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Autore: Elison95    17/06/2017    1 recensioni
‘ 𝓅𝑒𝓇 𝓅𝓊𝓃𝒾𝓇𝑒 𝑔𝓁𝒾 𝓊𝑜𝓂𝒾𝓃𝒾 𝒹𝑒𝒾 𝓁𝑜𝓇𝑜 𝓅𝑒𝒸𝒸𝒶𝓉𝒾 𝒾𝓃𝒻𝒾𝓃𝒾𝓉𝒾
𝒹𝒾𝑜 𝓂𝒾 𝒽𝒶 𝒹𝒶𝓉𝑜 𝓆𝓊𝑒𝓈𝓉𝒶 𝓅𝑒𝓁𝓁𝑒 𝒸𝒽𝒾𝒶𝓇𝒶,
𝓆𝓊𝑒𝓈𝓉𝒾 𝓁𝓊𝓃𝑔𝒽𝒾 𝒸𝒶𝓅𝑒𝓁𝓁𝒾 𝓇𝒶𝓇𝒾
𝒸𝒽𝑒 𝑒𝓈𝓈𝑒𝓇𝑒 𝓊𝓂𝒶𝓃𝑜 𝓅𝑜𝓉𝓇𝑒𝒷𝒷𝑒 𝓅𝓊𝓃𝒾𝓇𝓂𝒾?
𝓂𝑒𝓏𝓏𝑜 𝓋𝑒𝓈𝓉𝒾𝓉𝒶 𝒹𝒾 𝓆𝓊𝑒𝓈𝓉𝒾 𝒸𝒶𝓅𝑒𝓁𝓁𝒾
𝒹𝒶𝓁 𝒸𝑜𝓁𝑜𝓇𝑒 𝓇𝑜𝓈𝓈𝑜 𝓅𝒶𝓁𝓁𝒾𝒹𝑜,
𝒹𝒶𝓁 𝓉𝑒𝓉𝓉𝑜 𝒹𝑒𝓁𝓁𝒶 𝓅𝒶𝑔𝑜𝒹𝒶 𝓋𝑒𝒹𝑜 𝒾 𝓅𝑒𝓉𝒶𝓁𝒾 𝒹𝑒𝒾 𝒸𝒾𝓁𝒾𝑒𝑔𝒾,
𝒸𝒶𝒹𝑜𝓃𝑜 𝓃𝑒𝓁 𝓋𝑒𝓃𝓉𝑜 𝒹𝒾 𝓅𝓇𝒾𝓂𝒶𝓋𝑒𝓇𝒶.
𝓈𝒸𝓇𝒾𝓋𝑒𝓇𝑜' 𝓁𝒶 𝓂𝒾𝒶 𝒸𝒶𝓃𝓏𝑜𝓃𝑒 𝓈𝓊𝓁𝓁𝑒 𝓁𝑜𝓇𝑜 𝒶𝓁𝒾.
𝒾𝓃𝑔𝒶𝓃𝓃𝑒𝓇𝑜' 𝒾 𝓋𝒾𝓋𝒾 𝑒 𝒹𝑒𝓈𝓉𝑒𝓇𝑜' 𝓈𝒸𝑜𝓂𝓅𝒾𝑔𝓁𝒾𝑜 𝓉𝓇𝒶 𝒾 𝓂𝑜𝓇𝓉𝒾.
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Scolastico, Sovrannaturale
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Act IX ; Possession.


