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Autore: Sameko    15/06/2017    2 recensioni
Un re buono e giusto sa che, prima o poi durante il suo regno, dovrà compiere delle scelte.
Scelte difficili, scelte importanti.
Scelte giuste, scelte sbagliate.
Per re Asgore, ultimo sovrano dell’Underground, quel momento tanto atteso eppure tanto temuto era infine giunto.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Asgore Dreemurr, Toriel, W. D. Gaster
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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I doveri di un re





La cerimonia era stata breve, priva di fronzoli, con solo i parenti e gli amici più stretti a prendervi parte. Toriel aveva voluto che fosse così, per donare ai loro bambini un ultimo addio in un ambiente familiare e quieto, dove le loro salme avrebbero potuto ricevere il rispetto che meritavano, lontani dall’agitazione in cui l’Underground era piombato alla notizia della loro morte.
Il lutto si sarebbe protratto per giorni persino dopo i loro funerali, Asgore lo percepiva nell’aria, lo vedeva nei volti dei suoi sudditi e concittadini… lo sentiva dentro di sé, logorante come il più pesante dei macigni.
Rientrati nella loro casa, al termine del funerale, il silenzio fu tutto ciò che li accolse, invece degli schiamazzi dei loro figli, delle loro risate e dei loro saluti. Una casa vuota e silenziosa era tutto ciò che era rimasto della loro famiglia, fino a pochi giorni prima così felice, armoniosa… così completa.
Sentì un lieve, soffocato singhiozzo al suo fianco.
Le spalle di Toriel – di sua moglie – erano un distinto tremolare, frenato a malapena dagli sforzi di sua moglie di contenerlo.       
Era stato solo lì, in quel momento, al riparo delle mura domestiche, che lei si era concessa di spezzarsi, di svestire i panni della regina addolorata per indossare quelli della madre straziata dalla perdita dei suoi due bellissimi ed innocenti bambini, che le erano stati crudelmente portati via in una sola e tragica notte.
Toriel si era accasciata contro di lui, per avere un sostegno, un appiglio in una vita che non sarebbe mai più stata la stessa, persi ormai due tasselli importanti e necessari per renderla bella, gioiosa, vivace… necessari per renderla vita – e non semplice e vuota esistenza.
Asgore non poté far altro che offrirle il conforto delle sue braccia, mentre il suo cuore piangeva con lei le lacrime che i suoi occhi austeri non si concedevano di versare… perché lui era il re, era la colonna portante del loro regno, l’unica fiaccola rimasta per guidare il cammino buio dei mostri, ora che le loro due luci di speranza si erano ormai spente sotto il sole del primo mattino, splendente sul mondo che venne loro negato secoli prima a causa dell’avidità e dell’ingiustizia umana.
Accompagnò Toriel in camera, evitando di indugiare davanti ad una porta ad entrambi conosciuta mentre percorreva il corridoio. Nella sicurezza del loro letto matrimoniale, ci furono solo i silenzi e le braccia l’uno dell’altra a costituire il sostegno di cui entrambi avevano bisogno per non scivolare… per non lasciarsi scivolare.
Si rese conto che sua moglie si era addormentata quando la sua zampa aveva perso la tensione e il tremolare erratico con cui gli aveva stretto la sua fino a poco prima. Pregava che almeno la sua Tori avrebbe potuto riposare un po’ ora, senza incubi, senza tristezze e senza sofferenza. Aveva fiducia nel fatto che si sarebbe ripresa, che sarebbe stata in grado di trarre da questo dolore la forza per tornare ad essere la donna affettuosa e caparbia che era sempre stata. Ci sarebbe voluto tempo, tanto o forse relativamente poco, ma era certo che Toriel avrebbe oltrepassato questa voragine... ma, ad un simile grado di fiducia nei confronti della sua Tori, si aggiungeva l’amara, desolata insicurezza di non poter seguire lui stesso il suo esempio.
Toriel avrebbe superato questo periodo, perché era sempre stata lei la vera anima forte della loro relazione, dotata di un buon cuore, di una gentilezza sconfinata e di una forza altrettanto smisurata. Il suo, invece, era un cuore di burro, facile da sciogliere e facile da riplasmare per le intemperie della vita… e il sovrano era più che consapevole di questa sua fragilità malamente mascherata. Perché, se sua moglie aveva bisogno di lui per rialzarsi, Asgore aveva bisogno di lei per non continuare a strisciare sulle proprie deboli e logore ginocchia.
E, ora, non era sulle ginocchia che stava strisciando, ma sui suoi gomiti, spellati e terribilmente indeboliti.
Se il sonno aveva potuto raggiungere Toriel durante quella notte scura e gelida, non era purtroppo stato capace di fare altrettanto con Asgore, immobile nell’aspettare un’alba di cui non poteva conoscere né il quando, né il come, ma solo sperare con tutto sé stesso che sarebbe infine giunta per soccorrerlo da tutto quel dolore.
 
