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Autore: Mearmind    16/06/2017    4 recensioni
One Shot scritta per il "CARYL FANFICTION FEST - SECONDA EDIZIONE" della pagina Facebook CARYL ITALIA.
Prompt: Lacrime di sfogo
Dal testo:
"Ma ora che lo guardava di spalle, senza reagire a quello che lei gli aveva detto, senza inseguirla o costringerla a parlare, aspettando semplicemente che fosse lei a tornare da lui, lui che non si fidava mai di nessuno, si rese conto che era molto più di un semplice uomo. Era il suo amico, il suo compagno, la sua certezza, la sua forza, il suo coraggio. La sua speranza."
Genere: Malinconico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Carol Peletier, Daryl Dixon
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutti! Premetto che avevo già scritto due fanfiction sul tema lacrime (si, lo so, amo molto quando piangono XD) quindi ho cercato di vederla da una parte che non avevo ancora esplorato. La storia è ambientata durante la quinta stagione, quando Daryl e Carol sono da soli ad Atlanta per andare a salvare beth. la scena si svolge quando loro due hanno già fatto tutto, e quindi hanno giàò dormito insieme la prima sera, sono già precipitati dal ponte e hanno già fatto quel dialogo meraviglioso in cui si confrontano su come erano e come sono adesso. Io ho voluto fare in modo che passassero un'latra notte insieme, quindi una specie di allungamento del loro episodio diciamo. Inoltre per semplificarmi le cose ho aggiunto o eliminato qualche particolare, ma assolutamente niente di significativo. Tutto alla fin fine è come era nel telefilm. Bè, che dire, spero davvero vi piaccia anche se rileggendola pensavo meglio, ma alla fine lo dico di tutte le mie storie...non sono mai soddisfatta! spero però che almeno un pò vi piaccia e spero vorrete lasciarmi un vostro commento anche piccolo. Grazie mille e buona lettura!



Carol e Daryl erano davvero stanchi. Esausti. Era la seconda notte che passavano da soli, lontano dagli altri. Da quando, due sere prima, Daryl aveva scorto nella macchina che sfrecciava davanti a loro una croce bianca sul lunotto posteriore, non si erano mai fermati. Il loro obiettivo era ritrovare Beth, e le loro ricerche li avevano portati su un grattacielo pieno di uffici, in osservazione. Erano arrivati alla conclusione che chi aveva preso Beth doveva essere in qualche modo collegato con il Grady Memorial Hospital di Atlanta, e così avevano scelto l'edificio più alto e più vicino al grande stabile grigio che si stagliava in quel cielo nuvoloso e avevano aspettato. Ormai erano ore che si turnavano cercando di scorgere qualche movimento in strada o sui tetti, e ancora non erano arrivati a nessuna conclusione. Carol, stanca, affamata e dolorante per via di quella brutta caduta, non ne poteva davvero più. Con un sospiro stanco si mise una mano su un fianco e si chinò, come per ritrovare un po' di respiro. La ferita alla spalla destra le doleva sempre di più con il passare delle ore e restare in piedi davanti alla finestra con il binocolo puntato sempre nella stessa direzione di certo non aiutava. Con il calar del sole, poi, la sua vista perdeva sempre di più l'obiettivo principale. Stava per voltarsi verso Daryl, chiedendogli se potevano fare a cambio anticipatamente, quando sentì una mano sfiorarle la spalla sinistra, mentre un'altra le toglieva delicatamente il binocolo dalle mani.
“Stai bene, Carol?”
Carol alle volte si stupiva di come Daryl sapesse muoversi come un gatto. Silenzioso e guardingo, era sempre attento a quello che lo circondava. Esattamente come un gatto.
Nell'accorgersi di lui, Carol gli rivolse un leggero sorriso, ringraziandolo tacitamente del sollievo ottenuto privandola del peso di quel grande aggeggio.
“Tutto bene, Daryl. Sono solo un po' stanca. Ti dispiace prendere il mio posto per un po'?” gli chiese rimettendosi dritta e passandosi una mano dietro al collo.