Avevo fatto uno dei soliti incubi anche se non ricordavo con precisione quale, mi alzai dal letto a piedi scalzi non mi domandandomi perché non sentissi freddo al contatto gelido che la mia pelle ebbe col pavimento. Mi diressi nella grande cucina per prendere un po' d'acqua fresca - sapevo di avere la gola secca, quasi arida. Il frigo illuminò metà della stanza in cui mi trovavo e voltandomi scorsi un ombra possente all'angolo opposto al mio, ebbi il tempo di urlare più forte che potevo quando mi si scagliò quasi contro facendo alzare i miei genitori, che si precipitarono da me. Aprivo bocca, ma non riuscivo a parlare; vidi le facce dei miei parenti dopo tanto tempo, avevano un sorriso maligno in volto e cercavano di abbracciarmi in modo anche troppo insistente. Avevano delle mani affilate, come le unghia di quella bestia che scorsi, voltando appena il capo verso destra. Tamburellava le dita in modo impaziente contro un orologio enorme, le lancette segnavano l'ora con gocce di sangue - non so perché, ma sapevo che quella mano era la mia. Me le guardai, erano identiche.
Mutate in qualcosa di mostruoso tutto d'un tratto.
 
Quando aprii gli occhi davvero, Dorothèe mi scosse il braccio in un tocco gentile, io ero in una pozza di sudore ed avevo il fiato corto, come se quello che avevo sognato fosse avvenuto sul serio, facendo in modo che il respiro mi venisse a mancare per la paura tremenda.
   «Eireen, sbrigati. I professori ci aspettano alle nove in punto fuori ai dormitori.» Già, qualcuno mi aspettava.
Era il giorno del fantomatico campeggio alla Caed Dhu, di cui avevo sentito parlare sin dal primo giorno in cui ero lì. Si teneva una volta al mese per circa due giorni ed era l’unico momento in cui avremmo potuto addentrarci in quel luogo, punizioni escluse.
Mi preparai alla svelta proprio come mi suggerì Dorothèe, quel giorno non c'era bisogno di indossare la divisa per cui espressi la mia contentezza alla compagna di stanza e mi misi un grazioso vestito color pesca lievemente svasato e che arrivava alle ginocchia. Grazie alla mia temperatura corporea estremamente calda era raro sentissi freddo, ma optai comunque per un cardigan chiaro che mi copriva le spalle.
Io e Dorothèe raggiungemmo il punto d'incontro insieme e potemmo scorgere alcuni studenti della nostra classe che già aspettavano impazienti, non sapevo ben dire per cosa.
Sapevo però che quel campeggio sarebbe stato... intenso.
Salutai alcuni di loro quando li vidi; Uriel, Richard, persino Dyanne. Non mi curai del fatto che mi ricambiassero o meno.
Avevo un insolito sorriso che metteva in evidenza le due fossette ai lati delle guance, ormai avendo completamente scordato l'incubo di poche ore prima o forse era solo un modo per convincermene, anche se la sparizione improvvisa di Marek il giorno precedente ancora mi destava qualche sospetto e preoccupazione.
Poggiai le mani contro le maniche dello zaino che avevo sulle spalle e con sguardo vispo lo cercai. Non appena potei trovarlo, mi parai al suo fianco spalleggiandolo in maniera scherzosa.
   «Quando penso di esser tranquillo, ecco che subito appari.»
   «Vuoi morire di primo mattino, vampirello?» Storsi le labbra in una smorfia e giurai di averlo visto sogghignare per un istante. «Forse ieri sei stato punito?» Chiesi fingendomi non troppo interessata.
   «Mi sono solo addormentato mentre mi davo una ripulita, mi è toccato sgomberare la mensa dopo pranzo. Ei preoccupata forse?»
   «Ah, sono eccitata per questo campeggio.» Sviai il discorso raggiungendo Dorothèe a pochi passi.
Ricordavo che la prima volta mi beccai una punizione in prossimità di quel posto insieme a Marek ed Uriel e dovettimo ricorrere alla loro abilità per raggiungere la foresta vista la lontananza. Eppure quella volta, stranamente, ci vollero solo quindici minuti di passeggiata insieme ai compagni.
Era come se ogni passo avesse dimezzato quella immensa distesa di verde, che sembrava divenir sempre più arida.
Ci scortavano due professori, il centenario e temuto Alais e la graziosa signorina Lois, insegnava vegetazione e non a caso era la preferita di Dorothèe, era una Wiccan proprio come lei.
