Videogiochi > Sonic
Segui la storia  |       
Autore: CassandraBlackZone    13/06/2017    6 recensioni
Raccolto tutto il suo coraggio, Maria uscì dal suo nascondiglio e si avvicinò al grosso cilindro di vetro. All’interno di quest’ultimo, il corpo del riccio antropomorfo nero e rosso galleggiava nel liquido verde fluorescente con gli occhi chiusi e un’espressione serena sul volto. Improvvisamente, non le fece più così paura. Provava più pena, vedendo tutte quelle ventose e fili attaccati su diverse parti del corpo.
«Ti ricordi come si chiama?»
Maria si voltò verso il nonno. «Shadow, giusto?» riportò l’attenzione sulla Forma di vita Definitiva. «Shadow… the Hedgehog.»
Genere: Azione, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Gerald Robotnik, Maria Robotnik, Shadow the Hedgehog, Sonic the Hedgehog
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Il professor Robotnik appoggiò gli occhialini rotondi laddove c’era dello spazio sulla scrivania, così da poter affondare meglio il volto tra le mani. Era stanco, tremendamente stanco. Frustrato, ma era soprattutto arrabbiato. Rabbia: fra le tre istigatrici lei era la causa principale delle fitte di dolore che accoltellavano il suo cranio, mentre la stanchezza e la frustrazione si occupavano di dolori minori nel resto del corpo accompagnate dalla vecchiaia. Nell’insieme era un dolore indescrivibile e insopportabile che faticava a gestire ormai da diversi anni, ma Gerald disponeva di un asso nella manica, ovvero la testardaggine, caratteristica comune a tutti i Robotnik da diverse generazioni, impedendogli di mollare non prima di aver trovato una soluzione definitiva.
Lanciò uno sguardo fugace sui vari schermi olografici davanti a lui e sui fogli sparsi sulla scrivania, ma ognuno di essi riportava lo stesso risultato: 
 
CONDIZIONE CRITICA
TASSO DI MORTALITÀ: + 23%

 
«Maledizione» mormorò al fine di cancellare quella scritta rossa dalla sua mente, ma senza riuscirci.
Era ormai evidente che la malattia si stava pericolosamente evolvendo, poiché anno dopo anno la salute di Maria peggiorava sempre di più. Ben presto vari farmaci sperimentali smisero di avere effetto su di lei e sebbene apparisse in salute e piena di energie, la NIDS prendeva il sopravvento o  indisturbata o aggressiva all’improvviso sia con i sintomi da lui scoperti che con altri apparsi nell’ultimo anno. «Che cosa devo fare?» disse tra le dita. «Che cosa?»
«Potrebbe cominciare col riposarsi un attimo» l’arrivo di Morris non sorprese più di tanto il professore, al che rimase in quella posizione di preghiera. «Le ho portato del tè.»
«Sarebbe stato meglio del caffè.»
L’assistente posò il vassoio vicino al mentore. «Diversamente dal caffè, le foglie di tè e alcune erbe hanno le proprietà necessarie per rilassarla. La presenza di caffeina serve solo a ridurre la stanchezza.»
Sbottato un sorriso, Gerald allungò una mano verso la tazza fumante e un forte odore di erbe aromatiche solleticò il suo olfatto. Ne aveva riconosciute cinque su, a naso, otto. «Da quando sei esperto di tè?»
«Da quando ho visto che ne aveva bisogno.»
«Ovvero?»
«Dal primo giorno in cui ho iniziato a lavorare per lei.»
Il professore appoggiò piano le labbra sulla tazza e iniziò a sorseggiare l’intruglio naturale, lasciando che scivolasse caldo nella sua gola e gli infondesse quei pochi secondi di piacere. Al quarto sorso si sentì incredibilmente meglio. «È davvero buono. Ti ringrazio, Morris.»
«So bene che lei è preoccupato per Maria» recuperò diversi documenti per rimetterli nelle proprie cartelle, evitando il più possibile di leggere i valori o anche solo vedere il volto della bambina. «Ma deve anche pensare alla sua di salute.»
All’ultimo sorso l’uomo posò la tazza sul vassoio e fissò per un po’ la poltiglia che si era formata in fondo ad essa. «Zenzero. C’era anche dello zenzero.»
«Non cambi discorso, per favore.»
«È il prezzo che devo pagare per salvare la sua vita» rispose minaccioso Gerald. «Non ho altra scelta.»
