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Autore: effe_95    16/06/2017    2 recensioni
Questa è la storia di diciannove ragazzi, i ragazzi della 5 A.
Questa è la storia di diciannove ragazzi e del loro ultimo anno di liceo, del loro affacciarsi a quello che verrà dopo, alla vita. Questa è la storia di Ivan con i suoi tatuaggi , è la storia di Giasone con le sue stelle da contare, è la storia di Italia con se stessa da trovare. E' la storia di Catena e dei fantasmi da affrontare, è la storia di Oscar con mani invisibili da afferrare. E' la storia di Fiorenza e della sua verità, è la storia di Telemaco alla ricerca di un perché, è la storia di Igor e dei suoi silenzi, è la storia di Cristiano e della sua violenza. E' la storia di Zoe, la storia di Zosimo e della sua magia, è la storia di Enea e della sua Roma da costruire. E' la storia di Sonia con la sua indifferenza, è la storia di Romeo, che non ama Giulietta. E' la storia di Aleksej, che non è perfetto, la storia di Miki che non sa ancora vedere, è la storia di Gabriele, la storia di Lisandro, è la storia di Beatrice che deve ancora imparare a conoscersi.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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I ragazzi della 5 A
 
56.A diventare grande, Le mie gambe e Tutto ricomincia.

Maggio

Gabriele stava quasi per appisolarsi quando arrivò lo schiaffo.
Fu un vero trauma.
Katerina l’aveva colpito con tale fervore da lasciargli il segno dell’anello che portava al dito sulla fronte, proprio al centro.
Gabriele aveva sentito dire che colpire quel punto preciso del viso provocava un moto di nervosismo incontrollato, quel pomeriggio constatò che era una verità assoluta.
Provò un nervosismo difficilmente descrivibile.
Mugugnò infastidito e si limitò a cambiare posizione, mettendosi di lato piuttosto che steso a pancia in su, era sicuro che in quel modo Katerina avrebbe trovato difficile colpirlo nello stesso punto, e poi stava per fare un sogno meraviglioso prima dello schiaffo, ne era certo.
Doveva riprenderlo a tutti i costi!
La sentì sospirare infastidita mentre tentava inutilmente di tirargli i capelli per ripicca.
Gabriele ridacchiò, era andato dal barbiere proprio quella mattina, le ciocche erano troppo corte perché Katerina potesse fargli male, continuavano a sfuggirgli dalle dite e il risultato non fu altro che un piacevole massaggio alla nuca perfetto per conciliare il sonno.
<< Dovevi andare dal barbiere proprio questa mattina, vero?! Maledetto bradipo pigrone! >>.
Lo canzonò picchiettandogli la tempia con l’indice.
<< Comincia a far troppo caldo per i capelli lunghi >>.
Il commento di Gabriele venne accompagnato da un sospiro infinitamente lungo di rassegnazione, non sarebbe riuscito a chiudere occhio quel pomeriggio, era ovvio.
<< Mi si sono addormentate le gambe Gabriele, mi si atrofizzeranno se non ti alzi >>.
La voce di Katerina era talmente seria che Gabriele fu costretto a soffocare un sorriso mentre apriva finalmente gli occhi e riassumeva una posizione supina.
<< Ma sono così comode >> Commentò facendole un sorriso da sberle.
Katerina sospirò pesantemente e alzò gli occhi al cielo.
Quel pomeriggio non c’era nessuno a casa sua, Jurij era andato a dormire da un amico, mentre i suoi genitori avevano portato Simone al cinema, a vedere uno di quei cartoni animati che Katerina proprio non sopportava.
Gabriele si era presentato da lei senza avvisarla.
Katerina era piuttosto sicura di non avergli detto che sarebbe rimasta da sola, la verità era che detestava quando in casa con lei non c’era nessuno.
L’appartamento era troppo grande per una sola persona e il silenzio la innervosiva.
