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Autore: time_wings    18/06/2017    0 recensioni
[High School!AU]
La scuola è appena ricominciata e, numerose e spiazzanti novità, non tardano a palesarsi. Il cammino di un adolescente, si sa, può essere tortuoso e pieno di pericoli. Un anno scolastico servirà a mettere a posto antichi conflitti? L’amore tanto atteso sboccerà per tutti? I sette della profezia che avete tanto amato trapiantati nell’impresa più difficile di sempre: la vita di tutti i giorni fino all’estate successiva. Mettetevi comodi e buona lettura.
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Esperanza Valdez, I sette della Profezia, Nico di Angelo, Sally Jackson, Will Solace
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Note dell’autrice: Ciaaaaaao cari amici. Anche questa settimana ho il capitolo pronto per vooi (Sì, inutile vantarsi, dato che i capitoli che ho da parte sono davvero pochi, ormai). Insomma, qui iniziano a succedere cose ed i nostri sette sembrano avvicinarsi un po’ di più tra loro (o allontanarsi eheheh). In questa fic il tempo scorre abbastanza veloce dato che non posso certo raccontare ogni singolo evento di un anno intero. Qui, quindi, è già ottobre e sono passate due settimane dalla festa di Annabeth. Ci tenevo a chiarirlo. Sono abbastanza sicura di star dimenticando qualcosa, come al solito, ma me ne farò una ragione. Vi aspetto in molti nella sezione commenti!
Adieu
T_W

 
GETTI CALCOLATI
 
Erano passate già due settimane dall’inizio della scuola, ma già una sensazione di freddo e giorni gelidi iniziava ad insinuarsi nel cervello di Percy: lui odiava l’inverno; preferiva di gran lunga l’estate perché poteva finalmente concedersi una giornata da solo al mare, senza libri ingombranti nello zaino, né la consapevolezza di non poter lasciare sua madre da sola a gestire la pasticceria. Ricominciare la scuola significava immergersi nuovamente nella solita e vecchia immancabile routine. Per questo motivo, per lui, l’inverno aveva già iniziato a conficcare i suoi gelidi artigli nel mondo, bloccando tutti nel ghiaccio delle loro abitudini. Da due settimane si ritrovava puntualmente a rigirarsi un ormai accartocciato bicchiere di carta fra le mani senza trovare il coraggio di chiamare quel numero che, giorno dopo giorno, andava sbiadendo sulla sua superficie. Era persino arrivato ad imboccare strade nascoste quando vedeva una chioma bionda tra i corridoi della scuola.
Poggiò il bicchiere quasi con rabbia sulla sua scrivania e, capendo che in ogni modo non sarebbe comunque riuscito a studiare, raccolse il cellulare nascosto tra pagine e pagine di libri che non capiva e lo portò all’orecchio: “Ehi, ciao! Ti va di prendere un caffè?” La risposta fu affermativa, come previsto; Percy abbozzò un sorrisetto vittorioso e corse alla porta.
Dieci minuti dopo era seduto al solito tavolo accanto alla finestra del solito bar, con due caffè di fronte. Gli sembrò che quasi nevicasse e non si rese conto della figura che lo stava chiamando probabilmente da un bel po’, seduta dall’altra parte del tavolo: “Ehi, Frank.” Salutò fiacco: “Grazie di essere venuto.” Frank lo scrutò accigliato, ma solo dopo un po’ diede finalmente voce ai suoi pensieri: “C’è qualcosa che non va? Ti vedo… abbattuto.” Commentò preoccupato.
“Sarà una cosa di famiglia. Mia madre mi ha sempre detto che mio padre odiava la fine dell’estate, lo faceva sentire… vuoto.” Frank non rispose, sapeva che Percy odiava la pietà, sapeva che la gente che cercava di consolarlo con le solite parole sentite e risentite gli dava sui nervi, così aspettò che fosse lui stesso a parlare, che continuasse il discorso o lo cambiasse radicalmente: “Secondo me è per questo che ci siamo presi subito, io e te.” A Frank sfuggì una risata per il doppio senso e diede una pacca sulla spalla a Percy: “Andiamo, chiama quel numero.” Disse con tono autoritario, ogni traccia della risata che aveva preceduto quella frase sembrava svanita.
“Non ho il bicchiere con…”
“Oh, andiamo! Non vorrai farmi credere che dopo aver passato interi pomeriggi a fissare quel bicchiere vuoto tu non l’abbia imparato a memoria!”