Morris abbassò lo sguardo, senza smettere di sistemare la documentazione.
«Dorme troppo poco, diversi cibi le danno la nausea, si affatica molto e…»
«Professore, lo so. In questi due mesi non è cambiato nulla» sospirò. «Tranne per il fatto che sta peggiorando.»
Gerald si portò nuovamente le mani al viso, appoggiando i gomiti sul tavolo. «Non so davvero cosa fare» digrignò i denti. «Maria. La mia piccola Maria…»
Morris chiuse gli occhi e si morse il labbro inferiore. In tutti quegli anni il giovane scienziato era riuscito a inquadrare il professor Robotnik con estrema facilità. Così come quest’ultimo gli aveva sfilato la maschera, anche lo stesso Morris era riuscito a strappargliela di dosso: di giorno lo scienziato dallo spirito positivo e dall’aspetto fiero, di notte un vecchio stanco e disperato, in procinto di arrendersi.
“Se io ti dicessi che non sono l’uomo che tu tanto stimi, bensì un uomo tutt’altro che buono?” Quella domanda riemerse dai pensieri di Morris all’improvviso, come se gli volesse ricordare chi effettivamente era Gerald Robotnik. Era tutto vero. Lui non era un uomo buono. Non era uno scienziato dalla mente brillante e stimato da tutti. Lui era soprattutto un nonno amorevole, che pur di salvare la vita della sua nipotina era pronto a sacrificarsi e usare ogni sorta di mezzo, a costo anche di andare contro la GUN.
Il giorno in cui avvenne lo spiacevole incidente con Shadow e il congedo forzato di Stanford Drew, Gerald confessò a Morris le accese discussioni che ebbe con l’organizzazione militare mai accennate al Presidente. Avendo letto i vari risultati degli esperimenti, essa non poneva alcuna fiducia nell’impresa di Gerald, poiché li riteneva potenzialmente pericolosi e quindi una minaccia per la Terra e, sempre grazie a lei e alla sua lingua velenosa, ben presto girarono voci scomode riguardo non solo Shadow, ma anche il suo stesso creatore. Se prima Morris doveva tener d’occhio solo Stanford, ora doveva sorvegliare l’intera ARK.
Il giovane assistente era pronto a rivolgere al vecchio professore parole di conforto, ma dovette subito chiudere la bocca appena quello si alzò inspirando profondamente per poi dire:«Domani è un altro giorno. È sarà sicuramente migliore» Morris accolse sorpreso quel morbido sorriso che esprimeva inaspettata serenità, come se quell’unica inspirazione lo avesse aiutato a riacquistare del tutto la fiducia.
Inforcati gli occhiali, Gerald si voltò verso Morris.  «Me lo ha insegnato Maria. Aiuta ad affrontare le difficoltà della giornata.»
Morris distolse lo sguardo tossicchiando. «Per quanto detesti ammetterlo, Maria è consapevole della situazione in cui si trova» chiuse l’ultima cartelletta di documenti. «È normale che cerchi dei modi per andare avanti.»
«Oggi è il compleanno di Shadow» cambiò subito discorso il professore. «Per quello gli ho dato il permesso di interrompere gli allenamenti.»
L’altro schioccò la lingua in segno di disappunto. «Compleanno? Ma se non cresce nemmeno? È solo una perdita di tempo.»
«Una piacevole perdita di tempo. Di cui lei ha davvero bisogno»  il silenzio che seguì venne interrotto da una chiamata inaspettata dal comunicatore di Gerald, che scurì subito in volto e disse grave:«È la GUN.»
«Vuole che risponda io?» avanzò Morris.
«No, ci penso io. Oggi hai fatto più del dovuto. Ti ringrazio» lo congedò il professore con un sorriso. «Puoi andare.»
Per quanto il giovane scienziato desiderasse rimanere al suo fianco, purtroppo dovette rispettare il volere di Gerald salutandolo con un faccia attenzione prima di lasciare la stanza.
Rimasto solo, Gerald spense il comunicatore e lasciò che l’ologramma di un uomo in piedi con le mani dietro la schiena si materializzasse davanti a lui. Come sempre, tutto ciò che era visibile era una divisa militare pluridecorata, mentre il resto era avvolto nell’oscurità.
«Ce ne ha messo di tempo per rispondere, professore» parlò una voce palesemente contraffatta.
