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Autore: TwistedDreamer    13/06/2017    0 recensioni
«Cioè, fammi riassumere un attimo la situazione. Il famoso "punto" della questione è che Brian voleva solo scopare e tu ti sei innamorato?»
«Dom, perché nei tuoi riassunti io sembro sempre la ragazzina sedotta e abbandonata?»
«Perché lo sei, Matt!!! Sei una fottuta ragazzina! Come ti salta in mente di innamorarti di Brian Molko? Dopo che lui ti ha chiaramente intimato di non farlo, per di più!»
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Muse, Placebo | Coppie: Brian.M/Matthew.B
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 6

“Hai dodici anni, non uno di più”.
Ma come si permette?
Ma lui che ne sa?
Non può sapere, non può giudicare.
Brian cammina senza meta e senza sosta all’interno dell’area backstage, perché dopo la sfuriata di Matt non se l’è sentita di rientrare in camerino e fingere che non fosse successo niente davanti a Cody e a Steve. Oltretutto, non lo ammetterebbe mai, ma vederlo così da vicino, parlargli, guardarlo negli occhi, gli ha scatenato qualcosa di troppo simile alla nostalgia, per i suoi gusti. Di andare a sfogarsi con Stefan, neanche a parlarne. Potrebbe chiamare Helena, ma c’è un limite alle cose di cui puoi parlare con la tua ex e lui è certo che raccontarle nei dettagli i suoi problemi con Matt oltrepasserebbe inesorabilmente quel limite.
Per la prima volta, da un sacco di tempo, si sente solo.
Il desiderio di qualcosa di forte da bere si manifesta prepotentemente dentro di lui e lo fa arrestare di colpo; poggia una mano sul muro bianco che ha accanto respirando velocemente, quasi ansimando.
Non può bere. Non dopo tutto quello che ha passato. Non tocca un goccio d’alcool da sette anni, otto mesi e tredici giorni e non sarà una stupida discussione con Matt Bellamy che gli dà del bambino a farlo ricominciare.
Si gira e torna indietro verso il suo camerino. Restare solo in momenti come questo è l’ultima cosa che deve fare, ha bisogno di un’ancora di salvezza. Ha bisogno di suo figlio, di guardarlo e di ricordarsi perché non può andare a svuotare il portafogli al bancone di un bar.

***

29 marzo
Brian era disteso prono, il busto poggiato su quello di Matt che stava giocando distrattamente con i suoi capelli. Lanciò uno sguardo distratto alla sveglia sul comodino e poi sbuffò.
«Che c’è?» gli chiese Matt, la voce appena un sussurro.
Brian affondò il viso nello stomaco dell’altro.
«Tra un’ora devo essere dall’altro lato della città.»
Il movimento delle sue labbra a contatto con la pelle di Matt e le vibrazioni della voce stavano per dare il via a qualcosa che si era appena concluso. Matthew ridacchiò e si divincolò.
«Che fai?» gli chiese, mentre Brian lo bloccava col proprio peso, intrappolandolo con le mani contro il materasso.
«Brian, se non la smetti non ti faccio più uscire da questa stanza.»
Vide un sorriso malizioso dipingersi sugli occhi verdi che erano puntati nei suoi.
«Bene. Non me ne vado.» mugugnò, sporgendosi per baciarlo.
Il bacio si approfondì.
Le mani di Brian cominciarono a vagare.
Matt voltò la testa repentinamente.
«Brian!» esclamò, «Devi andare a lavorare, su!»
Gli diede una pacca sul sedere e sgusciò definitivamente a quell’abbraccio. Brian si mise supino e si trascinò un cuscino sulla faccia.
«Non ho voglia.» si lamentò.
«Ma cos’è che devi fare?»
«Sono ospite di un programma alla XFM.»
«Va bene che è solo audio, Brian, ma dovresti per lo meno renderti presentabile…»
«Ecco, quest’aggettivo mi ha appena impedito di prendere in prestito dei vestiti dal tuo armadio.»
«Non te li avrei prestati comunque, li avresti fatti puzzare da battona.»
Brian sgranò gli occhi, fingendosi offeso.
«Come ti permetti?» strillò, lanciandogli contro il cuscino e mancandolo miseramente.
«Brian, non vuoi davvero che la tua manager ti trovi qui. Fila a casa tua a prepararti.» lo ammonì col suo miglior tono da genitore, tirandogli addosso i vestiti che precedentemente lui stesso aveva disseminato per la stanza.