Come poteva essere un libro così aperto? Percy continuava a chiedersi come avesse fatto un ragazzo che conosceva da appena due settimane a capirlo così bene. L’aveva, in più, conosciuto da sbronzo, alla festa a sorpresa della ragazza che gli stava facendo perdere la testa. Percy abbozzò un sorriso al pensiero di come l’amicizia potesse nascere in modi particolari: “Ma non ero io, quello che di solito sprona le persone a compiere gesti impulsivi?” Il suo sorriso si allargò: “Già, e non ero io, quello che si è legato ad una ragazza e non riesce a togliersela dalla testa? Adesso chiama!” Ribatté Frank sorridendo e porgendo il cellulare al moro che aveva di fronte.
Prima o poi dovrò farlo. Si disse Percy accettando il telefono e componendo il numero. Mentre attendeva che una voce si facesse viva dall’altra parte, non riuscì a fare a meno di pensare a quanto fosse lontano dal suo modo di essere il fatto di tenere così tanto all’opinione di una ragazza che conosceva a malapena.
“Ehi ciao, sono quel ragazzo che hai costretto a fare felicemente una radiografia ad ogni sacco dell’immondizia il giorno del tuo compleanno.” Iniziò sarcastico appena riconobbe la voce di Annabeth dall’altra parte del telefono. Il suo tono era in bilico su quella sottile linea che divide l’arroganza dalla simpatia, ma era il suo modo di eliminare l’imbarazzo e Frank non poté fare a meno di sorridere per l’inizio particolare del suo amico mentre lo incoraggiava gesticolando pollici alzati e sorrisi smaglianti: “Ti andrebbe di uscire qualche volta?” Chiese al massimo della sua sfrontatezza.
 
Hazel aveva raccontato sia a Jason che a Leo dell’incidente della bottiglia, il giorno dopo a scuola, aspettandosi che Leo reagisse male, ma la reazione del messicano spiazzò del tutto la ragazza: “Noo, ma sei un grande! Mi sei simpatico solo perché non è grave!” Disse sorridendo ad un Jason ancora più spiazzato di Hazel: “Quindi… non ce l’hai con me?”
“Beh… eravamo ubriachi e, credo, ti sia sfuggita di mano, quindi rilassati, amico, è tutto a posto.” Concluse il ragazzo sincero: “Aspetta un attimo!” Urlò come colto da un’improvvisa illuminazione: “Ma tu non sei il figlio dell’elettricista? Quello che mi ha rubato i biscotti? Questo si che sarebbe un buon motivo per odiarti!” Aggiunse Leo ridacchiando. Anche a Jason sfuggì una risata mentre iniziava a ricordarsi qualcosa del messicano: “E tu sei quello che mi ha intimato di mettere giù le mani dai suoi biscotti o sbaglio?”
“Beh…” Rispose Leo alzando le mani come a dimostrare la sua innocenza. Hazel tossicchiò come a ricordare ai ragazzi della sua presenza ed il messicano sembrò notarlo:
 “Allora, Hazel, è successo altro?” continuò per pura curiosità.
“C-cosa? Sì, cioè no! Era tutto, è tutto.”
“Mhh.” Gli occhi scurissimi di Leo studiarono la ragazza visibilmente imbarazzata che aveva di fronte: “Devo crederti?”
“Certo!” Urlò la ragazza, per poi tapparsi la bocca rendendosi conto del tono troppo alto della sua voce. Gli occhi del ragazzo lasciarono spazio allo sguardo divertito che gli si dipinse in volto: “Farò finta che questa sia la verità. Tu che dici Jason?”
“La pura e vera verità.” Sentenziò ironico il biondo.
Era in questo modo che Jason e Leo erano diventati amici e complici in due settimane.
 
“Wow, pensavo fossi più serio di così” Si poteva mai dire una frase del genere ad un ragazzo orgoglioso come Percy? Lui era convinto fosse ingiusto, ma se una parte di lui se l’era presa ed era stata ferita sull’orgoglio, un’altra parte non poteva fare a meno, per quanto lui cercasse di metterla a tacere, di amare quella sfida e volerci riprovare.
