Anime & Manga > Tokyo Mew Mew
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Autore: Xion92    16/06/2017    5 recensioni
Introduzione breve: se immaginate un sequel di TMM pubblicato su Shonen Jump invece che su Nakayoshi, probabilmente verrebbe fuori qualcosa di simile.
Introduzione lunga: Un'ipotetica seconda serie, in cui il tema serio di fondo è l'integralismo religioso e il nemico principale è un alieno, Flan, intenzionato a portare a termine la missione fallita nella serie precedente. E' suddivisa in tre parti:
I. In questa parte c'è il "lancio" della trama, del nemico principale, l'iniziale e provvisoria sconfitta di gran parte dei personaggi, l'approfondimento della relazione tra Ichigo e Masaya, fino alla nascita della loro figlia;
II. Questa parte serve allo sviluppo e all'approfondimento del personaggio della figlia di Ichigo, Angel, la sua crescita fisica e in parte psicologica, la sua relazione con i suoi nonni e col figlio di Flan, i suoi primi combattimenti in singolo;
III. Il "cuore" della storia. Torna il cast canon e i temi tornano ad essere quelli tipici di TMM mescolati a quelli di uno shonen di formazione: spirito di squadra, onore, crescita psicologica, combattimenti contro vari boss, potenziamenti.
Coppie presenti: Ichigo/Masaya, Retasu/Ryou.
Nota: rating modificato da giallo a arancione principalmente a causa del capitolo 78, molto crudo e violento.
Genere: Azione, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aoyama Masaya/Mark Aoyama, Ichigo Momomiya/Strawberry, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Buongiorno a tutte! Vi avviso che questo, pur con tutte le ovvie differenze caratteriali, è più o meno un equivalente dell'episodio 45 della prima serie.

Buona lettura!


Capitolo 77 – La scelta definitiva


Com’era vuota e deprimente quella zona della città nella serata della Vigilia. Angel stentava quasi a crederlo, mentre camminava, tenendosi le mani nelle tasche dei jeans per scaldarsi un po’, e intanto si lanciava delle occhiate intorno. Quella doveva essere una serata piena di festa e di vita, come mai in giro non c’era nessuno? Arrivò infine alla conclusione che la zona in cui si trovava era troppo periferica perché qualcuno decidesse di passare la notte di Natale lì. Di sicuro tutti i residenti o erano dentro casa, o quelli che erano usciti erano andati nei quartieri più centrali, ad esempio Shinjuku, che erano illuminati quasi fosse giorno. Qui sì, c’erano i lampioni e qualche decorazione sparsa, ma in confronto ai centri commerciali in cui la portava ogni tanto Ichigo il tutto risultava piuttosto deprimente.
Camminava svelta, quasi di corsa, perché era ben decisa a non metterci più dei dieci minuti che si era prefissata. Sentiva una sorta di vaga e strana inquietudine mentre camminava, ma non se la riusciva a spiegare. Riuscì ad arrivare al negozio all’altro lato del parco deserto prima che se ne accorgesse, e fermò giusto in tempo il commesso che stava iniziando a spegnere le luci per la chiusura. Per fortuna, pensò Angel, i commercianti di questa Tokyo sana non erano come i grezzi e bruti analoghi che si trovavano nella sua città natìa. Infatti il signore al banco, nonostante stesse per chiudere il negozio, la accolse con un sorriso e con tutti gli onori e, dopo che la ragazza gli ebbe mostrato la carta di identità, la aiutò addirittura a scegliere lo spumante che secondo lui era migliore. Angel sospirò di sollievo: gli yen che aveva portato erano giusti, aveva fatto bene i suoi conti. Si sorprese da sola di come fosse diventata abile a dare un valore economico ai prodotti, quasi quanto era brava, quando abitava coi suoi nonni, a dare un valore in beni materiali alle merci.
Mentre tornava, con passo veloce, sulla strada del parco vuoto verso il Caffè e con la bottiglia di alcolico ben stretta tra le braccia, Angel ricominciò pian piano a sentire quel senso di inquietudine che aveva percepito all’andata. La differenza era che ora non rimaneva costante, ma andava aumentando via via che camminava. Andò avanti per un po’, sentendo un senso di pesantezza farsi più grave nel petto. Alla fine si fermò nel mezzo di un viottolo illuminato da un lampione, tirò un gran respiro e appoggiò la bottiglia ai suoi piedi. Non si volse, non girò né il corpo né il capo, ma rimase con lo sguardo fisso e dritto davanti a sé; quindi chiamò, con tono duro:
“Waffle, vieni fuori. Tanto lo so che ci sei.”
Nessuno le rispose. Angel rimase immobile, col corpo rigido e i pugni stretti, per alcuni minuti; poi si girò e, alzando la testa, rimase con gli occhi fissi su un punto cinque metri sopra di lei. Non c’era nessuno lì, ma la ragazza non distolse lo sguardo, e dopo altri minuti di immobilità, quella zona d’aria si mosse appena e Waffle apparve nello stesso punto in cui Angel stava guardando, con un’espressione tra lo stupore e la rabbia soffocata. Lei continuò a fissarlo con gli occhi induriti. La sua mente era ripulita da tutti i rimorsi e i buoni propositi che aveva avuto poche notti prima. L’unica cosa che riusciva a pensare in quel momento era che aveva un mucchio di amici che la stavano aspettando a casa, e ora quell’alieno stava cercando di guastarle la serata.