 
Non aveva idea di come, giorni più tardi, si era ritrovato a raggiungere le scale che portavano allo scantinato... forse era stato un pensiero troppo fugace per permettere alla sua mente di afferrarlo, o forse era stato il suo corpo a muoversi di sua volontà, spinto chissà da quale forza del fato fosse entrata in gioco in quel momento a decidere del suo destino.
Aveva sceso quei gradini a passo lento e misurato, la temperatura che scendeva gradualmente e il suo pelo che si raffreddava con essa, mentre persino il più flebile dei rumori veniva soffocato dai muri di silente cemento.
La cantina ospitava solo una piccola, solitaria bara. Non ne aveva potuto conoscere il motivo per cui, una volta giunto in prossimità di quel marmo gelato, aveva sentito il bisogno inspiegabile di scoperchiare quella bara, nonostante ne conoscesse già il contenuto, nonostante sapesse quanto sarebbe stato irrispettoso secondo i costumi umani compiere quel gesto… ma non aveva potuto comunque impedirselo.
Il corpo fasciato di bende di sua figlia riposava all’interno esattamente come lo aveva lasciato, adagiato su cuscini e petali di ranuncoli, le mani tanto piccole e tanto immobili confronto alle sue, intrecciate placidamente sopra il suo ventre. Con zampa tremante, Asgore le aveva accarezzato con una dolcezza infinita la testa, sotto le dita la sensazione della trama delle bende e dei ciuffi castani che erano sfuggiti ai bendaggi. I suoi occhi erano divenuti lucidi, ma la sua anima era rimasta insensibile dentro di lui, ormai resa intorpidita dal troppo dolore che non era ancora stato capace di lasciarsi scivolare addosso.
L’anima di sua figlia, il rosso più intenso che avesse mai visto, era sospesa sopra il morbido intreccio formato dalle sue dita sottili, come in attesa che le mani a cui essa apparteneva si risollevassero per collocarla nel posto che le spettava. Asgore aveva accolto quel cuore immobile tra le proprie, la tenue luce vermiglia che emanava gli aveva tinto di un leggero rosso i palmi e il muso, profondamente assorto in una triste contemplazione dell’anima della sua bambina perduta. Suo figlio, il suo adorato figlio, aveva superato la barriera assorbendo quell’anima rossa come il fuoco della vita, probabilmente mosso dagli ideali più nobili e puri… e gli umani non avevano avuto pietà di lui… non un briciolo di pietà… mostri di crudeltà, ecco cos’erano stati.
Perché, anche dopo secoli di esilio, quegli esseri dovevano continuare a recare dolore, a togliere ogni cosa che era loro più cara? Perché non potevano essere gentili e comprensivi e buoni come lo era stata la sua bambina?
Gli umani erano i veri mostri…
Già… solo gli umani... ma cosa poteva fare lui contro di loro, lui, così sottomesso e… debole?
Poteva... fargliela pagare. Servivano altre sei anime per distruggere la barriera, no? Sarebbero state un piccolo prezzo per l’umanità da scontare, se confrontato a tutte le sofferenze che avevano inflitto e continuavano ad infliggere ai mostri…
Un prezzo piccolo… decisamente piccolo
E lui era abbastanza forte per farlo per loro, per i suoi figli, vero?
Sì… per i suoi figli, lui era e sarebbe sempre stato forte.
Distolse lo sguardo dall’anima di sua figlia, respirando una, due volte, qualcosa che dentro di lui si stava cominciando ad agitare con insistenza. Ed era qualcosa di diverso dal dolore incolmabile che aveva preso possesso del suo essere nei giorni passati.
Quei pensieri avevano ragione. Perché aspettare e restare nascosto lì, sotto quella montagna, quando poteva agire ora? Lui era considerato il più potente dei mostri, lui era il sovrano dei mostri, lui poteva essere la nuova speranza dei mostri. Solo lui poteva fare ciò che andava fatto.
Non aveva idea di come si era ritrovato a percorrere quell’ala del suo palazzo, a scendere le scale dello scantinato e raggiungere il corpo della sua amata figlia nella tomba gelida che lo aveva accolto… ma ora sapeva di avere un obiettivo, uno scopo… sapeva cosa fare per uscire finalmente dal suo guscio di dolore ed essere il leader che gli era stato insegnato di essere.
« Perdonami, Chara… p-piccola mia… mi dispiace… » Sussurrò, con voce tanto flebile che per poco non risultò udibile nemmeno alle sue stesse orecchie. Chara lo avrebbe perdonato, se fosse venuta a conoscenza di ciò che intendeva fare, si convinse. Gli avrebbe dato sicuramente il suo consenso, se fosse stata ancora in vita.
Si portò l’anima contro il petto e lasciò che penetrasse all’interno suo corpo, che si fondesse con esso, che lo riplasmasse e gli desse nuova forma.
I suoi tempi di padre erano finiti… ora, tutto ciò di cui si doveva interessare e prendere cura era il suo popolo, da secoli sofferente e prigioniero sotto quella montagna inospitale.
« Asriel, Chara… ve lo prometto, tutto questo non sarà stato invano. »
Respirò l’aria carica dell’elettricità che il suo stesso corpo aveva preso ad emanare come un’onnipresente aura.
Avrebbe presto stretto i poteri di un dio nel palmo di una mano.
 
