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Autore: Duncneyforever    14/06/2017    1 recensioni
Estate, 1942.
Il mondo, da quasi tre anni, è precipitato nel terrore a causa dell'ennesima guerra, la più sanguinosa di cui l’uomo si sia mai reso partecipe.
Una ragazzina fuori dal comune, annoiata dalla vita di tutti i giorni e viziata dagli agi che l'era contemporanea le può offrire, si ritroverà catapultata in quel mondo, circondata da un male assoluto che metterà a dura prova le sue convinzioni.
Abbandonata la speranza, generatrice di nuovi dolori, combatterà per rimanere fedele a ciò in cui crede, sfidando la crudeltà dei suoi aguzzini per servire un ideale ormai estinto di giustizia. Fortunatamente o sfortunatamente non sarà sola e sarà proprio quella compagnia a metterla di fronte ad un nemico ben peggiore... Se stessa.
Genere: Drammatico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Guerre mondiali, Novecento/Dittature
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Al mio risveglio, Samuele è ancora al mio fianco: gli occhi scuri chiusi, i capelli altrettanto scuri a coprire il viso rilassato, le mani giunte mollemente appoggiate sulla sua parte di cuscino... Senza dubbio sta ancora dormendo ma io, stranamente, non ho più sonno e non riesco proprio a riaddormentarmi, pertanto decido di alzarmi dal letto, cercando di non svegliare il ragazzo: faccio per scavalcarlo, quando il mio sguardo e il mio cuore vengono catturati dal suo labbro inferiore gonfio e spaccato e dal livido di un tenue color violetto appena sotto l'occhio, sulla parte alta dello zigomo; colpa tua, mi ripete una vocina. - Soltanto colpa tua - e, fulminata dal senso di colpa, riporto la gamba a penzoloni sopra al materasso, rimettendomi a letto accanto a lui. Sam è impertinentemente spensierato, felice, così lontano dalla realtà del suo tempo, dalla Shoah, dai campi di concentramento, dalla morte ed io non posso che guardarlo con impotenza, pensando al triste destino in cui potrebbe incorrere, tra un anno o poco più. - Lui non può morire - mi ripeto mentalmente, appoggiando le labbra sul suo viso, su quella brutta chiazza violacea, accarezzandogli il collo con i soffici capelli ondulati e facendolo sorridere, mentre egli riposa ancora, cullato dalle braccia di Morfeo; - lui non deve morire - e la famiglia che mi ha accolta in casa come parte della famiglia stessa, nonostante tutti i vincoli etici e razziali che impediscono ogni contatto tra ebrei e " ariani ", di certo non merita ciò che sarà costretta a subire in un futuro non troppo lontano, un futuro che attende impaziente il nuovo contributo di sangue che, la prossima volta, saranno i discendenti di Romolo a versare. Come se questo ancora non bastasse, devo anche pensare al fatto di non avere idea di dove andare, se da Andrea o da Schneider, il verme che non ha mosso un dito per impedire che mi venisse fatto del male. I miei dibattiti mentali, tuttavia, vengono interrotti da Sam che, appena svegliato, strizza le palpebre un paio di volte, per poi puntare gli occhioni assonnati nei miei, probabilmente chiedendosi cosa ci faccia ad un palmo da lui; 

- buongiorno- si appoggia sui gomiti e si guarda intorno, cercando di capire che ore siano ( cosa di cui nemmeno io sono conoscenza ). 

- Ti fa male? - 

- No no, stai tranquilla, non è niente - mi dice, toccandosi il labbro, anche se è ben chiaro ai miei occhi che quel brutto ematoma non andrà via tanto facilmente e nemmeno tanto in fretta. Rendendomi conto del male che ho involontariamente causato, prendo ufficialmente atto di dover andare via al più presto per non incasinare il povero ragazzo più di quanto non abbia già fatto. 

- Mi staranno cercando... - Seppur non voglia andarmene è la cosa più giusta da fare, per cui scendo dal letto e attendo che il ragazzo si alzi e mi accompagni alla porta. 

- Chi ti sta cercando? - Lui, però, non si alza.