“Frank, ti va di farci un giro, stasera? Direi che potresti anche invitare Hazel, mi piacerebbe conoscerla.” Tentò il moro. Percy sapeva che l’argomento Hazel era difficile da affrontare per Frank; dopo aver trovato quel biglietto il ragazzo non sapeva se essere più arrabbiato con Hazel per averlo fatto illudere o con Leo, che aveva sicuramente lasciato cadere quel bigliettino per farlo andare su tutte le furie. A quel punto, Frank non era nemmeno sicuro che il messaggio del biglietto fosse vero.
Nonostante ciò, Frank continuava a non trovare il coraggio di allontanarla o di parlarle. Percy aveva anche provato a farlo ragionare dicendo che non era possibile un complotto del genere da parte di un ragazzo che a malapena conosceva e continuava a consigliargli di parlarne con lei perché, tenendosi tutto dentro, non si sarebbe risolto nulla, ma Frank sembrava non volerne sapere.
“Vada per un giro!” Concordò il ragazzo.
“Ma parlerai con Hazel?”
“Non lo so, dipende dalla situazione.” Percy sbuffò esasperato, sapeva che non avrebbe  potuto fare niente per far cambiare idea a Frank, quindi si limitò ad accordarsi con l’amico per un orario ed un luogo in cui vedersi e si salutarono. Percy osservò Frank svoltare verso il vicoletto che portava al portone rosso fuoco della sua casa, con un braccio impegnato a parlare al cellulare con Hazel e l’altro che perlustrava goffamente l’interno di tutte le sue tasche alla ricerca delle chiavi.
 
“Sì, mi piacerebbe venire!” acconsentì la ragazza dall’altro lato del telefono: “Solo… Frank, ti dispiace se viene anche Leo? Non sarebbe gentile escluderlo: siamo i suoi unici amici”. Frank si bloccò davanti al portone dimenticandosi della sua ricerca delle chiavi e sentì la felicità che aveva accumulato nel sentire Hazel trasformarsi in un sentimento ben diverso; una sensazione di rabbia incontrollata si impadronì del suo stomaco, indecisa se scoppiare all’esterno, o implodere, come ogni emozione di cui Frank non voleva lasciare tracce. No, non può assolutamente venire con noi, non lo sopporto. “Ma certo!” urlò esagerando del finto entusiasmo: “A dopo.” Sentì la voce di Hazel salutarlo soffusa, perché aveva già abbassato il telefono per attaccare. Si sfilò lo zaino dalle spalle sbattendolo a terra con un tonfo e sentì il rumore delle chiavi dopo l’urto, si mise a cercare praticamente svuotando lo zaino e aprì la porta. Corse furioso in camera sua, quasi ignorando la voce via via più lontana di sua nonna che sbraitava con una nuova ramanzina e sbatté la porta per ridurla a zero.
 
Leo non pensava che includere Jason fosse un gran problema dal momento che non voleva escluderlo dai suoi amici, visto che ne aveva già pochi, quindi al telefono con Hazel non si stupì dell’entusiasmo che la ragazza mostrò nello scoprire che lui ed il ragazzo che lo aveva praticamente accoltellato con del vetro rotto fossero amici: “Certo che può venire, mi farebbe piacere.” Ogni tanto Leo aveva paura che fosse pena quella di Hazel, che volesse essere gentile con lui solo perché doveva capire che essere “quello nuovo” poteva risultare difficile, ma il messicano preferiva non pensarci troppo o sarebbe arrivato a conclusioni indesiderate: “Senti, Hazel, pensavo che potresti invitare anche quelle tue amiche, no? Annabeth e Piper, che ne dici?” Propose Leo con gli occhi da cucciolo; sapeva bene che la ragazza non poteva vederli, ma il suo tono li includeva del tutto. Invitare Piper era stata un bella mossa e sapeva che Jason l’avrebbe apprezzata.
“Mi sembra una buona idea, siamo più in contatto ultimamente e credo ne sarebbero felici.” Accettò pimpante Hazel, a Leo sfuggì una risata ironica: “Benissimo, perfetto, allora a dopo.” Gongolò mettendo giù.
