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Autore: Iodicodino    16/06/2017    2 recensioni
Qualcuno aveva lanciato un sasso contro lo specchio della sua anima, riducendolo in frantumi, e, senza volerlo, aveva commesso un crimine imperdonabile: per qualche strano motivo ero convinta, anzi, convintissima che quegli occhi non sarebbero stati mai capaci di brillare.
Genere: Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era la mattinata di un freddo inverno, l'inizio banale di ogni storia, come se le condizioni meteorologiche potessero preludere al contenuto di ciò che viene più avanti. In effetti l'atmosfera era piuttosto strana. Aveva smesso di nevicare e i negozianti che si affacciavano sul viale principale erano pronti con le proprie pale per spalare la neve dalla strada. Era presto ed era venerdì, due presupposti che non fanno sperare al meglio, soprattutto quando i lavoratori stanchi devono impiegare gli ultimi sforzi per l'epilogo di una settimana che non accenna a finire. Era presto, troppo presto per essere già mattino, eppure, che ci crediate o no, un pallido sole si affacciava timidamente oltre la coltre di nubi bianche e vaporose come un galeone d'oro. Compariva e scompariva, divertendosi a giocare a nascondino e a prenderci in giro in questo modo. C'era silenzio e non c'era praticamente nessuno. Un mondo sotto sopra per una realtà vivace come quella del viale, una realtà sospesa tra tempo e spazio, in una dimensione che non aveva una logica o un senso. Sembrava di stare in un sogno, un'illusione dalla quale mi sarei ripresa di lì a poco. Ero quasi sicura di risvegliarmi da un momento all'altro nel caldo abbraccio del mio letto. Ma poi guardai la strada. Smisi di fare quello che stavo facendo. In fondo al viale una chiazza scura si avvicinava liquida e scivolosa come una macchia di inchiostro sulla neve. I contorni, sfumati dal freddo e dai riflessi di luce, erano impossibili da definire con certezza, sfuggenti e impalpabili come se stessi cercando di acciuffare il fumo a mani nude. Ben presto a quell'immagine fui in grado di collegare una voce. Era aspra e pungente, come un chiodo conficcato nella carne. Non avrei potuto fare a meno di fissarla. I miei occhi non riuscivano a staccarsi da quell'immagine, che continuava a scivolare senza sosta lungo la strada. Ben presto riuscì a dare una forma e un contenuto a quello che stavo vedendo. Più la macchia si avvicinava, più acquisiva consistenza. Dal mantello svolazzante spuntavano un paio di gambette magre e una testa piccola e bionda, capelli che le scendevano scompigliati sulle spalle come delle piante rampicanti; un naso piccolo e minuto, labbra sottili e occhi chiari. Avrei potuto definirla come una personcina dall'aspetto grazioso, quasi gradevole, se non fosse stato per il suo sguardo appesantito dalla stanchezza e dal suo corpo che dava l'idea di accartocciarsi da un momento all'altro come una foglia secca. Era giovane, troppo giovane per possedere quello sguardo che aveva tutta l'aria di aver visto molto più di quanto ci si aspetti a quell'età. Aveva il braccio teso e ogni tanto si guardava indietro rallentando il passo, fermandosi e riprendendo il cammino più velocemente di prima. "Faremo tardi" diceva, e solo allora mi accorsi che stava parlando con qualcuno che prima non ero stata in grado di vedere: una testa piccolina che rifletteva i raggi del sole, la pelle chiara come il latte e avvolta in un mantello troppo grosso per il suo esile corpo. Cercai di guardarlo in viso per definirne i lineamenti: era un bambino. Si trascinava con passo ciondolante sulla neve lasciando che il suo corpo venisse di tanto in tanto strattonato dal braccio della madre. Più quest'ultima andava veloce, più il bambino sembrava muoversi lentamente, quasi per ripicca. Era una scena che in altre circostanze mi avrebbe fatto sorridere. Gli angoli delle mie labbra erano sul punto di incurvarsi in un sorriso di tenerezza. Ma poi il bambino voltò il capo e il suo sguardo incrociò il mio, solo per un istante. Ebbi un brivido che mi scosse da capo a piedi, come se il mio corpo fosse stato immerso in una vasca d'acqua gelida. I suoi occhi erano torbidi come le acque di uno stagno, infossati e privi di quella lucentezza, la scintilla di stupore che caratterizza gli occhi di qualunque bambino. C'era qualcosa di innaturale in quello sguardo, come può essere innaturale un incesto o un genitore che sopravvive al proprio figlio. Qualcuno aveva lanciato un sasso contro lo specchio della sua anima, riducendolo in frantumi, e, senza volerlo, aveva commesso un crimine imperdonabile: per qualche strano motivo ero convinta, anzi, convintissima che quegli occhi non sarebbero stati mai capaci di brillare.
   
 
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