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Autore: alessandras03    16/06/2017    1 recensioni
SEQUEL BISBETICA VIZIATA.
Dal Capitolo 1...
"In fondo è l’alba per tutti. E’ l’alba di un nuovo inizio. L’alba che porta con sé la notte, schiarendo il cielo, colei che reca luce e spensieratezza.
E’ questa la mia alba. Guardare avanti e capire che non bisogna fermarsi.
Come il tempo scorre, come la notte passa e arriva il giorno, così i cattivi pensieri svaniscono per dar spazio ad una pace interiore senza limiti. "
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo 12
 


I’m in love with the shape of you
We push and pull like a magnet do
Although my heart is falling too
I’m in love with your body
And last night you were in my room
And now my bedsheets smell like you


Siamo distesi nudi, l’uno sull’altro, sul sedile posteriore dell’auto di Dylan, mentre alla radio passa Shape of you di Ed Sheeran. Mi muovo a ritmo, mentre le sue mani mi sostengono la vita. Dylan ha gli occhi schiusi ed ansima, mi diverte vederlo così, quasi in una sofferenza piacevole. Così abbozzo un mezzo sorrido e quando lui apre gli occhi e lo nota, capovolge la situazione, portando me sotto di lui.
«Ti piace tenere le redini» dice con voce rauca, mentre ondeggia il bacino e si fa sentire sempre più dentro di me.
Inarco la schiena, mordo le labbra e rido. «Taci» faccio ansimando.
Si abbassa per baciarmi, attanaglio il suo viso con entrambe le mani ed avvolgo la mia Quando qualcuno bussa al finestrino dell’auto, sussultiamo entrambi. Dylan corruga la fronte, mentre io rimango esattamente nella stessa posizione, visto che il suo possente corpo riesce a coprirmi quasi del tutto.
Dylan si guarda intorno, mentre continuano a martellare imperterriti, poi si sporge per prendere le sue mutande, indossandole velocemente.
«Dylan sono nuda» sbotto a denti stretti.
«Stai dietro di me.» Ridacchia mentre abbassa il finestrino e finalmente prendiamo aria.
Un anziano signore, con un bastone fra le mani ed una pipa fra i denti ci sta osservando.
«Ehi giovani» borbotta, «questa è proprietà privata» indica intorno a sé. «Ci sono i miei vigneti, gli uliveti, che vi salta in mente?» Continua scuotendo il capo e dando un colpetto a terra con il bastone.
Deglutisco rumorosamente, smorzando una risata.
Dylan schiarisce la voce, «ci dispiace, veniamo dalla città, volevamo passare una giornata in mezzo al verde» spiega.
Poggio il capo sulla schiena, così calda ed umidiccia, poi gli lascio un bacio ed avvolgo le braccia intorno alla sua vita.
L’anziano osserva Dylan incuriosito, «bè, allora che fate ancora lì dentro?» Fa un passo indietro. «Venite, venite… vi faccio vedere quant’è bella la natura.» Alza gli occhi al cielo e respira profondamente.
«Ci-ci può dare un attimo?» Tentenna Dylan.
L’anziano annuisce, «ma certo.»
Rialza il finestrino e si volta a fissarmi, «vestiti» ride. «Fortuna che è un brav’uomo, te l’avevo detto che non potevamo fermarci qui!» Mi scompiglia i capelli.
Indosso la canotta, tralasciando il reggiseno, poi gli slip e la gonna a campana di jeans.
Infilo le mie amate e sgualcite converse, mentre Dylan rimette i bermuda e la maglia.
Apro la portiera ed esco dall’altro lato, mi ricompongo, porto i capelli dietro le spalle ed inspiro profondamente. Dylan scende dalla parte del signore, poi mi porge il braccio ed apre il palmo della mano. Lo raggiungo e l’acchiappo, intrecciando le sue dita alle sue.
Camminiamo accanto all’anziano, mentre io mi perdo ad osservare i colori del fiori, degli alberi, è fantastico come tenga bene tutto ciò.
«Lei vive qui, quindi?» Chiede Dylan.
«Certo che sì, qui c’è la mia fatica, la mia vita» si abbassa e coglie un fiore.
Poi si avvicina a me e lo porge. Sorrido e lo prendo in mano, inalando il profumo.
«Mia moglie sarà contenta di vedere dei giovani come voi» dice avanzando verso un casolare a passo più spedito.
In quel preciso istante la signora fa la sua uscita, con un fazzoletto fra i capelli, l’aria spensierata e felice. Si ripara la fronte dal sole e poi osserva meglio.
«Ma che bellezza!» Esclama entusiasta. Ha la pelle chiara, stanca, gli occhi azzurrissimi ed un corpo piuttosto sinuoso.
«Salve» salutiamo entrambi in coro.
«E’ fantastico vedere dei giovani come voi qui» sorride. «George, fai del thè, io porto a spasso queste meravigliose creature.» Scende le scale e ci raggiunge, mentre il marito entra in casa.
«Qui è davvero bello, ci tenete molto» azzardo osservandomi intorno.
«Noi viviamo di questo, abbiamo anche degli animali…» sfila il fazzoletto dal capo, ondeggiando la sua chioma grigia, poi si ricompone.
«Ci siamo trovati qui per caso, non volevamo introdurci per fare chi sa cosa» si difende Dylan. Gli stringo la mano e gli pesto un piede. Potrebbe anche evitare l’argomento !
Lei ci osserva maliziosa, «siete giovani, è piena estate, il sole splende e voi volevate trascorrere del tempo fuori dal caos della città» annuisce, «non vi preoccupate, anche io e mio marito a volte vogliamo allontanarci dai nostri alberi, piante ed animali, per occuparci della nostra intimità» ride compiaciuta.
Ecco. Voglio morire. Osservo il mio fidanzato, che non riesce a trattenere una risata.