 
Gli erano occorsi pochi istanti per riconoscere il sole quando lo aveva visto per la prima volta oltrepassando la barriera, con la magia imprigionatrice che gli era scivolata addosso come acqua, invece di essere lo specchio impenetrabile attraverso cui era stato abituato ad intravedere solo un riflesso di quello che era il meraviglioso mondo esterno.
Ciò che gli umani definivano 'tramonto' si apriva ora davanti ai suoi occhi ad ogni pomeriggio inoltrato, un tramonto di luce estiva e calda, a volte carica di una vecchia e sfumata malinconia.
 
« A-Asgore? »
 
Sotto quello stesso sole, i suoi antenati avevano regnato fino a che gli umani, avidi e gelosi, avevano loro sottratto il bene più prezioso della vita, sotto cui ogni esistenza nasce e si spegne, esattamente come ogni giorno quella stella di puro indomabile fuoco sorge e tramonta. Ma ora, quel bene prezioso poteva appartenere di nuovo a loro, poteva tornare a risplendere sui mostri con la forza dei suoi raggi e far prosperare la loro razza con una rinnovata fiducia. Era stato necessario un sacrificio, tanti sacrifici, per riavere indietro la possibilità di essere felici nella terra che era loro appartenuta nell’antichità – sacrifici che erano stati fatti per un bene superiore, ma che non per questo erano stati meno dolorosi da affrontare.
 