***
 
«Cody, guarda, è arrivata la mamma!»
Helena sta scendendo da un minivan con i finestrini oscurati proprio davanti alla porta d’ingresso del loro hotel. Un usciere in livrea prende le sue valigie e la scorta all’interno, dove Cody e Brian la stanno aspettando. Il bambino alza gli occhi dal suo videogioco e corre ad abbracciare la madre, che si sta togliendo gli occhiali da sole per adeguarsi alla penombra della hall. Liberatasi dall’abbraccio del figlio, Helena si avvicina a salutare Brian, ma si congela sul posto non appena è abbastanza vicina da vederlo bene in viso.
«Merda.» si lascia sfuggire a mezza voce, «Brian, non credere di riuscire a svignartela anche stavolta.» gli intima, sventolandogli contro un dito, «Hai un’espressione terribile e io voglio sapere per filo e per segno cos’è successo.»
Lui riesce a tirar fuori una risata poco convinta e tenta di scherzare: «Sì, cara, hai portato lo smalto e le maschere anti-age?»
Lei gli tira un colpetto sulla spalla e poi lo abbraccia, posandogli un bacio delicato sulla guancia.
«Ma quando imparerai, Brian?» sospira.

*
 
A gambe incrociate sull’enorme letto matrimoniale che troneggia nella suite, Helena Berg ascolta attenta il racconto strascicato di un Brian Molko seduto su una sedia di fronte a lei, la testa poggiata pigramente su una mano, il busto semi riverso sul tavolo accanto a lui e lo sguardo distante, come se non gli importasse davvero quello che sta dicendo.
Non che speri di ingannarla: lei lo conosce fin troppo bene e sanno entrambi che riuscirebbe a smascherarlo in ogni caso. D’altro canto, non c’è bisogno di entrare nei dettagli di tutta la storia: lei ha avuto modo, attraverso i racconti innocenti di Cody e grazie al poco che ha potuto constatare di persona, di farsi un’idea abbastanza precisa di quello che è capitato a Brian negli ultimi sei mesi. Le mancano solo le novità degli ultimi giorni ed è facile riempire il vuoto con poche frasi ben bilanciate. Ora Brian si ostina ad aspirare lunghe boccate di fumo dalla sigaretta elettronica – quelle vere non sono permesse all’interno dell’hotel – e a guardare nel vuoto, evitando accuratamente lo sguardo della sua ex.
Ad un certo punto, lei sbotta: «Ma si può sapere qual è il problema?»
«Lo sai, il problema. È sempre lui, solo che stavolta ho qualcosa da perdere.»
«L’avevi anche prima.» mormora la donna.
Lui alza uno sguardo colpevole e sofferente sul suo volto, ma prima che possa scusarsi per l’ennesima volta lei agita una mano nella sua direzione, come a voler dissipare le parole sospese a mezz’aria tra loro.
«Dacci un taglio, Molko. So che tu sai già quello che sto per dirti, ma te lo ripeterò lo stesso, tanto per essere sicura che non ti dimentichi i concetti fondamentali. Per cui apri bene le orecchie.»
Con un gemito sofferente, Brian si gira per fronteggiarla con tutto il corpo, ma fa come gli è stato detto. A volte ha bisogno di qualcuno che lo scuota, perché oltre a liberarlo dal peso dei suoi pensieri, risveglia in lui l’infantile sensazione di essere accudito ed amato.
«Non possiamo scegliere di chi innamorarci. Non possiamo neanche scegliere di non farlo. Ci sono persone che passano la propria vita a cercare l’amore e non riescono a trovarlo, quindi io non ti permetterò di arrenderti a priori, soprattutto quando hai qualcosa di così bello che ti sta nascendo tra le mani.»
«Come…» prova a intervenire lui.
«Lo so che è bello!» esclama esasperata, alzando le braccia per sottolineare il concetto e poi lasciandole ricadere ai suoi fianchi, «Non saresti scappato se non fosse stato qualcosa di spaventosamente rischioso per la tua sanità mentale. E allora doveva essere bello per forza.»
«Sì, ma tu non stai mettendo a fuoco il soggetto in questione.» sbotta lui, alzandosi in piedi e cominciando a vagare a vuoto nella stanza. «È Matt Bellamy, cazzo! È come un bambino, prende quello che vuole, ci gioca e lo butta via. Un giorno gli piace il pianoforte e il giorno dopo è solo chitarra, un giorno si fa una modella e il giorno dopo ci prova con me… e non ha mai avuto storie con uomini prima d’ora. Magari dopo qualche mese decide che gli mancano un paio di tette da strizzare e mi pianta.»
Helena scoppia a ridere di gusto.
«A parte il fatto che le tette le hai anche tu, vorrei farti aprire gli occhi sul fatto che non c’è bisogno di un’identità sessuale confusa per essere piantati.»
«Ecco!»
«Ecco il cazzo, Brian. Anche se ti mettessi con qualcuno con le idee più chiare, un giorno potresti venire piantato malamente e il fatto che Matt Bellamy sia Matt Bellamy non costituisce una maggiore fonte di rischio per te. Certo,» valutò ad alta voce «voi due come coppia dareste un boccone succulento ai giornalisti, ma a un certo punto si stancherebbero anche loro.»
«Hel, non lo so. È che lui ha un bagaglio piuttosto pesante. Ha un figlio con un’attrice di Hollywood che vive dall’altra parte del mondo, stare con lui significherebbe accettare di abbandonare la mia presunta vita normale.»
«Brian, se avessi davvero voluto una vita normale avresti fatto il contabile.»
Lui le sorride.
«Touché.»