«Il Thè è pronto» urla l’uomo dal casolare.
«Entriamo, venite» ci fa strada.
«Mi sento a disagio» sussurro al suo orecchio.
«Sono delle bravissime persone, altri ci avrebbero cacciato a calci in culo» ribatte a denti stretti.
«Bè, che ne sai? Magari adesso entriamo e ci tendono una trappola» aggiungo schizzata.
Lui si volta a guardarmi e scuote il capo, «dovresti guardare meno film dell’orrore.»
«Mi avrai sulla coscienza» dico infine.


L’interno della loro abitazione è del tutto campagnolo e si sente proprio l’odore di erba fresca. E’ tutto rifinito in legno ed è trattato così bene al punto di stupirmi.
Pensavo di trovare un posto lugubre e sporco, invece questa gente vive bene in ogni senso.
La signora posa sul tavolo un vaso pieno di rose blu, bellissime. Rimango immobile a fissarli per un po’, fin quando la vista è annebbiata dal vapore del thè bollente.
«Ecco cara» lo porge, mentre mi deposito sul sofà, color cammello, morbido e comodissimo.
Dylan si siede al mio fianco e dalla sua espressione sembra più rilassato che mai.
«Oggi chiudo il telefono» sfila dalla tasca il suo iPhone e lo spegne, riposandolo. «Non voglio nessuna rottura di scatole.»
Mi sento ancora troppo tesa ed imbarazzata, ma questo posto è davvero confortevole.
«Ragazzi diteci qualcosa di voi» la signora sorseggia la bevanda e ci scruta.
«Bè, abbiamo finito il liceo da poco, dobbiamo iniziare a breve il college…» parla Dylan ovviamente.
Lei annuisce, «che bello e da quanto tempo state insieme? Sembrate così uniti!»
A quel punto entrambi ci fissiamo. «Diciamo che la nostra storia ha avuto alti e bassi, non sapremo definire esattamente il tempo… ma non conta molto» spiego io.
Dylan poggia una mano sulla mia coscia accarezzandola.
«E’ vero, l’amore non ha tempo e non ha età.» Dice quasi con fare filosofico.
«Signora poggio qui?» Domando riguardo la tazza, indicando un tavolinetto di fronte.
«Chiamami Carola» dice annuendo. «Metti pure lì» sorride poi.
«Noi siamo Dylan» lui poggia la mano sul suo petto, «e Grace» sospira.
La donna si interrompe, sospira e fissa un punto pensierosa, mentre il marito le si avvicina, poggiandole una mano sulla spalla.
Osservo Dylan corrucciata, mentre lui alza le spalle confuso.
«Mio nipote si chiama così, non lo vediamo da moltissimi anni…» la signora prende un lungo respiro, poi si mette in piedi ed avanza fino ad un mobiletto in legno, apre un cassetto e sfila un album. Poi, lentamente, ritorna a sedere e sorride.
Lo apre e sfoglia le prime pagine. Accarezza una foto, poi un’altra ancora ed infine ci mostra una pagina. Ci sono due bimbi, un maschietto ed una femminnuccia. Potrebbero aver avuto all’incirca due anni, sorridono ed agitano le braccia in mezzo al verde.
«Sono i suoi nipoti?» Sorrido io compiaciuta.
Dylan deglutisce rumorosamente, alza lo sguardo e fissa la donna. «E… la sorellina come si chiama?» Dice con tono freddo.
«Beth» schiarisce la voce il marito, mentre si dirige verso la cucina.
Dylan si mette in piedi, sembra furibondo, poi si dirige fuori di corsa. Mi alzo scattante e confusa, osservo i signori e poi lo seguo, senza più pensarci.
«Andiamocene» dice con tono severo, mentre scende le scale in legno.
«Ehi, ma che ti prende» lo rincorro, fin quando riesco ad acchiapparlo dal braccio.
Lui si volta e mi osserva. Mai il suo sguardo fu più serio e vigile.
