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Autore: Alitra    14/06/2017    0 recensioni
Non mi avrebbero mai avuta, avrei preferito diventare una di Loro che essere costretta a vivere intrappolata in qualche luogo abbandonato da Dio, comandata da un qualche dittatore improvvisato.
Genere: Drammatico, Horror, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Erano le 22:00, ero finalmente giunta ad un riparo, era una villa, sarà stata anni '80. Da lontano sembrava disabitata ma bastava avvicinarsi di una decina di metri per notare delle persone accovacciate dietro le finestre che mi scrutavano dalla testa ai piedi, guardandomi con uno sguardo confuso, tra il terrore e lo stupore. Probabilmente si stavano chiedendo come fossi riuscita a sopravvivere fino a quel momento, armata solamente di tanta volontà di vivere. Non ci pensai due volte ad avvicinarmi. Arrivata al cancello un uomo mi fece entrare, lo salutai ma non emise alcun suono, accennai un sorriso e mi diressi verso l'ingresso principale. Una volta entrata mi ritrovai davanti ad una schiera di persone che mi fissava, tra cui riconobbi un paio di quelle che si trovavano dietro le finestre. Mi tempestarono di domande, si domandavano da dove venissi, perché vagassi sola per il paese, come mai non fossi morta, sorrisi e risposi che ormai non aveva più importanza il luogo di appartenenza, ma l'utilità di una persona. Inoltre aggiunsi di non voler diventare come Loro, avrei trovato un sistema, una soluzione a quella schifosissima situazione. Mi controllarono da cima a fondo, avendo paura che potessi essere una di loro, una volta rassicurati riguardo la mia situazione mi fecero accomodare. Mi dissero che potevo scegliere una delle stanze non occupate, così salii al secondo piano e mi presi una stanzetta che dava sulla strada principale, solo in quel modo avrei potuto tenere d'occhio la situazione. Iniziai a vagare per la villa, controllando ogni singola stanza e segnando sul mio blocchetto ogni singola persona che vi abitava. Fino a quando non arrivai all'ultima stanza del secondo piano, in fondo al corridoio, decisi di aprire la porta. Dentro vi era un letto matrimoniale e uno singolo, chiesi di chi fosse e l'uomo che mi aprì il cancello, Peter, mi disse che apparteneva ad una famigliola. Subito mi feci accompagnare da loro, non era una famiglia qualsiasi, era la mia famiglia! Non credevo sarebbero riusciti a sopravvivere, invece erano lì. Abbracciai mia sorella, ma era diversa, si comportava in modo strano, aveva uno sguardo perso, guardava il vuoto, doveva aver visto delle cose orrende, ma non era l'unica. Improvvisamente si sentì un tonfo, tutti si abbassarono e io con loro, lentamente mi avvicinai ad una finestra e sbirciai fuori, era uno di Loro, cercando di scavalcare il cancello era caduto, ora si trovava a vagare per l'orticello in cerca di cibo. Era ridotto davvero male, la sua pelle aveva un colore violaceo, il suo corpo era ormai in decomposizione e dal volto aveva un misto di sangue, pus, saliva e muco che colava a terra rovinando ogni ortaggio piantato. Mi avvicinai al camino e presi un ferro appuntito, con molto coraggio decisi di uscire, iniziai a trafiggerlo nel petto, cadde a terra e cominciai a colpirlo in testa con tutta la forza che avevo in corpo, schizzavano pus e sangue ovunque, qualcosa doveva anche essere finito su di me. Non riuscivo a fermarmi, c'era qualcosa in me che mi costringeva a continuare, anche se ormai era diventato una massa informe, venni fermata da mio padre che mi strappò di mano l'arnese. Rientammo, mi feci una doccia e mi coricai. Inutile dire che dopo una settimana passata in strada cercando di sopravvivere dormii tutta la notte. Erano le 9:00, mi sveglai, stranamente il sole non era alto nel cielo, sembrava notte fonda. Decisi comunque di alzarmi e scesi al piano terra, stavano facendo colazione con dei fagioli in scatola, saltai il pasto, odio i fagioli, figuriamoci per colazione. Mia sorella non c'era, chiesi dove fosse andata e mi fu detto che spesso usciva senza avvisare per poi tornare in tarda serata o addirittura il giorno seguente. Uscii e cominciai a cercarla, dovevo stare attenta, anche se ormai avevo imparato come fare. Passarono circa tre ore e arrivai ai piedi di una scarpata, una luce mi accecò, ma il sole non c'era. Solleavi il capo e vidi che era mia sorella, Lisa, che cercava di attirare la mia attenzione riflettendo la luce di una torcia contro uno specchietto. Mi avvicinai e notai che con lei si trovava un uomo, non era dell'accampamento, non era registrato nel mio taccuino. Si presentò, il suo nome era Marco e aveva un figlio, mi fu spiegato che apparteneva ad un altro gruppo di superstiti, mi feci presentare al resto dei sopravvissuti. Vivevano in una palazzina non molto sicura, vi evra semplice accedervi, basti pensare che non avevano neanche una recinzione per bloccare l'ingresso. Vidi arrivare alcuni di Loro, chiesi un arnese