarebbe dispiaciuta una pinta di birra scura accompagnata da pesce e patate fritte.
Lo stomaco già si rivoltava all’idea di dover digerire quell’ammasso di fritto e amido, e Bryn pensava a come far scivolare l’alcolico giù per la manica evitando di fargli raggiungere il proprio esofago quando, dalla porta appena spalancata di fronte ai suoi occhi, non comparve teatralmente la padrona di casa; la signora, una donna di mezza età il cui volto era in parte nascosto dalla cascata di ricci che le scendevano disordinatamente dalla fronte, sembrava patire il freddo in maniera del tutto singolare: sopra una leggera e sottile maglia a maniche lunghe scollata che evidenziava l’accentuato e candido petto della miss, una vestaglia in lana stretta attorno al suo corpo tentava ridicolmente di coprire ciò che, in realtà, non voleva essere coperto.
Dopo un attimo di stordimento, il presunto gentiluomo suddito della Corona si apprestava a fare la conoscenza della prima abitante della zona.
“Lei deve essere Mrs. Blaskov, è un piacere conoscerla”
“Mr.  … Brynmor, immagino …” dopo un’occhiata rapida e sorpresa, la donna aggiunse con freddezza: “… mi era parso di capire che fosse inglese. Potrei aver frainteso, ha per caso origini americane?”
“Cielo, no!” si affrettò a rispondere Bryn, che già si vedeva la porta d’ingresso sbattuta in faccia. Nel mentre che la pioggia continuava a battere sul malandato ombrello che imperterrito continuava a perdere acqua riempiendogli la cima del cappello, il giovane tentava disperatamente di farsi condurre all’interno, anche se con educata discrezione e con l’utilizzo di qualche più coraggioso cenno della testa; all’ennesima folata di vento che lo investiva in pieno ricoprendogli il volto di pioggia, sempre sotto lo sguardo insensibile dell’asciutta gentildonna, Bryn si trovò costretto a mettere da parte le buone maniere e a forzare un po’ di più la mano; “Non vorrei sembrarle troppo spudorato, ma trattandosi di una serata particolarmente … umida … le dispiacerebbe se continuassimo la conversazione all’interno?”
“Oh, immagino che …” con un lungo passo si trasportò frettolosamente al di là della soglia.
Una volta dentro ebbe modo di togliersi di dosso gli indumenti bagnati e, prendendosi qualche libertà di troppo, di abbandonare le scarpe all’ingresso, mettendosi a girare in calzini e lasciando orme più o meno ovunque si spostasse.
“Lei è sicuro di essere inglese?”
“Oh si, molto inglese, inglesissimo. Dio salvi la regina! Potrebbe mostrarmi il bagno?”
Dopo un rapido tour della casa, molto più accogliente di quanto non potesse sembrare dall’esterno, Bryn si chiuse a chiave all’interno della toilette con l’obiettivo di rimettersi in sesto prima di cominciare il proprio lavoro. Dopo una sbrigativa doccia, e dopo aver passato i propri vestiti alla padrona di casa attraverso una fessura tra la porta e la sua cornice così che li mettesse ad asciugare (in un patetico tentativo di impedirle di analizzarlo dalla testa ai piedi approfittando del suo stato di nudità), Bryn si posizionò davanti allo specchio del bagno e, una volta ostruita la fessura della chiave con un calzino arrotolato al pomello, iniziò ad analizzare i danni.
I morsi del bulldog che lo aveva azzannato al polpaccio nel precedente caso si stavano rimarginando, anche se si aspettava lasciassero una cicatrice bianca alle loro spalle una volta guariti; il cerotto al di sotto dell’ascella sinistra copriva molto bene il taglio del coltello, sebbene i punti continuassero a perdere qualche goccia di sangue occasionale; si tranquillizzò ripetendosi che sarebbe bastato non fare movimenti troppo azzardati.
Il tatuaggio sulla scapola destra cominciava ad essere troppo chiaro, scolorito, avrebbe dovuto farlo ripassare il prima possibile, come quello sull’avambraccio sinistro, entrambi con diversi anni alle spalle ma ancora tanto terrificanti quanto erano ai tempi in cui fu costretto a farseli. Non riusciva ancora a rinunciarvi.
La sua figura slanciata risultava, per qualche oscuro motivo, attraente agli occhi del gentil sesso, ma doveva sempre impegnarsi a nascondere ogni centimetro quadrato di pelle per evitare che il suo passato e il suo presente causassero l’effetto opposto in ogni donna sana di mente che lo vedesse.
Gli occhi nocciola squadravano l’intero suo corpo, i suoi muscoli non del tutto allenati, la poca carne che ancora restava attaccata ad essi e che la fame non si era portata via. Dieci sterline per un cappello usato, decisamente un pessimo affare considerando che se non gli avessero pagato il caso nemmeno quella volta sarebbe stato costretto al vagabondaggio per sopravvivere.
E non si trattava di uno stile di vita che fosse disposto a sopportare nuovamente.
Il suono del pomello che lentamente girava su sé stesso lo mise in guardia, ma una volta ricordatosi dove si trovasse e di chi dall’altra parte stesse tentando di infiltrarsi si tranquillizzò.
“Mrs. Blaskov, per quanto possa sembrarle strano è usanza inglese lavarsi una persona alla volta”
“Colpa mia”
“Comprensibile”
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Avventura / Vai alla pagina dell'autore: Cest97