Anche Ichigo quella sera aveva lo sguardo rigido. Masaya non riusciva a spiegarsene il motivo; eppure stava andando tutto nel migliore dei modi. Avevano preso la metro, erano arrivati in uno dei quartieri più ricercati per le cene natalizie, avevano raggiunto il ristorantino addobbato e decorato in cui lui aveva prenotato molti mesi prima, e fin qui era andato tutto bene. Ichigo si era dimostrata sempre la solita, lieta, innamorata e felice. Ma da quando si erano seduti al tavolo e il cameriere aveva portato loro il menù per la cena, il viso della ragazza si era come incupito. Il ragazzo ogni tanto la guardava ma, mentre lei scorreva lo sguardo sul foglio stampato, in realtà non sembrava star guardando niente di particolare. Si era distratta? Alla fine si era resa conto che qualcosa tra loro due non andava?
“Ichigo, cosa c’è?”, le chiese preoccupato, allungando una mano verso di lei e accarezzandole il polso.
“No… niente, Aoyama-kun”, sembrò ridestarsi lei.
“C’è qualcosa che non va?” insisté lui. Ora era lui a sentirsi angosciato. Forse stava sospettando qualcosa. Forse quello che sarebbe accaduto fra loro dopo cena sarebbe stato anticipato.
“Niente che non va, è che mi sento un po’ strana… ma forse non sto bene”, cercò di spiegarsi lei.
Allora Masaya tentò di indagare per arrivare all’origine di quella stranezza di comportamento. “Domani hai qualche interrogazione, magari?”
Lei ci pensò su. “Sì, Tanaka-sensei forse fa un giro di interrogazioni. Ecco perché sto così male”, concluse rilassando la sua espressione.
Lui le sorrise, in un certo senso sollevato, e tornò a leggere la lista di cibi sul menù.