Ci fermammo in prossimità di un laghetto che sembrava incantato e fuori luogo se paragonato a tutto l’ambiente circostante, tetro e per niente in piena fioritura.
Avevo sentito da Marek ed Uriel che i professori prima di recarci sul posto dedicato al campeggio, creavano una sorta di barriera per impedire agli spiriti di far sorgere qualsiasi inconveniente spiacevole – dal mio canto non ero più impaurita come i primi giorni ed a quel pensiero mi accorsi mancassero esattamente ormai sedici albe allo scadere di quella scommessa che Marek aveva imposto in biblioteca.
Pensai avesse già vinto, ma non glielo dissi.
Dopo aver sistemato le cose nelle rispettive tende, Dorothèe mi trascinò con sé al lago che per quanto vicino all’accampamento bisognava comunque camminare un po’ per arrivarci.
Penso che quello sia diventato uno dei ricordi più felici di entrambe.
Ridemmo e scherzammo senza pensare ad altro, Dorothèe aveva dimenticato momentaneamente i suoi pensieri oscuri ed io allo stesso modo non avevo più pensato a tutti i misteri che ancora mi rendevano ignorante, avevo smesso di pensare ai miei incubi che di solito preannunciavano catastrofi, finimmo per bagnarci i vestiti e restare completamente zuppe ma ridenti; quando decidemmo di rientrare negli accampamenti, Dorothèe adocchiando la figura di Uriel in lontananza mi disse di proseguire per conto mio, alle volte mi sembrava strano che i due fossero così vicini ma al tempo stesso distanti anni luce.
   «Dove pensi di andare così? Hai dei vestiti di ricambio?» Marek arrestò la mia camminata a testa bassa mettendomi un dito contro la fronte.
   «Non pensavo ci saremmo inzuppate a tal punto, ho lasciato tutto in tenda.» Bofonchiai corrucciata, le tende delle ragazze erano abbastanza lontane da quelle maschili. «Sto morendo di freddo e se mi congelo prima di raggiungere la tenda? Oh no… vedo i miei mille anni sgretolarsi in pochi secondi.» Dissi fingendomi drammatica, portando una mano alla fronte per enfatizzare il tutto e poi sfociare in una spontanea risata. «Andrò subito a cambiarmi.»
Mi fece cenno di bloccarmi sul posto, dirottò i miei passi verso destra fino a che non raggiungemmo una tenda leggermente isolata rispetto alle altre, non faticai molto a capire che fosse la sua. Vi gattonò all’interno e ci stette fino a che il fruscio di vari tessuti non cessò e lui fece capolino porgendomi tra le mani una felpa bianca.
   «I bagni sono qui vicino, cambiati lì. Togli gli abiti bagnati e asciugati prima, pensi di farcela o dovrei venire ad aiutarti?» Si avvicinò a me fino a che i nostri nasi non si sfiorarono. Finse di baciarmi le labbra per poi dirottare alla guancia, sulla quale stampò un sonoro bacio.
   «So cambiarmi anche da sola.» Sbottai, prima di allontanarmi verso i bagni dove mi cambiai velocemente, sentivo il freddo pungermi la pelle, lasciai i capelli sciolti lungo la schiena, erano umidi ma non me ne curai. La felpa di Marek era così grande da coprirmi mani e natiche, uscii di lì con i vestiti bagnati tra le mani, andai alla ricerca di Marek per ringraziarlo e… per stare ancora un po’ con lui.
Mi sentii afferrare il polso passando proprio dinanzi alla sua tenda.
   «Presa.» Disse velocemente il vampiro, facendomi ricadere praticamente addosso a lui, anche se capovolse in poco tempo la situazione lasciando che la mia schiena incontrasse il materassino. Salì su di me bloccandomi le cosce con le proprie ginocchia.