«Buongiorno, Comandante. È un vero piacere vederla» il professore chinò la testa, senza fare effettivamente un inchino.
«Siamo di buon umore, vedo» continuò l’uomo avendo colto la vena ironica dell’altro.
«Ebbene sì. Il sole splende e gli uccellini cinguettano. Come sempre.»
«Trova divertente ogni nostro incontro?»
«Trovo divertente che da quattro anni a questa parte io continui a parlare con un fantoccio» Il Comandante ammutolì, lasciando che il professore gongolasse in quei pochi secondi che li separava. «Ve l’ho detto, no? Potrei decidere di collaborare se si mostra per quello che è, Comandante, o chiunque lei sia. La mia risposta è sempre la stessa. Io continuerò con le mie ricerche finché sarò in vita. I vostri futili tentativi di screditarmi non mi spaventano per niente.»
«Quindi non ha alcuna intenzione di collaborare?» riprese l’altro impassibile.
«Precisamente» pronto ad andarsene, Gerald diede le spalle al presunto Comandante per avviarsi verso l’uscita, ma la profonda e falsa risata del capo della GUN lo fermò.
«Mostrarmi per quello che sono, eh? Proprio come il suo viscido alleato?»
Gerald stette il più immobile possibile, senza far trasparire alcun tipo di emozione. «Non so di cosa sta parlando.»
«Evitare l’argomento non l’aiuterà, mi creda.»
«Ascoltarla invece sì?»
«Noi della GUN abbiamo informazioni che ci permetteranno di fermare definitivamente le sue ricerche, persino con il permesso del Presidente.»
Gerald sospirò esasperato, portandosi una mano dietro la nuca. «Sempre la stessa solfa. Invece di continuare a minacciarmi perché non agite, eh? Cosa state aspettando?»
«Non è ovvio?» il Comandante alzò il braccio destro e rivolse a Gerald la mano con il pollice all’ingiù. «Voglio vederla affondare lentamente.»
Robotnik soffocò una risata nervosa, scuotendo la testa.«Sadici come sempre. Voi siete solo capaci di distruggere tutto ciò che vi è incomprensibile. Siete a dir poco patetici.»
«Incomprensibile, dice? Non è difficile capire che il suo progetto altro non è che un’arma mortale.»
«Shadow non è un’arma» ringhiò il professore furente. «È colui che salverà l’umanità e se voi continuerete ad ostacolarmi giuro che…»
«Eccolo, finalmente. Il vero Gerald Robotnik» il Comandante applaudì con fare sarcastico, gustandosi l’inaspettata bile che lo stesso professore non aveva previsto. «Lo sa? Me lo sono sempre chiesto e forse questa è l’occasione giusta per porle questa domanda: lei, professore, si considera un uomo buono?»
Gerald digrignò i denti senza proferire parola e lasciò che un sorriso bianco si allargasse sul volto oscurato del suo provocatore.
«Bene, professore. A questo punto chiuderei la nostra conversazione qui e la lascio con questo quesito che la tormenta, deduco… da anni.»
Il professore fulminò con lo sguardo, per quanto gli fosse possibile, il Comandante, ancora trionfante, ma consapevole della sua ennesima sconfitta.
«E ricordi bene: i segreti, prima o poi, vengono a galla.»
 
 
Maria gongolava felice tenendo gelosamente stretta al petto la sua videocamera. Era più che soddisfatta del risultato e non vedeva l’ora di sistemare ogni singolo filmato girato fino a quel giorno. «Sai che prima o poi te la soffierò da sotto il naso?» Shadow si intromise nella contentezza della ragazzina.
«Non se ne parla! Ci dormirò assieme, se necessario!»
«Che cos’altro hai filmato, Maria?»
Maria gli strizzò un occhio spigliata. «È un segreto.»
Shadow incrociò le braccia al petto mettendo il muso, ma invece di spaventare la giovane Robotnik, la divertì rievocandole un altro ricordo, ovvero la scoperta delle forbici.
«Non so cosa mi fosse preso!» rispose il riccio impacciato. «Insomma, mi ero appena svegliato!»
«E per la prima volta ti sei preso cura di me.»
Il riccio ebano si addolcì e sciolse le braccia, ricordando a sua volta quel giorno e sorrise. «È vero.»
I due fratelli smisero di camminare all’unisono appena si accorsero che avevano raggiunto l’Osservatore. La ragazzina si precipitò subito al vetro appoggiando le mani su di esso, per ammirare come da rituale la maestosità della sua amata Terra. Shadow si mise al suo fianco, fissando il pianeta impassibile.