***
 
Matt stava guidando nel traffico londinese, chiedendosi distrattamente che cosa l’avesse spinto ad uscire in macchina quel pomeriggio, sapendo benissimo di dover andare in centro. Fortunatamente, era riuscito a parcheggiare nelle vicinanze del negozio di sartoria dove avrebbe dovuto ritirare una serie di completi, ma adesso, proprio nell’orario di punta in cui tutti gli uffici chiudono e le persone rincasano, anche percorrere pochi metri gli richiedeva un tempo eccessivo.
Sospirò. Di questo passo non sarebbe mai arrivato a casa in tempo e si agitò sul sedile, insofferente al solo pensiero della sfuriata che Brian gli avrebbe fatto, perché come puoi essere sempre in ritardo?
A proposito di Brian…
Si sporse in avanti, accese la radio e si sintonizzò su XFM. Una risata fanciullesca, una voce nasale e Matt si ritrovò a sorridere come un cretino.
«Nelle vostre canzoni l’amore è un tema ricorrente» stava dicendo lo speaker, «ma com’è la vita amorosa di Brian Molko?»
Matt tese le orecchie mentre Brian gracchiava una risatina sarcastica.
«Non ti aspetterai davvero che risponda a questa domanda…» fu l’evasiva risposta.
L’interlocutore rise con lui, poi riprese: «Dai, non lasciare in sospeso tutti i nostri ascoltatori. Per esprimere concetti così potenti, dovrai pur avere qualcuno nella tua vita.» (“Infatti!” pensò Matt, “Come fai a scrivere quelle cose e poi a comportarti come ti comporti?”)
«Beh, il fatto è questo: non devi necessariamente essere innamorato, per scrivere una canzone d’amore. Quello che è importante, è che tu sia stato innamorato almeno una volta nella vita. (“Mmh. Vero. Questo te lo concedo.”) Poi puoi sempre scrivere di quel ricordo, rivivere quelle emozioni. Per quanto riguarda me, diciamo che sono in astinenza. (“COSA?”) Astinenza da storie d’amore. (“Ah, allora ok. Sì, ma di chi è la colpa?”) Non credo di essere abbastanza maturo per poterne gestire una seria, quindi aspetterò di diventarlo.»
Matt rimuginò su quelle parole. Sì, decise, Brian era decisamente immaturo dal punto di vista relazionale, il che gli sembrava abbastanza assurdo. Comunque, anche i ragazzini hanno storie d’amore, che problemi aveva, lui? A volte, Matt aveva l’impressione che Brian avesse una sorta di blocco mentale, ma non avrebbe saputo dire a cosa fosse dovuto.
Lo speaker, intanto, continuava a parlare.
«Capisco. Bene, Brian, grazie per essere stato con noi.»
«Grazie a te.»
«Amici, per questa sera è tutto, io e Brian vi lasciamo con l’ultimo singolo dei Placebo. A domani!»
Matt pensò distrattamente che gli studi di XFM erano poco distanti da dove si trovava in quel momento.
E che deviare in quella direzione l’avrebbe allontanato dalle incasinatissime strade principali.
E che Brian potrebbe aver avuto bisogno di un passaggio.
Mise la freccia e svoltò a sinistra. Secondo i suoi calcoli, tra la fine del programma e il momento in cui Brian fosse riuscito ad uscire dagli studi dell’emittente radiofonica, sarebbe passata almeno mezz’ora e a lui servivano quindici minuti per raggiungere l’edificio. Non aveva calcolato, ovviamente, l’impossibilità di parcheggiare. Non c’era un posto neanche a pagarlo a peso d’oro, neanche un buchino in cui infilare la sua piccola Mini Cooper. Valutò la possibilità di darsi per vinto e tornare a casa, ma poi pensò che ormai