   «Marek… cosa stai facendo? Se non ci trovano ci cercheranno.» Furono le uniche parole che fui in grado di tirar fuori, Marek era incredibilmente bello visto anche da quel punto di vista.
   «La tua idea di dormire abbracciata alla wiccan dovrà aspettare la prossima sera, non credo ti lascerò andare tanto facilmente da qui. Puoi sempre provare a liberarti con la forza.»
I miei capelli erano sparpagliati un po’ ovunque su quel materasso sottile che prendeva colore grazie solo allo spiccato ramato delle mie ciocche. Mi morsi il labbro, improvvisamente il caldo tornò ad invadermi completamente.
   «Fa un po’ troppo caldo qui dentro…» Sentivo il sangue vibrare vertiginosamente nelle vene e pulsare più del solito. Non avevo mai visto gli occhi di Marek con quel bagliore particolare, erano singolari e mi ispiravano curiosità.
Sembrò simile al granito, neppure un suo muscolo si mosse, mentre le ombre giocavano sui nostri visi formando figure astratte ed affascinanti. Sorrise scoprendo i denti, le sue mani si poggiarono accanto al mio viso facendogli da leva.
   «Hai caldo? Eppure indossi solo la felpa, dovrei raffreddarti?»
Unì le nostre fronti, ghiaccio e fuoco fusi insieme. «Dicesti che avresti protetto il mio calore.» La voce gli uscì quasi attutita, gli occhi erano di nuovo rossi.
Sentivo sensazioni nuove e strane dentro di me, il cuore accelerò di due o tre battiti al secondo quando il naso di lui sfiorò il mio. Le mani, comandate da chissà quale assurda entità, andarono a circondargli il collo.
   «Mantengo sempre le mie promesse.» Sollevai il viso di poco, pochissimo. Quel tanto che bastò per unire le nostre labbra in un bacio dal quale mi staccai quasi subito, Marek mi guardava senza respirare. Le mani dal collo si spostarono sul petto che bramavo ogni volta che lui non era con me. «Mi piace il tuo petto.» La mia voce suonò come un sussurro.
   «Se ti piace davvero dovremmo restare così. A me piacciono tante cose di te.» Mi carezzò il labbro inferiore con le dita. «Queste mi piacciono più di tutto il resto, per esempio. Penso potrei arrivare a sognarle.» Mi sorrise ambiguamente, scendendo con le dita lungo il collo appena scoperto ed accarezzandone la vena principale. Proseguì la sua corsa come una lenta carezza, non sapevo bene se punitiva o di pura e semplice scoperta, arrivando alle gambe nude e piantandosi lì. «Anche queste mi piacciono particolarmente.» Strinse la mia coscia con forza, facendomi mugugnare.
La mia mente era annebbiata, come la vista del resto, una sensazione piacevole ma troppo avvolgente. Sospirai contro le sue labbra ancor prima che mi baciasse e quando le nostre bocche si unirono in un contatto stavolta più diretto e passionale, non esitai a ricambiarne i movimenti. Fu un bacio delicato come se un velo di fosse posato sulle nostre bocche, ma diventò presto ebbro del miscuglio tra passione e la dolcezza selvatica delle labbra carnose ed appena screpolate di Marek. Quelle stesse labbra si mossero, facendo gonfiare leggermente le mie e finirono per schiudersi più e più volte. Mi abbandonai a quel bacio, così morbido e turbolento. Esalai un gemito nella sua bocca adesso più calda.
Vezzeggiai il suo petto ripetute volte mediante movimenti premurosi. Per un attimo sentii il suo respiro infrangersi sulla pelle del mio volto. Gli occhi, fatalmente incatenati.
   «Obbligami a rimanere sveglia.» Avrei potuto anche affermare di averglielo chiesto sulla bocca, tanto percepii la vibrazione delle sue labbra, inevitabilmente (quasi) di nuovo a contatto. Avevo una punta di malizia nella voce, non erotica, non machiavellica; semplicemente mi era sorto spontaneo un simile tono.