Era tutto inutile. Più continuava a fissare quell’enorme geoide, più non provava nulla di quello che invece sua sorella maggiore provava. Ogni volta che lei si fermava a fissarla, i suoi occhi brillavano di un azzurro accesso, erano sempre innocenti e accecati da quella bellezza come fosse la prima volta. Sebbene gli piacesse vederla con quell’espressione serena sul volto, Shadow ancora ignorava l’amore incondizionato che lei aveva per quel pianeta mai visitato.
«Ancora non ti convince, eh?» lo scosse Maria sarcastica.
«Che vuoi dire?» si limitò a chiedere l’altro, mentendo.
Accortasi dell’ulteriore imbarazzo del riccio bicolore, Maria fece semplicemente spallucce. «Niente. Pensavo ad alta voce.»
Shadow alzò un sopracciglio, ricevendo una linguaccia come risposta, che lo obbligarono a sogghignare.
«Ascolta Shadow, io vado a riportare un attimo la macchina fotografica in camera» ruppe il silenzio la giovane Robotnik.
«Ti accompagno.»
«No, non ti preoccupare! Tu aspettami qui, ok?»
«Oh, d’accordo»
Salutato Shadow non un sorriso, Maria corse verso il corridoio che l’avrebbe portata nella sua camera. Il riccio si rivolse nuovamente alla Terra appena i passi della ragazzina scomparvero nel vuoto e sospirò pesantemente, sfinito. «Maledizione…» sussurrò massaggiandosi la testa con una mano, percependo il suo imminente arrivo.
«È dura, non è vero?» disse una voce profonda nella sua testa. «È piuttosto irritante, se mi è permesso dirtelo
«Qui l’unico irritante sei tu» ringhiò minaccioso Shadow verso il suo riflesso. Quest’ultimo cominciò a scurirsi fino a diventare una vera e propria ombra di se stesso. In mezzo al volto si aprì un grosso occhio dorato da rettile.
«Non ci siamo, Shadow the Hedgehog. Ormai dovresti esserti abituato alla mia presenza.»
Shadow schioccò la lingua irritato.«Di che presenza parli? Tutto ciò che sai fare e mostrarti con degli insulsi trucchetti dell’illusione. Fatti vedere per quello che sei, se ne hai il coraggio.»
«E lasciare che tu trema dalla paura e usi inconsapevolmente il tuo potenziale? Come quattro anni fa
Shadow lo fulminò con gli occhi furenti. «Tu brutto…»
«Tu non sei ancora all’altezza per stare davanti al mio cospetto. Sei ancora debole.»
Quella che doveva essere la giornata più rilassante della sua vita, dove l’avrebbe passata in compagnia di Maria, era diventata di punto in bianco la più frustrante. Come se i continui rimproveri di Morris non fossero abbastanza a rovinare la vita della povera creatura artificiale, si era anche intromessa l’entità misteriosa del corridoio cremisi, che aveva cominciato a fargli visita dal giorno dell’incidente. Essa, che si presentava come un’enorme figura oscura dai tre occhi, inizialmente disturbò il sonno del riccio ebano, procurandogli non poche nottate insonne, per poi palesarsi anche durante il giorno sottoforma di allucinazione. Ma con il passare del tempo, Shadow si abituò alle sue continue apparizioni, ignorandolo e riuscendo più volte a liberarsene, anche a costo di svegliarsi con l’emicrania: chi o cosa fosse, gli importava ben poco.
«Però ammetto che la tua forza di volontà è da ammirare. Il professor Robotnik sta facendo il suo lavoro.»
«Non osare pronunciare il suo nome.Tu non ne hai il diritto!»
«Oh, ragazzo mio. Ne ho più di quanto immagini.»
«Bugiardo!» guidato dall’ira, Shadow sferrò un pugno  e in un battito di ciglia l’ombra era ritornata ad essere il suo riflesso. La mano, ancora a contatto con il vetro, pulsava comunicando l’intensità dell’impatto. Se fosse stato un essere umano l’avrebbe rotta, invece le falangi si raddrizzarono all’istante e il sangue venne riassorbito dalla pelle, persino quello lasciato sui guanti.
«Hai ancora molta strada da fare, Shadow the Hedgehog, ma soprattutto poco tempo. È quasi giunto il momento.»