Waffle era rimasto pietrificato a mezz’aria. Non riusciva a capacitarsi di come Angel lo avesse scoperto. In realtà questo imprevisto non aveva minimamente intaccato il suo piano, ma ne rimase comunque colpito: l’altra volta in cui aveva usato la stessa tattica con Angel, lei non era riuscita ad accorgersi di lui. Insomma, c’era riuscita sì, ma solo perché aveva visto il suo riflesso sulla sfera di µAqua. Era davvero cresciuta così tanto dalla prima volta in cui si erano rivisti da grandi?
“Allora, Waffle”, riprese la ragazza, fissandolo nelle pupille illuminate dalla luce del lampione. “Cosa vuoi stavolta?”
Il giovane alzò un sopracciglio, indispettito, e le rispose: “fossi in te non userei quel tono strafottente. Non ti sei resa conto che siamo soli io e te?”
“Me ne sono resa conto perfettamente”, rispose Angel senza cedere. “Mi dici in fretta cosa vuoi? Non ho tempo da perdere, sai?”
Waffle stava sentendo sempre di più il senso di irritazione crescergli dentro. Detestava quando quella donna lo fissava negli occhi così. Allora evocò il suo jitte, brandendolo stretto nella destra.
“Voglio che tu combatta contro di me, Angel”, le disse allora con tono imperioso. “Tu e io, da soli. Magari in un luogo più consono di questo.”
Non era certo così semplice il suo piano. Prima di tutto lei doveva essere disposta ad accettare. Ma intanto questo era un buon modo per lanciarle una sfida.
Angel, infatti, fece un sorrisetto a quella proposta. Si chinò e raccolse la sua bottiglia, poi rispose:
“mi dispiace, ma stasera non posso proprio. Ho già un altro impegno.”
“Un altro impegno?!” chiese Waffle digrignando i denti. Come osava rispondergli in quel modo leggero, come se le avesse appena proposto di andare a fare un giro insieme?
“Angel, io ti sto sfidando, non so se vuoi prenderne coscienza. Ti sto lanciando una sfida leale, da guerriero a guerriera, e tu non puoi rifiutare”, insisté, senza cedere col tono.
“Oh, sì che posso”, rispose Angel, tranquilla. “E sai perché? Questa è la Vigilia di Natale, ho una bellissima serata davanti da passare insieme ai miei amici, e te non riuscirai a guastarmela. La tua sfida non attacca. Perciò me ne vado a casa. Anche te, passa un bel Natale insieme a tuo padre”, concluse, dando all’ultima frase un tono beffardo, e fece per voltarsi e riprendere la sua strada; e, mentre si incamminava, ne approfittò per lanciargli un’altra frecciatina.
“D’altra parte, perché dovrei combattere contro di te? Che gusto dovrei provare a combattere contro un avversario che ha paura di me?”
Ah, questo poi no! Quel colpo non lo avrebbe subìto, non da una come lei.
“Avrei paura?!” sbottò. “Oseresti affermare che il figlio di Flan ha paura?!”
“Sì” rispose senza alterarsi Angel, seguitando a camminare. “Pensi che non mi accorga di queste cose? Si percepisce lontano un miglio che hai paura di me, è da mesi che me ne sono accorta. È disonorevole combattere contro un avversario che ha paura. Torna da tuo padre, Waffle.”
Il ragazzo si stava sentendo colmo di livore. Questo era un colpo basso, soprattutto perché riguardava una questione di cui sperava che Angel non si accorgesse mai. Ma non l’avrebbe lasciata andare così. Aveva ancora un sacco di carte da giocare.
“Ah, quindi è questo il modo che utilizzi per svignartela? Guardala, guardala come svicola, degno del peggior codardo”, le gridò dietro con tono trionfante.
A quell’accusa, vide Angel fermarsi e chiedere, senza voltarsi verso di lui: “come?”
Allora Waffle acquisì ancora maggior sicurezza, e continuò, puntandole il dito contro. “È proprio come ho detto! Pensi che non sappia che razza di persona sei? Ti riempi la bocca di parole, fai tanto la guerriera onorevole, quella che vuole tenersi la coscienza pulita per tutto, ma c’è mai stata una volta in cui hai avuto il coraggio di combattermi da sola? Parli tanto, ma tutte le volte che mi hai combattuto l’hai sempre fatto con i tuoi compagni che ti coprivano. A fare così sono buoni tutti. E invece, adesso che ti ritrovi da sola, senza nessuno che ti aiuta, dentro di te tremi di paura e cerchi di svignartela, riempiendoti di nuovo la bocca di parole. Chiacchierona, sei solo una chiacchierona. Sei proprio una disgraziata, una vigliacca, non hai il minimo senso dell’onore! Ecco la verità!”
Vide, con la tensione che stava raggiungendo livelli insopportabili, Angel voltarsi e fissarlo negli occhi con nello sguardo, oltre alla durezza, una profonda offesa alla sua sfera più intima. Waffle rimase immobile, col braccio teso e il dito puntato contro di lei, rigido. Sperava che, nonostante la luce del lampione, non riuscisse a vedere il sudore iniziare a bagnargli la fronte nonostante il freddo.
Infine, Angel parlò.
“Dove?”
Waffle non capì e la guardò interrogativo.
“Il luogo del combattimento. Verrò ovunque vorrai”, dichiarò Angel.
Waffle assunse per un attimo un’espressione colma di incredulità e stupore, ma fece presto a ricomporsi. Non ci voleva credere. Lui ci aveva lavorato su tutta una notte, scegliendo frasi, atteggiamenti, diretti a colpirla in più punti deboli del suo carattere, e alla fine il tutto si era dimostrato così facile? Sapeva che toccando i tasti giusti avrebbe ridotto Angel a fare quello che voleva lui, senza il bisogno di sfiorarla nemmeno con un dito. Ma non avrebbe mai immaginato che ci sarebbe voluto così poco.
Con un ghignetto trionfante, si voltò e partì sfrecciando in volo dove iniziavano i palazzi.
Angel lasciò perdere la sua bottiglia di spumante, si trasformò subito e si mise a correre dietro di lui per non perderlo. Appena arrivata all’edificio più vicino, vi piombò sopra con un balzo per seguire meglio quell’alieno per i tetti.