«Sono i miei nonni» dice a denti stretti, serrando la mascella, «quei nonni che non accettarono mia madre… si sposarono di nascosto, perché loro non erano d’accordo» indica accanitamente la casa. «Mio padre qualche volta ci avrà portato qui, quando avevamo su per giù due anni, mia madre non ci ha mai messo piede e non ha mai avuto niente a che fare con loro…» aggiunge abbassando lo sguardo. «Una domenica però mi raccontò mia madre che decise di rassegnare una pace e ci portarono dai nonni, non appena la videro le voltarono le spalle e non accettarono neanche di averla dentro casa, così mio padre chiuse i battenti con loro. Per sempre.» Concluse. «Scelse la sua famiglia, piuttosto che l’arroganza dei suoi genitori ignoranti.» Parla con così tanto odio.
Sono senza parole. Ho la bocca schiusa e gli occhi sgranati, immobili, nel vuoto.
«Non c’erano al funerale di mio padre… per me sono morti» balbetta con voce rauca.
In quel preciso istante l’uomo appare dalla porta.
«Sapevo avessi qualcosa di familiare» decreta, «sei uguale a tuo padre» dice.
«Perché mi hai fatto entrare in casa se mi avevi riconosciuto?» Dylan porta le mani sui fianchi e poi osserva il cielo, azzurrissimo.
«Perché sei mio nipote!» Esclama.
«E ti ricordi adesso che sono tuo nipote?» Ride amaramente.
Dietro l’uomo spunta anche la donna, è in lacrime.
«Oh Dylan» nasconde la bocca con entrambe le mani. «Sono passati così tanti anni» avanza.
«Non fare un altro passo» indietreggia lui.
Mi sento così impotente, che rimango nel mezzo.
«Dylan…prova a…» oso dire, ma il suo sguardo mi ammonisce all’istante.
«Andiamo via» mi tende la mano ed io dopo averci pensato su qualche secondo, dopo aver rivolto un ultimo sguardo ai quei signori dallo sguardo così innocente, stringo la sua mano e mi faccio trasportare via.

Dylan cammina svelto verso la sua auto, poi sale e sbatte la portiera. Rimane immobile a fissare il volante ed avverto il suo respiro affannato. Poggio la mia mano sulla sua e sospiro.
«Se vuoi andare via, andiamo via» esordisco, «ma sappi che potrai rimpiangere ciò. Avranno le sue colpe, ma tu sai perdonare amore» sottolineo.
E quando i suoi occhi da cucciolo sperso nel bosco mi scrutano in quel modo, diventa inevitabile sorridergli. Mi sporge e mi bacia, attanagliandomi il volto.
«Non avrei mai immaginato tu potessi diventare la parte migliore di me» sussurra sulle mie labbra, «insomma sei Satana» ironizza dopo.
Scoppio a ridere e lo guardo, «è così che si fa giusto?» Inclino il capo da un lato, «tu fai ragionare me quando sono furiosa ed io lo stesso» gli scompiglio i capelli, mentre lui sorride.
Mi scoppia il cuore.
«Vuoi che venga con te?» Domando sospirando.
Lui annuisce ed esce dall’auto, lo raggiungo subito prendendolo nuovamente per mano.
Percorriamo tutto il verde, poi, giunti di fronte il casolare Dylan si blocca. Mi lascia la mano e sale le scale. Bussa alla porta ed attende qualche istante.
La donna apre e rimane sbalordita.
«Non so bene cosa accadde, io e Beth eravamo troppo piccoli, ma voi siete l’unica cosa che mi rimane di mio padre» dice serio, «non vi sto perdonando, perché probabilmente avrete fatto passare dei giorni di merda a mia madre, soprattutto quando lui morì. Vi do l’opportunità di conoscere i vostri nipoti… perché è giusto che sia così» decreta. «Se la vedeste oggi, vi innamorereste di quella donna meravigliosa» come Dylan parla di sua madre, mi fa venire la pelle d’oca.
Socchiudo le palpebre e sospiro.