Ma tutto questo Katerina non l’avrebbe mai ammesso, tanto meno a Gabriele.
Quindi era piuttosto sicura che ci fosse sotto lo zampino di Aleksej, l’unico a sapere di quella sua piccola paura; Katerina gli era grata in realtà, ma non gliel’avrebbe mai detto.
<< Puoi almeno farmi cambiare posizione? >> Domandò accarezzandogli la fronte nel punto in cui il segno dell’anello stava lentamente sbiadendo lasciando solamente un puntino rosso d’irritazione sulla pelle. Gabriele si tirò a sedere in posizione indiana controvoglia.
Sulla faccia aveva l’espressione di un bambino contrariato.
Katerina gli sorrise, avanzò carponi verso di lui e prima di incastrarlo stendendosi lei sulle sue gambe, lo baciò a timbro di sfuggita, inebriandolo del suo profumo al cocco.
Gabriele la guardò con espressione indignata mentre lei si sistemava meglio sulle sue gambe.
<< Sono decisamente più comoda adesso >> Commentò la bionda con un sorriso soddisfatto sulle labbra, Gabriele scoppiò in una risata allibita e le pizzicò la fronte con il pollice e l’indice << Ahia, così mi fai male! >> Si lamentò lei strofinandosi il punto sensibile.
<< Fa male eh?! Ma tu guarda questa – Basta, me ne vado! >>.
Tuttavia, nonostante la minaccia, Gabriele non si mosse di un millimetro e cominciò ad accarezzarle il ciuffo dorato che le cadeva perpendicolarmente sull’occhio destro, Katerina chiuse gli occhi e si accoccolò meglio su di lui.
Gabriele profumava di menta fresca e dopobarba.
<< Cantami una ninnananna >> Mormorò con un filo di voce.
Gabriele trovò piuttosto stana quella richiesta, Katerina sapeva meglio di chiunque altro che era stonato, quando cantava la sua voce somigliava sospettosamente a quella di una foca strozzata. Qualche anno prima, durante una delle loro serate in famiglia, avevano messo il karaoke casalingo e si erano divertiti un mondo, fino a quando non era arrivato il turno di Gabriele e i vicini avevano bussato minacciando di chiamare la polizia se non facevano smettere quel terribile guaito agonizzante.
Erano state quelle le testuali parole.
<< Di un po’, vuoi dormire, oppure vuoi avere gli incubi per tutta la notte, eh? >>.
La rimproverò lui pizzicandola nuovamente sulla fronte, Katerina si lamentò come una bambina e scacciò malamente la sua mano con uno schiaffo.
<< Lo so che sei stonato! Ti ho detto di cantare proprio perché è l’unico modo per non addormentarmi idiota! >> Gabriele ridacchiò istericamente e fece il gesto di strozzarla, poi Katerina aprì gli occhi insospettita e lui nascose le braccia dietro la schiena, troppo tardi.
<< Canta! >> Ordinò lei dandogli uno schiaffo sulla spalla.
<< Va bene, va bene! Che rompiscatole che sei! >>.
Ma era più facile a dirsi che a farsi, Gabriele rimase in silenzio per alcuni minuti prima di trovare qualcosa da cantarle.
All’inizio aveva pensato a qualcosa di estremamente fastidioso e acuto, giusto per lasciarla un po’ stordita, poi gli era venuta in mente una canzone che aveva ascoltato alla radio proprio mentre guidava per andare da lei.
Gabriele non seppe spiegarsi perché proprio quella canzone, ma l’aveva trovata carina.
Le aveva fatto venire in mente proprio Katerina.
<< È tutta la vita che io sbaglio sempre … >> Cominciò a canticchiare una delle poche frasi che ricordava, forse con la melodia sbagliata << Spalle contro il muro e non imparo niente >> Quelle parole gliele sussurrò all’orecchio, facendola ridacchiare <<Fossero sbagliate solo le domande, so solo che tra miliardi di persone ora tu sei la mia casa e … >>
Gabriele non ricordava il resto della frase, così si interruppe.