Il cameriere aveva portato ai due ragazzi un abbondante e raffinato antipasto di sashimi, ma neppure la visione di quel cibo prelibato aveva fatto tornare Ichigo del suo solito umore. E il fatto che non si ridestasse davanti a qualcosa da mangiare era già un sintomo abbastanza preoccupante.
Nonostante Masaya tentasse di tenere alta la conversazione fra loro due, notava che Ichigo tendeva a chiudersi sempre di più, era sempre più mogia e abbattuta. Calcolò che era lo stesso stato d’animo in cui si trovava lui, che però almeno cercava di nasconderlo, lei invece evidentemente non ci riusciva. Solo che lui un motivo per sentirsi abbattuto ce l’aveva, lei invece che motivo aveva per stare così male, e tutto all’improvviso, poi? Se veramente avesse sospettato qualcosa in lui, l’avrebbe mostrato da molto prima, non solo all’ora di cena.
“Ichigo, tu non stai bene”, tirò di nuovo fuori l’argomento.
Lei lo guardò mesta. “Hai ragione, Aoyama-kun, non credo di star bene”, gli diede ragione.
Il ragazzo iniziò a sentire l’ansia crescere. “Ma perché? Cosa ti senti? A cosa pensi?”
“Non penso a niente di particolare, è questo che non mi spiego. Non c’entra il professore”, tentò di farsi capire Ichigo. “Mi sento angosciata, ma non capisco perché. Non ho nessun motivo per sentirmi così.”
“Ma se sei preoccupata, un motivo ci deve essere” insisté lui. “Senti un pericolo? Io non sento nulla, ma non si sa mai.”
Ichigo rimase zitta per un po’. “No”, disse infine. “Non c’è nessun chimero. Tokyo è tranquilla adesso. E anche se ci fosse qualche attacco, le ragazze mi avrebbero avvisato.”
“Vedi allora?”, tentò di rassicurarla lui. “Qualunque cosa sia, stai tranquilla e goditi la cena. Se mai ci sarà qualcosa di serio di cui parlare, ci penseremo dopo”, anticipò leggermente il proseguo della serata.
Ichigo allora gli annuì sorridendo e tentò di concentrarsi sul sashimi.

“Ma che diavolo…?” ansimò Mew Angel mentre, saltando, riconosceva un palazzone decorato per la serata di Natale.
Volse lo sguardo in avanti, cercando di non perdere di vista Waffle. Riusciva appena a tenergli dietro, tanto il ragazzo sfrecciava veloce. A complicare le cose c’era anche il fattore climatico: il giorno prima infatti aveva piovuto, e la notte passata le temperature erano scese bruscamente, così che tutta l’acqua rimasta sopra i tetti dei palazzi si era ghiacciata. Mew Angel doveva andare veloce per non venire seminata e allo stesso tempo procedere con cautela per evitare di scivolare e cadere. Correva e saltava con le braccia allargate e la coda distesa per trovare un certo equilibrio, ma il tutto era molto stancante.
Inoltre ormai lei conosceva bene quella Tokyo, e non poteva confondersi: per certi luoghi erano già passati.
“Waffle, ma che stai facendo?!… Dove mi porti?!” gli gridò, mentre saltava da un tetto all’altro.

Waffle non rispose a quelle grida, e proseguì senza voltarsi. Non aveva bisogno di verificare che quella donna lo seguisse ancora, perché sentiva forte la sua presenza dietro di sé.
Il suo piano era principalmente diretto a limitare e stancare il più possibile la sua avversaria prima dell’inizio del combattimento, in modo che, quando avessero iniziato a lottare, lui fosse ancora fresco e lei partisse con un margine di svantaggio.
Per lui volare era facile e non comportava un rilevante dispendio di energie, invece per lei, che doveva correre e saltare, il discorso era diverso. Il tempo inoltre era dalla sua parte, e sapeva che Angel, che non poteva volare, non avrebbe mai potuto affrontare come si deve un combattimento se ogni momento rischiava di scivolare per il ghiaccio. Per concludere, aveva ben presente il luogo in cui l’avrebbe portata, ma, giusto per essere ancora più sicuro, prima di condurla alla meta le avrebbe fatto fare il giro di Tokyo per tre volte, per essere certo di stancarla per bene prima dell’arrivo.
Solo dopo il terzo giro della città Waffle buttò lo sguardo indietro e vide che ormai quella ragazza stava facendo fatica a seguirlo, i suoi balzi erano meno sicuri, e per la stanchezza ansimava con la lingua fuori come i cani.
Bene. Poteva bastare. Allora sfrecciò verso il luogo che aveva scelto per lo scontro: un grattacielo più alto degli altri che lo circondavano, ma allo stesso tempo in una zona abbastanza periferica. Essendo isolato, avrebbe minimizzato la possibilità che i suoi fastidiosi compagni potessero rintracciarla; e un’altezza così alta sarebbe stata pericolosa anche per lei, se per caso fosse caduta.
Atterrò sul tetto e si guardò attorno soddisfatto. Il campo di battaglia non era altro che una vasta superficie completamente ghiacciata, senza nessuna possibilità di nascondersi o ripararsi. E quando anche Mew Angel giunse lì sopra la sua soddisfazione aumentò: era visibilmente stanca e affaticata, e doveva stare con le gambe larghe per non perdere l’equilibrio; se avesse mosso appena un piede sarebbe scivolata e caduta. L’aveva in pugno, non c’erano dubbi.