per difendermi ma non avevano nulla, come potevano sopravvivere in quelle condizioni? Iniziai a correre giù per la scarpata, dovevo arrivare alla villa per poter prendere degli attrezzi. Passai davanti al cancello e vidi degli sconosciuti, mi avvicinai per capire meglio e uno di loro cercò di afferrarmi, lo evitai e ricominciai a correre più veloce di prima. Non mi avrebbero mai avuta, avrei preferito diventare una di Loro che essere costretta a vivere intrappolata in qualche luogo abbandonato da Dio, comandata da un qualche dittatore improvvisato. Dopo una cinquantina di metri di corsa vidi un'auto che mi lampeggió, erano i miei genitori, mi aprirono la portiera e saltai dentro la vettura in un batter d'occhio. Mia madre mi spiegò che quei banditi avevano preso sotto assedio la villae che avevano catturato tutti gli altri, loro due riuscirono a scappare dato che ebbero più tempo trovandosi all'ultimo piano. Subito dissi a mio padre che dovevamo raggiungere Lisa, quindi salimmo la scarpata e la trovammo vicino a Marco e il figlio Luca. Erano rannicchiati dietro una siepe con la speranza di non essere visti da Loro. Luca si mise in braccio a mia madre e Marco prese il volante. Dopo quattro o cinque ore di macchina arrivammo davanti ad una grande struttura, a occhio sembrava essere un ospedale. Entrammo e trovammo pazienti e infermieri, venimmo accolti in modo cordiale, più sopravvissuti c'erano, più l'edificio poteva essere difeso. Ancora una volta iniziai a girare la struttura, era pieno di persone sdraiate nei lettini, attaccati alle flebo e pieni di fasciature per tutto il corpo, quelli che si trovavano in condizioni migliori riuscivano a mala pena a parlare e a muovere gli arti superiori. Chiesi cosa avessero, la risposta di un'infermiera fu "semplice influenza". Non ero del tutto convinta della risposta che mi fu data, ma continuai a camminare. Passai la notte nel corridoio del primo piano, per tutto il tempo si sentirono grida strazianti, dovevano esserci persone che stavano soffrendo molto, ma non erano le sole. Erano ormai le 8:30, neanche oggi il sole era sorto. Marco venne da me correndo e mi supplicò di aiutarlo, inizialmente non capii, mi spiegò che suo figlio cominciò ad avere le convulsioni e che per tutto l'arco della notte aveva vomitato. Corsi dal bambino, era in uno stato pietoso, l'infermiera gli somministrò un farmaco che bloccó le convulsioni e ci rassicurò dicendoci che era semplice influenza e che in quel periodo era più facile ammalarsi. Ovviamente non ci credevo, neppure Marco diede fiducia alle parole della donna, era evidente che qualcosa non andava, ormai si era capito, stava diventando uno di Loro. Il padre mi prese da parte e mi pregò di non ucciderlo se non fosse stato veramente necessario. Lui sarebbe uscito, avrebbe trovato la cura. Decisi di occuparmi del piccolo Luca, l'unica cosa che potessi fare per aiutarlo erano degli impacchi di acqua fredda per far scendere la temperatura corporea. Iniziai a sentire dei botti, dei rumori sordi, così forti che sembrava che un toro infuriato stesse colpendo ripetutamente l'edificio. Mi affacciai dalla finestra, era Marco, ai stava fiondando contro la porta d'ingresso sperando di aprirla. Bastava guardarlo qualche secondo in più per notare la bava che gli gocciolava dalla bocca e le pupille estremamente dilatate. Avrà insistito per un paio di minuti, dopo di che un infermiere lo colpì dietro la nuca, il mio grido fu così forte che echeggió per tutto il quartiere. Scesi nel minor tempo possibile ma ormai era troppo tardi, l'uomo era accasciato a terra, non respirava più. Mi inginocchiai accanto a lui, notai che stringeva in mano un foglietto, lo presi e lo lessi. "Ho trovato la cura, ho scoperto cosa è accaduto, ho trovato l'artefice di tutto questo, l'ho eliminato, non era uno di Loro, ma il loro creatore, il loro padre. Purtroppo però ogni cosa ha il suo costo,  ho sacrificato la mia stessa vita per salvare quella degli altri, soprattutto quella di mio figlio. Grazie per esserti presa cura del piccolo Luca, avrai quello che meriti, ognuno raccoglie ciò che semina. Fagli sapere che gli ho sempre voluto bene. Addio.". Chi era l'artefice?  Cosa voleva dire che aveva rubato il sole? Perché il sole era l'antidoto? Ancora oggi non trovo risposte a questi quesiti, l'unica cosa che so è che un'ora dopo l'accaduto il sole cominciò a sorgere e Luca e tutti gli altri iniziarono a guarire, non erano più come Loro, anche se quelli più gravi marcirono nei lettini. Ci volle più di un mese per ripulire le strade dai corpi, se così possono essere definiti. Ora sono qui nella mia villetta, con la mia famiglia e il piccolo Luca, mi appunto tutte le mie memorie per non dimenticare questo tragico accaduto. Comunque cerchiamo di vivere senza che il nostro passato pesi sul nostro presente e futuro, abbiamo sofferto molto, ma non siamo gli unici.
   
 
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