 
Hazel si preparò con mille paranoie in testa: perché Leo aveva voluto che ci fossero anche Annabeth e Piper? Aveva paura di competere con loro, era sicura che avrebbe perso, per non parlare del rapporto con Frank. Aveva capito che il ragazzo doveva essere arrabbiato con lei per aver fatto finta che quel bacio non fosse mai esistito, ma neanche lei sapeva come comportarsi al riguardo. Due ragazzi le confondevano i pensieri e sapeva di aver sbagliato a baciare entrambi, ma quello che provava per Leo era totalmente diverso da quello che c’era con Frank. Non era sicura che i sentimenti che nutriva per il migliore amico fossero di certo quelli tipici dell’amore: di Frank le piaceva la gentilezza più disinteressata, i modi da gentiluomo, i piccoli accorgimenti ed il fatto che non dovesse fingere di essere ciò che non era per cercare di apparire bella ai suoi occhi. Con Leo era diverso: quel ragazzo era particolare, intelligente, genuino e sveglio ed era anche parecchio sfacciato, era la via più semplice, avrebbe solo dovuto prendere coraggio, ma non aveva voglia di illuderlo, di prenderlo in giro o farne un passatempo. Era interessata indubbiamente a lui, ma non lo conosceva neanche da così tanto tempo da poterlo definire una garanzia. Sapeva che avrebbe dovuto aspettare e valutare, ma non era sicura di riuscirci. Il problema maggiore, in quel momento, era parlare con Frank ed assicurarsi che non scoprisse del bacio con Leo, ma, d’altro canto, il messicano se l’era dimenticato come previsto; il segreto restava solo suo.
Dopo circa mezz’ora Hazel era pronta. Aveva optato per un vestito a fantasia floreale che le arrivava al ginocchio ed una giacca vellutata nera, in caso di freddo. Si avviò verso la porta quando sentì la voce di suo fratello richiamarla dalla cucina: “Hazel, dove stai andando?” Domandò poggiandosi con la spalla sullo stipite della porta, la luce del soggiorno gli illuminava solo metà del volto, ma Hazel notò comunque un sorriso sarcastico sul suo viso.
“Vado in giro con i miei amici, non torno per cena.” Nico si limitò ad annuire e ritornò nell’ombra. Hazel sapeva che suo fratello poteva essere alquanto inquietante, ma lo conosceva, sapeva quanto avevano sofferto insieme e sapeva anche che quello che mostrava agli altri, proprio come l’aveva visto un attimo prima, appoggiato allo stipite, era solo la metà, se non di meno di quello che era sul serio e non riusciva nemmeno ad immaginare una vita senza di lui a sorreggerla nei momenti bui.
Uscì sicura di casa ed un vento fresco l’avvolse, facendola sorridere, quando arrivò a destinazione, la maggior parte dei componenti era già lì.
 
“Cosa diavolo ci fai qui, Grace?” ringhiò Percy nel momento in cui vide il biondo davanti a lui.
“Ascolta, cerca di stare calmo, non sapevo ci fossi anche tu, altrimenti non avrei neanche pensato di venire.” Ribattè Jason provocandolo.
“Va bene, va bene, va bene, plachiamo gli animi e mettiamo da parte i rancori per una sera… di qualunque tipo di rancori si parli.” S’intromise Leo, prima che Percy potesse ribattere. Era parecchio più basso di entrambi, ma ottenne la loro attenzione in un attimo ugualmente. Frank se ne stava poco più in là a guardare la scena incapace di fare qualcosa.
“Ehi” Lo salutò Hazel avvicinandosi: “Mi spiace per tutta questa gente, spero non ti dia fastidio.”
“Figurati, sarà divertente conoscere nuove persone.” La verità era che Frank non era proprio il tipo di ragazzo che si fa nuovi amici con facilità, dato che la sua timidezza gli impediva di abbattere quel muro che aveva costruito con gli anni e che lo divideva dal resto del mondo, ma non voleva neanche deludere Hazel o fare il solito guastafeste che boccia ogni nuova idea. Magari Jason poteva essere un ragazzo simpatico, anche se sapeva di non doverlo frequentare con Percy nei paraggi.
“Ehm… Hazel? Non mi permetterei mai di disturbare voi piccioncini.” Il volto di Frank divenne rosso in un secondo alle parole di Leo: “Ma non è che per caso puoi chiamare Annabeth e Piper? Sarebbe saggio muoverci di qui prima che questi due inizino a fare a botte!” A Hazel scappò una risata ed annuì cacciando il cellulare dalla tasca, ma il problema sembrava sparito: Jason e Percy avevano smesso di guardarsi il cagnesco e avevano esclamato all’unisono qualcosa come: “COSA?”
“Oh, ma sono un grande!” Esclamò Leo sorridendo vittorioso con le braccia alzate in aria: “Li ho placati! Non ci…” La frase gli morì in gola perché Jason lo trascinò lontano dalle orecchie degli altri tirandolo per la maglietta verde fosforescente che il ragazzo aveva scelto di sfoggiare in giro per New York: “Sei stato tu?”