   «Non so se il mio modo di tenerti sveglia di piacerebbe.» Bassa e roca, la sua voce mi colpì piacevolmente le orecchie da volpe. Dirottò le sue labbra sul mio collo, non provai paura. Le schiuse vagando e delineandone il contorno con la punta della lingua.
   «Marek…»
   «Marek cosa? Marek fermati o… Marek continua? È un abissale differenza questa e io voglio saperla, perché se non vuoi ammetterlo sai perfettamente cosa potrebbe accadere se continuassi.» La consistenza dei suoi canini mi eccitò; fu allora forse che scoprii d’essere attratta dal pericolo. Percepire a tratti il peso di Marek sul mio corpo fu piacevole, rendeva definitivamente tangibile e reale la sua presenza. Perché lui era lì anche se respirava a tratti.
Lo sentii annaspare, il suo fu quasi un ringhio. Capii che quella vicinanza al mio collo lo stava uccidendo, presi tra le mani il suo viso e lo posai contro il petto.
Con il suono della voce cominciò ad imitare i battiti del mio cuore, uno per uno.
“Tum tum, tum tum”
Il mio organo vero ed il suo artificiale vissero in simbiosi per vari istanti.
   «Mi chiedo quale dei due morirà prima.» Mi domandai senza capirne nemmeno il senso. O forse l’avrei scorto più tardi quando da distesa mi ritrovai seduta sul suo bacino, gli sfiorai le guance, era il primo contatto della pelle quella sera, almeno da parte mia.
   «Mi chiedo quanto impiegherai a fuggire via.» Marek si sedette insieme a me, cinsi le gambe attorno alla sua vita.
   «Non voglio fuggire da te. Sono venuta per rimanere e sono così contenta che sia successo tuto così in fretta, abbiamo solo mille anni dopotutto… mille anni e non potrò più respirarti.» Sussurrai quelle parole in così totale sofferenza che non mi parve un momento felice. Eppure la mia gioia era ugualmente palpabile perché sapeva di lui. Socchiusi gli occhi, sentivo il suo fiato – mi rendeva serena.
   «Tra mille anni in qualche modo troverò il modo di vederti ancora.»
   «Non smettere di respirare.» Marek poteva decidere anche di non farlo, non era il respiro a tenerlo vivo.
Saccheggiò le mie labbra prendendo tutto ciò che poteva, ci rincorrevamo come se qualcuno dei due potesse svanire da un momento all’altro.

 

 
 
 
Uriel.
 
Forse la Caed Dhu si stava dimostrando per come non era. Illudendoci che il fuoco potesse realmente scaldarci e perché no, renderci degli studenti normali in un posto dove c'erano graziosi e rinfrescanti ruscelli. Eppure ero certo di non averne sentito nemmeno l'odore di ognuno di questi, forse anche Marek se n'era accorto, ma d'altronde vivere nell'illusione era qualcosa che piaceva a tutti.
   «Ieri è toccato a me prendere la legna, se aspettate che lo faccia di nuovo... scordatevelo!» Una voce di cui ignoravo l’identità disturbò i miei pensieri, eravamo proprio fuori alle tende dove il fuoco che non serviva a molti, stava quasi per spegnersi in piccole scintille.
   «Posso andari io.» Disse Eireen scrollando le spalle, suscitando subito occhiate preoccupate da parte di Dorothèe – divenuta ormai suo angelo custode, la cosa in qualche modo m’infastidiva. Poi la wiccan guardò me con aria che non seppi decifrare, alle volte era così enigmatica che mi veniva voglia di sequestrarla per estorcergli ogni singolo e più piccolo segreto… o forse mi veniva voglia di sequestrarla per altri motivi. Non dimenticai le parole che ci scambiammo nell’incontro di qualche giorno prima, dove sosteneva che di lì a poco avrei attaccato Eireen senza che me ne rendessi conto, finsi che la cosa non m’importasse e non ci credetti sulle prime. Ma quando mi ritrovavo da solo coi miei pensieri, con le mie asfissianti ombre, sapevo che dentro di me stava accadendo qualcosa – da quando il preside mi si era palesato senza apparenti motivi, sentivo di star cambiando interiormente e non mi ero mai chiesto perché quest’ultimo ci tenesse tanto al fatto che mi avvicinassi ad Eireen e nemmeno perché continuasse a convocarmi segretamente per sapere come stavano andando le cose.