« Che cosa hai fatto?! »
Era stato il grido di sua moglie a ridargli quel barlume di coscienza necessario ad uscire dalla furia omicida in cui era piombato una volta superata la barriera. E quella furia non aveva lasciato spazio a niente se non alla bestia che lui pensava di non essere e al concretizzarsi di questa nella freddezza con cui aveva fatto solo ciò che era stato necessario. Non aveva avuto che sprazzi di ricordi che danzavano confusi nella sua testa a confermargli che aveva raggiunto il punto di non ritorno – e quella sostanza viscosa, ancora calda sulle sue vesti e sulle sue zampe, di un rosso persino più intenso di quello dell’anima di sua figlia. Neanche quella ricordava come aveva fatto a finirgli addosso.
Era rimasto in silenzio carico di grave colpa, incapace persino di guardare gli occhi di sua moglie, che sapeva essere inorriditi oltre ogni limite.
« Asgore…? »
  « Ciò che era necessario, Toriel. » Rispose.
Solo ciò che era stato necessario.
 
La sofferenza, tutto ciò che avevano perso per raggiungere questo obiettivo secolare... erano stati necessari, per un disegno più grande, per un bene più alto di quello della sua coscienza e del suo amore per l’unica famiglia che gli era rimasta.
 
« Assassino! »
 
Gli occhi gli si inumidirono.
 
« T-Tori… »
Il viso rigato di lacrime di Toriel, i suoi occhi liquidi e tempestosi come un mare incontrollabile, le labbra ridotte ad una smorfia di agonizzata angoscia, lo avevano ridotto al silenzio ancora prima che sua moglie potesse aggiungere altro.
« Non hai avuto un minimo di rispetto per le salme dei nostri figli?! »
Ancora, Asgore non aveva proferito parola. Non c’era nulla che potesse dire per discolparsi, perché la colpa, le prove del suo peccato, le reggeva tra le proprie zampe devastate dalla polvere e dal rosso: sei anime umane… né una di più, né una di meno.
Due pugni implacabili si erano stretti ai lati del corpo di Toriel.
« Sei un m-mostro… sei un mostro tale e quale a loro! »
 