“A fermarvi? Eh già!”
“No, Leo, hai chiamato tu Piper e Annabeth?” Domandò il biondo con i suoi occhi ghiacciati spalancati.
“Sì, ho pensato ti facesse piacere vederla, può essere un’occasione per conoscervi meglio, no?” Leo sorrise, gli fece l’occhiolino e gli mollò una pacca sulla spalla riportandolo dagli altri. La serata si faceva interessante.
Dopo circa mezz’ora le due ragazze arrivarono, la faccia di Annabeth lasciava facilmente intuire di chi fosse la colpa per quell’infinito ritardo, la sua espressione, però, lasciava intuire anche un certo disagio alla vista di Percy, in fondo al gruppo, che ricambiò con un sorriso sarcastico.
“Scusate” Esalò Piper con un filo di voce: “Ma tutto questo non si prepara certo in un minuto.” Continuò la ragazza, indicandosi la faccia.
“Certo, reginetta di bellezza” Ironizzò Leo: “Adesso andiamo” Annabeth gli regalò un sorriso d’intesa e si unì alla fine del gruppo per guardare meglio tutti.
“Ebbene” Salutò Percy affiancandosi alla ragazza, lei lo trafisse con i suoi occhi grigi e lui fu costretto ad abbassare lo sguardo, era certo di essere stato troppo ubriaco la prima volta per rendersi conto di quanto fossero micidiali: “Direi che alla fine hai ceduto e sei uscita con me.” Tentò Percy senza fare l’errore di guardarla di nuovo negli occhi; Annabeth, però, alzò gli occhi al cielo e rispose senza esitare: “Ti sbagli: sono uscita anche con te.” Lo corresse senza batter ciglio.
A Percy non era mai capitato di rimanere senza parole, quindi la ragazza colmò il silenzio per lui: “Certo che dev’essere difficile aspettare due settimane per comporre un numero.”
“Ti ricordo che quel numero l’ho dovuto pescare nell’immondizia.” Attaccò il ragazzo: “E poi sono dislessico.” Cercò di giustificarsi arrampicandosi sugli specchi.
“E questo c’entra perché…”
“E va bene, sono stato un coglione a non chiamare. Me la dai una seconda possibilità?”
“Mhh, vedremo.” Sorrise lei riaggregandosi al gruppo e lasciando Percy abbattuto, poco più in là: “Impossibile. È impossibile.” Commentò il ragazzo prima di unirsi a sua volta.
 
“Ebbene” cominciò Piper; un sorriso furbo iniziava già a dipingersi sul suo volto: “Ti ho dato ciò che mi hai chiesto.”
“Ciò che ti ho… cosa?” Domandò Jason accigliato, guardandola negli occhi scuri, Piper gli rispose stringendoli a causa del sorriso che non poteva fare a meno di celare: “Ma tu non avevi gli occhi verdi?”
“Cambiano a seconda della luce, ma… Jason, mi hai sentita?” A quel punto la ragazza smise di provare a nascondere il suo sorriso e le sfuggì una risata, cosa che fece distrarre Jason più di quanto già non lo fosse: “Cosa? Certo!” Esclamò il ragazzo sicuro: “Mi hai chiesto se… No, Piper, non ti stavo ascoltando. Cioè, non che non ti stessi ascoltando perché ti trovo noiosa, assolutamente, ma ti pare che potrei mai pensare che…”
“Va bene, va bene” Lo interruppe la ragazza, con una mano alzata ridendo di gusto: “Ti ho solo fatto notare che ho mantenuto la promessa: siamo usciti, da amici, come d’accordo.” Un sorriso amaro spuntò sulla bocca di Jason mettendo in risalto la cicatrice che aveva sul labbro: “E va bene.” Iniziò il ragazzo mentre un’idea iniziava a farsi strada nella sua mente: “Che ne dici se…”
“Jason, Jason!” Lo chiamò Leo strappandolo da quella conversazione: “Ho un’idea per… Insomma vieni con me!” Urlò il ragazzo afferrandogli il braccio e costringendolo a seguirlo. Jason chiese scusa con lo sguardo a Piper e si concentrò sulla follia che era certo avesse in mente l’amico: “Che c’è? Stavo per invitare Piper ad uscire con me!” Si lamentò il biondo: “Oh beh e perché non l’hai…” Il volto di Leo s’illuminò afferrando il problema: “Oh, scusa tanto, non pensavo fossi tanto folle da chiederglielo adesso.” Continuò noncurante il messicano.