Trascorriamo gran parte della giornata lì, poi in serata riprendiamo il nostro cammino in auto. Dylan è piuttosto tranquillo, ma non parla poi così tanto.
«Ma tu mi ami?» Chiede di soppiatto.
Guardo corrucciata la strada di fronte a noi, poi mi volto e lo fisso. «Sì» accenno un risolino finale, per poi accarezzargli il capo con una mano.
«Mi ami ami intendo, sul serio?» Tiene una mano sul volante, mentre con l’altra abbassa il volume della radio.
«Dylan sì» decreto con voce possente.
Abbozza un mezzo sorriso, «io ti sposerò un giorno, anche se fra qualche anno le nostre strade potranno dividersi… io ti troverò e ti sposerò.» Detto ciò aumenta il volume sulle note di “The Final Countdown”. Si volta e mi mostra un gran sorriso.


«E se io non volessi sposarmi?» Urlo per sorpassare la musica. Ironizzo, ma in realtà non ho mai ben riflettuto sulla cosa. In fondo non bisogna necessariamente avere delle fedi al dito per dimostrarsi amore eterno.
Lui deglutisce e sospira, «io ti sposerò» ripete.
«Non puoi impormelo» incrocio le braccia al petto assottigliando lo sguardo.
Dylan morde le labbra e scuote il capo, «va bene, bimba… ne riparleremo fra qualche anno» si sporge per farsi dare un bacio. E così mi fiondo su di lui, gli cingo il collo con le braccia e gli lascio un caldo bacio.
Poi ritorna a guardare la strada, mentre io mi appisolo sul sedile scordandomi dove realmente io sia.


 

POV DYLAN

Siamo appena arrivati di fronte casa Stewart, accosto accanto al marciapiede e slaccio la cintura. Mi volto e do un’occhiata a Grace. Ha il capo inchinato a sinistra, la bocca schiusa e un po’ di bava le cola dall’angolo delle labbra. Trattengo una risata e rimango in silenzio ad osservarla. Non scherzavo quando le dissi che l’avrei sposata, perché sinceramente non ho intenzione di farlo con nessun’altra se non con lei.
Sarò infantile ed anche un po’ folle, ma sono abbastanza convinto di ciò.

«Siamo arrivati» mormoro.
Lei fa un gran sospiro, strizza gli occhi e si rannicchia ancor di più.
Nessuna risposta.
«Grace» ridacchio «siamo a casa» dico aumentando il tono di voce.
Quello che mi aspetto non è di certo uno schiaffo sul braccio ed è invece esattamente quello che fa, per poi voltare il capo dall’altro lato.
«Stai aspettando che io ti prenda in peso e ti porti dentro? Mi dovrai far venire un’ernia?» Scherzo poggiando la testa sul sedile.
Nuovamente nessuna risposta.
«E poi non posso entrarti dentro, i tuoi staranno già dormendo» mi sporgo ed osservo dal finestrino tutte le luci della casa spente.
Sbadiglio e strofino un occhio. Poi metto in moto.
«Bambina capricciosa» brontolo.
Lei continua a dormire, le scappa persino un russo. Scuoto il capo e riparto in direzione di casa mia.

Un quarto d’ora dopo sono arrivato, posteggio l’auto nel garage e provo nuovamente a svegliare la bella addormentata.
«Grace sul serio?» Mi passo una mano fra i capelli. «Cosa c’era sonnifero in quella cena?»
Scendo dalla macchina e faccio il giro aprendo la portiera dal suo lato. Sono costretto seriamente a prenderla in braccio?
Così le stacco la cintura, le metto una mano dietro la schiena, poi sotto le gambe, mentre lei abbozza un mezzo sorriso.
«Ehi piccola stronza, ti ho visto» mugugno.
Tiene gli occhi chiusi e si lascia prendere fra le braccia, per poi cingermi il collo con entrambe le braccia e posare il capo sulla mia spalla.
«Domattina avrò una vertebra di fuori» dico mentre acchiappo la sua borsa e chiudo la portiera con un lieve calcio.