- È molto complicato da spiegare, mio buon amico. Hai presente il crucco dai capelli rossi di ieri? È lui che mi ha portata qui, dalla Polonia, dal campo di lavoro, per l'esattezza. - Lui corruccia la fronte e so già cosa vuole sapere. Tutti lo vogliono sapere.

- È c-come d-dicono? - 

- No, è molto, molto peggio. - Seduto sul materasso, lui ticchetta i piedi sul pavimento, spaventato più di quanto non voglia dar a vedere. - Se potete, andatevene, vi prego, andate via. Ho visto cose inimmaginabili, crudeltà indescrivibili... " Arbeit macht frei " vi dicono, il lavoro rende liberi, una grandissima palla. Non fatevi ingannare. - Gli dico, mettendo già la mano alla maniglia, supplicandolo di far presto. Socchiudo la porta e, davanti a me, trovo Federico, atrofizzato, con il braccio destro sospeso nel vuoto e l'aria scioccata di chi ha appena origliato un discorso molto poco rassicurante su una sorte pressoché inevitabile. - Hai sentito tutto, vero? - Il moro non risponde neanche e, in ogni caso, non credo ci sia ancora qualcosa da aggiungere a quanto detto...

- Ieri notte cercavamo dei visti, in una casa in centro dove prima abitavano i suoi genitori; aveva interrato i documenti falsi nel giardinetto dell'anziana vicina di casa, prima che i fascisti mettessero all'asta l'appartamento. Quanto tempo abbiamo? Tu conosci bene i tedeschi, hai trascorso del tempo con loro e ciò che mi preme sapere è quanto tempo ci resta, per riprovare intendo. - Federico cessa di sostare in quella specie di stato di paralisi, per guardare cripticamente Sam, come se egli avesse appena rivelato delle informazioni riservate, " top secret ". Mi viene spontaneo chiedere che tipo di relazione abbiano visto che, diversamente da quanto mi immaginassi, non sono fratelli. In tal proposito, mi dicono di essere cugini da parte di padre: i genitori di Federico sono emigrati in Svizzera anni prima, a causa della malattia della madre, appunto malata di difterite, infettiva e altamente contagiosa. A quanto ho capito, la donna ne è guarita, ma pare che non sia così facile passare nuovamente la frontiera e, per questo motivo, il ragazzo convive con gli zii, la nonna e i due cugini, in attesa di riunirsi con i genitori. Certo, è una storia triste, ma almeno c'è speranza! Ho conosciuto chi non ha più nemmeno questa... 

- Avete un anno di tempo all'incirca, un anno e due mesi in realtà, ma prendersela comoda non è mai una scelta saggia, specialmente in questi casi, quindi un anno ragazzi. Non dimenticate le mie parole, potrebbero salvarvi. - 

- Sei una brava ragazza - mi confida Samuele, sbattendo le ciglia nerissime, quasi femminee, tanto perfette da poter far invidia a chiunque, persino ad una ragazza che, di per sè, ha già delle ciglia lunghe e spesse, come la sottoscritta. 

- Niente smancerie, bello. A lei non potrai mai avvicinarti, nemmeno come semplice amico. - Il maggiore soffia sul ciuffo di capelli mossi cadutogli sulla fronte e avvicina entrambi gli indici ai pollici, muovendo le dita in modo buffo, mimando due uccelli, due " piccioncini ". Il corvino gli fa una linguaccia e gli mostra il dito medio; 

- sei solo geloso, cugino. Lo sarei anche io se avessi quel naso da ebreo, sai? - Lo schernisce, scherzosamente, alludendo alla gobbetta sul naso di quest'ultimo, con la forma " adunca " che i fascisti attribuiscono agli individui di " razza " ebraica. Federico non la prende tanto bene, non arriva al punto di schiumare dalla rabbia, però barbottola insulti ed imprecazioni, cose non molto carine insomma, ma che comunque non riescono a smuovere il castano gongolante, abituato al carattere lunatico e suscettibile del parente e indifferente al suo colorato turpiloquio. - Suvvia Federì, non vorrai dare il peggio di te in presenza di una signora, non è vero? - E la discussione giunge ad una conclusione, seppur l'altro continui imperterrito a ribadire quanto Sam poco si preoccupi della situazione degli ebrei italiani e della politica in generale e quanto lo stesso sia superbo e viziato. Sta di fatto, che dietro la maschera allegra di Samuele si nasconda un ragazzo timoroso e un sorriso capovolto, una smorfia di disperazione e un tremolio ansioso degli arti, il tutto tenuto a bada da un'insana dose di orgoglio maschile e dal ritegno di non mostrarsi debole, specialmente di fronte al nemico.