E poi Katerina era più sveglia che mai e lo guardava con gli occhi luccicanti, come faceva ogni volta che lo amava un po’  più di quanto non facesse già.
Lo guardava in quel modo che Gabriele non sopportava, perché era estremamente convinto di non meritare tutto quell’amore, nonostante ciò che aveva detto a Sonia.
<< Gabriele, perché abbassi gli occhi? Abbassi sempre gli occhi quando ti guardo >>.
Quella domanda lo colse alla sprovvista, scrollò le spalle e sorrise nervosamente.
<< Non lo faccio apposta! Sarà un riflesso incondiz- >>.
<< Ti ho perdonato. Quindi devi guardarmi negli occhi sempre, ok? >>.
<< Ok … >>.
Katerina chiuse nuovamente gli occhi e appoggiò la mano destra sul suo petto, proprio all’altezza del cuore, Gabriele posò lo sguardo sul braccialetto che le aveva regalato, tornato finalmente al posto giusto. Non se n’era accorto, ma durante l’incidente doveva averlo graffiato, la “s” finale svirgolava sulla punta come se volesse arricciarsi.
<< Come si chiamava la canzone che cantavi prima? >>.
<< “Mai così felice” mi pare, l’ho sentita per caso in radio prima di venire, mi è rimasta impressa nella mente >> La risposta di Gabriele fu distratta.
In realtà stava cominciando a domandarsi se sarebbe mai riuscito a liberarsi dei sensi di colpa che stava provando in quel momento.
Erano irrazionali, arrivavano a tradimento,e non poteva ignorarli.
E così aveva imparato qualcosa di nuovo, dagli errori non si scappava mai.
Avevano sempre delle conseguenze, lasciavano sempre qualche cicatrice.
<< Sembra davvero bella. E dimmi, pensi davvero che io sia la tua casa? >>.
Gabriele strizzò gli occhi e tornò a concentrarsi sulla fidanzata, in dormiveglia.
<< Ovviamente si >> Katerina sorrise.
E a Gabriele venne in mente esattamente quello che avrebbe dovuto fare per lei.
Quell’illuminazione arrivò con la stessa naturalezza con cui aveva risposto alla domanda.
<< Katerina, ho deciso che domani parlerò con tuo padre di noi >>.
Gabriele non provò né paura né timore nel pronunciare quelle parole.
Ne aveva passate così tante con quella ragazza, per quella ragazza, che non gli faceva più paura nulla se non l’idea di stare male o di soffrire come aveva sofferto quando l’aveva lasciata andare per la sua strada.
Era stato un buon proposito il suo, ma pur sempre un proposito stupido.
Gabriele era sicuro fosse tutta colpa del caratteraccio che aveva ereditato da suo padre.
<< Ne sei proprio sicuro? >> Katerina gli porse quella domanda con i grandi occhi grigi e tempestosi attenti e fissi sul suo viso.
Come se volesse metterlo alla prova, in qualche modo.
<< Sicuro, sicuro. Voglio proprio sfidarli a tenerti lontana da me >>.
Commentò avvicinando il suo viso a quello di Katerina, le punte dei loro nasi si sfiorarono inevitabilmente, il respiro caldo di entrambi si infrangeva reciprocamente sul viso dell’altro.
Fu Katerina ad afferrarlo per la nuca e spingere le sue labbra contro quelle di Gabriele.
Caddero entrambi sul pavimento per la foga del gesto, poiché Gabriele era troppo pesante perché Katerina riuscisse anche solo a sostenerlo, tuttavia non se ne curarono.
Rimasero stesi sul pavimento freddo a baciarsi ad intervalli sconnessi per un tempo che sembrò infinito, l’orologio sembrava andare al contrario e il tempo, per una volta, essersi cristallizzato.