“Credo che ormai non ce ne sia più bisogno. Ormai sta calando il sole e non riusciremmo più a scorgere nulla. Credo che sia meglio riposarci tutti e due.”
Carol emise un silenzioso sospiro di sollievo. Era davvero esausta, non vedeva l'ora di potersi sedere e mangiare quel poco che era rimasto loro. Era sicura che non appena avesse messo qualcosa sotto i denti quella spossatezza che la accompagnava dalla sera prima se ne sarebbe andata. Daryl le fece cenno di entrare in un ufficio poco distante da dove di erano posizionati per fare da vedette.
Nel varcare la soglia, Carol si rese conto del motivo. Era perfetto per passare la notte al sicuro.
Più che un ufficio effettivamente sembrava un grande stanzino. Proprio di fronte alla porta c'era una finestra, ma molto più piccola rispetto ai finestroni che c'erano negli uffici principali, e al di là di un divano a due posti e una piccola scrivania ancora in perfetto ordine, se non per un sottile velo di polvere su tutta la cancelleria disposta in ordine quasi maniacale, non c'era nient'altro. Era perfetto per rinchiudersi dentro e passare la notte, senza essere visti da nessuno e senza altre entrate o spazi troppo aperti. Dopo essere entrati entrambi nella stanza, Daryl si avvicinò alla finestra e la aprì un poco per far passare un filo di aria, lasciando poi la porta socchiusa. Si tolse poi lo zaino, lo appoggiò sul divano e con un gesto rapido tirò fuori un sacchetto di carta marrone, appoggiandolo sulle gambe di Carol. Lei per tutta risposta lo guardò interrogativamente.
“Mentre facevi da vedetta ho fatto un giro per i vari uffici e ho trovato una specie di mensa. C'era ancora qualcosa di buono.” e le fece cenno con la testa di dare un'occhiata all'interno.
Carol per tutta risposta si mise a scartare quel sacchetto, scoprendolo pieno di cose. C'erano due scatole di zuppa di fagioli, dei cracker, una confezione di biscotti e del budino al cioccolato ancora integro. Carol strabuzzò gli occhi per lo stupore.
“Troppo gentile nel preparare la cena...hai comprato persino il dessert, come in un vero appuntamento” scherzò lei, ricevendo in cambio un buffetto su una spalla e uno sbuffo divertito. Lei rise a sua volta e cominciò a preparare la loro cena, liberando la scrivania e pulendola con uno straccio trovato precedentemente in un'altra stanza. Infine prese una candela trovata dentro un cassetto della scrivania e, messa dentro un piccolo vaso liberatolo dei fiori ormai appassiti, la mise tra di loro e accese lo stoppino. Un leggero riverbero arancione illuminò la piccola stanza, creando delle piccole ombre nelle immediate vicinanze. La candela era perfetta: non sprecavano batterie delle torce, e la sua luce era talmente tenue che nessuno, né vivo né morto, avrebbe mai potuto vederla da una distanza superiore ai 10 metri.
Daryl, nel frattempo, era rimasto seduto a guardarla, le mani che sostenevano la sua testa. Attraverso i ciuffi ribelli che ormai irrimediabilmente gli ricadevano davanti agli occhi, vide Carol liberare con pazienza la scrivania, spolverarla (come se fosse una cosa di vitale importanza, sporchi com'erano), e preparare quella che poteva quasi sembrare una cena. Infine la vide aprire un cassetto e tirare fuori da esso una candela, accenderla e metterla in mezzo al loro tavolo. La flebile luce che si venne a creare sembrò rendere ancora più intenso il suo sguardo.
“Ecco, ora abbiamo una perfetta cena a lume di candela” continuò lei, riversandogli uno sguardo malizioso e allargando le braccia come a presentare la sua grande opera.
Per un attimo Daryl la fissò senza proferire parola, e Carol potè sentire la muta domanda di Daryl venire pronunciata dalle sue iridi blu, rese ancora più azzurre da quella leggera penombra. Ma nel momento esatto in cui lei stava per distogliere lo sguardo e eliminare il suo sorriso, venne invece accompagnato da quello di Daryl, lieve come al solito, ma per quello così speciale.