Era incredibile come i professori di quel posto sparissero chissà dove, improvvisamente.
Eireen si allontanò senza che nessuno, a parte me e Dorothèe la notasse e a quel proposito mi chiesi che fine avesse fatto Marek.
Sentivo i passi della giovane volpe allontanarsi, insieme ad una folata di vento improvviso che le attraversò la carne, la sentii sospirare. Mi alzai di lì; c’era qualcosa che mi turbava decisi di seguirla restando a debita distanza non preoccupandomi degli occhi di Dorothèe alle mie spalle che come sospettavo mi stava seguendo.
Vidi Eireen in lontananza voltarsi e rivoltarsi verso il nulla fino a che dinanzi a lei non apparve uno spirito della foresta nera. Aveva capelli scuri e la faccia spaventosamente cadaverica con delle fosse nere al posto di occhi e labbra. Era sospeso a mezzaria, con la parte inferiore mancante e ciò che si poteva intravedere dal busto in poi forse era meglio non descriverlo. Eireen cadde, strusciò il sedere conto il terreno arido, quell’essere si scagliò contro di lei lasciando una scia nera nell’aria sparendo poi completamente tra le sue fauci.
Gli vennero le fosse sotto agli occhi, le labbra dapprima rosse fuoco invece diventarono pallide, screpolate e di un rosa malato.
Si alzò, dirigendosi verso di noi – puntò gli occhi su Dorothèe che era alle mie spalle, Eireen mostrò un canino affilato che mai prima di allora aveva avuto.
   «Eireen, guardami. Guardami, torna in te.» Tentai di restar calmo, incatenai gli occhi ai suoi sperando di persuaderla in qualche modo ma evidentemente mi uscì male visto che in un sol attimo la volpe posseduta si avventò contro la wiccan in un gesto improvviso, la prese per i capelli lanciando un urlo disumano e mentre Dorothèe cercava di difendersi e parlarle, lei le squarciò quasi il vestito.
Le mie pupille si dilatarono, probabilmente diventando completamente bianche – sapere Dorothèe in pericolo era qualcosa per me troppo forte da gestire. Furono pochi secondi, le mie ombre avvolsero il corpo della volpe facendola cadere in terra e quindi staccandola dall’amica. Le andai incontro con un balzo mettendomi sul suo petto a fauci spalancate che avevano come unico obbiettivo il suo collo.
   «URIEL NON TOCCARLA.» La voce di Marek interruppe il tutto, mi distrasse per un secondo e quando tornai con gli occhi in quelli di Eireen venni sbalzavo in un nano secondo dalla parte opposta, finendo contro un albero senza che nemmeno mi sfiorasse.
   «Tu bastardo pazzo, ti scavo la fossa qui e ti ci seppellisco stanotte.» Marek mi sputò quelle parole addosso sovrastandomi col suo corpo e mentre eravamo intenti ad attaccarci a vicenda, la voce di Dorothèe che chiamava il mio nome mi distrasse; la vidi in terra, agonizzante per lo schianto di poco prima con gli occhi mi supplicava di calmarmi rassicurandomi che fosse tutto apposto. Marek in quel momento mi lasciò rivolgendosi ad Eireen che con un ghigno malefico si avvicinava a noi col chiaro intento di squarciarci la palle. Il piede di Marek si abbatté sul mio stomaco sbalzandomi qualche metro più lontano direttamente contro un masso che si distrusse in miliardi di pezzi.