Alzò una manica della semplice tunica di cui era vestito per asciugarsi gli occhi. Toriel lo aveva lasciato tanto, ormai tanto tempo prima, pochi anni di lontananza che pesavano come secoli sulle sue spalle… della sua precedente, gioiosa, perfetta vita non era rimasto più nulla, solo ricordi che temeva che il tempo avrebbe potuto portargli via senza preavviso.
Lasciò ricadere la propria zampa contro il fianco, un lieve ondeggiare del polso prima del suo inevitabile fermarsi. Il sole, fuori, era un calore che gli accarezzava dolcemente il pelo… ma, dentro, il gelo gli mordeva viziosamente l’anima, fino a congelarla in un desolante e purtroppo familiare intorpidimento. Accadeva così ogni qualvolta era le memorie più brutte a prendere il sopravvento su quelle che ricordava con maggiore serenità. Con gli anni, il dolore della perdita e dell’abbandono si era attenuato, ma non lo aveva mai lasciato. Chissà quanti ne sarebbero dovuti ancora passare, prima di ciò.
« Una vista fin troppo malinconica per essere ammirata in solitudine, sire. »
Asgore alzò pacatamente lo sguardo, che aveva lasciato ricadere sulla foresta che si estendeva sotto la sporgenza, senza l’intenzione di osservarne le belle chiome verdi. La voce che aveva espresso quella considerazione era stata certamente inattesa, ma non invasiva… no… era stata dolce quasi, se paragonata ai tristi silenzi e alle parole di dolorosa repulsione riecheggianti persino adesso nel suo animo. Si voltò, incontrando le pupille bianche di Gaster semicelate dalle sue palpebre, il sole che accarezzava di luce aranciata la figura dello scienziato reale, il suo camice lievemente mosso dal vento che spirava sulla montagna.
Sorrise gentilmente, un sorriso che dovette forzare ma non troppo per far comparire sul proprio muso.
« Gaster… non sono necessari convenevoli. » Disse, facendo ora sorgere un accennato sorriso anche sul volto osseo dello scheletro.
« Come desideri, Asgore. »
Asgore distese appena le labbra, un fianco scoperto nella richiesta implicita di unirsi a lui, che Gaster comprese e soddisfò di conseguenza.
Due lunghe ombre si estendevano adesso fino a proiettarsi lungo la parete della caverna alle loro spalle, figure che fronteggiavano l’astro calante con un’espressione di riverente contemplazione e che rimasero fianco a fianco per la durata di quello che avrebbe potuto essere un respiro, o una conversazione sostenuta per lunghi minuti. Il tempo tende dopotutto a perdere la sua cognizione, di fronte a certe immagini e colori.
« Quante ore avevamo passato a sognare questo momento nei bei vecchi tempi. » Rifletté Gaster, con il tono della rilassata nostalgia – il tipo di nostalgia che ti riscalda un poco dentro, invece di farti sentire privato di qualcosa che ti era molto caro.
Asgore concordò con un lieve movimento della testa, i ricordi dei suoi giorni con Gaster all’università di New Home erano freschi e nitidi nella sua mente, come se appartenessero ad un passato recente e ancora semplice da richiamare. Vecchi, dolci, spensierati tempi per loro, quando ancora erano giovani e liberi dalle responsabilità dell’età adulta. Quei giorni di fanciullezza, nonostante fossero così semplici da rievocare, sembravano ormai incredibilmente lontani agli occhi del re, più lontani di quanto Asgore stesso voleva davvero ammettere.
« Sì… molto, moltissimo tempo. » Sussurrò, le sue labbra che mostravano a malapena l’accenno di un sorriso, che forse nemmeno l’occhio più attento sarebbe stato in grado di vedere sul suo muso.
E, era superfluo specificarlo, le circostanze che le loro menti piene di sogni e speranze avevano immaginato erano state diverse e senz’altro più piacevoli, scenari di festa che stonavano incredibilmente con ciò che, invece, la dura realtà aveva loro riservato.
Un silenzio indesiderato, che Asgore non aveva parole con cui interrompere, si era stabilito tra di loro. Fu Gaster, infatti, a farsi carico di tale compito.
« Mi dispiace per quanto è accaduto, Asgore. » Il sovrano spostò lo sguardo a guardare l’alto scheletro al suo fianco. L’espressione di Gaster era accigliata, contemplativa, gli occhi che osservavano il sole prossimo al tramonto con un’aria di riflessione. « Se sentirai mai il bisogno di un confidente, in qualunque momento in futuro, sappi che io ci sarò per ricoprire quel ruolo. »
Asgore permise ad un sorriso carico di una nota di tristezza che non poté eliminare di farsi strada sul suo muso.
« Lo apprezzo molto, Gaster. » Replicò. « Grazie per la tua amicizia. »
Lo scienziato rispose con un breve assentire del capo.
« È il minimo che possa fare, Asgore. »