- Muoviti, inizia a farsi tardi - sentenzia il moro, sbollendo la rabbia - dobbiamo accompagnarla, ti pare che sappia da che parte andare? - Samuele bofonchia un " rompipalle "a denti stretti, poi incomincia a sfilarsi la camicia con un gesto sbrigativo ( per poco non strappa via qualche bottone ) e a rivestirsi con una nuova camicia, questa con la stella gialla cucita su. Mi giro dall'altra parte e mi copro il viso con le mani per non far notare di essere arrossita dopo aver ammirato gli addominali ben delineati del ragazzo: " uno dei miei aggressori aveva la tartaruga al contrario, altro che " rimembro quegli attimi di paura con più lucidità adesso e posso addirittura paragonare i due aguzzini e i due salvatori sotto altri aspetti: ho sempre creduto che i " cattivi " avessero un certo fascino, ma qui proprio non c'è " trippa per gatti " come si suol dire... E, per fortuna, gli ebrei erano quelli brutti sporchi e cattivi. Tornando a noi, invece, riusciamo a sgattaiolare fuori dall'edificio senza essere notati, non prima di aver salutato a dovere la famiglia che mi ha accolta con tanta cordialità e la madre di Sam, che si era persino proposta di rattopparmi la maglietta con ago e filo; io avrei volentieri accettato ma, davvero, eravamo in ritardissimo con la tabella di marcia, quindi ho dovuto, seppur a malincuore, declinare la gentile offerta della signora Costa. Ripercorriamo, dunque, i vicoli bui della notte scorsa, ora illuminati dai primi tiepidi raggi di sole, fino ad imboccare la stradina a lato della famosa osteria degli " orrori ", nome con cui l'ho ribattezzata dopo quel fatto. 

- Da qui sapresti orientarti? - Mi chiede Federico, guardandosi intorno in cerca del cugino, rimasto poco più indietro a causa di un uomo, forse intento a chiedere i documenti del giovane ebreo incrociato per strada. - Eccomi! - Samuele appare poco dopo, tranquillo, facendoci capire, contro ogni previsione, di non aver riscontrato alcun intoppo particolare. Intanto, annuisco in risposta al moro, affermando di poter sempre chiedere informazioni a qualcuno in caso smarrissi la via, poi stringo i due in un caldo abbraccio, per ringraziarli e salutarli, appoggiando il viso sulla spalla di Sam e allacciando le braccia attorno al collo di Fede, non riuscendo neanche più a separarmi da loro. 

- Ragazzina, vedi che così lo fai commuovere! - Esclama il minore, indicando gli occhi imperlati dell'altro e poi indicando i suoi, molto più scuri, ma ugualmente acquosi, come il cioccolato fuso. 

- Arrivederci ragazzi - non è un addio e non voglio che lo sia ma, senza di loro, il mio mondo sembra già aver perso un po' della sua luce e mi ritrovo ad essere sola, sola e triste, esattamente come mi avevano trovata. Mi incammino senza aver pensato alla destinazione e, lungo il cammino, mi imbatto in un uomo dall'aria familiare che, dopo avermi riconosciuta tra la folla, mi corre incontro, ripetendomi quanto mi abbia cercata e quanto si sia preoccupato per me, spintonando chiunque, ansioso di potermi stringere di nuovo tra le sue braccia;

- Andre - sussurro, compressa tra gli avambracci e il petto dell'italiano. Sembra non volermi lasciare più. - Cosa penserà la gente? - Tutte queste persone, bloccate sulla strada solo per fissarci, mi mettono molta soggezione... A lui no? Vorrei evitare che qualcuno lo lapidi gridando " dagli al pedofilo! " 

- Non importa - e, detto questo, accoglie il mio viso tra le mani, scorgendo i segni rossi dei succhiotti in bella mostra sul mio collo pallido e sottile. - Dio mio! Cosa ti è capitato!? - Andrea spalanca gli occhi, preoccupato, mettendosi ad ispezionare centimetro per centimetro la porzione di pelle non coperta dalla maglietta, alla ricerca di altri lividi scuri o ferite varie collegate alla violenza perpetrata ad opera dei suoi " colleghi ". Ripeto mille volte di star bene, di esserne rimasta quasi illesa, ma lui non vuol proprio sentir ragione di ascoltarmi!