Salgo così a casa e facendo attenzione a non inciampare per via del buio, metto Grace a terra. Lei si lamenta, stira le braccia e sbadiglia. Poi come una zombie sale le scale, fino a raggiungere la mia camera. La seguo lasciando le scarpe sull’ultimo gradino e quando sono dentro la stanza, lei si sta spogliando ed è di spalle, rivolta verso il mio letto.
Sfila prima la canotta, lanciandola a terra, poi abbassa la gonna e rimane soltanto con il suo misero e fantastico perizoma nero. Le vado incontro e una volta dietro di lei le poggio le mani sui fianchi, per poi scendere sulle anche. Le sue mani indugiano e si posizionano dietro cercando curiose il mio jeans. Lo sbottona, tira giù la cerniera e mi massaggia l’erezione imminente. Porto le mani sul ventre per poi scendere più giù, le massaggio l’intimità e scosto quel poco di tessuto che la copre, per poi stuzzicarle il clitoride. La sento ansimare mentre la sua schiena s’inarca. Con l’altra mano risalgo e le sfioro il seno nudo, per poi stringerlo aggressivamente. Mi faccio spazio fra i suoi capelli, nascondendo il volto nell’incavo fra il suo collo e la sua spalla, le lascio così una serie di baci mentre le mie dita entrano dentro di lei. Geme e muove il bacino lentamente, mentre con una mano mi accarezza il capo scompigliandomi i capelli.
Sussurra più volte il mio nome con voce rauca. L’unico posto in cui vorrei essere al momento è dentro di lei, ma adoro vederla soffrire in quel modo, mi piace sentirla così vogliosa.
E’ l’unica con cui riesco ad essere dolce e pervertito allo stesso tempo.
Quando sento la sua voglia crescere sempre più, le abbasso il perizoma ed appoggio il mio bacino o meglio la mia erezione sul suo sedere. La sento ridere con gusto e mentre si spinge sempre più verso di me.
«Grace cosa mi fai diventare» mormoro, mordendole un orecchio.
Mi sfilo i jeans e poi le mutande, mentre lei abbassa la schiena poggiando le mani sul materasso. Le accarezzo una natica e dopo aver indossato un preservativo, tenendola con entrambe le mani dai fianchi le penetro dentro. Lei geme e stringe il lenzuolo sotto di lei.
Lentamente mi faccio strada dentro di lei, per poi aumentare gradualmente. Lei continua a gemere, vorrei dirla di smetterla, perché mia madre e Beth ci sentiranno, ma divento matto quando fa così e non voglio assolutamente che lei si zittisca.
Socchiudo le palpebre e mi godo il momento. Poi lei capovolge la situazione, si volta ed acchiappandomi dal collo mi bacia con foga. L’acchiappo dal sedere portandola addosso a me e cammino verso la parete sbattendola contro di essa. E così la sua schiena fa su e giù, mentre le sue mani cercano qualsiasi tipo di appiglio. Sfiora la tenda della finestra e la stringe buttandola giù.  Consapevole della scomodità della situazione, la muovo e la siedo sul davanzale ed è lì che le mie spinte vanno oltre il limite del normale.
Lei cerca le mie labbra per smetterla di lamentarsi, mi strappa quasi i capelli ed io le stringo così forte le natiche da non capire più nulla.
Credo di non aver mai sudato così tanto, neanche durante gli allenamenti a scuola.
Ed è una sensazione bellissima, osservare la tua donna sfinita di fronte a te, che piuttosto di dirti “basta”, mi supplica con gli occhi e con qualsiasi altro mezzo a nostra disposizione di continuare e non smettere. Ed io non lo faccio. Continuo imperterrito e muovermi dentro di lei, sentendomi talmente completo da non riuscire a pensare al cuore che mi sta per scoppiare dal petto. Quando entrambi giungiamo al culmine le nostre bocche si cercano fameliche e ci fermiamo per qualche istante. La osservo, le scosto i capelli dalla fronte umidiccia e noto come il suo mascara sia andato a farsi benedire rendendola simile ad un banda e di come le sue guance sono così rosse da somigliare a due lamponi o suoi occhi lucidi che non la smettono di scrutare i miei. E’ così perfetta da toglier il fiato.
«Dylan Murphy …io ti sposerò… un giorno» dice tra un bacio e l’altro.
La stringo a me e la porto a letto. Entrambi nascondiamo i nostri corpi nudi sotto il lenzuolo e lei si raggomitola a me, nonostante faccia un caldo pazzesco ed entrambi grondiamo di sudore. Non abbiamo nessuno dei due la forza di fare una doccia e crolliamo in un sonno profondo come due sassi.