“Aspetta, cosa? E perché non dovrei farlo?”
“Beh, Hazel mi ha detto che Piper è appena uscita da una relazione un po’ complicata con un biondo ossigenato e stronzo e non penso sia in vena di flirtare col primo biondo ossigenato che le fa la corte… senza offesa, ovviamente.”
“E quando pensavi di dirmelo?” Chiese Jason che adesso si sentiva un po’ in ansia all’idea di chiedere a Piper di uscire con lui.
“Beh, l’ho scoperto adesso.” Rispose semplicemente: “Ma non perderti d’animo; ti ho detto solo di andarci piano e vedrai che cadrà ai tuoi piedi prima che tu possa lavarteli.” Scherzò Leo tentando di tirare Jason su di morale: “Senti, non era una scusa quando ti ho trascinato via da Piper dicendoti che avevo un’idea: Vedi quelle fontane che spruzzano acqua a intervalli apparentemente irregolari?” Iniziò Leo, entusiasmandosi ad ogni parola che pronunciava: “Ecco, prima Frank e Hazel parlavano del fatto che Frank odia il cane di un’amica da cui la nonna va sempre a prendere il tè, sai quei cani bruttissimi che iniziano a tremare e…”
“Leo!” L’interruppe Jason alzando gli occhi al cielo: “Il punto. Arriva al punto.”
“Oh si, in pratica non sapevo che dire, quindi mi sono messo a guardare la fontana ed a contare i secondi che passano tra uno spruzzo e l’altro e mi sono reso conto che la parte di destra della fontana spruzza acqua prima ogni sette secondi, poi ne passano tre ed infine dieci tra uno spruzzo e l’altro.” Jason iniziava a guardarlo incredulo: “Leo! Il punto!” esclamò il biondo stanco della parlantina dell’amico: “Ma è questo il punto!” Gridò entusiasta il messicano: “Fammi finire. La parte di sinistra, invece, funziona nel modo opposto: passano prima dieci, poi tre e infine sette secondi tra uno spruzzo e l’altro.” Concluse Leo soddisfatto.
“E quindi?” Domandò Jason che ancora stentava a capire il senso del discorso dell’amico. Leo roteò gli occhi al cielo come se stesse tentando di spiegarsi ad un pollo: “Ma non capisci?”
“No.” Sussurrò Jason per non interrompere il discorso del messicano evitando di guadagnarsi un’altra occhiataccia.
“Adesso ci buttiamo tutti lì e facciamo casino, ma quando Piper si avvilirà perché avrà paura di bagnarsi il vestito tu la salverai perché sai quando si alza, basta solo tenere il conto.” Terminò Leo con un sorriso compiaciuto.
“Beh, ammetto che sarebbe divertente e che stasera faccia davvero caldo per essere a metà settembre. E va bene… mi sembra un tipo di approccio stupido, ma può funzionare.”
“Grande. Vado a chiamare Percy, perché mi sembra l’unico tanto stupido da iniziare un bagno sotto la fontana senza troppe spiegazioni.” Concluse Leo avviandosi verso il ragazzo in questione.
 
Nico era finalmente da solo a casa. Non che Hazel ci passasse molto tempo in quei giorni, ma al ragazzo capitavano sempre imprevisti al lavoro, o aveva sempre qualche impegno importante da non poter proprio rimandare, quindi era da molto che non aveva uno di quei suoi incontri con Will Solace. Così, quando Hazel uscì di casa, Nico non ci pensò due volte ed afferrò il cellulare che aveva lasciato sul divano come fosse l’oggetto più prezioso al mondo. Cercò il numero dell’altro nella sua rubrica dei contatti e lo chiamò notando quanto fosse lungo il tempo che passava tra uno squillo e l’altro: “Will, ciao! Senti, stasera ho casa libera perché Hazel è scesa con i suoi amici. Ti va… ehm… di venire qui da me, sai, per un po’?” Nico si sentiva sempre un po’ in imbarazzo a parlare con un tono seducente a Will, non era il tipo di ragazzo romantico che cerca di conquistare con cliché usati e riusati.