Gabriele non era preoccupato.
Non aveva paura.
Per una volta sola, per una volta, voleva essere solo un ragazzo di vent’anni.
A diventare grande poi, ci avrebbe pensato il giorno seguente.
 
Fulvia aveva sempre detestato il disordine che regnava sovrano nella stanza di Romeo.
Era sempre a causa di quel disordine che si faceva male.
La carrozzina era troppo grande per zigzagare tra i cumuli di vestiti sporchi che lasciava sparpagliati per terra, Fulvia aveva provato innumerevoli volte il desiderio di potersi alzare da quella carrozzina per raccogliere quel macello da terra.
Non potendolo fare tuttavia, era stata costretta a trovare una soluzione.
Ogni volta che entrava nella stanza di Romeo quando lui non c’era, si portava dietro un bastone da passeggio per raccogliere con il manico tutte le magliette, mutande e jeans sporchi del suo presunto fidanzato.
Quando anche quel pomeriggio ebbe finito l’operazione con immensa fatica, guardò con aria sconsolata in cesto dei panni sistemato sulle gambe inermi e pensò alla sua povera nonna, che avrebbe dovuto stirare una montagna di panni una volta lavati.
Fulvia si ripromise di sgridare Romeo non appena fosse uscito dal bagno.
Guardò con aria critica il poco spazio che aveva a disposizione per fare una retromarcia,  sospirò pesantemente e cominciando l’operazione andò a sbattere prima conto il letto poi contro la sedia della scrivania.
Le era già capitato prima, ma quella volta non aveva messo in conto la pila di libri e quaderni che dalla scrivania le rovinò pericolosamente addosso facendo cadere a terra la cesta con tutti i panni e procurandole una serie di lividi nuovi sulle cosce.
Fulvia aspettò che il piccolo terremoto cessasse, poi guardò con sgomento i panni che aveva appena raccolto con tanta fatica sparpagliati nuovamente sul pavimento e urlo per la rabbia.
Avrebbe scagliato i libri che aveva sulle gambe contro il muro se non fosse stato per il loro contenuto.
Guardò con aria accigliata il tomo che aveva tra le mani e fece per aprirlo, ma proprio in quel momento Romeo entrò nella stanza ancora con i capelli bagnati, la maglietta al rovescio e l’aria sconvolta.
<< Cosa c’è, cos’è successo?! >>.
Guardando Romeo in quelle condizioni, con il ciuffo decolorato sparato in alto a causa dell’umidità dei capelli, la maglia al rovescio con l’etichetta da fuori e l’espressione atterrita e stupita allo stesso tempo, Fulvia non sapeva se ridere oppure lanciargli un libro addosso.
Tutta la rabbia che le si stava accumulando dentro prima che Romeo arrivasse, sparì improvvisamente di fronte la vista del suo fidanzato; era una cosa che le capitava spesso quando si trattava di Romeo.
<< Dovevi per forza lasciare tutto questo casino nella tua stanza? Lo sai che faccio fatica a muovermi in mezzo a questa confusione >>.
Il tono di voce che aveva usato per pronunciare quelle parole era ben diverso da quello che avrebbe voluto usare al principio, la sua era rassegnazione mista ad affetto.
Romeo si grattò con fare imbarazzato la nuca umida e si affrettò a raccogliere da terra tutti i panni sporchi, riponendoli in maniera confusa nella cesta.
Osservandolo in silenzio mentre compiva quell’operazione con aria mortificata, Fulvia si ritrovò a pensare ancora una volta di essere stata un po’ egoista, non riusciva proprio a non farlo. Romeo non era un principe azzurro, era magro, mingherlino, a tratti effeminato, si comportava in modo ambiguo e aveva un carattere indecifrabile.
Fulvia si era sempre chiesta come avessero fatto Catena e Italia a farlo aprire in modo così naturale, ad accettarlo con tutti quei difetti che si portava dietro; ma poi si era resa conto che alla fine erano proprio tutte quelle cose che lei amava di lui.