“Smettila” disse, e con fare stanco si alzò e con un movimento fluido prese il divano e senza far rumore lo alzò e lo avvicinò alla scrivania dalla parte opposta alla sedia. “Forza, mangiamo.” continuò, e prese una confezione di cracker dal tavolo, cominciando a mangiarli avidamente.
Con un gesto veloce Carol si passò una mano tra i capelli, nascondendo così le lacrime che per un attimo avevano minacciato di uscire, e si mise a sedere davanti a lui.
Mangiarono in silenzio per qualche minuto, beandosi di quella inaspettata cena così sostanziosa. Finirono i cracker e le zuppe di fagioli, arrivando ben presto al budino con i biscotti.
“Pensavo” iniziò Carol tentando di aprire la confezione di biscotti “che domani potremmo avvicinarci di più all'ospedale e vedere se magari esistono delle entrate secondarie. Da lì possiamo salire e valutare la situazione senza farci vedere. Cosa ne dici Daryl? Perchè restare qua ancora non credo...dannazione, perché questa dannata plastica non vuole rompersi?!” e con fare rabbioso diede un forte strattone alla confezione di plastica che avvolgeva i biscotti, ormai tutta stropicciata ma ancora restia al volersi rompere. La mano di Daryl la fermò dallo scagliare la confezione contro il muro e, sfiorando delicatamente le sue dita, gliela tolse dalle mani.
“Lascia a me, faccio io” le disse, guardandola attraverso i suoi ciuffi ribelli. Carol mollò la presa, abbandonando le mani sul tavolo, cercando di non dare a vedere il loro leggero fremito.
“...grazie...bè ti dicevo, restare qui ancora non avrebbe molto senso e quindi...” ma il suo ragionamento questa volta venne interrotto da Daryl, che in un attimo aveva aperto la confezione di biscotti, e dopo averne messo uno in bocca, ora erano sparsi sul tavolo.
“Tu lo sai che puoi dirmi tutto vero?”
La sua domanda era quasi un sussurro, ma a Carol era risuonata come mille campanelli dentro la testa.
La sua bocca rimase semi aperta, bloccata in un discorso che non avrebbe mai avuto una fine. Quando Daryl alzò finalmente lo sguardo, piantando i suoi occhi in quelli della donna, Carol non riuscì a non distogliere lo sguardo, fissando lei stessa adesso un pezzo di colore del tavolo che col tempo era venuto via.
“Mi...passerà, Daryl. Non preoccuparti.” e per cercare di convincerlo prese un biscotto e se lo portò alla bocca. Il suo sapore dolce le fece quasi venire il voltastomaco, ma cercò di far finta di niente e mandò giù, guardando in quel momento nuovamente Daryl e abbozzando un sorriso.
Ma Daryl per tutta risposta continuò a fissarla intensamente, cosa che le fece chiudere definitamente lo stomaco.
La donna allora si alzò dalla sedia e si diresse con fare seccato verso la porta, desiderosa di mettere più metri fra loro due.
“Ora sono io che devo chiederti di smetterla Daryl. Ti ripeto che sto bene. Ora lasciami in pace.” e detto questo spalancò la porta e si diresse verso il dispenser di acqua per rifornire la sua bottiglia.
Quando però fece per tornare indietro, vide che Daryl era rimasto seduto nella stessa posizione in cui lo aveva lasciato pochi istanti prima. Non si era arrabbiato, non l'aveva mandata al diavolo, non aveva urlato né aveva imprecato. Non si era nemmeno girato. Era rimasto immobile nella stessa identica posizione, con le mani conserte davanti a lui e la schiena leggermente inclinata verso il tavolo. Guardarlo così di spalle le fece salire le lacrime agli occhi, lacrime che questa volta non riuscì a impedire di uscire fuori.