- Figli di puttana! Vedremo se avranno ancora voglia di scopare con un proiettile conficcato nel cranio... - 

- Ti prego, torniamo a casa adesso - aggiungo di essere stanca, tanto per persuaderlo a togliersi dalla strada, gremita di impiccioni e passanti pettegoli. Siamo vicini, vicini da poter sentire il calore del suo respiro sulla mia pelle, il suo profumo di menta e cannella, particolare tanto quanto lui, così vicini, vicini da non poter impedire ad un movimento azzardato di far toccare i nostri nasi, farli incontrare in una tenera carezza per poi farli allontanare di nuovo; siamo stati vicini e lontani allo stesso tempo, tanto da impedire che accadesse l'indicibile ma non abbastanza da evitare la reazione del popolo, esploso in considerazioni svilenti e parecchio offensive per l'uomo che mai una volta ha osato alzarmi le mani addosso, tanto meno a quel fine. 

- No Sara, non dire niente, prima che additino anche te in malo modo - tronca il mio pensiero sul nascere, poi si alza in piedi e mi suggerisce di non seguirlo nell'immediato, di aspettare che i curiosi smaltissero e si allontanassero, prima di raggiungerlo, qualche centinaia di metri più avanti.

- Portare la camicia nera ha i suoi lati negativi ma, con il tempo, ho imparato a conviverci - l'uomo non dà segni di rimpianto, ma non necessariamente ciò che mostra agli occhi deve essere anche ciò nasconde all'interno, nel suo cuore: difatti, posso giurare di aver visto un bagliore di dispiacere nei suoi occhi scuri, una sorta di malinconica apatia nel sentirsi chiamare " mostro " e ciò che all'apparenza è potuta sembrare indifferenza, in realtà, credo fosse delusione, non rabbia, non dolore, delusione nel sentirsi considerato oggetto di disprezzo e malelingue... Diciamo che a nessuno farebbe piacere essere insultato come un animale perché giudicato con superficialità, ma non avrei mai pensato che potesse prendersela per una cosa così personale. Personale... Forse è questa la chiave.  

- E' successo qualcosa prima, tu lo hai sentito - sancisco, mettendomi avanti a lui. Non ammetto repliche. Non questa volta. 

- Ti sbagli. - Risponde, secco, scansandomi poco dopo.

- Tu menti! Credi che io sia stupida solo perché ho quattordici anni? - Mi sono dovuta mordere la lingua per non aggiungere qualche anno; non ricordo nemmeno quanti, ma se davvero sembro così piccola... In effetti, per come l’ho detta, " quattordici " paiono indecentemente pochi, soprattutto, per poterlo mettere sotto pressione in questo modo.

- Non ho mai detto questo, ma non vorrei mai che insinuassi certe cose... - Mi dice, bloccandosi di colpo e invitandomi a riparlarne a casa, una volta arrivati. Io obbedisco, non sapendo più cosa ribattere, ma ansiosa di riprendere il discorso. La via di ritorno, però, è disseminata di negozietti e non posso fare a meno di fermarmi davanti ad una vetrina, in cui è esposta una camicetta di seta color tortora, simile a quella che indossò mia madre il giorno del suo matrimonio. I miei genitori... Sembra passato un secolo dall'ultima volta in cui li ho visti e chissà se li rivedrò ancora, persa nei meandri della storia, imprigionata in un tempo cui non appartengo. Mi mancano molto, ancora di più adesso che penso così intensamente a loro e il pensiero di averli persi per sempre per uno stupido capriccio mi uccide; se non riuscissi più a tornare sarò costretta a costruirmi una vita qui, lontana dalla mia famiglia, dai miei amici, dalle mie comodità, da tutto ciò che ho conosciuto negli anni duemila; dimenticarmi chi ero per abbracciare la mia nuova realtà e un futuro a dir poco prevedibile, di cui già conosco le fattezze. Sarebbe incubo, un autentico incubo da cui, nella peggiore delle ipotesi, non mi risveglierei mai. 