Quindi si, avrebbe fatto l’egoista per molto tempo se fosse stato necessario.
Se avesse significato averlo accanto ancora per un po’.
<< Ti sei fatta male? Ti usciranno di nuovo dei lividi sulle gambe, vero? >>.
Domandò Romeo tirandosi in piedi, era carino con quei capelli sparati ovunque e la cesta dei panni sporchi sotto il braccio, ma era talmente magro che sembrava scomparire dietro la pila. Eppure Fulvia sapeva che le sue braccia erano molto più robuste di quanto sembrasse.
<< Beh, in tal caso mi metterai tu la crema come l’altra volta >>.
Fulvia ridacchiò quando lo vide arrossire fino alla punta delle orecchie.
Le piaceva provocarlo in quel modo, perché Romeo aveva un’anima molto più candida di quanto sembrasse.
Era capitato quasi per caso, non sarebbe dovuta toccare a Romeo fare una cosa del genere.
Solitamente erano la nonna o sua madre ad aiutarla a cambiarsi, era un’operazione difficile e faticosa, ma per una serie di motivi imprevisti quel giorno erano rimasti solo loro due.
A Fulvia non aveva dato fastidio che Romeo la vedesse in mutande e in reggiseno.
Non le importava.
Le aveva fatto più male che lui avesse visto le sue gambe.
Se ne vergognava, pur sapendo fosse una cosa sbagliata.
Romeo si era preso cura di lei senza dire una parola, le aveva medicato i lividi e i graffi che si procurava di continuo per la sua avventatezza, l’aveva vestita e si era fatto male al polso per caricarla sulla carrozzina.
Non erano mai stati intimi come in quel momento.
Eppure nulla le era mai sembrato più naturale.
Prendendosi cura di lei in quel modo, Romeo l’aveva fatta sentire bella e normale.
<< Si, ho preso questa decisione proprio grazie a quella volta >>.
Fulvia aggrottò le sopracciglia e guardò Romeo con aria interrogativa, le sue parole non trovarono un senso fin quando non si rese conto che il ragazzo stava osservando attentamente il libro che lei ancora stringeva tra le mani.
Averlo lì davanti a lei le aveva fatto dimenticare il reale motivo per cui voleva arrabbiarsi.
Osservò ancora una volta il tomo e sospirò.
<< Hai deciso di fare infermieristica per quello che è successo? >>.
Romeo scosse la testa e sistemò meglio il cesto sotto il braccio, imbarazzato.
<< Non proprio, io – io avevo già in mente qualcosa del genere. Ho solo trovato la giusta motivazione per prendere definitivamente la mia decisione >>.
Fulvia si allungò verso la scrivania con difficoltà e appoggiò in maniera precaria il libro sul ripiano di legno in disordine.
<< E quando pensavi di dirmelo? >> Romeo arrossì di vergogna.
<< Ascoltami, io- >>.
<< Ok, lo so che non me l’hai detto perché ho un pessimo carattere. Ma va bene, Romeo. Va bene. Voglio solo che tu mi dica una cosa, non lo fai per causa mia vero? Non lo fai perché ti faccio pena e senti il bisogno di farmi da balia per tutta la vita giusto?! >>.
Fulvia aveva visto Romeo arrabbiarsi poche volte nel corso degli anni che avevano trascorso insieme, assumeva un’espressione pericolosa, con gli occhi che luccicavano per la collera.
<< E quando mai mi avresti fatto pena tu eh?! Sentiamo >> Sbottò alzando la voce.
Fulvia non si lasciò intimorire, sapeva che le sue parole avrebbero scatenato quella reazione.
Non l’aveva fatto perché voleva sentirsi dire cose che già sapeva.
L’aveva fatto perché quella volta toccava a lei dire tutto quello che provava.