Mew Angel però, in tutto quel viaggio che era durato parecchio tempo, era riuscita a calmarsi, a far sbollire la sua rabbia e a far mente locale. Nel momento in cui atterrò sul tetto del grattacielo e guardò Waffle, che stava dal lato opposto di fronte a lei, gli tornarono in mente tutti i propositi che aveva avuto in quella notte insonne, e quanto si era sentita male per lui. No, tutto questo era una gran stupidaggine. Non voleva mettersi a combattere, ancora una volta, contro il suo vecchio amico. Non era sua intenzione fargli male, e se c’era una cosa che desiderava era riuscire a fargli cambiare idea su quello che stava facendo.
“Avanti!”, le gridò Waffle, brandendo il suo jitte. “Tu e io, da soli!”
Ma Mew Angel non evocò la sua Angel Whistle, e rimase a fissarlo per un po’, seria.
“Avanti!”, le ripeté Waffle. “Cosa aspetti?”
“Waffle”, gli rispose allora lei. “Stiamo facendo una grandissima cazzata, tutti e due.”
“Cosa?!” le chiese il ragazzo, spazientito.
“Fermati un attimo”, lo esortò lei. “Calmati! Waffe, tu ed io… noi non dovremmo combattere.” Faceva fatica a dire quello che pensava. Sapeva benissimo di non essere brava con le parole.
Infatti vide il ragazzo assumere un’espressione a metà tra la meraviglia e il bisogno di trattenere le risate.
“Dico sul serio”, insisté. Cercò di aggiungere qualcos’altro, ma Waffle la interruppe.
“Dici sul serio? E anch’io faccio sul serio”, e partì a razzo verso di lei, cercando di darle un colpo col jitte.
Subito Mew Angel schivò, anche se rischiò di scivolare per il suolo ghiacciato. Fece uno scarto e dovette frenare con tutti e quattro gli arti per avere un maggior equilibrio.
“Waffle, smettila!”, gli gridò ancora. “Basta, metti via la tua arma!”
“Tu evoca la tua, invece”, la incitò lui.
“No, Waffle, non voglio combattere contro di te!” gli gridò la ragazza.
“Quanto fai schifo”, le ringhiò contro lui con disprezzo. “Ora che vedi che non ci sono più speranze per te ti metti a usare questi mezzucci? Hai intenzione di ingannarmi di nuovo, come sei abituata a fare da sempre? Pensi davvero che ti lascerò andare?”
“No, ti sbagli”, rispose Mew Angel, rimettendosi in piedi. “Non voglio ingannarti, sono seria. Pensaci… siamo stati amici quando eravamo piccoli. Te non lo sai, ma quando tuo padre ti ha portato via in quel modo mentre stavamo giocando sono stata molto preoccupata. Pensavo anche che ti avesse ucciso. Ti ho cercato per settimane per la città. E ho rischiato di tutto per ritrovarti. Perché a te ci tenevo, perché eri mio amico. Se io fossi veramente solo una terrestre che ha cercato di ingannarti, non ti avrei cercato.”
Waffle era rimasto fermo ad ascoltarla, senza più saltarle addosso. Pareva stupito da quella confessione.
“Veramente mi hai cercato per tutto quel tempo?” chiese piano.
“Sì”, acquisì più sicurezza lei, e si mise una mano sul petto. “Ti giuro sul mio onore che è vero. Anch’io ho fatto un errore, sai? Ho pensato per anni che la tua specie fosse malvagia… ma non è vero, mi sbagliavo. Mi dispiace molto di aver pensato così, ma adesso non lo penso più. So che te sei una brava persona, e so che puoi rivalutarmi.”
Waffle aveva un’aria confusa e smarrita. “Per te io… sono una brava persona?”
“Certo!”, disse subito lei. Non ci riusciva quasi a credere, ma Retasu aveva avuto ragione. Lui la stava veramente ascoltando. “E credimi, io le riconosco a occhio le persone che hanno un valore. Se fossi stato un tipo poco raccomandabile non mi sarei mai avvicinata a te, neanche da piccola. E in tutti questi anni mi sei mancato molto, anche se non sembrava. Perché non ci prendiamo una tregua? Possiamo ricominciare tutto da capo, da quando eravamo bambini e giocavamo insieme.”
“Angel…” disse lui a fatica, e nella sua voce si percepiva la sofferenza. “Noi non possiamo più essere amici.”
“Perché no?” insistette lei, senza cedere. “Io sono pronta, invece. Ho messo da parte tutti i pregiudizi che avevo. Te ora devi solo fare lo stesso con i tuoi, e poi potremo ricominciare.”
Vedeva Waffle indeciso e combattuto, nella sua muta sofferenza. Perciò si decise a una mossa estrema e pericolosa, ma la fiducia che riponeva nel suo vecchio amico le diede sicurezza.
Facendo attenzione per evitare di scivolare, mosse un passo verso di lui.
Waffle fece quasi un sobbalzo. “Che fai?” chiese diffidente.
“Mi avvicino a te. E vengo in pace”, gli disse amichevole lei, avanzando cauta. Gli mostrò le mani vuote. “Guarda. Non ho la mia arma. Sono totalmente inerme e non ho modo di ferirti, né di difendermi.”
Vide Waffle rimanere immobile, con un’espressione indecifrabile, mentre lei si avvicinava sempre di più. Quando fu giunta a un metro di distanza, si fermò di fronte a lui e gli tese la mano destra.
“Cosa significa?” borbottò lui, guardandogliela.
“Ti tendo la mano destra in segno di pace ed amicizia. Dai, Waffle, adesso rifletti. Pensa a quello che hai fatto, ai pregiudizi che hai verso di me, pensa a quello che di buono ho fatto per te quando eravamo amici. Poi, quando hai finito di pensare, metti via la tua arma e stringimi la mano”, lo invitò Mew Angel.
Sapeva di essere in una situazione potenzialmente fatale. Lei era lì, vicinissima a lui, completamente disarmata, lui invece era armato, e con un solo movimento del braccio avrebbe potuto sventrarla. Ma non solo sentiva che non l’avrebbe fatto; era certa che non l’avrebbe fatto.
Rimase immobile, col braccio teso verso di lui, mentre l’unico movimento che si percepiva era dato dalle nuvolette di vapore che uscivano dalle loro bocche a ogni respiro.
Vide Waffle continuare a fissare confuso la sua mano. Era fermo e zitto, ma Mew Angel sapeva che dentro di lui stava combattendo una lotta. Poté solo immaginare quello che stava provando in quel momento. Mettere in discussione tutto quello che suo padre gli aveva inculcato fin dalla più tenera età non doveva essere facile. Waffle stava a testa bassa, coi denti digrignati e il viso contratto in un’espressione indecisa e combattuta. Rimase così per un tempo incalcolabile, ma la ragazza non sentiva la paura. Era certa che, nonostante tutto, la sua prossima mossa sarebbe stata mettere via il jitte e ricambiare il suo gesto di pace con un sorriso riconciliato, lo stesso che gli aveva rivolto quella sera sopra il teatro.
Invece, quello che accadde poi avvenne tutto in meno di tre secondi. Tanto che Mew Angel si rese a malapena conto di quello che stava accadendo: Waffle, all’improvviso, alzò la testa verso di lei. Ma aveva scacciato dal suo viso ogni traccia di indecisione, per riassumere l’espressione terribile e feroce di un nemico giurato. Non mise via il jitte, ma sollevò comunque il braccio destro, portandolo all’altezza del viso e piegandolo interamente verso sinistra. Al vedere quella mossa, alla ragazza si svuotò la mente e, atterrita, prevedendo che Waffle l’avrebbe colpita al viso tentò di fare uno scatto all’indietro per schivare il suo attacco. E ci sarebbe riuscita, se non fosse stato per il pavimento scivoloso che le impediva i movimenti. Infatti riuscì ad indietreggiare solo di poco, una distanza non sufficiente per evitare del tutto il colpo di Waffle. Il seguito fu poi questione di un attimo. Mew Angel riuscì solo a vedere la mano destra del ragazzo darle un colpo violento e veloce orizzontale sopra gli occhi, e nello stesso momento sentì una striscia di fuoco squarciarle la fronte in tutta la sua lunghezza. Per il colpo violento che si prese, venne sbalzata all’indietro, cadendo per terra e picchiando la testa.