- Ti piace quella camicia? La vorresti? - Andrea mi dà un colpetto sul braccio e mi chiede di entrare per provarmela indosso. Una signora molto cordiale si offre di aiutarmi a trovare la taglia più adatta al mio fisico e, poco dopo, torna da noi con in mano il capo e un sorriso raggiante; 

- ecco a voi signorina, pronto per essere indossato - 

- dai, vediamo come ti sta - aggiunge lui, sedendosi su una poltroncina in attesa di vedere il cambio d'abito. Entro in camerino sperando di non deludere le aspettative, per poi uscirmene con un sorrisetto imbarazzato - allora, come sto? - Chiedo timidamente, lisciandomi il voulant arricciato sull'orlo.

- Siete davvero un incanto, su, guardate con i vostri occhi quanto siete bella! - Dichiara l'anziana donna, probabilmente la proprietaria della boutique, indicando lo specchio appeso alla parete color pesca. Per carità, sono contenta di ciò che vedo: la cintura nera mette in risalto la mia vita stretta, la tinta mi piace molto ed è anche piuttosto comoda però, quando la signora ha detto che mi trovava bella, non ho potuto che pensare a mia madre e i miei occhi si sono incupiti, adombrandosi di lacrime, ricacciate a forza per non esporre in modo tanto evidente i miei sentimenti.

- La prendiamo allora! Quanto viene? - Andrea deve trovarmi davvero bellissima, come " lei ", dato che ha già il portafogli alla mano... Ma non voglio mica fargli spendere una fortuna! La seta è un tessuto molto costoso, specialmente in tempo di guerra, chissà quanto mai gli verrebbe a costare!

- Vediamo un po' - la donna inizia a scartabellare sotto il bancone, in cerca del listino prezzi, poi finalmente, quando lo trova ( come previsto ) scandisce una cifra esorbitante:

- cinquecento lire, signore - e, tenendo conto del periodo, non è poco, proprio per niente; un regalo che probabilmente un marito farebbe alla moglie per l'anniversario di nozze, non che un uomo farebbe ad una ragazzina pressapoco sconosciuta, incontrata appena due settimane prima.

- Non mi sembra il caso. - 

- La prendiamo - e dal borsellino estrae un'unica banconota color pergamena, per poi porgerla alla donna, che se la rigira tra le mani, allibita, come se non ne vedesse una da molto tempo. - Arrivederci, buona giornata! - Si liquida in questo modo, prendendomi per mano e trascinandomi fuori dal negozio con ancora indosso la camicia: " pazzo. " Completamente pazzo. Rientriamo in casa poco dopo, essendo il negozio non molto distante dal suo appartamento, e sulle scale incontriamo la colf, sempre più scandalizzata nel vederci costantemente appiccicati: " buongiorno ", salutiamo, amabili come al solito e, dopo esser entrati in soggiorno, ci accomodiamo sul divano, io ancora assonnata e lui inequivocabilmente stanco.

- Perché lo hai fatto? Sono molti soldi, avresti potuto impiegarli in altri modi - non è che voglia mostrarmi irriconoscente, sia chiaro, solo non capisco cosa lo abbia spinto a regalarmi più di duecento euro così, senza un vero motivo.

- Sono retribuito molto più di quanto tu creda e poi... Sei un fiore, ti sta molto bene. - Fa una pausa per sorseggiare un po' d'acqua ( o grappa? ) già versata in un bicchiere poggiato sul tavolo, poi mi chiede di avvicinarmi, di appoggiare le gambe sulle sue per stare più comoda, dato che nel pouf sembra essersi formata una specie di conca dove, invece, dovrebbe esserci una superficie piana.

- Il denaro è inutile se non si ha qualcuno con cui condividerlo, non trovi anche tu? - Mi offre il bicchiere, pregandomi di fidarmi e di non esitare: persuasa, assaggio quel liquido trasparente che scopro essere succo di fiori di sambuco.