<< Io ho intenzione di fare molte cose per te in futuro. Quindi vedi di non pensare nemmeno una volta di fare qualcosa del genere per me, chiaro? >>.
<< Fulvia! Ti sto dicendo che- >>.
<< Ho intenzione di andare a vivere con te in una casa troppo piccola, di fare fatica ad arrivare alla fine del mese. Ho intenzione di litigare moltissimo e poi fare la pace, di cucinarti qualcosa di caldo quando torni a casa stanco o di stringerti forte quando hai la febbre e chiami tua madre nel sonno. Ho intenzione di farmi mettere un anello al dito prima o poi e di stirarti io le camice. E si, ho intenzione anche di darti un figlio prima o poi. Ti è chiaro?! Ho intenzione di fare tutte queste cose con le mie mani, sulle mie gambe! So che non sarà facile ma lo farò lo stesso. Quindi pensaci bene Romeo, perché non ho nessuna intenzione di farmi fare da balia dal futuro padre dei miei figli! >>.
Fulvia aveva parlato così tanto, così velocemente e con il cuore completamente esposto tra le mani che Romeo non riuscì a reagire per ben due minuti.
Avrebbe potuto dire di tutto per ferirla, si era talmente esposta che sarebbe bastato poco per farle del male irreparabilmente, indelebilmente, ma l’unica cosa che riuscì a fare fu gettare a terra con violenza il cesto dei panni.
<< Fulvia tu! Tu davvero->> Sbottò appoggiando entrambe le mano sui braccioli della carrozzella per poterla guardare negli occhi, ma non riuscì a terminare la frase che Fulvia gli strinse le braccia attorno al collo e si tirò in piedi appoggiandosi completamente a lui.
Romeo dovette attingere a tutta la sua resistenza fisica per non cadere.
<< Hai visto? Sono in piedi sulle mie gambe. Sei tu le mie gambe, perciò – Ahi! >>.
Romeo non la fece nemmeno finire di parlare che le diede una piccola testata sulla fronte.
<< Ohi, basta! Ho capito che mi ami tantissimo e sono fantastico >>.
<< Ma tu guarda sto - >>
<< Lo faccio perché mi piace Fulvia. È davvero una cosa che mi piace! Tu non hai bisogno di nessuna balia, mi sembra di averti ripetuto non so quante volte che tu per me sei una persona assolutamente norm- >>.
Fulvia lo baciò senza preavviso, a metà parola, barcollarono rischiando di cadere, ma le loro labbra non si separarono finché entrambi non rimasero senza fiato.
<< Quindi vuoi un anello al dito eh? >> La prese in giro lui ridacchiando.
<< Si, con un bel diamante al centro! >>.
<< Ehi, adesso non esagerare! >>.
<< E deve essere d’argento finissimo e - >>.
<< Basta, ti lascio! Mi manderai in banca rotta >>.
<< Vedi prima di diventare ricco >>.
<< Fulvia! >>.
 
A Fiorenza facevano davvero male i piedi, ma non sapeva proprio come dirlo a Telemaco.
Stava finendo di scrivere la tesina quando lui l’aveva chiamata, non avevano in programma di vedersi né di uscire quella sera, ma Telemaco aveva insistito così tanto che alla fine Fiorenza era stata costretta a cedere.
Era capitato solo raramente che lui facesse qualcosa del genere.
Erano state davvero poche le volte che aveva preso lui l’iniziativa, non era mai stato il tipo.
In realtà Fiorenza era spaventata, perché ogni volta che Telemaco l’aveva chiamata in quel modo, era stato per dirle qualcosa che l’avrebbe ferita, qualcosa che le avrebbe fatto male.
Come quella volta che l’aveva lasciata.
Non voglio più vedere la tua faccia, mi fai schifo! Sei una puttana.
Come quella volta che le aveva detto addio per sempre.