Eireen guardò Dorothèe e proprio come poco prima fece con me, la fece sbalzar via con la sola forza del pensiero; capii che quell’abilità era opera della volpe e non dello spirito, corsi usando le mie capacità in direzione della wiccan e la presi tra le braccia prima che potesse scontrarsi contro una grande quercia.
   «Stai bene?» Chiesi allarmato, lei mi sorrise teneramente.
   «Sei stato bravo.» Era per questo che qualche giorno prima mi avvertì? Per impedire una catastrofe? Ero scattato in quel modo solo per l’ira di vederla farsi male – non mi era importato se a patire sotto le mie forze fosse Eireen o qualcun altro.
   «Non voglio farti male, non mi riconosci? Eireen, sono io… sono Marek.» Marek si avvicinava alla volpe con lentezza; portai Dorothèe lontano da lì per metterla in salvo.

 
 
 Marek.
 
Allargai le braccia, i palmi delle mani ben aperti mentre lento continuavo l’avanzata verso quello che era divenuto a tutti gli effetti un nemico. La volpe mi guardò rabbiosa ad ogni passo verso di me spalava una fossa di terreno sotto i piedi, ma qualcosa nel suo sguardo sembrò mutare, che Eireen mi avesse riconosciuto?
Eravamo a pochi centimetri l’uno dall’altra, i nostri sguardi si incatenarono perdendosi. Non c’era altro modo, se non quello per poterla salvare. La mia mano si mosse veloce afferrando il polso esile di lei che con uno scatto rabbioso provò a dimenarsi, era ormai troppo tardi perché i miei canini avevano già forato la sua pelle succhiando quel sangue che sembrava riportarmi lentamente all’oscura e mai dimenticata natura. Scostai appena le labbra solo per sussurrare.
   «Adesso farai ciò che ti dico io.» Dalla ferita inflitta dai miei denti il sangue dolce di Eireen le macchiava la pelle candida. «Manda via lo spirito e torna te stessa… puoi aiutarti con la forza della mente, con quella non hai forse messo in salvo Dorothèe ed Uriel spingendoli via? Spingi via anche lo spettro Eireen, fallo per me.»
Il mio morso doveva servire a soggiogarla, le mie parole ad armonizzare il tutto. Ma quell’odore, quella sete… lei fremeva sotto di me e del vapore nero uscì dal suo corpo, evidente prova che m’avesse dato ascolto – ero riuscito a raggiungerla ma i miei occhi rossi non smettevano di fissare quel sangue puro e pregiato.
Le leccai il collo portando via il liquido in eccesso, emisi un grugnito di estasiante piacere.
   «Marek…» La sua voce gradualmente prese le sfumature che aveva sempre avuto. Era debole.
Sentivo le sue vene pulsare, così calda ed invitante da risvegliare il mio animo predatore. I miei canini affondarono ancora, succhiai il suo sangue per poterla ipnotizzare ma il destino cambiò ancora le carte in tavola; la mia fame si spalancò formando un buco al centro esatto dello stomaco.
Bevevo come un assetato, notando a malapena la presenza improvvisamente inquietante di Uriel accanto a me, lo spazio ed il tempo sembravano essersi annullati sostituiti da una nebulosa consapevolezza di ciò che stavo compiendo ai danni di Eireen.
Uriel non fece nulla, rimase semplicemente al nostro fianco mentre le sue ombre mi deridevano assicurandosi che quel momento durasse a lungo. Non capii cosa mi avesse riportato alla ragione, forse il cedimento della ragazza ormai priva di forze, o forse la scomparsa improvvisa dello spettro; o magari furono i ricordi che nitidi passarono dentro di me; vi era il nostro primo vero incontro che improvvisamente ricordai.
Sbarrai gli occhi sopraffatto dal disgusto per me stesso, emettendo un ringhio basso e disperato, la lasciai finalmente andare.
Mi allontanai da lei ormai priva di sensi, sembrava più pallida del solito.