Era davvero cambiato. Solo qualche ora prima gli aveva detto che non era più la stessa persona che era una volta...che una volta era come un bambino, ma ora invece era un uomo. Ma ora che lo guardava di spalle, senza reagire a quello che lei gli aveva detto, senza inseguirla o costringerla a parlare, aspettando semplicemente che fosse lei a tornare da lui, lui che non si fidava mai di nessuno, si rese conto che era molto più di un semplice uomo. Era il suo amico, il suo compagno, la sua certezza, la sua forza, il suo coraggio. La sua speranza. Lei, che aveva sempre e solo ricevuto ordini dagli uomini, che veniva picchiata perché era troppo debole per ribellarsi, che nel momento in cui era diventata forte dopo poco si era anche persa, forse troppo fiera e dura ora, veniva comunque accettata da una persona che all'inizio mai si sarebbe aspettata di poter amare. E di essere ricambiata. Lui la accettava così com'era, niente di più e niente di meno. E questo bastò per farla vacillare. Con fatica raggiunse la parete esterna dello studio a fianco della porta e lentamente si accasciò al suolo, le spalle al muro. Quando parlò non riuscì a nascondere un lieve tremore nella sua voce.
“Scusami, Daryl. Non avevo intenzione di...” ma la voce le si spezzò. Con la mano destra si asciugò una lacrima che traditrice scivolava giù lungo la sua guancia, e dopo essersela asciugata sulla manica della giacca, riprese a parlare.
“Qualche volta ho paura di restare da sola con te, Daryl. Mi sono sempre considerata una grande attrice, per anni sono riuscita a nascondere tutto quello che provavo, nessuno si accorgeva di nulla. Ero convinta di essere così al riparo da tutto. Ma con te...con te le mie tattiche non funzionano, e questo certe volte mi spiazza. Tu...mi vedi. Mi hai sempre visto. E questo alle volte mi terrorizza”
“La stessa cosa vale per me”
Carol ebbe un sussulto. Un gatto, era veramente un gatto.
Mentre lei parlava, lui si era alzato dalla posizione in cui era e si era seduto accanto a lei, ma dalla parte opposta alla sua. Schiena contro schiena, con solo un muro di una decina di centimetri a dividerli. Nessuno dei due vedeva l'altro, ma allo stesso tempo erano così vicini che quasi potevano sentire il respiro l'uno dell'altro.
Sentirlo così vicino le provocò un brivido, e un nodo inspiegabile alla gola, ma fece finta di niente e continuò.
“Ma tu...tu sei diverso. Lo vedo. Sai qual è la decisione da prendere, la cosa giusta da fare...lo sai sempre. Io invece...non so più nemmeno il perché sono ancora qui. Mi trascino in questa vita, quando la maggior parte di noi ormai non c'è più. E certe volte...certe volte ho paura quasi di desiderarlo. Desidero essere da sola, perché l'alternativa è troppo...troppo per me.” e un'altra lacrima scese sulla sua guancia.
“Quale alternativa, Carol?” La voce di Daryl si era fatta più bassa, più profonda.
Prima di parlare, Carol si sistemò meglio contro il muro, aiutandosi con le braccia e lasciando poi le mani premute contro il pavimento freddo.
“...di perdervi tutti. Di perdere te. Io...non posso...semplicemente non posso...non ce la faccio” e detto questo si zittì, soffocando i singhiozzi. Ma fu quando sentì la sua mano destra scaldarsi di colpo che i suoi singhiozzi divennero sempre più difficili da controllare. Daryl aveva allungato il suo braccio e le stava tenendo la mano. La sua mano sinistra si era appoggiata interamente sulla sua, ricoprendola completamente, le dita di lui intrecciate senza alcun ordine a quelle di lei, il pollice che stringeva leggermente di più la presa.
Una presa salda, senza dubbi. Un'ancora a cui aggrapparsi.
Carol si ritrovò a stringere il mignolo di Daryl con il suo pollice, afferrandolo delicatamente, quasi  a volerlo proteggere.
Pazzesco come la sola stretta di alcune dita potesse sconvolgerli tutti e due così profondamente. Carol sentì la mano di Daryl tremare leggermente e il suo respiro farsi leggermente più veloce...qualcosa di impercettibile a chiunque, ma non a lei. Non con lui. Quello che lei provava in quel momento, era certa che lo provasse anche lui.