era lì, tanto valeva restarci altri pochi minuti. Decise di fare il giro del palazzo, per vedere se da qualche parte si fosse liberato un posto auto e, passando davanti alla porta principale, vide assiepato uno sparuto gruppetto di ragazzine. Saranno state sei o sette, stimò, e sicuramente erano lì per Brian. Palesarsi davanti al portone non sarebbe stata una mossa saggia: non solo potevano essere (e, probabilmente, lo erano!) anche fan dei Muse, ma era sicuro che farsi vedere insieme a Brian sarebbe stato deleterio sotto talmente tanti punti di vista che anche contarli era faticoso.
Sospirando, sprofondò un poco nel sedile e accelerò; svoltato l’angolo, si allungò per prendere nel cruscotto il cappellino e gli occhiali da sole che teneva sempre lì per emergenza. Accantonata la possibilità di parcheggiare e scendere, pensò che la sua unica possibilità era riuscire a prelevare Brian al volo, per cui accelerò di nuovo, svoltò un altro angolo e un altro ancora, fino a trovarsi di nuovo nella strada in cui si trovava l’ingresso principale.
La situazione era cambiata. La prima cosa che notò fu che il gruppo di ragazzine si era spostato e si stava muovendo, compatto, venendo nella sua direzione. Poco davanti a quella piccola folla, c’era una figura incappucciata, con gli occhiali da sole ben saldi sul viso, che camminava alla massima velocità consentita dalle sue piccole gambe senza sfociare in una corsa vera e propria.
Quelle piccole gambe. Magre. Affusolate. Armoniose. Femminee.
Matt si riscosse. Era Brian, ovviamente.
Premette sull’acceleratore e inchiodò proprio accanto a lui, aprendo lo sportello del passeggero e intimandogli: «Presto, sali.»
Brian si girò verso l’auto con aria allarmata, ma poi, anche attraverso le lenti scure, fu possibile individuare il cambio d’espressione sul suo viso e la sua netta virata verso il più spontaneo e genuino sollievo che Matt sarebbe mai riuscito a immaginare.
Brian si fiondò in macchina, si chiuse dietro lo sportello e, mentre si allacciava la cintura, gli disse: «Vai! Vai! Vai!»
Matt ripartì sgommando.
Quando furono abbastanza distanti, Brian si rilassò sul sedile e tirò un sospiro di sollievo, sfilandosi il cappuccio e togliendosi gli occhiali da sole. Matt fece lo stesso e cominciò a ridacchiare, subito seguito da un Molko semi traumatizzato.
«Che ci facevi là?» fu la prima domanda che si sentì rivolgere.
Matt si agitò sul sedile, a disagio, gli occhi fissi sulla strada. Sperava che il sollievo di Brian sarebbe bastato ad evitare uno scontro, ma con lui non si poteva mai dire…
Optò comunque per la verità.
«Ero nei paraggi e ho pensato che ti potesse servire un passaggio…»
Pur senza guardarlo, poté intuire il sorriso sul volto dell’altro e si rilassò.
«Che tempismo!» mormorò Brian.
«Dai, erano solo fan! Se ti fossi fermato a firmare due autografi se ne sarebbero andate dopo qualche minuto e saresti stato libero.»
«Non ne avevo voglia.» borbottò.
Matt intuì che c’era dell’altro e che Brian non ne voleva parlare, per cui decise di chiudere l’argomento.
«Per tua fortuna è arrivato il principe sul cavallo bianco a salvarti!» scherzò.
«La prossima volta porta una calzamaglia.» si sentì rispondere, con tono di voce basso e allusivo, mentre una mano si posava sulla sua coscia, «Potrebbe piacermi la vista.»