   «Cos’hai fatto, Marek?» La voce di Uriel mi sconvolse; c’era qualcosa di strano in lui. Me lo chiese con sadico divertimento.
Mi voltai fuggendo verso il fitto della foresta, andai nuovamente incontro allo strapiombo in cui ero qualche ora prima.
Scappavo non da lei, ma da me stesso.
Qualche istante dopo, un urlo disperato squarciò l’aria.
 
 
28 Agosto 2005 ;
 
Ero alla sua finestra, in quella casa al lago a sud della città, sapevo vivesse la bella Kumiho ormai ridotta agli ultimi giorni di vita dei suoi mille anni. Una sola goccia del suo sangue valeva come oro, dicevano fosse il più buono e il più pregiato in circolazione; una volta provato sarebbe stato impossibile farne a meno ed io ero troppo annoiato dalla mia stessa esistenza per ignorare tali informazioni.
Saltai sulla finestra del terzo piano della villa, aperta per dare aria a quella piccola fanciulla dormiente su un letto a baldacchino – che fosse lei la kumiho di cui avevo sentito parlare? Mi avvicinai sedendomi sul suo petto gracile; cinque anni di puri sogni.
Gli rubai i primi quattro respiri, furono i più soddisfacenti che avessi mai rubato. Quando stavo per assaporare anche il suo sangue dopo essermi insinuato nei suoi sogni di prati fioriti e persone sorridenti, la porta si spalancò facendomi saltare dall’altra parte della stanza.
Mi mimetizzai nel buio di essa, osservando il candore di quella donna dai capelli lunghi e simili a quelli della bambina. Le andò vicino posandogli una mano sul petto, poi tornò eretta.
   «Come hai osato.» Tuonò, la voce bassa e suadente ma al tempo stesso temibile. «Come hai osato rubato quattro attimi di vita alla mia bambina?» Si voltò verso di me, avvicinandosi i suoi occhi limpidi sembrarono farmi bruciare la pelle.
   «È una sorta di mestiere.» Feci scrollando le spalle. «Cercavo la kumiho a cui sono rimasti pochi giorni da vivere, imbattendomi in una purezza simile non potevo farne a meno.» Scoprii i denti quando la vidi troppo vicina.
   «Quella sono io.» Congiunse le mani tra di loro e mi osservò. «E allora vieni, nutriti e lascia la mia più cara nipote in pace per sempre. Nutriti, ma non avvicinarti a lei mai più o il destino ti riserverà atroci sofferenze.»
In quel momento non le credetti, avevo solo sete di sangue e bellezza, di purezza. Sebbene la donna avesse mille anni era incredibilmente eterea, la più bella che avessi mai visto. Mi avvicinai per rubarle tutti i pochi respiri che gli erano rimasti e a metà della mia opera mi piantò i suoi artigli da volpe nello stomaco; mi allontanai accusando un momentaneo fastidio.
   «Volevi ingannarmi?» Lei sapeva che se sarebbe arrivata al mio cuore m’avrebbe ucciso; conosceva la mia razza. Fu la prima volta che temetti qualcuno.
La donna mi rubò tre respiri, li chiuse in una boccetta vuota e li diede alla strega che mi tolse metà anima dannandomi nelle notti di luna piena. Pativo il sangue, come in quelle notti pativo la carne viva.
 Uccisi quella donna prima che potesse morire naturalmente, vendicandomi per quel supplizio al quale mi aveva crudelmente sottoposto; sua nipote, la piccola Eireen mi osservava dietro lo stipite della porta non riuscendo a capir molto, mi avvicinai a lei usando una velocità non umana.
   «Tornerò anche da te, tornerò e mi vendicherò per questa mezza anima e per questo mezzo lupo.»
 
Biascicai, mi leccai le labbra mentre la bambina mi sorrise intimidita.
Il primo di tanti sorrisi, che non meritavo affatto.
   
 
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