In quello stesso istante, Ichigo si alzò di scatto dalla sedia, provocando un tale rumore da far girare tutti gli altri commensali.
“Angel è in pericolo!” dichiarò al suo ragazzo con lo sguardo atterrito.
“Cosa?!” esclamò lui di rimando. “Ma non è possibile. Angel è al Caffè con gli altri.”
“È in pericolo”, ripeté lei, che pareva non averlo sentito.
Senza aspettare, senza neanche recuperare la giacca, si fece strada tra i tavoli e in un lampo uscì dalla sala. Anche Masaya si alzò e, non sapendo se tutto quello che stava vivendo fosse un sogno o meno, raccattò i cappotti e fece per seguirla. Uno sguardo severo del cameriere però lo fermò. Senza stare a discutere, pescò dal portafogli i soldi che si era portato dietro per pagare la cena e glieli mise in mano.
“Tenga il resto, e scusate”, gli disse velocemente, e seguì di corsa la sua fidanzata.
Ichigo, appena uscita dal locale, pareva aver perso totalmente il lume della ragione e la cognizione dello spazio. Infatti, ignorando il foro nel terreno che portava alla metro, fece per prendere a piedi la via più spiccia verso il Caffè.
“Ichigo, la metro è di qua”, la richiamò Masaya, che era dietro di lei.
“Non c’è tempo”, gli rispose, stravolta dall’agitazione. “Non c’è tempo di aspettare il treno.”
“Sta’ calma, Ichigo, e cerca di ragionare. A piedi ci metteremmo più tempo. Con la metro invece ci vogliono cinque minuti”, tentò di placarla lui. “Vedrai che non è niente. Andiamo a controllare, ma di sicuro Angel sta già festeggiando con gli altri.”
Ichigo allora parve recuperare un po’ di lucidità e lo seguì docilmente, anche se, sul treno, invece di sedersi come Masaya, rimase in piedi e non fece che fare avanti e indietro per tutto il vagone, con l’angoscia stampata in faccia.
La ragazza schizzò fuori dal treno ancora prima che le porte ebbero finito di aprirsi, e in meno di due minuti fu davanti al Caffè insieme a Masaya.