Shadow ritrasse la mano intatta e digrignò i denti all’avvertimento della voce prima che abbandonasse la mente della Forma di Vita Definitiva, lasciandolo finalmente rilassare ogni singolo muscolo del corpo.
Portatosi entrambe le mani al viso, Shadow si appoggiò con la schiena sul vetro sfinito, sia fisicamente che mentalmente. Per quanto ancora poteva resistere? Per quanto ancora poteva nasconderlo al professore? Fra quelle e molte altre preoccupazioni, solamente una turbava Shadow, inducendolo a stringere i pugni e sussurrare con rabbia:«Sono ancora così debole?»
 
 Maria premette con forza la bocca con una mano, così da evitare l’ennesimo conato di vomito, pur sapendo che non sarebbe uscito nulla: quella mattina non aveva mangiato, poiché il cibo si era rifiutato di essere ingerito, compresi i liquidi, che vennero subito espulsi al primo sorso.
La ragazza fece molta fatica a prendere gli ultimi medicinali prescritti dal professor Robotnik, che le  diedero un lieve sollievo per circa due ore. Un nuovo record, pensò sarcastica. La situazione stava precipitando, lei lo sapeva fin troppo bene, e purtroppo il cibo non era l’unico fardello che stava portando in tutti quegli anni. Oltre al cibo, Maria si sentiva costantemente debole, sveniva almeno cinque o sei volte al giorno per un nonnulla, forti vampate di calore le impedivano di prendere sonno e di tanto in tanto aveva degli attacchi di cuore ignari a Gerald e a Shadow.
«Shadow…» mormorò piano lei, ancora in attesa che la nausea passasse. D’un tratto Maria pensò intensamente al suo fratellino, a tutti i sacrifici che stava facendo pur di essere la creatura perfetta che tanto desiderava il nonno. L’intera ARK stava dando anima e corpo per quelle ricerche e di conseguenza, pensò, anche lei doveva fare la sua parte.
Tenendo a mente quell’unico pensiero, Maria alzò la testa dalla tavoletta del water e si avvicinò allo specchio. Aveva un aspetto orribile, dai capelli arruffati al sudore che impregnava la fronte, ma fortunatamente non ci mise molto a risistemarsi. La ragazza prese il flaconcino e prese due capsule per ingoiarle in una volta, aiutandosi con quel poco di saliva che aveva.
Inspirato profondamente, ignorò il dolore al petto ed espirò fuori tutta l’aria che aveva in corpo e fissò decisa il suo riflesso. «Forza, Maria. Non puoi arrenderti ora. Devi resistere. Fallo per loro
 
ANGOLO DELL’AUTRICE:
Quattro mesi. Non posso credere che l’ultimo aggiornamento risalga a febbraio… Non so cosa dire se non che mi dispiace per questo tremendo ritardo, non era assolutamente previsto. Ho avuto una serie di impegni e di imprevisti che mi hanno impedita di continuare a scrivere. E non solo, ho avuto un vero e proprio blocco che mi ha obbligato a cancellare più volte questo capitolo e riscriverlo. Non so dire se sono soddisfatta o meno di questo capitolo, ma… diciamo che ho fatto del mio meglio e spero, e mi rivolgo a tutte le persone che stanno seguendo la storia, di non aver deluso le aspettative.
Ormai manca poco. Mi sto pian piano avvicinando alla fine. Forse mancano due capitoli, non lo so, dipende tutto da cosa sento e da cosa voglio scrivere.
Molto probabilmente ci saranno errori di battitura e di grammatica, perciò non esitate a segnalarmeli e io provvederò subito a correggerli.
Finisco col ringraziare tutti coloro che hanno recensito il capitolo precedente. GRAZIE davvero. E' sempre un piacere ricevere delle recensioni e dei complimenti che spesso e volentieri mi sorprendo di ricevere (di nuovo... ho davvero una bassa autostima di me stessa ^^"), ma mi danno sempre la forza necessaria per continuare a scrivere e le critiche costruttive mi aiutano a migliorare sempre di più.
Detto questo, mi dispiace ancora tanto per questo ritardo, spero di non avere altri problemi, ma soprattutto un altro dannatissimo blocco.
 
Grazie per la pazienza e ci si vede presto.
 
Cassandra
   
 
Leggi le 6 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Sonic / Vai alla pagina dell'autore: CassandraBlackZone