Consideralo come un … regalo d’addio, come una conclusione positiva, vedi un po’ tu.
Tuttavia, aveva lo stesso infilato un paio di jeans puliti, pettinato i capelli corti e asimmetrici, indossato un po’ di lucidalabbra, messo la matita, il rimmel, ed era scesa.
Telemaco aveva tagliato i capelli pochi giorni prima, i riccioli dorati che un tempo gli cadevano sugli occhi avevano lasciato spazio ad un taglio corto e militaresco, in quel modo gli occhi verdi screziati di pagliuzze color nocciola erano ben visibili.
Sotto il sole la testa gli scintillava come una moneta d’oro.
<< Si può sapere dove stiamo andando? >>.
Non ce la fece più a trattenersi, i piedi le facevano davvero male, camminare con i sandali per tutta la città non era il modo migliore per evitare delle belle bolle ovunque.
Telemaco rallentò il passo e si girò a guardarla, nonostante si fossero tenuti per mano durante tutto il tragitto lei era sempre stata un passo indietro.
<< Ti stai stancando, vero? >> Le domandò il ragazzo osservando con aria critica i suoi piedi arrossati e la fronte imperlata di sudore << Siamo arrivati comunque >>.
<< Cosa? >> Fiorenza lo guardò con aria perplessa, si erano fermati a metà del ponte che divideva la città vecchia da quella nuova.
L’asfalto era arroventato a causa del caldo eccessivo, il fiume rumoreggiava selvaggiamente scorrendo senza tregua, limpido e possente, i lampioni erano accesi ma c’era ancora la luce calda del sole a rischiarare tutto.
<< Qui sul ponte? Mi hai fatto venire fin qui per il ponte? >>.
<< Esatto! >> Commentò Telemaco con fare allegro, in effetti quel giorno sembrava proprio spensierato, come Fiorenza non lo vedeva da troppo tempo << Il fiume ti piace vero? >> Domandò appoggiando le braccia sulla ringhiera di ferro. Sembrava rilassato.
<< Per nulla! Da piccola ci sono caduta dentro >> Replicò lei.
Telemaco ridacchiò e si girò a guardarla, aveva la barba un po’ sfatta e un brutto brufolo sulla tempia destra, eppure Fiorenza lo trovava ingiustamente bello.
<< Me lo ricordo, me lo raccontasti il giorno della vigilia di Natale vero? >>.
Fiorenza sussultò quando sentì quelle parole, non credeva che Telemaco lo ricordasse.
Quello era stato uno dei giorni più brutti della sua vita.
E lui era stato così cattivo.
<< Una volta sono andato anche io a pattinare sul fiume. Quel giorno avrei voluto dirtelo, ma poi alla fine non l’ho fatto >>.
Fiorenza sospirò pesantemente e sorrise con tristezza.
<< Che cos’hai oggi Telemaco, sembri strano >>.
Telemaco si girò completamente a guardarla e rimase come imbambolato.
Avrebbe voluto stringerla, avrebbe voluto prenderla tra le braccia e tenerla stretta forte a se, ringraziarla per non essersi arresa con lui, per avergli dato una seconda possibilità anche se non la meritava. Avrebbe voluto mettersi in ginocchio e chiedere perdono.
Ma non l’avrebbe fatto dopotutto.
Non serviva farlo più dopo tutto quello che avevano passato.
Lui ne aveva combinate troppe per ammettere che si era sbagliato.
<< Nulla, solo che … solo che non posso fare a meno di ripensare a quel giorno >> Commentò passandosi una mano tra i capelli corti.
<< Beh, non dovresti farlo. Ti farà solo stare male >>.
<< Quindi stai dicendo che io ti ho fatto solo stare male vero? >>.
Fiorenza rimase sorpresa da quella domanda, Telemaco era davvero strano quel giorno.
Non l’aveva mai visto così attivo, felice, pieno di vita … beh, o almeno non lo vedeva così sereno insieme a lei da prima che si lasciassero e succedesse il finimondo.