- Certo che mi stupisci ogni giorno di più - a questa mia affermazione lui mi sorride eclettico, ma rabbuia subito dopo, sfiorando la parte di collo in cui sono ancora visibili diversi cerchi rossastri: " quanti erano " sbotta, con tono piatto, frantumando l'atmosfera di sottile ilarità creatasi nella stanza. 

- Due, uno italiano e uno tedesco. - 

- Cosa hai provato? - Traccia il contorno di uno di quei segni con le dita, ruvide, vissute, da uomo e il sol contatto mi fa tremare. Ricordo ancora le mani di quei porci, l'impotenza, la vergogna e, ancor maggiormente, il ribrezzo... Quando si dice che da certe cose non ci si può lavare...

- Mi sentivo sporca - Andrea allontana le mani, dispiaciuto, poi però sembra avere un'illuminazione e avvicina le labbra, premendo sullo stesso punto. Io, incredibilmente, non faccio nulla per impedirglielo, presa da una sensazione nuova e stranissima, una scarica di tanti piccoli brividi sul collo e in ogni parte del corpo, molto simile a quella provata la notte scorsa, ma più piacevole; mi fa solletico!

- Adesso cosa provi? - Mi avvolge i fianchi con le mani, aspettando che io reagisca in qualche modo per parlarmi ancora. Io resto immobile a fissarlo finché non lo spingo via, a disagio per non aver fatto niente fino a quel momento.

- Ma cosa fai... - 

- Dovresti dirmelo tu, in strada hai fatto la stessa cosa - mi dice, rimettendosi a posto. 

- Fatto cosa? - 

- Mi hai provocato, anche se probabilmente non te ne sei neppure accorta. Ti ho avuta a portata di mano e ti volevo, eccome se ti volevo, ma vedi, questo non significa che io provi qualcosa per te, non necessariamente. Anche tu mi hai voluto e se non ti avessi chiesto ciò che ti ho chiesto saremmo andati ben oltre e non dico altro però, al momento giusto, hai saputo fermarti, perché sapevi benissimo che non sarebbe stato amore, ma solo... Beh, cucciola, mi hai capito. Devi imparare ad essere più forte sotto questo punto di vista, perchè gli uomini sanno essere perversi e tu non sei più una bambina. - In realtà non so se questo discorso serva da monito, lo debba prendere come un complimento o mi dovrei offendere per l'ultima cosa detta; so solo di averne capito il senso, anche se ciò che dice quest'uomo sembra essere una controversia unica: prima mi dice che gli ricordo la sua amata Vanessa, poi mi dice che non ci potrà mai essere nulla tra di noi, poi mi cerca per tutta la città e mi fa un regalo bellissimo, mi coccola e mi accarezza ma, subito dopo, mi ribadisce di non provare niente per me, facendomi però capire che, se fossi più grande, un pensierino su di me ce lo farebbe lo stesso. No, no, qui bisogna chiarire la faccenda!

- Capisco ciò che vuoi dire, ma non capisco se per te io sia una valvola di sfogo o meno. A volte mi tratti come fossi una regina e la mia età non sembra essere un problema, mentre altre volte sei molto più freddo e i miei anni diventano un vero e proprio supplizio per te. Non voglio prendere il posto di quella ragazzina, mi fa male essere paragonata ad un'altra persona - in particolare, soffro tutte le volte in cui lui sembra guardare me quando, invece, sta guardando lei, la sua ombra riflessa, e non si accorge nemmeno dei miei occhi che perdono vivacità e si riempiono di tristezza, trasformandosi in quelli del fantasma che lui crede vivere dentro di me. 