E quando lui cominciò a parlare, anche la mano di lei prese a tremare.
“Tu dici che io so sempre quello che devo fare, che non ho mai dubbi, ma...quello che io sono, Carol...è grazie a te se lo sono. È grazie a te se io sono ancora qui. Io non ero nessuno. Ma tu non hai mai mollato con me...nemmeno quando me lo sarei meritato.”
Daryl si fermò per prendere nuovamente fiato.
“Tu dici che io ti vedo? Questo è vero solo perché...perchè io ti guardo...io ti guardo sempre. Hai detto che io all'inizio ero come un ragazzino e ora sono un uomo...ma tu, tu ai miei occhi sei sempre la stessa. Io ti guardo, e vedo quello che sei, che realmente sei. E nulla mi potrà mai far cambiare idea su di te...nulla. E sono sicuro che lei la penserebbe come me. Sophia sarebbe molto fiera di te.”
E a quel punto tutta la paura, tutta la disperazione, l'abbandono, il senso di colpa, Daryl li spazzò via in un attimo.
Come faceva Daryl a conoscerla così bene? Come faceva a sapere così bene quello che lei provava?
I singhiozzi ormai erano incontrollabili, le lacrime impossibili da asciugare, quindi Carol le fece scendere senza più alcun controllo.
Tutto il senso di colpa per aver lasciato Sophia, per non averla trovata, per averla data per morta, per non averla salvata, prima e dopo Ed...tutto le si riversò addosso come un fiume in piena. La verità era che non voleva mai più provare un dolore così grande per qualcuno.
Non voleva essere la causa della sua morte, non voleva essere un'incapace nel proteggere le persone che amava..non voleva fallire di nuovo. Non come con Sophia, con Micah, con Lizzie. Mai più.
Ma ormai si rese conto di non poterci fare più nulla. Amava già con tutte le sue forze tutta la sua nuova famiglia.
Amava già con tutte le sue forze Daryl.
Quella ormai era una verità imprescindibile. E a quella consapevolezza Carol strinse più forte la mano di Daryl e prese a piangere ancora più forte, la testa appoggiata contro il muro.
Con ancora le mani intrecciate, Daryl rimase in silenzio a lungo, ascoltando solo il suo respiro che faticava a prendere fiato. Dopo alcuni minuti, decise di spostarsi verso il centro della porta, attento a non separare mai le loro mani intrecciate. Una volta che le sue spalle toccarono lo stipite, le gambe piegate davanti a lui e il braccio destro appoggiato sulle ginocchia, immediatamente sentì alcuni capelli solleticargli il collo e un  tenue calore sulla spalla sinistra. Restarono così per un altro po', senza parlare, ascoltando l'uno i respiri sempre più regolari dell'altro, con la fiammella della candela che ormai stava per spegnersi. Quando Carol riprese a parlare, Daryl spostò impercettibilmente il suo viso verso di lei, segno che la stava ascoltando.
“I biscotti che hai trovato erano i biscotti preferiti di Sophia. Adorava le cose estremamente dolci. Ogni mattina, dopo aver preparato la colazione a Ed, io e lei rimanevamo da sole e allora ci facevamo la nostra bella colazione con cereali, frutta, latte, succo d'arancia, e tanta biscotti. Era l'unico momento in cui potevamo stare da sole senza Ed, tranquille, e quindi lo consideravamo il nostro momento speciale. Ci prendevamo tutti i nostri tempi e chiacchieravamo di quello che avremmo fatto durante la giornata.”
Carol fece un respiro profondo, appoggiandosi un po' di più con la testa sulla spalla di Daryl.
“Sono contenta che tu li abbia trovati. Sono veramente buoni, non trovi?”
Daryl appoggiò a sua volta la guancia sulla testa di Carol.
“Quella bambina sapeva il fatto suo” rispose con un leggero sorriso nella voce.
Carol non potè fare a meno di ridacchiare.
“Lo puoi dire forte” e Daryl si unì alla sua risata.
Era un altro giorno.

 

  
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