<< Beh, non posso dire che tu mi abbia sempre reso felice ma - >>
<< È ok, lo capisco. È vero! >> La interruppe subito Telemaco << È per questo che ti ho portata qui in realtà >>.
Fiorenza gli prestò piena attenzione, si girò verso di lui e gli prese una mano.
<< Cosa intendi dire? >> Telemaco tossicchiò un po’ in imbarazzo e fece spallucce.
<< Il giorno della vigilia ti dissi che era completamente finita tra noi. Ma mi sbagliavo, come sempre. Come su tutto. Oggi ti ho portata qui per dirti che … che in realtà qui è dove tutto ricomincia >>.
Le posò le mani sulle spalle e la attirò leggermente verso di se.
Fiorenza glielo lasciò fare, le mani di Telemaco erano calde sulla sua pelle sudata, ma non le importava, non erano mai stati vicini come in quel momento.
Non si erano mai voluti bene come in quell’istante.
<< Ho deciso di regalarti molti momenti felici in futuro. Perciò, tu fidati di me, ok? >>.
Fiorenza sapeva di avere mille motivi per dire di no, per scansarlo bruscamente ed urlargli contro, aveva ricordi ancora così dolorosi di quello che era successo.
Aveva sofferto così tanto che ogni tanto si domandava se il suo cuore non fosse pieno di cicatrici ancora non rimarginate del tutto.
Tuttavia si limitò a sorridere ed annuire, perché gli era bastato guardarlo negli occhi per capire cosa stesse passando nella testa del suo fidanzato, quel messaggio implicito.
Puoi perdonarmi? Puoi perdonare questo stronzo?
<< Si, si, posso provarci >>.
 
Time will tell us whether what we have 
 we’ll survive, but tonight 
I hold on to the mystery and save our 
50 shades of colour

 
Lodovica Comello – 50 shades of colours
 
_____________________________________
Effe_95

 
Buonasera a tutti!
Lo so che questa volta sono stata davvero imperdonabile, quasi due mesi di assenza è troppo. Ma davvero non credevo che gli esami del terzo anno fossero così complicati ^^”.
Ho dato tre esami in poco tempo e non ne ho avuto per scrivere di conseguenza.
Comunque il periodo critico dovrebbe essere passato quindi sarò molto più veloce prometto.
Allora, spero che il capitolo vi sia piaciuto.
Come potete aver notato ci stiamo lentamente avviando verso la fine.
Personalmente non so ancora quanti capitoli manchino alla fine, ma io non ne conto più di una quindicina. Si arriverà al massimo sulla settantina credo.
Per Gabriele e Katerina si avvicina il momento della verità, finalmente.
Ah, prima che mi dimentichi (e sarebbe terribile se lo facessi! ) la canzone che canticchia si chiama, appunto, “Mai così felice” ed è di Federica Carta, molto bella secondo me u_u
Per quanto riguarda invece Romeo, Fulvia, Telemaco e Fiorenza, mi duole dirvi che in un certo senso questo è il loro finale.
Ora, vorrei spiegarmi meglio, non significa che escono di scena e non si vedono più xD
Ci sono ancora gli esami, e saranno capitoli divertenti ed esilaranti ve lo prometto ;)
Per finale intendo che li ho lanciati verso il futuro, verso un qualcosa di concreto o meno.
Verso una nuova partenza.
Spero che la cosa non vi dispiaccia troppo o vi sembri frettolosa.
Io vorrei sempre accontentare tutti e far si che le cose siano perfette, ma mi rendo conto che non sempre sia possibile purtroppo.
Adesso vi lascio che sono stata anche troppo lunga, perdonatemi -_-“
Alla prossima il prima possibile, giuro >_<
Grazie mille come sempre, appena avrò tempo risponderò a tutte le vostre recensioni :)

 
  
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