***
 
«Allora,» esordisce Helena sedendosi accanto a Brian sul divanetto del tour bus e aspettandosi naturalmente che lui smetta di fare qualsiasi cosa stia facendo al computer e la ascolti. Lui le lancia un’occhiata infastidita che lei non si scomoda a registrare, mentre gli sottopone un block notes.
«Ho stilato una lista delle vostre prossime tappe estive e l’ho incrociata con il piano estivo dei Muse. Secondo i miei calcoli, la prima data utile per parlare con Matt è fra quattro giorni a Les Vieilles Charrues.»
«Helena, cosa ti fa pensare che io voglia parlare con Matthew?»
Sul viso di lei dardeggia un sorriso letale e poi la sua mano si avvicina a carezzargli i capelli con fare materno. «Tesoro, cosa ti fa pensare che io ti lasci una scelta?»
«Nel caso ti fosse sfuggita l’essenza del mio racconto di ieri, Matt mi ha praticamente mandato a ‘fanculo l’ultima volta che ci siamo visti. Non credo abbia voglia di parlare con me.» si difende.
Helena lo guarda con aria comprensiva.
«Brian, sei sparito nel nulla senza dargli uno straccio di spiegazione, né curarti di rispondergli al telefono. Che pretendevi? La pazienza di chiunque ha un limite!»
«Io non pretendevo niente. Doveva solo uscire dalla mia vita con la stessa facilità con cui ci è entrato.» insiste, con piglio caparbio e mettendo su un broncio. L’espressione della donna si vena di dolore, con una nota di compassione.
«Oh, Brian, sei così preoccupato del male che potrebbero farti gli altri da non accorgerti minimamente di quello che tu fai loro. Se hai deciso che non vuoi rischiare di proseguire in questa… cosa che hai con Matthew, va bene, è una scelta che puoi fare solo tu, ma per lo meno dovresti scusarti e dargli una spiegazione.»
Gli schiocca un sonoro bacio sulla guancia e si allontana; Brian fa passare qualche minuto, quel tanto che basta per non far sembrare che le sue azioni siano anche solo vagamente influenzate dall’invadenza prepotente della madre di suo figlio, poi afferra il suo iPod e si rintana nella cuccetta.
Certo, a guardare la situazione con occhio oggettivo, Helena ha ragione su tutti i fronti, soprattutto quando gli fa notare il suo egoismo. Forse, effettivamente, Matt avrebbe meritato un po’ di sincerità. E ora meriterebbe di certo delle scuse, ma questo è più di quanto Brian riuscirà mai anche solo a pensare di fare, quindi non ne considera neanche la possibilità. Una spiegazione, forse, potrebbe trovare la forza di dargliela, sperando che lui capisca e non tenti di forzargli la mano. Ma il fatto è che nessuno può capire davvero quello che ha dentro. Non è semplice paura di tuffarsi, è un vero e proprio blocco e lui non sa se e quando riuscirà mai a superarlo. Si chiede se Matt Bellamy valga qualche sforzo in quel senso e viene assalito dal ricordo di sorridenti occhi blu, di clavicole sporgenti, di dita lunghe e abili che sanno riempire di attenzioni esperte un corpo quanto uno strumento musicale. Gli si ferma il respiro in gola e istintivamente si raggomitola in posizione fetale, come se avesse bisogno di contenere fisicamente tutto quello che gli si agita dentro.