“Mhh, non lo so, non mi sembra una cattiva idea, ma… sai, dovrei ripulire la lettiera del gatto e…” Nico scoppiò a ridere, come a prenderlo in giro: “Ma… Will, tu non hai un gatto!”, al biondo sfuggì una risata che sedò prima che diventasse più fragorosa: “Arrivo.” Rispose riattaccando.
 
Circa cinque minuti dopo aver trascinato Percy di peso sulle fontane con l’espressione più confusa che gli amici avessero mai visto,  già tutti i ragazzi si erano lanciati sulle fontane scappando da ogni getto d’acqua che sistematicamente li investiva. Annabeth notò con piacere che la maglietta bianca che indossava Percy si era del tutto appiccicata al suo petto lasciando ben poco spazio all’immaginazione.
“Però!” Esclamò Piper avvicinandosi all’amica: “Non hai per niente scelto male.” Disse condendo il tutto con una risata.
All’improvviso le ragazze sentirono simultaneamente le piccole mani di Hazel che le spinsero senza preavviso proprio su un getto d’acqua, mentre Jason le osservava da lontano e Leo gli lanciava occhiate d’intesa o sorrisi di incoraggiamento.
Hazel, invece, dopo aver spinto le ragazze nell’acqua era scivolata rovinosamente sul suolo già scivoloso di suo per via dell’effetto dell’acqua e Frank non ci pensò due volte prima di andarla a soccorrere, notando lo sguardo attento di Leo puntato su di loro, che non sembrava più tanto rilassato e divertito: “Che c’è?” gli urlò con aria di sfida Frank, sotto lo sguardo di rimprovero di Hazel che si guardò bene dal non incrociare per non lasciar cadere le sue accuse tanto facilmente.
“’Che c’è’ cosa?” Gridò di rimando Leo dall’altra parte della fontana.
“C’è qualche problema?” domandò con una calma innaturale il più robusto, che non aveva più bisogno di urlare, dato che si era avvicinato di molto al messicano, mentre il resto del gruppo rimaneva a debita distanza per non peggiorare la situazione. Hazel era l’unica che si era avvicinata intimando a Frank di smetterla.
“Amico, non ho capito quale sia il tuo problema, ma dovresti darti una calmata.” Ribatté Leo che sotto lo sguardo sarcastico celava alla perfezione una strana sensazione di nervosismo.
“Te lo dico io qual è il problema.” Rispose sfilandosi dalla tasca posteriore dei pantaloni un bigliettino che, in condizioni normali, sarebbe passato inosservato agli occhi di chiunque.
“Ehi, quello è il biglietto da visita della pasticceria di mia madre!” S’intromise Percy, che aveva riconosciuto il pezzo di carta.
“Già, ma non penso che tua madre ci abbia scritto sopra questo. Ti è caduto dalla tasca due settimane fa.” Disse Frank consegnando il bigliettino nelle mani di Leo, la sua calma iniziava  a vacillare facendo spazio al nervosismo che aveva accumulato in due settimane. Leo accolse il biglietto tra le mani e la sua espressione sconvolta fece preoccupare tutta l’improbabile comitiva.
“I-io non ne sapevo niente, cioè, non me lo ricordo e… Hazel! Ti avevo chiesto se fosse successo altro!” Esclamò puntando i suoi occhi scurissimi su quelli della ragazza, che non disse una parola, si limitò ad abbassare lo sguardo come a scusarsi.
“Va bene, senti amico, mi spiace per essermi guadagnato il tuo odio per una ragazzata, ma, senza offesa, voi due non state insieme ed io, tecnicamente, non ho alcuna colpa se non quella di averti fatto soffrire e, mi dispiace, ma non me lo ricordavo neanche.” Continuò il messicano tutto d’un fiato ritrovando le parole.
“è successo altro?” Si limitò a domandare Frank.
“No!” Intervenne Hazel parlando, forse, ad un tono un po’ più alto di quanto volesse: “No.” Ribadì con più calma. Leo tirò un sospiro di sollievo.
“Sarà meglio che vada.” Disse Frank incamminandosi con Hazel e Percy al seguito e lasciando Leo a fissare un punto nel vuoto con il bigliettino in mano. Jason lo prese delicatamente dalle mani dell’amico e lesse cosa c’era scritto: “Merda.” Commentò senza aggiungere altro.
“Va bene, ragazzi!” Riprese Leo con un po’ troppa positività nella voce: “Qualcuno sa aiutarmi a tornare a casa da qui?”
   
 
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