Gli altri ragazzi erano dentro, al caldo, vicino all’entrata, visto che Bu-ling era appena rientrata coi suoi fratelli, e Keiichiro stava facendo vedere ai bambini dove poter appoggiare le loro giacchette. Minto stava facendo apprezzamenti sulla buona salute di questi bambini, e anche Zakuro li guardava sorridendo.
Il portone si spalancò all’improvviso, e agli occhi di Keiichiro, Bu-ling, Minto, Zakuro e dei bambini apparvero Ichigo e Masaya, stravolti per la corsa. Ichigo, in particolare, non l’avevano mai vista con un’espressione così angosciata.
“Ma… che ci fate voi qui?”, chiese Keiichiro, sbalordito.
“Quel ristorante faceva proprio schifo, eh?”, ipotizzò Bu-ling con le mani sui fianchi.
Ichigo si fece avanti, agitata. “Dov’è Angel?”
Minto spalancò gli occhi, incredula. “Angel? È di sopra”, rispose, puntando il dito verso il soffitto.
Quelle parole non ebbero l’effetto di tranquillizzare la leader; Ichigo la spinse da parte e corse su per le scale. “Angel! Angel, dove sei?!” la chiamò.
Gli altri la aspettarono di sotto, senza sapere se essere meravigliati dall’assurdità della situazione o se lasciarsi contagiare dall’agitazione della loro compagna. Nel frattempo Bu-ling, intuendo che quello che stava avvenendo era qualcosa di pesante, ordinò ai suoi fratelli di andare a giocare per conto loro nella stanza adiacente.
Dopo pochi istanti, Ichigo tornò di sotto di corsa. “Non c’è”, annunciò con voce inespressiva.
Un’esclamazione di incredulità e sgomento uscì dal petto di tutti i presenti. Tanto che non le credettero subito, e si precipitarono insieme su di sopra, chiamandola. Ma nessuno rispose.
Entrarono nella sua stanza e trovarono la finestra aperta.
“Quell’imbecille!” commentò rabbiosa Minto. “E noi non ci siamo accorti di niente.”
“Se è fuori da sola, allora può trovarsi in pericolo”, ragionò con lucidità Zakuro. “Dobbiamo rintracciarla.”
“Vado nello studio a controllare al computer”, propose Keiichiro. “Non posso rintracciare Angel, ma se riesco a localizzare qualche mostro è possibile che lì ci sia anche lei.”
“No, non c’è tempo di andare a tentoni così”, rispose Ichigo con la disperazione nella voce, e corse giù per le scale diretta verso l’uscita.
“Dove vai, Ichigo-neechan? Non puoi andare così! Non sai da che parte è andata!” le gridò dietro Bu-ling.
La leader uscì fuori, si fermò davanti all’entrata e si bloccò, tesa, con tutto il gruppo dietro che la fissava esitante.
Ichigo rimase rigida, coi nervi e i sensi tesi per un paio di minuti. Poi, di scatto, alzò la testa verso un punto in direzione della periferia.
“Di là!” gridò, e si trasformò, imitata da tutto il gruppo.
“Ichigo-san!”, la fermò Keeichiro prima che potesse allontanarsi. “Io intanto chiamò Ryou. Dirò a Retasu-san di seguirvi.”
“Grazie, Akasaka-san”, gli rispose la leader, senza quasi guardarlo, e partì di corsa verso i palazzi, prendendo la via dei tetti, con tutta la squadra alle calcagna.