***
 
«Prima ho ascoltato l’intervista.»
«Mmh?» la voce di Brian era assonnata, quasi un sussurro.
«Mi è quasi venuto un colpo quando hai detto di essere in astinenza.» ridacchiò, facendo scivolare la lingua lungo l’addome dell’altro, «Fortuna che poi hai specificato…»
«Non credevo che avresti ascoltato, altrimenti non avrei mai dato un tale colpo alla tua autostima.» si sentì rispondere pigramente. Avvertì una mano passare leggera tra i suoi capelli e continuò la sua esplorazione, fermandosi appena sotto l’ombelico. Si interruppe perché sapeva che nessuno dei due aveva davvero la forza di ricominciare, per cui si sistemò un po’ più su, le gambe intrecciate a quelle di Brian, e abbracciò il cuscino, portandoselo sotto il mento.
«Anch’io a volte mi sento troppo immaturo per gestire delle storie.»
«E come ne esci?»
«Intanto mi ricordo che sono un padre e che quindi ho teoricamente fatto la più profonda esperienza di amore che un uomo possa mai provare.»
«Mmh. Hai ragione.»
«E poi, per quanto riguarda le relazioni d’amore vere e proprie, penso che forse, se continuerò ad avere nuove esperienze, prima o poi riuscirò a capire come farne funzionare una.»


«Brian?»


«Dormi?»

*
 
«… e quella è stata la prima sera in cui si è fermato a dormire da me.»
«L’ha fatto di proposito?»
«Mah. Brian non lascia mai niente al caso. Diciamo che l’ha fatto passare come un casuale addormentarsi dopo il sesso, ma non so…»
«Come avrebbe potuto essere casuale, se ogni volta appena finivate uno dei due si alzava e se ne andava?»
«No, aspetta. Il “momento coccole”, se così si può chiamare, era stato istituito già da tempo. Non avevamo più quella fretta di sparire dell’inizio, restavamo un po’ a letto a rilassarci, riprendere fiato, cose così… Se era pomeriggio capitava che sonnecchiassimo, ma di sera non era mai capitato prima. Credo che avessimo entrambi paura di addormentarci per davvero.»
«E cos’è cambiato, quella volta?»
«Mi piace illudermi e pensare che lui si stesse lasciando andare, che ricambiasse l’interesse che io provavo ogni giorno di più. Ma non so, Dom… è dannatamente difficile avere una relazione con un uomo!»
  
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