- Mi rammarico di questo; se lo faccio, lo faccio inconsapevolmente, posso assicurartelo. La sua perdita mi ha dato il dolore più grande della mia vita e tu mi stai restituendo qualcosa che credevo aver sepolto assieme a lei, dieci anni fa. Era tanto tempo che qualcuno non riusciva a vedere oltre questa divisa, oltre le apparenze e, ammetto che sei speciale ma, date le circostanze, non posso che estimarti, apprezzarti senza mai poterti toccare, dolce ninfetta, cosa potrei dirti d'altro? - Quest'uomo deve essere un poeta; credo siano le cose più melense che mi siano mai state dette, non riesco nemmeno a nascondere la commozione e, orgogliosa come sono, il fatto mi rende tanto contenta quanto arrabbiata, con lui più che altro. Indecisa se incolparlo per avermi fatta piangere, anche se di felicità, o abbracciarlo per aver fatto battere il mio cuore come nessuno, opto per la seconda, guidata dall'irrefrenabile necessità di sentire quel profumo dolce amaro ancora una volta, come fosse l'ultima.

- Questa da un fascista non me l'aspettavo - lui arriccia il naso, mostrandomi quel lato di sé che pensava di aver sepolto: rivedo il ragazzino delle foto in bianco e nero, quello che sorrideva alla fotocamera, inconsapevole di ciò che avrebbe fatto della sua vita una volta diventato uomo e ignaro del fatto che quei meravigliosi boccoli neri sarebbero stati crudelmente strappati via dal suo cranio, neanche fossero stati d'intralcio... Era così adorabile con quei capelli, accidenti! 

- Grazie, neanche io avrei creduto che mi potesse piacere una ragazzetta così poco... - Oh no, non deve nemmeno azzardarsi a menzionar"le" - ... Prosperosa. - Come non detto, è un uomo morto. Che fastidio! Non bastavano gli altri a rimbeccarmi per questo fatto, ora ci si mette anche lui! So di non essere Marilyn Monroe, di non avere delle forme giunoniche e di non essere propriamente avvenente come una pin up, per cui non c'è bisogno di puntualizzare ogni volta, uffa!

- Zitto va, vorrei vedere te - realizzo ciò che ho detto ed esplodo in un: " No! " spacca timpani, poiché di " ammirare " le sue beltà proprio non ne ho voglia, soprattutto adesso. - Fai finta di non aver sentito, chiaro? - 

- Certo, certo - risponde vago, con una sottile vena maliziosa, prima di cambiare completamente argomento: - mi butto un attimo sul letto, poi provvederemo a sistemare per le feste quei due bastardi, cosa ne dici? - 

- Va bene, sappi solo che uscirò di casa... Ho un conto in sospeso con una persona. - Lui si stringe la nuca, preoccupato, avendo già capito a chi mi stia riferendo - sono solo pochi passi, lasciami andare, è una cosa che devo sbrigare da sola. - Sa che quando mi metto in testa una cosa sono irremovibile, per cui non prova nemmeno a persuadermi, raccomandandomi solo di stare attenta e di non infastidire Rudy più del dovuto. Non so se abbia ceduto dopo avermi vista sbattere le ciglia o dopo aver capito di non poter competere con la testardaggine di una terrona lunatica, ma apprezzo il fatto che lui non abbia cercato di immettersi in una mia personale trovata. Salto di qua e di là per compensare quei trenta centimetri tra noi e gli schiocco un bacio sulla guancia, fuggendo subito dopo; 

- ancora una cosa - mi aggrappo al pomello della porta con entrambe le mani e mi rivolgo a lui, compiaciuta - hai seriamente detto che ti piaccio? - 

- Beh, come dire, la bellezza di un fiore ancorché caduca è una bellezza che te straccia o' core. Tutto qui, niente di più. - Mi strizza l'occhio e mi fa segno di andar via, iniziando a fischiettare, disinteressato, fintamente disinteressato. Io chiudo la porta dietro alle mie spalle, pensando di esser stata più che fortunata ad incontrare una persona come Andrea sul mio cammino, così ambiguamente tenera, fuori dalle righe, completamente.

Percorro quei dieci minuti di cammino con un passo spedito, fregiando il mio nuovo bellissimo regalo, per poi presentarmi alla reception del lussuoso albergo con un'espressione seccata.

- Sapete dirmi in quale stanza alloggia il colonnello Schneider? La prenotazione era stata fatta anche a nome mio; controllate pure se non credete alle mie parole. - 

- Il cognome ci risulta essere lo stesso... Siete voi la signorina Sara Schneider? - Sì, peccato che non abbia dei documenti per attestarlo e poi chi gliel'ha detto a quel crucco di registrarmi a nome suo? Neanche fossimo sposati! 