Un altro silenzio di muto sconforto scese una volta di più tra di loro, come se parole non dette stessero cercando di raggiungere il re senza, purtroppo, riuscire nell’intento. Questo, finché lo scheletro non si decise ad esternarle.
« Sei ancora deciso a dichiarare guerra all’umanità? »
Asgore lasciò ricadere nuovamente lo sguardo sulla figura dello scienziato. Gaster, seppur la differenza di altezza non irrisoria che li separava, stava sostenendo senza fatica il suo sguardo, il mento solo poco più alzato del normale.
C’era una serietà nelle orbite dello scheletro e un pragmatismo nelle parole che, Asgore percepì, dovevano nascondere emozioni di tutt’altra natura, ma il re scelse di non indagare oltre.
« Non più… » Rispose, tornando a volgere lo sguardo verso il sole, verso un futuro che non voleva macchiare con guerre e altre perdite. « Non sarà necessario. »
Gaster rilasciò un lieve sospiro.
« Trovo sia una saggia decisione. » Lo scienziato sorrise un poco tra sé e sé, un percepibile sollievo ad inclinare gli angoli della bocca dentellata. « La migliore che potessi prendere, in verità. »
Asgore assentì col capo, perfettamente concorde con quanto Gaster gli aveva appena detto.
« Già. »
Le sue azioni, per quanto necessarie, erano state anche avventate e gli avevano già portato via l’amore di sua moglie. Non avrebbe sacrificato anche il benessere della sua razza per vendetta personale, ora che si era finalmente deciso a dichiarare in pubblico la distruzione della barriera. Di sangue, viscoso e indelebile, ne era stato versato abbastanza.
I minuti trascorsero privi di qualsivoglia tensione ora, mentre il sole perdeva via via la sua brillantezza e i suoi colori si facevano sempre più tenui. Uno spettacolo che Asgore conosceva, ma che si sentiva sereno nel condividere con il suo amico di vecchia data al suo fianco.
Il lieve frusciare dei vestiti di Gaster preannunciò al regnante l’intenzione dello scheletro di prendere nuovamente parola.
« Sai, Asgore… Sans, proprio l’altro giorno, mi ha detto di volere tanto un fratellino… » Lo scheletro si fermò, probabilmente solo per assicurarsi di avere l’attenzione dell’altro quanto bastava per proseguire. « Dovrei accontentarlo? »
Asgore rise un poco tra sé e sé, prima che ricordi del suo tempo con Toriel, con il suo primo figlio, con la sua seconda figlia, tornassero ad affiorare nella sua mente. Erano ricordi felici, confronto a come la storia della sua famiglia era giunta al suo finale, e questi… si sarebbe dovuto far bastare questi. Quei tempi non sarebbero più tornati indietro, troppo era successo, troppo era stato fatto e c’era poco o niente che potesse essere perdonato.
Lui aveva già avuto la sua dose di felicità, quella a cui era stato destinato sin dal giorno della sua nascita… non gli restava che augurare ad altri di poter avere un assaggio della felicità che lui aveva potuto stringere contro il proprio petto in un passato recente, ma che già si stava allontanando sempre più dal suo attuale presente. E, magari, provare a sfiorarla di nuovo, grazie ad altri, ai pochi che erano rimasti con lui. Era tutto ciò in cui, per adesso, poteva verosimilmente sperare di avere per sé.
« Penso proprio di sì, se è così entusiasta. » Replicò, con un accenno di genuino divertimento nella propria voce. « Si aiuteranno a vicenda, quando saranno cresciuti. »
Un lento sorriso si diffuse anche sul volto di Gaster.
« Hai ragione, Asgore. »
Il sole era calato sul mondo degli umani: un mondo che, con i dovuti accorgimenti, avrebbe presto potuto riaccogliere una delle più antiche razze che lo avevano abitato.






Sameko's side
Bene, finalmente le mie dita mi hanno dato l'ok per pubblicare questa one shot, in cantiere da dicembre credo, se non ricordo male. v.v
Asgore è uno di quei personaggi su cui mi ero promessa e ripromessa di scrivere qualcosa che poteva essere apprezzato da degli ipotetici lettori. Mi intristiva un poco la mancanza di fic che trattano del suo personaggio e, insomma, volevo un po' contribuire. ^^"
Prima di concludere, alcune precisazioni su eventuali passaggi che potrebbero non essere stati chiari per tutti: 
- nel secondo paragrafo, Chara ha influenzato i pensieri di Asgore, così da convincerlo ad assorbire la sua anima e permetterle, in questo modo, di portare a termine ciò che non era riuscita a fare con Asriel. 
- il terzo paragrafo si svolge alcuni anni dopo che Asgore ( e Chara ) sono riusciti a recuperare le sei anime umane e solo in tempi recenti Asgore ha deciso di usarle per rompere la barriera. 
Non ho idea di quanto pubblico possa attirare una one shot di questo genere ma, eh, sono comunque felice di aver potuto sperimentare con personaggi diversi da quelli che solitamente tratto. ^^
Baci e alla prossima! 

Sameko


 
   
 
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