Mew Angel era distesa a terra, su un fianco. Nonostante la forte botta che aveva ricevuto alla testa, non aveva perso conoscenza. Era ferma, immobile, e l’unico pensiero che riusciva a formulare era che Waffle doveva averle tagliato la testa in due. Non riusciva a sentire niente, l’unica cosa che catturava la sua attenzione era la pozza di sangue caldo che, vicino al suo viso, si andava sempre più allargando; puzzava di ferro in modo orribile e, a contatto col pavimento ghiacciato, fumava leggermente.
Dopo altri istanti, la ragazza riuscì però a elaborare il pensiero che, se veramente Waffle le avesse tagliato in due la testa, allora lei non sarebbe nemmeno dovuta essere in grado di pensare. Quindi, con fatica, si mise a quattro zampe e poi in piedi, girandosi verso il ragazzo.
Lui era ancora davanti a lei, alcuni metri più lontano. Ansimava, non si capiva se per il freddo o per l’eccitazione, e la punta del suo jitte era rossa. Si vedeva nei suoi occhi la risolutezza e la decisione presa, senza più nessun accenno di dubbio.
“Quanto speri ancora di potermi fregare, Angel? Pensavi davvero che mi sarei lasciato abbindolare da te un’altra volta? Ti conviene fare sul serio e combattere, perché, se non lo farai, io ti ucciderò lo stesso!”
Mew Angel, a quelle parole, sollevò la mano sinistra e si toccò la fronte. Sentì con le dita che la ferita che Waffle le aveva appena inflitto le partiva poco sopra il sopracciglio destro, e continuava per tutta la lunghezza della fronte, salendo fino ad arrivare appena sotto l’attaccatura dei capelli sul lato sinistro. Il taglio era largo e profondo e il sangue scorreva copioso. Mew Angel se lo sentiva colare sugli occhi, lungo le guance e ai lati del naso, gocciolandole poi dal mento o scorrendole sul collo fin sotto la sciarpa.
“Ad ogni modo, potevi anche risparmiarmi un po’ di noia e rimanere giù per terra. Mi stupisco di come tu faccia a stare ancora in piedi dopo una ferita e una botta come quelle”, la apostrofò Waffle, puntandole il jitte contro.
Allora la guerriera, senza più pensare al dolore lancinante alla testa che sentiva, volse le orecchie in avanti e, allungando il braccio destro, evocò la sua Angel Whistle. Ogni speranza era perduta. Waffle aveva infine fatto la sua scelta definitiva, e aveva tradito di nuovo la sua fiducia; per la seconda volta. Non c’era stato modo di farlo ragionare, lei ci aveva provato e non ci era riuscita. Si era fidata ciecamente di lui, e lui per tutta risposta le aveva inflitto quel colpo violento al viso, che non l’aveva uccisa solo perché lei era riuscita parzialmente a spostarsi. Arrivata a quel punto, nonostante tutti i propositi fatti, non le era rimasto altro da fare che combattere per salvarsi la vita.
Fissò con sguardo duro e serio il suo avversario negli occhi gialli, si leccò le labbra per pulirsele dal sangue che vi stava colando sopra e dichiarò:
“io sono Angel Momomiya, e Shintaro Momomiya era mio nonno. Se mi vedrai rimanere distesa a terra, sarà solo perché sarò morta.”


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Metto qua un commento riguardo ai personaggi di Angel e Waffle insieme: questo capitolo è importante per quanto riguarda la loro "relazione" perché è in una situazione come questa che vengono fuori le cose che hanno in comune e quelle che li rendono diversi. Entrambi, per quasi tutta la loro vita, sono stati vittima di una mentalità discriminatoria e specista/razzista. Angel odiava gli alieni, così come Waffle odiava gli uomini, questa è la cosa in comune che hanno. Le diverse premesse che questi due personaggi hanno rendono poi diverse le conclusioni: Angel si fa questa idea da sola, senza nessun tipo di indottrinamento, quindi la sua mente rimane più o meno pulita; ha modo di confrontarsi con persone che la pensano diversamente da lei e, dopo mesi di prove e ragionamenti contrari, riesce ad ammettere di aver sbagliato e a cambiare la sua visione delle cose. Waffle, al contrario, ha le idee che ha non per un ragionamento suo, ma perché gli sono state inculcate; per tutta la sua vita, ha modo di confrontarsi solo con suo padre, e quindi può avere accesso a una sola visione del mondo, non ha idea che esistano visioni diverse dalle sue, né può sentire diverse campane. Con delle premesse simili, è impossibile che una persona possa cambiare idea. Ed è questo il punto in cui i due personaggi si differenziano: il poter sentire opinioni diverse e interagire con persone che hanno una visione del mondo più ampia può davvero fare la differenza nell'evoluzione di una persona. Hanno gli stessi limiti mentali, ma a causa di fattori esterni una riesce a cambiare, l'altro purtroppo non può riuscirci.

Vi anticipo che il prossimo capitolo sarà forte. Molto, molto forte. Forse dovrò cambiare il rating da giallo ad arancione solo per quello. Fatemi sapere che ne pensate. Ciao!

   
 
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