- Sono io, però non posso dimostrarglielo. Chieda alla sua collega, quella con i capelli biondi, lei mi ha vista con Herr Schneider due settimane fa, forse si ricorda di me. - L'uomo mi guarda scettico, poi fa chiamare la signora Ferretti, una donna sulla trentina, composta ma dall'aria simpatica, con una faccia paffuta e delle trecce raccolte a lato, che mi ricordano tanto quelle della principessa Leia di " star wars ".

- Mi ricordo di lei, sì, l'ultima volta l'ho vista in compagnia del tedesco dai capelli rossi e del tenente Martini, c'era anche quel pover'uomo di Fausto, pace all'anima sua. - 

- Devono perquisirvi ugualmente - mi informa il concierge, appena rientrato per il cambio, intromettendosi nella discussione e indicandomi dei bestioni in divisa, con tanto di mitraglietta, a guardia delle scale e dell'ascensore.

- Nessuno mi metterà le mani addosso - serro le braccia al petto, mettendo in mostra i la carne tenera della pancia sfigurata da alcuni graffi e dai segni del tentato stupro - mai più, sono stata chiara? - Gli astanti evitano di guardarmi in viso, sostenendo con occhio fermo, senza batter ciglio, con vergogna e repulsione, il punto che ho esposto, cosicché non mi viene difficile piegarli alla mia volontà; il receptionist mi dà il numero della stanza e le guardie mi lasciano passare, spostandosi a lato delle ringhiere, senza neppure controllarmi. Come biasimarli... Anche volendo, dove potrei nasconderla un'arma? Nel reggipetto? Non è che ci sia molto spazio a prescindere, ora che ci penso. 

- Decimo piano, stanza numero sessantacinque - mi chiedo ancora come mai abbia deciso di prendere le scale invece dell'ascensore: sarà che non mi fido della tecnologia di questo periodo, ma è proprio una sfacchinata, che fatica! La sola cosa che allieta la mia rampicata è la raffinata scelta di colori e design e la disposizione della mobilia, intelligente ed impeccabile, anche nei corridoi e nelle hall, presenti in ogni piano e costituite da eleganti salotti e stanze da tè in stile vittoriano, in cui i signori di alta borghesia conversano con avido piacere di affari e denaro, mentre le mogli, vestite di broccato e madre perla, spettegolano lascivamente alle loro spalle, tal volta rimproverando i loro preziosi fagottini, intenti a giocare a nascondino tra le poltrone e le tende della stanza come, a detta mia, tutti i normali bambini farebbero. Il vero contrasto con tutto quel fasto, però, è dato dai soldati che, investiti di cariche che non si sono neanche guadagnati, vanno curiosando per l'albergo, impressionati dal mondo in cui si sono ritrovati a vivere, un mondo che guardano con meraviglia e desiderio, lo stesso di cui lo stato si serve per trarne forza, creare il suo esercito, i suoi mostri. 

- Eccola - la stanza numero sessantacinque, finalmente l'ho trovata! E, senza aspettare un solo secondo,  busso alla porta, attendendo che lui ( o qualcun altro ) mi venga ad aprire. Seguono istanti di silenzio, fin quando un tintinnio di chiavi non mi preannuncia l'inizio di un lungo, lungo dibattito; 

- guarda guarda, la principessa tornata dal ballo! Che c'è tesoro, ti mancava il tuo principe? - 

- Quanta ipocrita cordialità! Non ti vergogni?!- Presa dalla rabbia lo spingo dentro, riuscendo a disserrare la porta e quasi a farlo barcollare: tutto sotto controllo, finché non noto un " piccolo " particolare a cui prima non avevo proprio fatto caso...




 

 

ANGOLETTO AUTRICE: 

eccomi qui, finalmente con il nuovo capitolo! Mi spiace sia venuto così poco movimentato rispetto ai precedenti... Forse ho esagerato con l'introspezione psicologica dei personaggi ma, come si dice... Quel che è fatto è fatto. Mi auguro non sia così mediocre e spero vi sia piaciuto; fatemi sapere se potete!

 

 

 

  
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