Il mattino dopo apro gli occhi ed osservo Beth con le mani sui fianchi che ci fissa. Ha un’aria piuttosto minacciosa.
«Vi sembra giusto fare tutto quel sesso?» Domanda. «Avete ferito i miei sentimenti, oltre che la mia vagina. Vergognatevi, sporchi schifosi luridi senza cuore» si volta ed esce dalla stanza sbattendo la porta.
A quel punto Grace apre gli occhi e confusa mi osserva.
«Che succede?»
Mi strofino gli occhi e scendo dal letto, percorro la stanza completamente nudo mentre avverto la risatina maliziosa della mia fidanzata alle mie spalle.
«Faccio una doccia» dico una volta trovatomi in bagno.
Lei non mi raggiunge, quindi suppongo si sia nuovamente addormentata.
In fretta mi insapono e poi sciacquo. Quando torno in stanza, la osservo dormire e nel frattempo mi vesto. Poi le lancio un cuscino in faccia.
«Grace Elizabeth Stewart alzati e fai una doccia» ordino a gran voce.
Lei si stira le braccia ed alzando il busto mi osserva con il broncio.


Raggiungo Beth al piano di sotto, sta facendo colazione con il caffè ed i pancakes e canticchia una canzone orecchiabile.
«La mamma?» Chiedo versandomi del latte nella tazza.
«E’ uscita presto» dice osservando un punto fisso.

«Ieri ho conosciuto o meglio rivisto delle persone...» sospiro mentre la nostra cagnolina mi scodinzola, sicuramente Beth non le ha ancora dato mangiare. Così la porto fra le braccia e la accarezzo. La rimetto a terra e le verso nella ciotola dei croccantini.

Poco dopo fa il suo ingresso mezza nuda Grace. Ha lo sguardo accigliato e preoccupato, indossa una mia maglia larga e solo le mutande di sotto.
Rimane immobile di fronte al tavolo e respira affannatamente.
«Grace? Ti senti bene?» Domanda mia sorella raddrizzando la schiena.
Lei scuote il capo. «Ho un ritardo» spara la bomba.
La mia colazione finisce tutta sul tavolo, a causa dello sputo repentino e violento.
Quasi mi affogo, tossisco più volte per riprendermi e mi metto in piedi. Mi avvicino al lavandino e sciacquo il viso più e più volte. Quando mi volto spero che sia solo un sogno ed invece è la pura realtà.
Grace è ancora dinanzi a me con gli occhi lucidi e uno sguardo innocente.
Invece Beth non spiaccica parola. Posa la tazza sul tavolo e deglutisce rumorosamente.
«Magari è solo il caldo che…che a volte… a volte fa» balbetta mia sorella.
«Non ho mai avuto un ritardo di dieci giorni» respira profondamente Grace.
Vorrei sbattermi la testa al muro fino a spaccarmela e vorrei maledire tutte quelle volte in cui io e Grace, incoscientemente, ci siamo lasciati travolgere dalla passione senza usare precauzioni.

E adesso combatti da vero uomo Dylan Murphy e prenditi le tue responsabilità.

«Che vuoi fare? Faccio tutto quello che vuoi, vado a comprare un test? Vuoi… vuoi andare in ospedale? Vuoi chiamare qualcuno? Ti giuro Grace… tutto ciò che vuoi» sembro un bambino, come quando la maestra da piccolo mi rimproverava ed io tartagliavo per l’estrema paura che mi incutesse. Solo che stavolta la paura è un’altra, mi sento assalito esclusivamente dal panico. Assurdo come un uomo possa reagire così di fronte ad una situazione così grande.
Grace nasconde il viso con entrambe le mani e Beth accorre in suo aiuto ad abbracciarla. Forse avrei dovuto farlo io, ma sono talmente in uno stato di trance da non riuscire a muovere nessun muscolo, nessun arto, persino la lingua sembra bloccata.
Beth ci osserva entrambi, «tempo fa ho comprato un test, stavo con quel coglione ed avevo paura che mi avesse messa incinta… non l’ho mai utilizzato perché alla fine non ce ne fu bisogno» esordisce, «è sopra, ci metto un attimo a recuperarlo.»
Deglutisco forzatamente e la mia gola diventa secca tutto d’un tratto.
Grace annuisce all’amica, la quale senza farselo dire più di una volta corre al piano di sopra.

Mi avvicino a lei e le sfioro una mano, «andrà tutto bene» le sussurro. Non va bene neanche per il cazzo, ma ti amo follemente e qualunque sia l’esito andrà bene comunque.
  
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